«r
ARCHIVIO
STORICO ITALIANO
FONDATO DA G. P. VIEUSSEUX
e continuato a cura della
R. DEPUTAZIONE TOSCANA DI STORIA PATRIA
QUINTA SERIE
Tomo XXXIX — Anno 1907
IN FIRENZE
PEESSO G. P. VIEUSSEUX
Tipografia Galileiana
1907
LINAIII CASTELLO DELLA YALDELSA
-^-
:^Z>'^i^^i
^'fp^f:
Panorama di Linari voiso mozzoiiioino.
Lo studio presente ebbe principio dalla curiosità
di conoscere a qual famiglia appartenne uno stemma
scolpito sulla j)ietra, e murato in una vecchia torre di
Linari, venuta in possesso dei miei due figli a titolo
d'ereditaggio. La torre, già ridotta a piccionaia, venne
adesso restaurata, e fiancheggiata da ampio fabbricato
per alloggio dei padroni e per magazzini di derrate. Xel
cercare indarno d'identificare lo sconosciuto stemma (1)
(1) Porta un leone rampante con ramoscello fra
Io branche anteriori. Nella B. N. F. (^BihlioteGa Kaizlo-
iiale di Firenze) i codd. II. I, 125 e 126 {Sepoltuario
lìOHselli), così ricchi di stemmi delle famisjjlic fioren-
tine, ne contengono sette simili a questo. Quindi la
difficoltà d' identificarlo.
4 GIROLAMO MANCINI
allargai le ricerelie, e raccoltone discreto manipolo pen-
sai d- illnstrare il vetnsto castello, fiorente e popoloso nel
medio evo, oggi quasi disabitato, e ridotto a residenza
di due fattorie agricole con poche ed insignificanti reli-
quie dei tempi prosperi. Le condizioni attuali di Linari
richiamano alla memoria i versi di Dante sulla caducità
delle cose umane, là dove ricorda come son ite Luni
ed TJrMsaglm, i)er trarne la triste conclusione:
Le nostre cose tutte hanno lor morte,
Sì come ìwi! ^
bell'alto medio evo Papice della collina dove sorge
Linari fu circondato da muraglie di cinta del tutto
scomi^arse insieme alle due porte d'entrata e d'uscita
nel castello. Forse denominavano Porta al Perone quella
meridionale (1), senza dubbio Porta a Salti la setten-
trionale rimpetto alle colline di 8. Appiano (2), e la
ripidissima discesa o salita esistente innanzi ad essa ne
giustificava il vocabolo. Delle porte e delle muraglie
castellane non restano tracce: sopravvivono due torri
e la base d'una terza diroccata o caduta. Anche con
un' occhiata fugace alla conformazione della collina,
alta m.' 225 sul livello del mare, si comprende per qual
motivo ricorsero all'arte e ne resero più forte il cul-
mine. Da levante, da tramontana, da ponente il colle
s'inalza formando un cono simile a pane di zucchero
troncato nella Aletta. Dai tre lati le ripe tufacee, quanto
mai scoscese, ne rendono difficoltoso l'accesso, abba-
stanza agevole da mezzogiorno, perchè appena fuori dal
castello si prolunga uno stretto altipiano, che poi si
dirama e dolcemente declina fino alla base, circa m.' 120
alta sul livello del mare. Le colline diramatesi dall'alti-
piano possono equipararsi alle nervature della foglia o
pagina d' una palma, disposte a raggiera, e l' altipiano al
(1) M. 492 (1339).
(2) F. 568 a e 12. VI. 1348Ì
LIXARI CASTELLO DELLA VALDELSA O
peduncolo o picciuolo della foo-lia. Presso la base meri-
dionale delle colline, dopo brevissimo tratto di terreno
in pianura, scorre FElsa. Xella direzione di Poggibonsi
la pianura s'allarga frastagliata dai torrenti Staggia,
Brove d'Amaiani, Drove di Oinciano e Bozzone, che con-
giungono le proprie acque prima di scaricarle sull'Elsa.
Allorché non usavano le artiglierie, e le fortezze
assediate opponevano difese piombanti agii assalitori,
questi potevano investire Linari soltanto da mezzo-
giorno, essendo il cavstello assicurato negli altri lati
dallo scoscendimento delle ripe, con grave rischio po-
tute superare dal nemico per approssimarsi alle mura
Linaii verso tiainontaiia.
e dare la scalata. Dopo che sulle muraglie più solide
le artiglierie principiarono ad aprire brecce, il castello
divenne arnese inservibile: ma fino al secolo XV co-
stituì un refugio opportuno ai belligeranti i quali vo-
levano offendere Poggibonsi, 8an (Tcmignano, ed anche
Colle. Dal basso, ovvero dai tetti della chiesa di s. Maria,
i difensori sorveoiiavano il nemico afforzatosi nelle
b GIROLAMO MANCINI
prime due terre, spiavano i soccorsi i3roveiiienti da
Colle, iiiudicavaiio del momento opportuno per mole-
stare ()^'ve^o attaccare il nemico diretto a Poggibonsi
0 risoluto ad allontanarsene. Fra questa terra e Firenze
la A ia più frequentata per l'erto Valcanoro conduceva a
Liliali, l'idiscendeA'a, quindi risaliva a S. Appiano, e a
1 Barberino (1). Xon transitando per Linari, il nemico da
Poggibonsi indirizzato a Firenze, oppure a Certaldo,
doveva costeggiare le colline dominate dal castello.
Coperti dalle boscaglie, sbucando nella pianura dalle
diverse insenature fra le colline, i difensori di Linari
potevano all'improvviso piombare sul nemico sorpreso
nella ristretta pianura ì)agnata dai quattro torrenti
menzionati, tutti colle ripe scoscese, talora a i3Ìcco. Il
nemico doveva retrocedere, o audacemente guadare i
torrenti aft'rontando sempre la ripidezza delle sponde,
e la piena quando l'acqua abbondaA a. Xè si dimentichi
come i quattro torrenti, adesso almeno in parte arginati,
erano nel medio evo privi d'arginature per regolare il
corso delle acque. Inoltre il vocabolo Staggia mortai
menzionato nei contratti dai notari Linaresi, lascia
congetturare che prima di scaricare le acque nell'Elsa
i (juattro torrenti impaludassero porzione della pianura,
ed anche vi formassero uno stagno.
La situazione di Linari, tanto propizia ai tempi
delle difese piombanti; forse trattenne i nemici dall' at-
taccare il castello, e sarà questo il motivo per cui man-
cano memorie d'aggressioni e d'assedi nell'alto medio
evo. Una delle rare notizie di carattere militare si rife-
risce ad un esploratore nel 1252 inaiato a Linari causa
(1) La sosia in IJnari di s. Carlo Borroiueo diretto a Konia, dopo
l'esaltazione di Pio W e prova evidente del ijassaggio da Linari del-
l'antica strada tra Firenze e Poggibonsi. In s. Stefano presso Linari
una lapide. ri})rodotta da altra anteriore, attesta elie il santo celebrò la
messa in (jucsta eliiesa, quindi avrà ])assata la notte nel castello.
LINARI CASTELLO DELLA VALDELSA 7
ficiendi nova quando erat ibi exercitus (1). In quel mo-
mento Pisa e Siena con alterna fortuna combattevano
Firenze.
Nel 1260, mentre i guelfi di Firenze ed i ghibellini
di Siena A^olevano reciprocamente annientarsi, s' interes-
sarono di Linari ai 0 di maggio i Fiorentini, ch'entrati
la prima volta in campagna, già si preparavano a rim-
patriare ne vincitori, né vinti ; per cui vollero effettuare
la seconda impresa finita a Montaperti il 4 settembre con
lo strazio e '1 grande scempio
die fece l'Arbia colorata in rosso.
Il potestà di Firenze, i suoi 4 consiglieri, ed i capitani
dell'esercito ordinarono a Rogero d'Orciolino, castellano
in Linari, di ritenere nel castello venticinque degli abi-
tanti obbligati a militare, e fra questi quattro pedoni
concessi particolarmente al castellano (2).
Quando poi, nell'autunno del 1312, l'imperatore
Arrigo VII, riconosciuta l'impossibilità d'assoggettare
Firenze, e sciolto il blocco iniziato prima di cingere
la città con regolare assedio, si ritirò colle sue genti a
S. Casciano, poi sostò a Poggibonsi, e tentò invano
l'espugnazione di Castel Fiorentino, sarà stato dagl'im-
periali gravemente danneggiato il territorio dei Linaresi,
ma non A^ennero tentate fazioni contro il castello ben
guardato dai Fiorentini (3).
(1) Comunicazione del sig. Davidsohx, V illustre tedesco autore
della Storia di Firenze. Berlin, 1900, II, 87.
(2) Il libro (li Montaperti, in Doeumenti di Storia italiana. Firenze, 1889,
p. 84. I registri editi in questo volume ricordano le sonnuinistrazioni
di grano imi^oste dai Fiorentini ai rettori dei benefizi ecclesiastici jjer
soccorrere Montalcino. Le stala 10 di grano assegnate nel 4 agosto 1260 al
rettore di S. Andrea in Linari, i). 132, non si riferiscono ad una chiesa
esistente nel castello della Valdelsa, come viene supposto nella M. S. V.
^Miscellanea storica della Valdelsa), Castel Fiorentino, 1904, II, 71, bensì
alla parrocchia di Linari nel piviere di Rubbiano della Valdema.
(3) M. S. V., 1898, VI, 103, 164.
8 GIROLAMO MANCINI
^el 1432 Bernardino della Carda, capitano di 400
lance al soldo di Filij)po Visconti duca di Milano, de-
vastò l'Aretino, espugnò Marciano nella Yaldichiana ed
alcuni castelli della Yaldambra. Inseguito da Niccolò di
Tolentino, condottiero dei Fiorentini, passò nella Yal-
delsa. Quivi, per cattiva guardia, per segrete intelligenze,
o per insufficiente numero di difensori, ai 25 di maggio
occupò Linari, e subito cavalcò verso Pontedera. I Fio-
rentini gii stavano alle calcagna, e, secondo un cro-
nista, recuperato j>er/or5f-f Linari, inseguirono il nemico,
che, in prossimità di 8. Eomano, congiuntosi al corpo
principale dell'armata del Visconti, rimase sconfìtto
il l"" giugno, ed uno dei primi a fuggire fu Bernardino (1).
La j)erdita, il riacquisto dì Linari, e la rotta dell'ar-
mata ducale, fatti avvenuti nel breve spazio di sei
giorni, due impiegati senza dubbio nel cavalcare dalla
Valdelsa nella Valdera, lasciano supporre che i Lina-
resi aprissero le i)orte ai Fiorentini, oppure al loro ap-
prossimarsi costringessero ad arrendersi gii assoldati
dal Visconti. IS^onostante, nell' orazione recitata allorché
la Signoria fiorentina consegnò il bastone del comando
a IS^iccolò di Tolentino, Leonardo aretino disse: Con
somma celerità ne veniste a Linari^ castello munito da
natura, fortificato da nemici, fornito di validissimi di-
fensori. La vostra magnificenza con sommo ardire et in-
credibile virtù, sanza homòarde et sanza altro instru-
mento da combactare terre, solo con battaglia manuale,
exj)ugnò et vinse (2). Le rimbombanti frasi del Bruni
esaltano al pari di strepitosa vittoria il recupero del
castello, ripreso colla medesima facilità colla quale era
stato perduto. Le guardie lasciate in Linari deposero
le armi corrotte dai danari fiorentini, seppure non si
crederono impotenti a resistere, forsanco intimidite dai
(1) D. E. T. {Deligie degli eruditi tosoani), Firoiize, 1785, XIX, 99, 104.
(2) B. N. F., cod. 45, ci. VI, f/^ 51.
LINARI CASTELLO DELLA YALDELSA 9
Linaresi sospettosi delle yeiidette di Firenze vicina,
poco o nnlla sperando dal lontano duca di Milano.
Liliali verso libeccio.
Descritta la posizione topografica del castello e le
poche vicende militari, riassumerò le notizie sopra Li-
nari raccolte qua e là, ed alquanto più m'estenderò
sulle condizioni nelle quali se ne sv^olse la vita, e sulle
costumanze degli abitanti, segnatamente nel sec. XI ^^,
avendo racimolate parecchie notizie in n.^ 16 protocolli
di sette notari che dal 1305 al 1362 rogarono nel ca-
stello (1). Ma troppo presto rimase esaurita la preziosa
(1) I x>rotocolli dei notari Linaresi del secolo XIV conservati nel-
lA. S. F. fArohivh di Stato FiorentinoJ, hanno le segnatnre :
D. 77, Dogino di Conte (1305-L316), filze n. 4.
F. 568. Francesco di Tomeo (134<vl348), n. 1.
G. .369, Giovanni di Biizzicliello (1334-1347), n. 3.
I. 47, Iacopo del fu ser Giovanni (1326-1340). n. 2.
L. 84. La])f> del fu Sinume (1334-1339). n. 1.
10 GIROLAMO MANCINI
fonte per lo smarrimento dei protocolli notarili ante-
riori e posteriori.
Per quanto io so, il nome di Linari incontrasi men-
zionato la prima volta in una pergamena del marzo 1072,
già posseduta dall'abbazia di s. Michelangelo a Passi-
gnano nella Valdipesa, e la seconda volta in altra
membrana del medesimo monastero rogata dentro al ca-
deìlo, il 31 marzo 1074. Con la prima Guido di Ghe-
rardo, alla presenza del giudice del sacro palazzo e
d'alcuni bonuomini, permette alla moglie Guillia di Gi-
salberto di donare quattro aj^i^ezzamenti di terreno
alla chiesa e al monastero di Passignano per rimedio
delle anime di essi coniugi e di Eanieri figlio defunto.
Colla seconda i}ergamena i coniugi Giovanni e Gasdia
figlia del fu Pandolfo, insieme ad Adalasgia d'Ugo, au-
torizzata da Giovanni suo mundualdo (1), vendono i^er
20 soldi a Eolando del fu Eodolfo i propri servi ed
ancelle Gerardo di Burzule, i figli, e le figlie di lui, di-
chiarando libero di farne cosa vorrà il compratore di-
venuto nuovo padrone dei maschi e delle femmine
vendutegli. Xella carta del 1072 il luogo della stipula-
zione è indicato: Linare in territurio florentino: nella
seconda del 1074: Actum intus castello de Linare, ter-
M. 492, Micliele di Cainbiiizzo (1334-1317), iilze n. 4.
T. 174, Tomaso di Birrozzo (1361-1363), n. 1.
Citando i contratti indico V iniziale del notaro, il numero asse-
j^nato ai suoi i)rotocolli nei cataloghi delFA. S. F., e nel testo o nelle
note la data dello strumento allegato. Le membrane citate a^ipartennero
alla Badia di Passignano e sono custodite in A. S. F.
(1) Sarebbe quasi sui)erliuo ricordare come nel medio evo quando
erano defunti il i)adre o il marito, la legge voleva investito della loro
autorità di padri di famiglia un uomo delegato con atto notarile ad as-
sistere la donna che contraeva solenni impegni, quali il matrimonio o la
vendita di xjossedimenti. A Linari nel 1337, per rendere più solenne un atto
di mundio, il notaro Giovanni di Buzzichello prese alla donna la mano
destra, e dicendo — esto mundualdus — la i^ose in quelle delPuomo, il
quale, secondo la legge, rai)presentava la superiorità del maschio sulla
femmina. G. 369.
LIXARI CASTELLO DELLA VALDELSA 11
riturio florentino (1). Quindi riesce impossibile dubitare
che il castello innanzi al 1074 fosse circondato da mu-
ra<;lie di cinta, ed è natm-ale di congetturarle costruite
dal potente feudatario, il quale esercitava signoria ed
era padrone della località.
Quale famiglia avrà fortificato e posseduto il ca-
stello? La vicinanza di Semifonte, grossa terra espu-
gnata nel 1202, successivamente distrutta dai Fiorentini,
porterebbe a congetturare che Linari innanzi al se-
colo XIII avesse obbedito agli Alberti conti di Man-
gona signori nella Valdelsa di Semifonte, Tignano,
C;orbinaia e Colle (2). Questi conti possedevano tante
estese proprietà vicine all'Elsa, che senza indicarlo a
nome jjotrebbero aver compreso Linari nel patto fir-
mato il 12 febbraio 1200, quando Alberto e Maghinardo
di Mangona promisero ai Fiorentini: non faciemus
aliquod castrum, vel incastellaòimus, aiit incastellare fa-
ciemus aliquos homines in aliquo podio inter Yirginium
et Elsam (3). Poiché al momento della promessa Linari
da parecchi anni era incastellato, e nella sua cinta
ricettava famiglie soggette ad un feudatario, il patto
accettato dai conti di Mangona non può riferirsi a
muraglie di fortificazione da costruire, essendo già inal-
zate sull'apice della collina linarese lambita a mezzo-
giorno dall'Elsa, e a maggior distanza fra levante e
(1) 11 territorio Fiorentino ricordato nelle due ineiiibrane lo è pure
ili una terza del 3. VII. 1100 rogata prope castello, qui vocatur Linare, in
territurio Fiorentino. In una quarta, iJure di Passignano, del 18. VII. 1128:
.ietuni est hoe Linare ituUciaria florentina: così nelPaltra del 28. II. 1127:
in loco uhi dicitur Solo jnojye Linare iudiciaria florentina. Invece una sesta
del 24. Vili. 1133 fu rogata ad Linare oomitatu fiorentino. Nel corso di
l)ochi anni i notari dalPuso dei vocaboli territorio e giudicheria passarono
a contado. Il vocabolo giudicheria si riferisce al tenix>o in cui l' impero
l)ose a Firenze un conte affinchè giudicasse.
(2) D. E. T., 1778, X, 90.
(3) Santini, in Documenti di storia italiana, Firenze, 1895, X, 49. —
D. K. T., 1777, Vili, 126.
12 GIROLAMO MANCINI
tramontana dal corso del Virginio, impetuoso tor-
rente tributario della Pesa, che formava il limite col
Chianti.
In un opuscolo sul culto di s. Aj^piano e sul tempio
dedicato a quel santo (1), sede del piviere nel quale
è compreso Linari, trovasi asserito che questo castello
fu signoreggiato una volta dai Gherardini di Firenze,
ed allegato un distico di Michele Verino, in cui, senza
nominare Lina ri, il poeta allude alla potenza nel con-
tado Valdelsano dell'illustre famiglia fiorentina, già fra
le maggiorenti della città:
Clara Glierardina doiniis est liaec: plurima quondam
castella incoluit foecundibus collibus Elsae (2).
I Gherardini godevano a Firenze l'onore del con-
solato nel 1197, e nel 1292 si trovavano fra le tredici
famiglie padrone di loggia dichiarate grandi. M. Oece
sconsigliò l'impresa finita colla sconfitta di Montaperti;
m. Lotteringo, A'ittima nel 1304 d'una zufta civile, me-
ritò sulla pietra sepolcrale (3) l'onorato ricordo — ohiif
in defensione populi florentini — . Famiglia numerosis-
sima, contava 85 maschi quando nel 1342 fece pace coi
Monter inaldi. Possedè numerosi patronati di parrocchie
nelle diocesi Fiesolana e Fiorentina ; nel piviere poi di
s. Appiano quelli delle chiese curate di Poppiano, di
s. Giorgio a Oinciano, questo a metà col popolo, e sol-
tanto nel secolo XVI per breve tempo elesse il priore
di s. Stefano presso Linari(4). Molti Gherardini, pa-
droni di case e di vasti terreni nel Linarese, a Pop-
(1) Biadi, Della i^if^'^ di «• Appiano in ValdeUa. Firenze, 1855. ]>. 31.
(2) Verini, J)e illustraUone Florentkw, Parisiis. 1790, II, 40.
(3) È murata sulla i^arete della chiesa nel chiostro di s. Stefano
presso il Pontevecchio a Firenze.
(4) A. S. F. Ms8. n.° 531. — Gamukkini, Istoria delle famiglie nobili.
Fiorenza, 1671, II, 111. — Dino Compagni, Cranica, ediz. Del Lungo.
Firenze, 1879, II, 268.
LINARI CASTELLO DELLA YALDELSA ■ 13
piano, a Vico, a Poggibousi, vissero, contrassero matri-
moni (1), morirono nella Vaklelsa : d' un Glierarduceio,
defunto nel 1332, rimane Peffigie scolpita sulla pietra
sepolcrale a S. Appiano (2) : peraltro mancano memorie
di feudi da essi goduti a Linari. Nemmeno sembra che ne
siano stati signori, come lo furono del castello di Mon-
tagliari nelle vicinanze di Greve, dai Fiorentini espu-
gnato e diroccato nel 1302 (3), nella medesima guisa
d'altre rocche e del castello di Fogna nella Vaklelsa,
i cui signori, gli Alberti di Mangona, nel novembre
del 1184, dopo aver rifiutato d'obbedire ai Fiorentini,
e continuato a taglieggiare i viandanti riottosi a ivd-
gare il passaggio pel feudo, promisero dentro il pros-
simo aprile d'avere destructum totum casteUum de Fogna,
exccpfo palai io cum tur ri (4).
Indizi, a parere mio, molto gravi possono far cre-
dere Linari dominato da un ramo dei conti Guidi, la
più potente fra le famiglie dei feudatari toscani. Xel-
l' aprile del 1150 Guido IV comes Tuscie donò ai Senesi
l'ottava parte montis uni dicitur Bonizi siti valle Mar-
turi {ò\ posta a tergo dell'attuale Poggibonsi, rimpetto
a Linari. Xell' ottobre del 1220 Ugo d'Uguccione Guidi,
uno dei conti Cadolingi di Fucecchio, trombandosi alla ba-
dia vallombrosana di Passignano, permise ad un proprio
(1) Gemma di Piero Glierardiui ebbe in dote iioiini d'oro 400. I. 47
(1. X. 1329). — Cacciantino del fu GlierartLino Gherardini lasciò uguale
dote per testamento alla liglia Bonafìdanza. F. 568 (1348).
(2) Nella M. S. V., 1906, XIV, 170, V Uzielli, Leggenda dei tre Vaì-
delmni conquistatori dell' Irlanda, i)roduce tratteggiato il disegno della
pietra tombale di Gherardueeio.
(3) CoKAZZixi, / Gherardini e il castello di Montagliari, in Miscellanea
fiorentina d'erudizione e storia. Firenze, 1897, II, 80.
(4) Santini, X, 25. — Il Repetti, Dizionario della Toscana. Fi-
renze, 1833, Supplemento, 195, dice che Fattuale terra di Marcialla sorge
sulla località delFantica Fogna.
(5) Ammirato, Albero dei conti Guidi. Firenze, 1640, p. 5. — M. S. \.
1896, IV, 81-84.
14 ' GIROLAMO MANCINI
vassallo di Liiiari di rinunziare in favore dei monaci
la terza parte d'un manso a Mandano nella Valdelsa (1).
E cosa più importa, i conti Gnidognerra e Ruggero di
Marcovaldo, Guido d'Aghinolfo da Eomena, e Guido
Novello nel G maggio 1255 alienarono in Firenze il pa-
tronato della chiesa di Linari ed alcuni terreni (2). I pa-
tronati delle prebende ecclesiastiche, segnatamente par-
rocchiali, hanno sempre costituito un fortissimo indizio
per congetturare cjio le famiglie dei patroni esercitas-
sero, oppure avessero esercitati diritti signorili, e pos-
seduti latifondi nei luoghi dove sorgono le chiese dotate
colle loro elargizioni, o fatte edificare per comodo pro-
prio e dei dipendenti. L'avere vicino d'abitazione il
parroco, vincolato a guisa di cliente, era nelF interesse
dei feudatari, i quali nominaA^ano rettore l'ecclesiastico
meglio gradito. Fra gli Alberti di Mangona, i Gherar-
dini, ed i Guidi, che plausibili supposizioni permettono
di congetturare al possesso di ragioni feudali sopra Li-
nari, io darei la preferenza ai conti Guidi.
Sulla famiglia che signoreggiò Linari nell'alto medio
evo sparirebbero le dubbiezze giungendo a determinare
il cognome d'una donna padrona di grandi tenimenti
nella Valdelsa ed altrove. Zabollina di Giovanni di Bot-
taccio, già nel 1126 vedova di Eidolfino di Bernardo da
Oatignano (3), a motivo della vedovanza, propter velameli
(1) Repetti, II, 701.
(2) D. E. T., Vili, 141.
(3) Il Lami, Monumenta ecclcHiae florentinae. Florentiae, 1758, p. 789,
seguitato dal Repetti, II, 351, dice i conti di Catignano appartenuti al
ramo dei Cadolingi di Borgouuovo, che sembra estinto nel 1113. Za1>ol-
lina rimasta vedova disponeva di grandi i)rox>rietà senza dubbio eredi-
tate dal padre. Il Repetti, I, 623, nota nella Valdelsa due località de-
nominate Catignano, una già sede della parrocchia di s. Donato da lungo
tempo soppressa ed incorporata all'altra di s. Stefano presso Linari ; la
seconda nel piviere di s. Martino a Gambassi, antico feudo dei conti
Cadolingi e dei Mangona loro consorti. Invece i-notari Linaresi deno-
minano s. Donato a Giugliano la parrocchia aggregata a s. Stefano, se-
UNA RI CASTELLO DELLA VALDELSA 15
.sui capitis, dice il documento, oft'rì e donò a Grotofredo
vescovo di Firenze i castelli, le case e i terreni di sua
proprietà esistenti nella Marca della Toscana, nelle corti
e nei castelli di Linari, Timignano, Uzano, Fogna, Our-
signano, di Nòvole a S. Maria Novella, d'Aquilone,
Tregenta, Turri, Oinciano, 8. Filippo, Colle, Catignano,
e quatuor residentias a S. Pancrazio nella Valdipesa (1).
Il vescovo allogò in enfiteusi gl'immobili donati da Za-
bollina, e si riservò in Linari una casa turrita, o cassero
simile a fortilizio (2). Un secondo documento prodotto
dal Lami (3) informa come Sincero, Amerigo e Baldovino
del fu Mazzo nel 10 febbraio 1127 refutaverunt domino
Gotifredo episcopo tres partes castri et curie de TAnari.
Quindi resulta che il dono di Zabollina al vescovado
fiorentino avrebbe compreso quasi l'intero castello e
territorio (curia) Linarese.
< Xel Bullettone, ovvero registro dei livelli dell'epi-
scopio fiorentino, sono così descritte l'enfiteusi concesse
dal vescovo nella Taldelsa: Homagium, vassaUagium, et
fldelitateSy atque dominium super fldeles, vassalìos, homi-
nes et persona s de terra Catignani et Linari, distr ictus
Florentie, cum poderi, quod est in territorio de Linari,
et cum domo episcopatus, que est in cassero diete terre,
et cum terris, domiòus, famiUis et honis, que in dictis locis
luibent, et que tenent a dicto episcopatu (4).
condo il Lami, 536, detta di Garignano, o secondo il Repetti di Ca-
tignano. Un antico palazzo in parte ornato di merli, posseduto adesso
dai Vanni di Poggibonsi, e detto il Poggio, lia pure la denominazione
di Catignano, ed è situato fra Giugnano e S. Appiano.
(1) Lami, 720, 790. — B. N. F., cod. IL IV. 484, f.« 105. — Tak-
GiONi, Viaggi in Toscana, Firenze, 1775, Vili, 124. — Repktti, I, 623.
(2) Repetti, II, 701.
(3) Lami, 720.
(4) Lami, 152. — B. N. F., cod. IL IV. 484, p. 578. Questo codice
contiene lo spoglio del Bullettone fatto nel 1697 dal canonico Lorenzo
Ghehakdixi, ai^partenente alla famiglia proprietaria d'innnobili nel
Linarese.
10 GIROLAMO MANCINI
Anche i Trlierardini furono censuari o livellari del
vescovo lìorentino, ma rimane incerto se presero a li-
Anello i beni donati da ZaboUina o in altri luoghi posse-
duti dall'episcopio. Come censuari divennero vassalli
senza vincoli servili, ma obbligati con piccole offerte
a riconoscere il domino, a guardarne e difenderne i
beni, e ad onorarlo accomi^agnandolo per Firenze (1).
Xel secolo duodecimo la brama d'evitare litigi coli' im-
pero, geloso della potenza dei comuni, faceva dai Fio-
rentini permettere al loro vescovo d'acquistare terre
feudali con A^antaggio del comune e dell'episcopio. Le
sottomissioni dei feudatari A^eniA^ano intestate al ve-
scoA^o, che giurava di non A'olgersi mai contro al co-
mune. Il riconoscimento della giurisdizione municipale
procuraA a al a^cscoa^o una posizione prÌAÌlegiata in con-
fronto ai feudatari del contado, e, secondo aAA enne nel
1138, gioA^aA a a Firenze, perchè essa allargò il dominio
mentre più aspre fervevano le questioni coi messi im-
periali (2). Le sottomissioni a eniA^ano in apparenza con-
cluse coLA^escoA^o, in sostanza col comune.
A tempo del regime feudale la gran maggioranza
dei Linaresi doA CA^a appartenere alla classe dei fedeli,
cioè degli uomini i quali aA CA^ano riccA^uti immobili ad
enfiteusi, ossia in affitto perpetuo, coli' obbligo di sot-
tostare ai più gravosi e «Avariati oneri. Quali cose non
erano colpite dai diritti feudali ? La pergamena di Pas-
signano del 5 noA^embre 1239 contiene una cessione pel
13rezzo di L. 25 fatta al monastero. BaldoA^inetto del fu
m. Acei)0 di Firenze, la moglie Contessa ed il loro figlio
Arnoldo trasferirono nell'abbate annnam lìrestatioriem,
s('ì( (ìafìoììcm. sire rcdditum, ve! petisionem, seu comandi-
.siam, riccA lite da Contessa e dai suoi antenati, coìumòo-
(1) Compagni, II, 104.
(2) Marohionne di Copjìo Stefani, Cronaca fiorentina. Città di Ca-
stello, 1903, 1)1). XLVII, XLVIII.
LINARI CASTELLO DELLA YALDELSA 17
rum, seu colomharum, seu pijrionum a predicto monasterio,
vel a comìnnìii Podi ire nti, castri predicti monasterii, vel
ah hominihus, seu colouis, vel censitis predicti monasterii
morantihus in dicto castro Podiiventi, vel alihi, iuste vel
iììiuste, casu vel ahusu, iure vel per iniuria, personali,
vel reali iure. Da tempo immemorabile Contessa, il pa-
dre suo, gli antecessori ed i consorti della famiglia ave-
vano esercitato il diritto ceduto.
L' enlìtèuta non poteva senza il consenso del signore
alienare le case o i terreni concessigli, doveva fare la
guardia notturna sugli si^alti e alle porte del castello
feudale, corrispondendo annualmente al domino le pre-
stazioni alle quali era obbligato (1). La condizione della
gran maggioranza dei fedeli, tanto servile e gravosa,
provocò nel secolo XIII la più tenace lotta degli op-
pressi per sottrarsi agli oneri assùnti (2). Anche i
mezzi più scorretti erano giudicati buoni, pure di svin-
colarsi. I monaci di Passignano nel 29 marzo 1244 in-
tentarono lite a certi loro fedeli accusandoli che de
cartulario monasterii acceperunt et aòstulerunt duas car-
tas, vel plures servitiorum, et pensionis, et affictus, et fide-
litatis, eis dicto monasterio dehendorum (3). [N^on volendo
sopportare gli oneri personali e reali gravanti sui cen-
suari, i fedeli avevano infedelmente sottratte le carte
donde resultavano i pesi dai quali per legge o per con-
tratto erano aggravati.
(1) A. S. I. ("Archivio storico italianoj. Firenze, 1880, serie 4^, VI, 325,
nota 4.
(2) La membrana di Passignano del 14. V. 1233 e' informa sulle
condizioni dei maschi esistenti nel piviere di s. Pietro in Sillano. =
Fittaiuoli perpetui fedeli della badia, n.*^ 58 — Fittaiuoli perpetui, senza
indicare di chi fossero fedeli, n.*^ 10 — Coltaiuoli, n.° 1 — Uomo della
badia n.*^ 1 — Pagatore di x>ensione, n.*^ 1 — Milite nobile con cavallo,
n/' 1 — Figlio del milite, n.° 1 — Militi pel comune di Firenze, n.° 4
— Figli loro, n.° 2 — Milite pel comune fiorentino con casa nella città,
n.° 1 — Vidue date a consulihus, n.° 4 — Totale, fedeli, n.*^ 71 — Uomini
liberi, n.° 9, oltre le quattro vedove rimaste a capo delle famiglie.
(3) Santini, 50.
Aech. Stor. It., 5." Serie. — XXXIX. 2
18 GIROLAMO MANCINI
Diversi abitatori di Linari non appartenevano alla
classe dei fedeli. Infatti nel 6 settembre i;ill il co-
mune di Firenze esiliò m. Alcampo (1), Bonaiuto, al-
cuni Campana, e i loro consorti, tutti Linaresi (2). Il
giureconsulto, i due dalla sentenza dichiarati capi di
consorteria, ed i loro consorti, certamente nella società
umana occupavano un gradino assai superiore ai fedeli
della classe agricola, che dava il maggior contingente
ai miseri oppressi dal giogo quasi servile.
Così pure fra i prigionieri, fatti da Oastruccio si-
gnore di Lucca il 23 settembre 1325 nella battaglia
combattuta alP Altopascio, trovasi un Mico, o piut-
tosto Meo, di Vicuzzo (3) da Linari, senza dubbio no-
tato nell'elenco perchè creduto in grado di riscattarsi
pagando una taglia.
Le antiche carte raramente menzionano Linari. L"n
lodo privo di data, pronunziato dai consoli di Firenze
intorno alla fine del vsecolo XII, ordina agli uomini di
Linari la restituzione alla badia di s. Michele a ]Mar-
tùri, già esistita poco sopra l'attuale Poggibonsi a
piccola distanza dalla chiesa di s. Lucchese, della terra
da essi occupata in quantità maggiore di quella dovuta,
ed impone loro di star quieti nell'avvenire. Prescrive
la cessazione delle cattive usanze introdotte nelle terre
possedute dalla badia, la riconsegna ai Linaresi degl'im-
mobili acquistati dagli uomini di San Gemignano nella
corte di Casale prossima all'Elsa, annulla le promesse
(1) Lippo del fu m. Alcampo dotò con L. 200 la sorella Melliiia,
che impalmò un notaro di Poggibonsi. D. 77 (1314) — La vedova di Lippo
possedeva cluas domos eum orto, pì<itea, et casolarihus sitas in eastro TAnari
supra Cassaro. F. 568 (29, I, 1346).
(2) D. E. T., 1778, XI, 65.
(3) D. E. T., XI, 65. 1779, XII, 284 — Un cugino di Meo sposò una
Bellincioni di Firenze con dote di L. 550. Dopo i)Ochi mesi aggiustò le
"questioni per l'eredità di Vicuzzo detto Maluomo. D. 77 (30. X. 1314 —
17. II. 1316).
LIXARI CASTELLO DELLA VALDELSA 19
in (laimo degli uomini di Martìiri fatte da quelli di
Liuari ai Sauoemigiianesi (1). Dal lodo non resulta;
bensì sembra che qualcuna delle divergenze volute si-
stemare traesse origine da questioni livellari di fedeli
negatisi a prestare servigi.
Quando allargava il dominio sottomettendo i feu-
datari, Firenze recava a contado i terreni compresi nei
feudi e dichiarava liberi da fitti perpetui gli uomini^ vale
a dire i fedeli. Per esempio nel 1348 i fedeli di Castel
8. Xiccolò nel Casentino ribellatisi ai couti Guidi, e nel
1353 i Sangemignanesi, dilaniati dalle fazioni, si det-
tero ai Fiorentini. Il contado e distretto fu recato a
contado del comune di Firenze ^ e datoli V estimo come
agli altri contadini^ e tutti i suoi cittadini e terrazzani
furono fatti cittadini e impolani. Comprati dà Firenze
i castelli di Eomena e della Cerbaia (1357 e 1361), tutti
i fedeli della fedeltà furono liòerati e fatti contadini (2).
Xon risulta in qua! momento i Linaresi svincolati
dalla fedeltà si costituirono in comune. L'avevano già
formato nel 29 maggio 1270, secondo apparisce dal do-
cumento che gentilmente mi comunicò l'illustre Da-
vidsohn. In quel giorno i Fiorentini vietarono ai ribelli
di Poggibonsi d'abitare nel vicariato di San Gemi-
gnano, e concessero agli abitanti dei comuni di Colle,
vSan Gemignano, Linari, Cepparello, Vico e Semifonte
di vendere vettovaglie ai Poggibonsini, purché un sin-
daco speciale ne sorvegliasse la vendita (3). I Linaresi,
già riunitisi in comune nel 1270, erano retti da consoli,
magistratura per eccellenza comunale. Probabilmente
il comune venne stabilito da modesti proprietari e dai
lavoratori della terra salariati a giornata, oroanizzatisi
(1) Santini, 369.
(2) Matteo Villani, Cronache, X. 2«, I. 24, III. 73, ^'II1. 7, X. 52.
Ctr. pure I. 73, VIII. 61, X. 13.
(3) Davidsoiin. II. 166.
20 GIROLAMO MANCINI
e disciplinatisi, ossia dai mediocri e dai minori, come
li dicevano nel secolo XIII. I maggiori dovevano es-
sere in numero insignificante, seppure qualcuno sog-
giornava nel castello. Permettono di congetturare che
non vi si trovassero le disposizioni testamentarie di Za-
bollina, vedova, priva di successori diretti, e però de-
cisasi ad istituire erede l'episcopato di Firenze. I vescovi,
dando a censo i terreni ricevuti in dono, favorirono
Paccrescimento della prosperità fra i Linaresi. Coli' in-
dustria e colla parsimonia i censuari, scosso il giogo
quasi servile della fedeltà, si trasformarono in proprie-
tari, ed unitisi ai minori costituirono il comune.
Sui primi del secolo XIV Linari già possedcA'a la
casa per le adunanze degli uomini deputati ad aver
cura degP interessi dei comunisti, e forse era residenza
d'un giusdicente. Xel marzo del 1307 vennero sistemate
certe divergenze cogli uomini di s. Appiano in iwesentia
Bachi oìim Dietiguardi consulis communis Linari in curia
dicti communis, uhi ius redditur (1). Soltanto i giudici
rendono giustizia, e trovando menzione della curia
dov'essi l'amministravano, bisognerebbe concludere che
risedeva nel castello l'officiale incaricato di giudicare.
Le deliberazioni comunali allibrate dall'attuario del
comune andarono perdute: ma fra gii atti dei notari
Linaresi ne ho rinvenuta qualcuna presa dai consigli
pubblici o dai loro delegati. Il 7 aprile 1307 due abi-
tanti di Linari come sindaci o deputati delF università
del comune presero in prestito per otto giorni L. 80 (2).
Xel 1312 venti consiglieri s'adunarono nella casa di
m. Giovanni di m. Pino Eossi presa a pigione per or-
dine di ser Dogino notaro e vicario di ser Pàvero of-
ficiale del comune, e nominarono due sindaci affinchè
(1) D. 77 (14. III. 1307).
(2) D. 77.
LIXARI CASTELLO DELLA YALDELSA 21
eoiu'liulessero un prestito di 2G0 lìorini croro(l). ì^eì
1330 i consoli, il rettore, 15 consiglieri e 17 aggiunti
deliberarono un prestito di L. 300 (2). Due mesi dopo
i sindaci in nome proprio, e di 42 Linaresi fra consi-
glieri ed aggiunti, riscossero 400 fiorini d'oro prestati
da Gherarduccio Gherardini (3). Xelle poche carte po-
tute consultare rinvenni altre sei, deliberazioni fra il
1327 ed il 1345 prese dai consiglieri presenti in numero
variabile di 16 a 25, senza l'intervento d'aggiunti. Due
volte è fatta menzione che l' adunanza ebbe luogo nella
casa del comune.
Quando occorreva couA^ocare tutti gli uomini del
comune la riunione avveniva nella chiesa di s. Maria
per ordine dei consoli e del rettore coli' assentimento
del notaro, eh' era officiale del comune ; l' adunanza, se-
condo l'uso, veniva annunziata dal suono della cam-
pana e dalla voce del banditore (4). Kestano memorie
di due convocazioni degli uomini di Linari nella me-
desima chiesa, la parrocchiale del castello : nella prima
un prestito di 600 fiorini d'oro venne deliberato col
voto di 249 intervenuti, compresi i due consoli ed
il rettore: nella seconda i presenti furono 277, e con-
sentirono la vendita d'un molino comunale alle Drove(5).
Considerando che al consiglio generale venivano am-
messi i soli capi di famiglia allibrati, vale a dire con-
tribuenti alle pubbliche tasse, e n'erano esclusi i pro-
letari o nullatenenti, sempre molto numerosi, si calcola
agevolmente il numero rilevante d'abitatori esistente
a quei tempi nel castello e nelle sue ville : non minore
d'oltre un migliaio e mezzo.
(1) D. 77 (23. IV. 1312).
(2) I. 47 (19. X. 1330).
(3) I. 47 (30. XII. 1330).
(4) D. 77 (23. IV. 1312).
(5) I. 47 (3. XI. 1327 — 7. VII. 1333).
GIROLAMO MANCINI
Seppure mancassero i documenti farebbe fede del-
l'esistenza del comune in Linari un frammento d'iscri-
zione murato all'esterno della vetusta cisterna pubblica,
sopra la quale una misera stanzuccia occupa adesso,
secondo affermano i vecchi, parte del sito dell'antica casa
del comune, con piazzuola innanzi (platea comminiis),
sovente menzionata negli atti notarili. Della vecchia
fabbrica, abbattuta nel 1844 (1), j^erchè forse minacciava
rovina, sopravvive un pezzo di pietra rossastra col-
l' iscrizione :
OCOCLXIX II . OMUXE ||
. IXAEI P-IOJI .0 APPIAX
.||...B6.C||.M.O. La ci-
fra 1369, le parole comune,
Linari, inviero di ,s. Aj)-
lìiano, si leggono ed inte-
grano a prima vista, non
così le rimanenti.
I contratti stipulati
dal comune menzionano
un solo console nel 1307,
due, con un rettore, nel
1327 (2). Negli atti del 17
gennaio 1328 e del 5 giu-
gno 1329 trovasi ricordato
un rettore (3), del 15 de-
cembre 1329 un console (4), del 1330 un rettore, ed altra
volta il rettore con due consoli, del 1333, 1338, 1339,
1343 e 1345 un solo rettore (5). Altro strumento del 1328
conferma che pure i singoli popoli del contado avevano
I. 47 (9. VI. 3. XI. 1327).
VI. 1329).
(1) Biadi, 10.
(2) D. 77 (14. III. 1307) -
(3) I. 47 (17. I. 1328 — 5.
(4) I. 47 (15. XII. 1329).
(5) I. 47 (14. IX o 19. X. 1330 — 7. VII, 1333 — 11. IV. 1339). G. 3G9
(24. VI. 133Sj. M. \\V2 ai. IX. 13t3 — S. Vili. 1345).
LIXARI CASTELLO DELLA VALDELSA 23
in quei tempi mi proprio rettore : infatti nominarono nn
procuratore i rettori dei comuni e debili uomini di Li-
nari e di Oepparello insieme a quelli dei popoli di
t'oppiano e di S. Filippo (1). Ugualmente comparisce
in altro atto il rettore del popolo di Petrognano (2).
Nel secolo XIV risedeva in Linari un notaro, quasi
sempre nato fuori del comune, durante un semestre
disimpegnava le funzioni d'officiale e di scrivano uui-
nicipale, ricevendo come salario L. 30 ed una quota
tìssa sulle multe, forse limitata alle penali inflitte pei
danni dati (3). Innanzi d'assumere l'officio, egli stesso,
ovvero un suo mandatario, giurava in Firenze dinanzi
all'esecutore di giustizia d'esercitare la carica bene e
legalmente (4). In caso di mancanze lo scrivano era
sottoposto ad inquisizione. Xel 1334 il rettore del co-
mune, coli' assenso dei consoli, convocò il consiglio nella
chiesa di s. Maria, ed, intervenuti 23 consiglieri con
17 aggiunti, fu nominato un procuratore affinchè si pre-
sentasse in Firenze all' esecutore di giustizia, e prestasse
mallevadoria che ser Vanni da Sambuco notaro e of-
tìciale del comune di Linari avrebbe pagate le multe
che gli verrebbero inflitte in seguito al processo fatto
per le i)revaricazioni imputategli (5). In quei tempi
rendeva giustizia ai Linaresi il potestà di S. Donato
in Poggio, capoluogo d'una delle leghe costituite nel
contado dai Fiorentini (G). La lega di S. Donato già
sussisteva nel 1327, poiché in quest'anno il comune
di ( 'epparello pagò a Gherarduccio Gherardini dimo-
(1) 1. 47 (17. I. 1327).
(2) I. 47 (13. XII. 1338).
(3) M. 492 (1. I. 1339).
(4) T. 174 (27. II. 1362).
(5) G. 369 (24. VI. 1338).
(6) Le leghe del contado vennero stabilite nel 1292 per pili faeil-
iiiente riunire in Firenze gli uomini delle campagne obbligati ai servigi
militari. G. Villani. Cro«rtc7*r, Vili, 1.
24 GIROLAMO MANCINI
rante in Linari la quota del salario dovutogli per
essere stato capitano della lega di S. Donato (1). I^on
trascorso molto tempo i capitani delle leghe vennero
denominati potestà.
Lo statuto fiorentino dei primi anni del secolo XV
conservò l'antico ordinamento delle leghe del contado
formate da comuni, pivieri e popoli (2). Facevano parte
della lega di S. Donato sedici popoli o parrocchie,
comprese nei pivieri di s. Donato e di s. Pietro in
Bossolo, la parrocchia di Barberino e quattro vicine,
le parrocchie dei pivieri di s. Pietro in Sillano e di
s. Appiano, altri nove popoli ed i comuni di Linari, di
Oepparello e di Vico, allora denominato Fiorentino (3).
In ciascuno dei popoli della lega dovcA^ano trovarsi alli-
brati, ossia paganti le gravezze, almeno dodici maschi,
perchè il popolo con minor numero d'allibrati veniva ag-
gregato a quello viciniore, ne poteva costituirsi in uni-
versità, ed avere il rettore (4). Nel 1459 il territorio
della lega era diviso nei terzieri di S. Donato, Barbe-
rino e Vico, al quale apparteneva Linari. Nel 1448 i
terzieri, rappresentati ciascuno da un gonfaloniere e
da quattro consiglieri, prendevano il nome da S. Do-
(1) I. 47 (1327).
(2) L'anno 1343 nel comune di Linari furono numerate 51 posto
d' allibrati per L. 18. 13. 8 : in quello di Vico poste 44 per L. 18. 3. 3, o
neir altro di Cepparello poste 30 per L. 22. 8. 4. Nell'intero piviere
di s. Appiano poste 164 per L. 75. 4. 11. D. E. T., 1780, XIII, 254. Sot-
traendo la gravezza dei tre comuni in L. 59. 5. 3, il rimanente x>iviero
era gravato sopra jioste 39 in L. 15. 19. 8.
(3) Nello Sta.uto per le compagnie militari, riordinato e tradotto
nel 1355, la lega di S. Donato riapparisce formata da 30 popoli e 3 co-
muni compresi nei pivieri di s. Donato, s. Piero in Bossolo, s. Piero
in Sillano, e s. Appiano. A. S. I., 1851, XV, 34. — All'opposto in altro
documento del 1343 si trova il i)iviere di s. Piero in Sillano distratto
dalla lega di S. Donato in Poggio dipendente dal quartiere di s. Spi-
rito, ed annesso a diversa lega comi^resa nel quartiere di s. Croco, D.
E. T., XIII, 225, 258.
4) Statuta Florentiae {àaW 'cwwxo 1415). Friburgi. 1777, III, 701, 1. 405.
nato, S. Piero in Bossolo e S. Appiano, nel 1505 da
S. Donato, Barberino e Linari (1).
Esiste tnttora nno statuto della lega di S. Donato
in Poggio approvato nel 1406, legge municipale pei
Linaresi, e sicura scorta nel dar conto delP ordinamento
che regolava P associazione. Andarono in malora gli
statuti della lega anteriori a questo del 20 settembre 1406,
riformato mentre era potestà Zanobi dei Bardi: bensì
la perdita è poco grave, poiché allora nella revisione
degli statuti quelli precedenti venivano leggermente
modificati. Deliberarono il nuovo statuto i riformatori
eletti j;er lo generale consiglio della lega, quattro del
piviere di s. Piero in Bossolo, tre per ciascuno dei pi-
vieri di s. Donato e di s. Appiano, fra questi Matteo
di Clone da Linari. S'adunarono innanzi al potestà nella
casa posseduta dalla lega e fornita di masserizie tenute
in consegna dal camarlingo.
Il potestà stava sei mesi in officio, doveva portare
seco due cavalli, e stipendiare cinque fanti, un donzello,
e quattro notari, uno per tenerlo presso di sé, gli altri
in S. Donato, Linari e Vico. Eiceveva L. 685 j>er suo
salario, notai et famiglia (2), oltre a soldi 2 per ogni
lira delle penali inflitte nel condannare i colpevoli di
bestemmie, di fare mali pesi, di vendere con pesi e
misure non segnate, e d'ogni altra multa notata sui re-
gistri e riscossa dal camarlingo della lega.
Il consiglio generale rinnovato ogni semestre si
componeva d'un gonfaloniere e di quaranta consiglieri,
quattordici del piviere di s. Piero in Bossolo, undici
di s. Donato, quindici di s. Appiano, dei quali cinque
(1) A. S. F., ^Statuti di S. Donato in Poggio, n. 754.
(2) Nel 1441 il podestà di Poggibonsi aveva pel semestre il salario
di L. 400 e doveva condurre seco un notaro, tre fanti, un cavallo.
A. 8. F., Statuto di Foggihonsi, 625, n.*^ nuovo. Per cui questa potesteria
era allora considerata di minore importanza della limitrofa di S. Donato.
2(3 GIROLAMO MANCINI
li darebbe il comune di Liiiari, tre per ciascuno quelli
di Cepparello e di Vico, due il popolo di Petrognano,
due i rimanenti i)opoli. Dei consiglieri quindici sareb-
bero pennonieri (1), ed uno per località scelto fra i
rappresentanti di Linari, Cepparello, Vico e Petrognano.
fluitato con soldi 10 il consigliere non intervenuto al-
l'adunanza (2), ovvero presentatosi privo di capi)uccio
o df scarpe. NelP assumere l'officio, il gonfaloniere ed
i pennonieri dovevano recarsi presso il potestà a pren-
dere in consegna il gonfalone e i pennoni della lega.
In questa occasione il gonfaloniere percepiva soldi 20,
e 10 i giorni nei quali si recava ad esercitare P of-
ficio. Per ogni adunanza consiliare compensati i pre-
posti con soldi 7, i consiglieri con soldi 6 a testa. Mul-
tato in soldi 40 il gonfaloniere e ciascun pennoniere
scaduto dalP officio non recatosi a restituire il gonfa-
lone ed i pennoni, e colpiti da pena uguale il nuovo
gonfaloniere ed i pennonieri assenti al momento di
prenderne la consegna. Durante l'officio nessun membro
del consiglio, ovvero rettore di comune e popolo, poteva
essere comandato come pedone, balestriere, marraiuolo,
o in diversa guisa obbligato a prestare servigi personali,
e ad allontanarsi dal territorio della lega.
Xella prima adunanza il Consiglio eleggeva camar-
linghi per un semestre tre huomini de^ migliori , uno per
piviere, retribuiti con L. 3, incaricati di riscuotere dai
rettori dei popoli i danari percetti, e consegnarli al
(1) Furono istituiti in Firenze nell'agosto del 1323 per accelerare la
formazione militare dei cittadini cliiamati im^irovvisamente alle armi.
G. Villani, IX, 219. — D. E. T., XII, 22. — Ciascuna lega aveva il
l»r()])ri<) stennua, come si rileva dai sigilli conservati a Firenze nel Museo
del Bargello. Vi tigurano quelli delle leghe di Cascia, Centoia, Empoli,
Montevarclii e S. Giovanni. Ignoro (juale l'osse F imxjresa della lega di
S. Donato in Poggio, certamente effigiata anche sui xiennoni.
(2) Lo Statuto nel lib. I, rubr. 8, fissa la multa di soldi r>, nel
lil). III. rul>r. 31, di soldi 10.
LINA RI CASTELLO DELLA VALDELSA 27
camarlingo generale, compensato con L. 6, e da sce-
gliere sempre fra gli abitanti del piviere di s. Piero
in Bossolo. Ciascuna università, sia comune, popolo o
villa, eleggerà nel maggio un rettore o sindaco da ri-
manere in carica per un anno con divieto nel succes-
sivo. Il rettore eletto giurerà di dare esecuzione alle
diverse fazioni prescritte dai Fiorentini, di non intro-
mettersi nelle cause civili o penali, ed insieme ai con-
siglieri d'imporre i dazi necessari per sopperire ai bi-
sogni locali. Pagherà poi L. 50 di multa se ometterà
di denunziare, entro cinque giorni, i malefizi commessi
nel comune o nel popolo rappresentato. Nonostante la
pena, certamente comminata anche dagli statuti ante-
riori, l'obbligo della denunzia veniva talvolta trascu-
rato, per cui nel 1335 ser Lotto, officiale e notaro del
comune di Linari, denunziò ed intimò a Perfettino del
fu Fuccio, rettore del castello, di notificare al potestà
di Firenze ed accusare l'autore d'un furto commesso
in danno della vedova di ^ello (1). Oltre al rettore
tutte le università avevano un massaro.
Ciascun piviere della lega avrà due stimatori dei
pegni, un paeiaro levatore e mozzatore delle inimicizie ,
discordie f et maglia volenze, un me^so per bandire le leggi
e fare le citazioni. Il consiglio della lega obbligato a
<lesignare i fanti nel numero richiesto dai Fiorentini.
Le cause fino a L. 50 di danari sarebbero giudicate dal
potestà, tenuto a provvedere che il messo notificasse al
debitore il giorno e P ora dell' udienza. Potestà e notari
dehhano a'deMti temjyi, dì, et liore, a hancho della ragione
.sedere, et giustitia fare a ciascuno, il quale dinanzi ad essi,
overo alcuni d'essi adimandassi, percipendo gli emolu-
menti nella misura fissata dallo statuto. Acciò che le
quistioni non si jìrolunghino, el potestà e notari siano te-
nuti decidere, terminare, e spacciare ogni quistione civile
(1) G. 369 (28. Vili. 1885).
28 GIROLAMO MANCINI
e criminaìe infra 30 dì continui. Allora erano severa-
mente vietate le lungaggini giudiziarie!
Proibiti i giuochi ove denari, overo altre cose, si vin-
cliino, overo perdino, permessa la tavola con 30 i)ecline,
adesso denominata tavola reale, gli scacchi, la palla, gli
aliossi, le marelle (1), il saettare. Sancite gravi pene per
i giocatori, i tenutari di giuoco, ed anche per i semplici
spettatori di quelli vietati.
Imposto a tutti i proprietari e alle persone, vale a
dire ospizi, prebende ecclesiastiche, e simili enti, pre-
sentemente denominati mani morte, di racconciare nel
maggio le strade e i letti dei corsi d' acqua del proprio
comune o popolo. Nella stessa guisa obbligati i padroni
dei terreni confinanti alle strade pubbliche di potare le
siepi nelPagosto.
Quando moriva un abitante nel territorio della lega
era punita con 20 soldi per ogni assenza la famiglia
dimorante nel comune o nel j)opolo al quale era ap-
partenuto il defunto, se non si faceva rappresentare da
un uomo obbligato a trovarsi presso la casa del morto
innanzi che vi giungessero i preti, unirsi al corteo ed
accompagnare il cadavere nella chiesa, quindi alla tu-
mulazione.
Proibito di procedere a qualsiasi cattura di colpe-
voli nel venerdì giorno del mercato a S. Donato. Vie-
tato di gettare pietre sui tetti delle case, e duplicata
la pena a chiunque scagliasse sassi, traesse uscia overo
fenestra dall'abitazione di colui che conduceva moglie.
Per simili reati stabilita la penale di L. 2, ed il giudice
(1) Anche ai nostri giorni i ragazzi giuocano agli aliossi; ed il
nome proviene dalFosso del tallone delle zampe posteriori degli agnelli
o d'altri animali ad ugna fessa. Del vocabolo marelle nemmeno nel Di-
zionario della Crusca è fatta menzione. Forse volevano scrivere murelle, o
murielle, giuoco comunemente detto piastrelle, come crede il senatore
Isidoro Del Luxao da me interpellato.
I.INARI CASTELLO DELLA YALDELSA 29
prestasse fede all'asserzione del proprietario o del pigio-
nale della casa, senza escutere testimoni o cercar prove.
Secondo le regole in vigore anche questo statuto
del 1400 fu sottoposto all'esame dei Fiorentini, ed il
magistrato degli approvatori, nel sancire le pene com-
minate contro gii estranei arbitratisi d'uccellare nel
territorio della lega, eccettuò tutti i cittadini prestan-
zati, ossia tenuti a pagare imposte in Firenze, i quali
[Xhsshw uccellare come parrà di loro piacere. Vera giu-
stizia da lupi!
Xel comune o curia di Linari erano comprese cin-
que ville: Capalle, Pieve, Selva, Vignano e Giugnano,
una volta sede della parrocchia di s. Donato, in sèguito
riunita a s. Stefano presso Linari. Sopravvivono i vo-
caboli delle ville di Capalle, Selva, Giugnano, gii altri
svanirono. Sono adesso incorporate al comune di Pog-
gibonsi le località da tempi remoti denominate Pancole,
Oampomaio o Campomaggio, e passò al comune di Bar-
berino la Afilla di S. Martino ai Colle nel secolo XIV
appartenuta a Poggibonsi, mentre le coste occidentali
di S. Martino, dette Piagge o Pendici del Bozzone,
spettavano al comune di Linari. Altri siti conservano i
vetustissimi vocaboli, come Bozzone, Camperie, Castel-
lare, detto pure in antico Fonte Castellana, Chiano, Citille,
Cortebuona, Fontanina, Giuncheto, Monteghezzi, Mon-
tereggi, Sertofano, Solo (1), Valacchi, Valcanoro, Sam-
bra o Zambra, e Eipa al lago nell'insenatura della
collina fra le terre del podere detto Casanuova e le
piagge di S. Martino perchè in antico le acque forse
vi formavano uno stagno, o laghetto.
Il comune possedeva diversi terreni seminativi.
Quelli affittati nel 1335 per l'annuo canone di stala di
grano 53 (ettolitri 12,91) non possono essere i mede-
(1) Alla carta già citata di Passionano del 28. II. 1128, rogata in
loco ubi (licitur iSoium prope Linare, aggiungo l'atto in D. 77 (2. XII. 1306).
30 GIROLAMO MANCINI
simi dai quali nel 1336 percepì d' affitto stala di grano
44 (ettolitri 10,72), oppure gii altri che nel 1341 det-
tero moggia 9, stala 20 di grano (ettolitri 57^/^)(l).
Mancano indicazioni sopra^ altri immobili posseduti dal
comune, certamente proprietario d'un molino alle Drove,
poi venduto L. 270, come dei terreni che nel medesimo
luogo circondavano da ogni parte un secondo molino
dei Gherardini (2). Il comune talora ebbe pure dei cre-
diti, e nel 1327 ordinò il ritiro d' un deposito di L. 600(3).
I Linaresi, al pari di tutti gli abitanti del contado,
dai Fiorentini qualificati comitatim, pagavano in pro-
porzione dell'estimo (ad extimum suarum possessionum)
l'imposta denominata Zi/Yf, i dazi, le prestanze, l'alli-
brazione del sale, sopportavano gii oneri reali e per-
sonali, le fazioni (4). Dai magistrati di Firenze era sta-
bilita per le leghe, per ciascun comune, e pei singoli
popoli, la cifra dell'imposta distribuita poi fra i diversi
contribuenti dai repartitori locali. Così nel 1330 il po-
polo di s. Michele a Ponzano, nel piviere di s. Appiano,
elesse gli arbitri ad dividendas, partiendas, sortiendas,
et distrihuendas libra s 40 dicto populo contingentes de
extimo nov iter facto per officiales eommunis Fiorentini (5).
Nel 1337, in Oei)parello, i Linaresi restituirono ad un
tal Givello soldi 42, danari 4, da esso anticipati per pa-
gare la quota assegnata al comune di Linari dal ret-
tore del piviere di s. Appiano nel reparto dei 26 danari
(1) G. 369 (14. Vili. 1335) — I. 47 (2. IX. 1336) — G. 369 (1341).
(2) I. 47 (14. VII. 1332 — 7. VII. 1333).
(3) I. 47 (9. VI. 1327).
(4) I. 47 (15. XII. 1329) — M. 492 (9. II. 1343) — T. 174 (XII. 1362)
— Nel 1327 un Linarese, electus de numero peditum communis Linari, ( >
sendo stato riconosciuto infermo non andò in exeroitu domini ducis C'alu-
ì)ri€, 8ive Florentie. I. 47 (1327). Betto del fu Glierardino ed il tìglio Paolo
Gherardini richiesero da Poppiano il danaro ed il grano dovuto loro
j)er la cavallata ed i servigi x^restati nel 1326. Ugual domanda fecero
Paolo e Credi di Betto Gherardini. I. 47 (17. XI. 1327 — 4. XI. 1329).
(5) I. 47 (17. VI. 1330).
LIXARI CASTELLO DELLV YALDELSA ol
per ciascun centinaio d'estimo imposti ai proprietari
di terre (1). Esisteva pure la gabella sul vino, perchè
nel 1327 il collettore di questo dazio ricevè dal comune
Linarese L. 35. IG. 8, oltre a L. 2 prò pulitiis (mance) (2).
]N^è mancavano balzelli indiretti. I calzolai del castello
pagarono una Aolta L. 14 all'arte dei calzolai di Fi-
renze (3), la seconda fra le arti minori con la bandiera
a liste bianche e nere, detta pezza a gagliarda (4).
Le case d'un podere presso il castello dal lato di
tramontana tuttora si denominano Arte. In antico vi sarà
stata esercitata una industria speciale, che avrà data
origine al vocabolo, senza dubbio non venutogli a caso.
Certo Bosso di Bartolo tenne aperta nel castello una
bottega praticandovi artem mersarie et spetiarie. Come
famulo (garzone?) salariò per un anno Tommaso del
fu Obese colla paga di L. 12 (5). Un atto venne rogato
in bottega Foedi senz'accennare all'industria esercitata
da Fedo (6).
Ohe l'amministrazione del comune fosse tenuta in
gran disordine permettono d'arguirlo i ripetuti prestiti
di somme vistose, già menzionati, non che l'obbliga-
zione di pagare per diversi anni ad uno di San Gemi-
gnano moggia di grano 30 e stala 8 (ettolitri 177, 36) (7),
ed un lodo del 1341 colla condanna del comune a sod-
disfare fiorini 300, dei quali ne sborsò subito 137 V'2 i^)'
Xel medio evo vigeva un' usanza, poco comune ai
nostri giorni, di terminare le questioni incaricando di
definirle uno o più arbitri scelti dai contendenti, sia
(1) G. 369 (28. IV. 1337).
(2) I. 47 (6. XI. 1327.
(3) I. 47 (1327).
(4) G. Villani, VII, 13 — Compagni. II, 24, nota 13.
(5) G. 369 (23. II. 1340).
(6) D. 77 (1315).
(7) G. 369 (29. IX. 1337).
(8) G. 369 (1341).
32 GIROLAMO MANCINI
che le liti fossero agitate fra cittadini o fra pubbliche
amministrazioni. La sentenza o lodo proferito aveva
pieno valore giuridico. I comuni di Linari e di Poggi-
bonsi disputavano quale dei due avesse diritto di ri-
scuotere le tasse dovute dagli eredi del fu Volta, un
usuraio poggibonsino domiciliatosi in Linari, e le parti
s'accordarono di rimettersi all'arbitrato di Oaleffo Ghe-
rardini potestà di Poggibonsi. Egli decise che pei beni
già da Volta posseduti nel Linarese fossero continuate
a pagare le L. 9 per le quali erano tassati in Linari,
e così rimanesse inalterata la cifra nella lira del nuovo
estimo dei comitatini ordinato da Firenze. Quanto ai
terreni acquistati dagli eredi di Volta fosse corrisposta la
medesima quota soddisfatta dagli antichi possessori (1).
Linari godè giorni di floridezza, ed uno dei sicuri
indizi che l' accertano è il numero dei notari i quali vi
rogavano Panno 1336. Di cinque, compreso ser Dogino
sopravvissuto altri due anni, restano diversi protocolli
nelPA. S. F., d'altri tre notari fanno conoscere il nome
due atti (2). In quei tempi anche per ricevute di pochi
soldi ricorrevano al no taro : ma la dimora contemporanea
nel castello d'otto ministri della fede pubblica prova che
la popolazione del comune era sufficiente a dar loro la-
A^oro, e che yì veniA^ano concluse j)arecchie contrattazioni.
. La limitata estensione dell'area del castello, circo-
scritta dalle muraglie di cinta, lascia comprendere come
le case vi si trovavano addossate le une alle altre, e
quasi tutte occupavano ristrettissimo spazio. Dai prezzi
di compra e vendita notati nei contratti s'induce che
moltissime abitazioni dovevano rassomigliare a capanne,
o piuttosto a tugurii, detti allora casolari o casaUnì.
Nel castello abitavano pochissime famiglie agiate, molte
(1) AI. 492 (5. IX. 1341).
(2) I. 47. Avevano nome ser Gherardo, ser Iacopo del fu ser Nello
di ser Tramontano, e ser Giovanni del fu ser Lotterin"[o.
UN ARI CASTELLO DELLA YALDELSA 33
più padrone di terre fatte fruttare col proprio sudore,
ma la gran maggioranza era costituita da nullatenenti
o proletari impiegati come giornalieri nelle faccende
agricole, e viventi giorno per giorno. Il prezzo delle case
contrattate nel castello manifesta le miserrime condi-
zioni delle abitazioni.
Trovai una casa A^enduta per L. 2; due per L. o;
quattro per L. 5, 6, 8 V,, 0 ; otto per L. 10, tre mezze
case per L. 15, 17, 25; due case per L. 16; il terzo di
due case per L. 40 e 50; sette case per L. 20, 22, 25,
36, 40, 90 e 100. Sei, contrattate in monete d'oro, per
fiorini 5, 6, 10, 16 e 20. Quattro case con cantina, o
f omini incavata sul tufo, Acnnero acquistate per L. 3,
10, 30, 35, e quattro tombe o cantine separate dalle
abitazioni per L. 2, 6, 10, fiorini 1.
In paragone al a alore a enaie delle case d'abitazione
erano tanto più care le i)igioni annue. In quattordici
contratti ascendont) a soldi 20, 30, 50, 60 per otto case,
a soldi 40, 42, 70, 80, 100, e la più elevata a L. 23, per
sei fabbricati. Una casa mobiliata fruttò annue L. 3.
La tradizione locale pretende esistiti in antico nu-
merosi casolari sulla pendice ricca d'acqua i)otabile
proveniente dall'unica Aena che scaturisce copiosa a
piccola distanza dal castello, detta Fonte Castellana o
Castellare. Dubito dell'esistenza d'un borgo in quel
luogo, i)oicliè nel medio cA'O i casalini dei deboli Acni-
A'ano costruiti dentro o presso i castelli per godere la
protezione dei forti, ossia dei feudatari sempre pronti
a respingere gii assalti. Inoltre sulle a icinanze del Ca-
stellare, nei lavori i)rofondi per piantagioni d'olivi o di
vigneti, non tornano alla luce macerie o fondamenti di
A-ecchie fabbriche. Infine la tradizione è contradetta
dal fatto che nel 1343 la badia di Passignano possedeva
un podere con aia alla Fonte Castellana (1), dove da
(1) M. 492 (3. XII. 1343).
Akch. 8tor. It., Serio 5.". — XXXIX.
34 (iinoL ,:un 31a\cim
strumenti del !.'>'>') e t.'J.'iS resultano venduti terreni
aratorii confinati da terre ugualmente seminative (1).
Fra le famio-lie cospicue di Firenze, padrone di
terreni nel Linarese e nelh^ vicinanze, oltre ai Gherar-
dini, furono gli Alberti (2), i Eossi ed i Ciurianni. I
Eossi, che in Firenze dettero il nome alla piazzuola di
fianco alla chiesa di s. Felicita, possederono nel Lina-
rese il podere vocabolo Solo, goderono nel castello me-
ritato credito, e varie volte vi furono designati arbitri
l^er definire questioni. ^Vi)partenne a questa famiglia
quel m. Pino, sottratto a quasi completo oblio dalla nota
epistola del P)OCcaccio per consolarlo dell'esilio inflit-
togli, dirigendogli consolazioni piuttosto rettoriche (3).
I Ciurianni, al pari dei Gherardini, dimoranti a Fi-
renze nel popolo di s. Stefano presso Pontevecchio,
acquistate fino dal 1370 alcune terre sul Linarese, vi
comprarono j^oi due poderi, uno A^ocabolo Al Cassero,
con case ed aia, del Aalore di fiorini 577, l'altro hen
fornito di bestiami denomiuato Appiè al Cassero, costato
fiorini 450; quindi spesero fiorini 397 in altri terreni e
case del Linarese (4), impiegando pure fiorini 444 nel-
(1) G. 369 (1333) — I. 47 (1338).
(2) Col testamento del 18. VI. 1374 m. Iacopo di Caroccio degli Al-
berti leo'ò alle liglie jìodvrìa sua, et posscssiones atque domos, quo idem te-
stator ìiahet, vel haheret in e uria et communi de Linari ValUs Else. La fìglia
Niccolosa tino dal 1365 ora moglie a Niccolò di m. Giovanni Medici. Pas-
serini, Gii Aìheril di Firenze. Firenze, 1870, II, 152. 94.
(3) M. Pino nel 1347, dopo cacciato da Firenze il dnca d'Atene, fu
uno dei 14 cittadini dex^iitati con piena balìa a riformare la terra, e a ri-
fare Uggì e statuti. G. Villani, XII, 16. Venne nel 1360 insieme ad altri
sansa rituperevole titolo condannato all'esilio. M. Villani, X, 28. — L'Hou-
Tis, Studii sulle ojìere latine dei Boccaccio. Trieste, 1879, p. 145, crede scritta
nel 1362 V Epistola a m. Fino.
(4) Nel 1388 Valorino Ciurianni eoinitro ima torve e chasa di dietro,
posta nel ehastello di Linari, con una tonha orerò chantina nella grotta di
rin^yetto alia detta torre, che da p>rimo via, a ij chiasso, a iij cliase over cha-
solare, con tutte le mura Ubere, expedite, senza ninno apjìoggio di persona.
Nel 1395 ridusse la torre a colombaia. La facciata della cantina rovinò
LIXARI CASTELLO DELLA YALDELSA 35
F acquisto d'alcune terre e case a Poppiano, a Vico e
nel Pog'oibonsino.
Sul valore delle terre nel Linarese notai due sole
indicazioni: un terreno A^ocabolo Alla strada pagato
L. 25, ed affittato pattuendo la corrisposta annua in
stala 5 di orano (ettolitri 1,22) (1). Staioli 10 di terra
aratoria alla Staggia morta furono valutati L. 150(2).
Quanto al valort^ dei cereali, stala 4 di grano (litri 97)
vennero nel 1340 venduti per L. 2, e per il medesimo
prezzo 14 stala d'orzo (ett. 3,41). Così in quell'anno il
grano fu pagato mezza lira a staio (litri 24), e meno
di soldi 3 a staio l' orzo (3).
Xel Linarese le terre date a lavorare e le sòccide
d'animali da riproduzione o da fatica si riscontrano
principalmente basate sulla divisione a metà dell' utile
e del danno in sedici contratti stipulati dal 1314 al
1347. Talora furono stabiliti patti speciali, sempre fa-
vorevoli ai locatori, meno in due casi, l^eì primo il pa-
drone concesse gratuitamente al conduttore l'uso della
casa: nel secondo un Gherardini prudentemente si ri-
serv^ò di verificare se il letame da spargere sul terreno,
e pagabile a metà, corrispondeva alla pattuita quantità
di 50 some. In due locazioni di terre coltivate a vigna i
padroni avrebbero divisa l'uva ed il vino, ma si riserva-
rono le frutta, ed uno volle in più L. 10. Altra volta il
conduttore s'obbligò a lavorar bene, migliorare le vigne,
ripulire le fosse, mettere di suo il seme, tenere due jyovcì
coi porcellini, acquistare un'asina. Più onerosa sarà cer-
nei 1420, e Valorino nel ricostruirla ritirò indietro il muro e Pareo.
A. S. F., Mss. n.o 77, f ." 29. — Mi sembra di ravvisare descritte la vecchia
casa con torre, già sede alla fattoria della mia Suocera, e la cantina posta
di rimpetto, ambedue situate a tramontana nel lato del castello opposto
Alla torre, verso mezzogiorno, posseduta e restaurata dai miei figliuoli.
(1) F. 568 (4. II. 1348).
(2) I. 47 (1327).
(3) M. 492.
36 GIROLAMO MANCINI
tameiite riuscita la locazione, nella quale oltre a mettere
il seme, e dare la metà dei prodotti, il conduttore doveva
comprare due bovi ed un'asina senza venderne il letame,
consegna,re quattro capponi, 96 uoA^a, e staia 11 di grano
(ett. 2,68) al padrone, che comprerebbe due porci da
ingrassare e riceverebbe la metà della carne. Un con-
duttore s'imi)egnò ad acquistare un bove, un asino, un
porco, e a spargere sul terreno il loro letame. Il loca-
tore anticiperebbe L. 20 pel porco, e se costasse mag-
gior somma ne pagherebbe la metà. Ad altro agricol-
tore fu imposto soltanto P onere d'acquistare 50 salme
di letame per ingrassare il terreno. I Rossi, della fami-
glia di m. Pino amico al Boccaccio, nel 1329 concessero
in lavorerio per un quadriennio il loro podere di Solo. Il
conduttore metterebbe il seme, pianterebbe ciascun anno
25 arboscelli fruttiferi, a Xatale consegnerebbe quattro
capponi, 144 uova, e libbre 140 (eh. 47,54) carne di porco
maschio. Ma un patto da segnalarsi, punto lesivo per
l' agricoltore, e che dimostra quanto anche in quei tempi
godesse credito, e per la sua bontà fosse tenuto in pregio
il vino proveniente dalle uve maturate nelle colline di
Linari, è che i Rossi si riservarono tutto il vino pro-
dotto dalle viti esistenti a Solo, pagandone la metà co-
lonica ai prezzi correnti (1).
Nelle sòccide d'animali erano quasi sempre divisi
per metà il lucro ed il danno: bensì s'incontrano al-
cune eccezioni. Di due bovi, d'un' asina, e di 22 f)ecore,
date a sòccida per un triennio, il sovventore pretese
staia 15 di grano (ett. 3,65) e la metà della lana, degli
agnelli e del formaggio. Per 13 pecore ricevute in guar-
dia, oltre alla metà dei frutti, il conduttore s' assoggettò
a rimborsare il prezzo degli animali che morirebbero.
D'un paio di bovi dato in guardia, sarebbe diviso il
(1) I. 47 (18. III. 1329).
LIXARI CASTELLO DELLA VALDELSA 37
lucro proveniente dal prestarlo per lavorare la terra:
d'un solo bove il locatore riceverebbe a titolo di gio-
gatico, nomiììe giogafionis, stala quattro di grano (litri 97).
Dei bovi consegnati a sòccida tre avevano il pelo
bianco, cinque rosso, uno bruniccio. Il valore degli ani-
mali bovini varia in quindici casi dalle L. 15 V2 ^^^
L. 56; quello degli asini oscilla fra le L. 6 e 81: un
ronzino magagnato costò fiorini 0.
La terra veniva misurata a staioli, suddivisi in })((-
uora, e imgnora ad mensuram corde usata in Linari.
Denominavano Croccola la misura delFolio.
La chiesa parrocchiale del castello, dedicata alla
3Iadonna, venne probabilmente edificata sul vertice
della collina nel secolo XII, o anche innanzi: ma i pochi
avanzi della vetusta costruzione non danno elementi
sicuri per determinare il tempo dell'edificazione del
fabbricato.
Sull'altare a sinistra di chi entra nella chiesa trovasi
un' ancona quasi quadrata, opera di pittore fiorentino
del quattrocento. La graziosa Vergine, seduta su bene
ornato scanno, tiene nelle ginocchia diritto il Bambino
nudo con la manuccia destra sulla spalla materna e la
sinistra attaccata allo scollo del A^estito. A manca del
sedile il Battista e s. Francesco; a destra s. Caterina,
colla ruota e la palma delle martiri, ha da presso s. Ver-
diana, oblata vallombrosana avuta in gran venerazione
a Castel Fiorentino, terra non molto distante da Linari.
I due serpi, che pretendevano il cibo dalla santa, si
sono sollevati fino alla sua mano destra, e ricevono i
bocconi da essa presi nella ciotola tenuta colla sinistra.
Ben dipinti i Aolti, stecchite le braccia, rigide le pieghe
delle vesti, poche le dorature.
XelP altare di fronte sopra piccola tavola è pure
d'arte senese, assai progredita, una Madonnina col
Bimbo fra le braccia ed ai lati in adorazione s. Dorotea ^^
e s. Lucia.
38
GIROLAMO MAXCIN]
ÌISUl IIOJCIUIIH) Il
Sulla tela seicentistica, a tergo dell' altare maggiore,
diversi santi sono dipinti presso la Tergine in gloria.
Uno porta le insegne episcopali, ma nemmeno il ret-
tore della parrocchia sa dire qual santo rappresenta, e
lo straordinario numero di vescovi venerati dalla chiesa
cattolica impedisce di fargliene un addebito. Probabil-
mente raffigura s. Apollinare j^rimo vescovo di Eavenna,
commemorato dai Latini il 23 luglio, già protettore dei
Linaresi, al quale in Firenze era dedicata una chiesa
con nome stroppiato detta s. Pulinari. È del tutto spenta
negli abitanti del castello la ricordanza dell'antico pro-
tettore, tanto onoratamente menzionato in solenne atto
pubblico del 1510, come fra poco vedremo. Donde sarà
derivata simile dimenticanza?
LINARI CASTELLO DELLA VALDELSA
39
Eesta memoria di testatori che vollero adornata la
chiesa del castello. Giovanni del fu Folluccio legò 5
tiorini per acquistare una croce, e dipingere sul muro
Tavola ti' artista senese nella chiesa di
Mari
o .sopra tavola, le ligure della Vergine, e dei ss. Cri-
stoforo ed Onofrio. Giovanni del fu Duccio ordinò d'ef-
figiare il Salvatore ed il Battista, spendendo 4 fiorini
larghi d'oro (1). Xon restano tracce delle due opere.
(1) F. 568 (15. VI. 13i8) — T. 174 (13. IV. 1363).
40 GIROLAMO MANCINI
La parrocchia possiede un calice medievale in rame
dorato con smalti, appartenuto in addietro ad altra prio-
ria. È poi un vero gioiello la Pace, bassorilievo in bronzo
^^^n
Pace e calice posseduti dalla cliiesa di s. Maria.
del secolo XV, colle figure del Padre Eterno seduto fra
l'apostolo s. Paolo ed il Battista in piedi: nelle lunette
e negli spazi soprapposti del fregio la Vergine col Bimbo
venerati da due angioli, altri due angioletti e quattro
teste. La preziosa Pace viene presentata agli sposi per
baciarla durante la messa rZe/ co?i^iir}i^o (nuziale). Nel 24
aprile 1873, la baciò insieme a me V indimenticabile
Amalia Capponi. In quel mattino' P adorata giovane, di-
venuta impareggiabile madie di famiglia, vestita di
bianco, col velo delle spose, sembrava un messaggero
celeste. E nel troppo breve corso della Aàta essa fu dav-
vero r angiolo tutelare mio e della famiglia Mancini.
D' opere d' arte sopravvive in Linari anche una lu-
netta frescata da pittore senese colla Madonna che sor-
regge il Bimbo, ed ai lati il Battista e s. Francesco.
Trovasi ritoccata da guastamestieri in una casa posse-
duta dai miei fiaii.
LINARI CASTELLO DELLA VALDELSA 41
Prima dell' anuo 1813 nella chiesa di s. Maria ri-
sedevano due fraternite (1), una padrona d'un ospizio
Aftiesco d'artista senese.
per ricoA^erarvi i poveri di passaggio, sia che fossero
veri pellegrini, o si spacciassaro tali. Certamente la
Società di s. Maria del Castello (Societas s. Marie Ca-
stelli) era diversa dall'altra dei Disciplinati (Societas
discijdine ecclesie s. Marie Castelli\ i^erchè nei medesimi
atti d'ultima volontà diversi testatori ordinarono obla-
zioni di danari, cera, e terreni ad ambedue le società,
mentre i legati di letti, di lenzuoli, di coperte, ovvero
di danari per acquistare mobili o masserizie da servire
al ricovero dei pellegrini, sono sempre destinati all' Ospi-
zio, non ai Disciplinati, che cantavano laudi, si flagel-
lavano e pregavano (2). All' entusiasmo religioso nella
seconda metà del secolo XIII, manifestatosi segnata-
ci) D. 77 (13. V. 1313).
(2) G. 369 (9. VII. 1339) — T. 174 (1362 — 13. IV, 16. VII. 1363). —
Lo compagnie di (Uscix)linati, princixnato nell'I Jiubria l'anno 1260, presto
si diffusero nella media e nell'alta Italia. In Linari la fraternità sarà
sorta circa al 1270, ed i^^noro quando cessasse.
42 GIROLAMO MANCINI
mente fra gP Italiani della classe sociale più umile, fra
i miììorì, parteciparono anche i Linaresi istituendo la
fraternità dei Disciplinati.
Xel castello esisteva un secondo ospizio, padrone
di terreni nel comune e dipendente dallo spedale s. Ma-
rie ad .V. Gallum iiixta Florentia ordinis s, Au gu stini (1),
Trovasi già stabilito in Linari e possedere immobili nel
comune l'anno 1308. L'atto di vendita d'un terreno al
Valcanoro fu stipulato in curia de Linari, in loco dicto
Sertofani, in area Berti, que est terra osjntalis s. Galli (2).
Lo spedalingo, o rettore dell'ospizio, ricevè nel 1337
grano stala 58 (ettolitri 14,13) dovuti come canone an-
nuo di terreni dallo spedale dati in affitto, e dopo un
triennio rincarò alquanto la corrisposta elevandola a
stala 59 V2 (ettolitri 14 V,) (3).
A Oortebuona, sulle falde meridionali delle colline
linaresi, a breve distanza dalla via provinciale fra Pog-
gibonsi e Oertaldo, i pellegrini troA^avano ricetto in
un terzo ospizio, detto Casa di s. Xiccolò. Patroni del
luogo pio erano i Gherardini, e cinque di loro ne nomi-
narono lo spedalingo il 5 luglio 1338. Tre giorni dopo,
nella chiesa di s. Stefano, presso al castello di Linari,
l'eletto inginocchiatosi innanzi al priore, o parroco, do-
mandò la conferma nell'officio, e promise dictum hospitale
bene guhernare et eleemosinas facere pauperihns Cliristi,
et pauperes liospitare (4). La formula del giuramento
prestato dal nuovo spedalingo indica gli scopi avuti da
simili ospizi, numerosi nel medio evo, e frequentatissimi
quando sorgCA^ano in vicinanza delle strade che porta-
vano a Roma. Lo spedale di s. Xiccolò possedeva almeno
(1) M. 492 (4. XII, 1342) — Dello spedale di s. Gallo parlano il
RiCHA, Chiese Fiorentina, Firenze, 1757, V, 167, ed il Passekixi. Sfoi-ia
degli staUlimenti di heneficenza, Firenze, 1853, p. 659.
(2) D. 77 (22. VI. 1308).
(3) G. 369 (12. IX. 1337) — M. 492 (1340).
(4) G. 369 (5 e 6. VII. 1338).
LINARI CASTELLO DELLA YALDELSA 43
una casa dentro il castello, e dava in affitto diversi
beni situati nel comnne. D'una parte di questi terreni
fu nel 13^^8 fissato l'annuo canone di grano da conse-
gnare nella residenza dell'ospizio in moggia 6 e stala 12
(ettolitri 38,01) (1). Nel 1334 era spedalingo ser Martino
del fu Bonamente (2).
A mezzogiorno, fuori della cinta murata di Linari,
sull'estremo lembo del territorio i^arrocchiale, sorgeva
e sorge la chiesa di s. Stefano divenuta in tempo assai
remoto sede della prioria traslatata da Chiani, dove
esiste tuttora la vecchia chiesa tanto più piccola di
quella sostituita, e circondata da estesi terreni spet-
tanti alla prebenda parrocchiale, i quali convalidano
la tradizione che anticamente fosse a Chiani la resi-
denza della prioria. S'ignora in qual tempo avvenne
il trasferimento, ma un atto notarile del 1308 permette
di ritenere che in quell'anno la nuova chiesa già sor-
gesse nel sito adesso occupato. Certamente v'era stata
trasferita nel febbraio del 1327 (3), rimanendo uno vStru-
mento actum Linari in canonica s. Stefani alla pre-
senza di m. Berto Gherardini vissuto lunghissimi anni
pievano di s. Appiano, di m. Pietro del fu Ciante ca-
nonicuH (priore) ecclesie s. Stefani (4), e di ser Gheri
rettore di s. Donato a Giugnano, parrocchia non ancora
riunita a s. Stefano di Linari. Per dipingere nella chiesa
e costruirvi una cappella due fratelli legarono L. 20 (5).
A differenza della prebenda di s. Maria del Ca-
stello piuttosto povera, era ed è ben provvista l'altra
di s. Stefano. In una colletta pontificia imposta nel
giugno del 1299 la prioria di s. Stefano si trova tas-
(1) I. 47 (5. IV. 1338).
(2) L. 84 (9. X. 1334).
(3) D. 77 (30. XI. 1308) — I. 47 (II. 1327).
(4) Il parroco di s. Stefano è denominato lìrior cunonice s. Stefani
anclie negli atti I. 47 (21. II. 1329 — 25. VII. 1333, e 1338) — M. 492 (1342)-
(5) G. 369 (5 e 9. VII. 1338).
44 GIROLAMO MANCINI
sata in L. 9, soldi 10, e quella poi annessale di s. Do-
nato in sole L. 2, soldi 10 (1). Il priore di s. KStefano
esercitava il diritto decime, vel jyrimitie de possessioni-
hits et terris in commune Linari, sive in decimatione diete
sue canonice de grano et hladis (2), la prioria s' estendeva
in territorio ampio e fertile, così più cospicue riusci-
vano le decime. Nel 1348 venne sistemata una lite ver-
tente fra il rettore di s. Stefano e tutta V università
degli uomini e delle persone del comune Linarese secondo
il lodo proferito da m. Pino del fu m. Giovanni dei
Eossi e da ser Giovanni Marignolli, che condannarono
i comunisti a pagare 500 fiorini d'oro. Con rara discre-
zione e disinteresse il priore di s. Stefano si contentò
di fiorini 200, renunziando agli altri 300 (3).
I due rettori di s. Maria e di s. Stefano pubbli-
cavano i monitorii e le scomuniche lanciate dal loro
vescovo di Firenze, ma non gli obbedivano ciecamente,
e nel 1306 ser Lapo cappellano di s. Maria litigava
col vescovo Lotterio (4). In .quei tempi i semplici cu-
rati, offesi nei loro diritti, coraggiosamente chiamavano
in giudizio il superiore ecclesiastico e tutelavano le
proprie ragioni conculcate.
Agli studiosi della storia ecclesiastica può interessare
la conferma, proveniente da due atti dei notari Lina-
resi, circa l'autorità di corepiscopo goduta dal i)ievano
di s. Appiano (5). Essendo vacata la prioria di Vico, i
parrocchiani presentarono il proprio candidato al pie-
vano di s. Appiano, ad quem de anticha consuetudine,
vel de iure, institutio rectoris pertinere dignoscìtur. Ap-
provata la scelta da m. Berto Gherardini, sorsero que-
(1) Lami, 536.
(2) I. 47 (1338).
(3) F. 568 (15. VI. 1348).
(4) D. 77 (3. XII. 1306).
(.5) Biadi, 14.
LINAKI CASTELLO DELLA YALDELSA 45
stioiii fra i popolani, ed essi si riscaldarono talmente
da impedire al loro medesimo candidato di prendere
possesso della prioria. M. Berto pievano nominò un
economo (1). Del pari nel 1338 lo stesso pievano asi-
gnavit presMtero Ohio fllio LoU de Linari curam et ami-
nistrationcm animarnm et honorum ecclesie s. Marie de
Linari in temiìoraìihns, et spirituaUhus, donec eidem do-
mino plehano placuerit (2).
Ed ora sooginngerò altre notizie desunte dagli atti
notarili del secolo XIV, non potendole dare pei tempi
successivi, poiché cessano i protocolli che riescono pre-
ziose miniere ai ricercatori di memorie storiche e delle
antiche costumanze dei popoli.
Era proporzionata alla possibilità della famiglia la
dote delle spose, non lo era il dono del futuro coniuge
per migliorare le condizioni pecuniarie della moglie nel
caso che sopravvivesse al marito. Lo strumento nota-
rile stipulato al momento della celebrazione del matri-
monio determinava T ammontare della dote e del do-
nativo sostituito nella Toscana al morgincap delle genti
germaniche, e dai Linaresi fissato in cifra assai modesta.
Kinvenni il dono di L. 50 stabilito in quattordici con-
tratti, nei quali la dote oscillò fra le L. 110 e le 550,
come per una sposa di Poggibonsi che nel 1338 portò
al marito di Linari la dote di 300 fiorini d'oro, molto
cospicua per quei tempi. In quattro casi il donativo am-
montò alla metà della dote rispettivamente ricevuta, di
L. 40 presunto valore d'un campo ceduto allo sposo, di
L. 50, di L. 67, e di fiorini d'oro 11. Tre volte di L. 25 con
doti di L. 115, di 150, di fiorini 12; e di L. 29 ad una
sposa dotata con L. 508. Una volta la dote consistè in
stala 10 di grano (ett. 2,44), una seconda in staioli (>
(1) I. 47 (18. IX. 1329).
(2) G. 369 (6. V. 1338).
46 GIROLAMO MANCINI
di terreno valutati L. 36, ed in questi due casi non
è parlato di donativo.
Quanto al consenso degli sposi, donde deriva F in-
dissolubilità del nodo matrimoniale, era prestato innanzi
al notaro. Il tabellione, dichiarata la cifra della dote
e del donatiA^o, poi gli altri patti stabiliti, soggiungeva
che gli sposi avevano prestato l'assenso reciproco, dato
e ricevuto Panello, simbolo dell'avvenuto matrimonio.
Xon sono i)rive d'interesse le particolarità registrate
negli atti destinati a far fede come i contraenti avevano
giurato d' unire le loro esistenze finché sarebbero vissuti.
IS^eì 1315, in luogo punto adatto, una delle grotte
o cantine, dette tombe a Linari, fu rogato l'atto nu-
ziale. Cecca orfana di padre, ricevutone il permesso dal
mundualdo, significò la volontà di maritarsi a Bartalino,
il quale convenne di sposare Cecca, introdusse l'anello
nel dito della giovane, e strettale la mano destra fra le
proprie mise la fidanzata sotto il mundio o potestà ma-
ritale (1). Xel 1334 Andrea permise alla figlia di . con-
giungersi in matrimonio. Fina e lo sposo prestarono il
consenso, e questi dette l'anello alla ragazza. Allora
Andrea, convenendone e volendolo la figlia, presane la
mano destra la pose fra quelle del giovane, così trasfe-
rendo la femmina sotto il mundio e la potestà coniugale,
con tutti i diritti derivanti dalle leggi. Quindi per gua-
renti già il notaro ordinò al novello coniuge di conser-
vare sulla moglie l'autorità maritale (2). In altro stru-
mento il medesimo notaro aggiunge che nel ricevere
l' anello la sposa disse al fidanzato : — Io A^oglio te j)er
uomo mio e marito legittimo — (3). Più minute par-
ticolarità contiene un atto del 1336. I contraenti si
coniugano per verha de presenti (a viva voce). Giovanna
(1) D. 77 (1, XI, 1315).
(2) G. 369 (1. I. 1334).
(3) G. 369 (1335).
LINARI CASTELLO DELLA VALDELSA 4/
ricevuto Panello nel dito anulare della destra, dice a
Biagio: — Voglio te per legittimo sposo ed uomo mio — .
Ed esso: — Io voglio te per mia legittima sposa e mo-
glie — . Quindi il mundualdo di Giovanna, per vo-
lontà di lei, le prese la mano destra e postala fra le
mani di Biagio, mise P orfana sotto il mundio e la po-
testà di lui investendolo di tutti i diritti maritali. Agli
sposi, che cosi vollero e fecero, il notaro prescrisse
come guarentigia di mantenere le promesse (1).
(1) G. 369 (5. XII. 1336) — Simili espressioni in G. 369 (12. I. 1337).
e in M. 492 (X, 1341) — La membrana di Passionano dell'I. VII. 1071 nelle
formnle e nella i)restazione del consenso è simile agjli atti posteriori
di più che tre secoli. La trascriAo credendola inedita, né correggo gli
errori grammaticali del notaro.
In Xpi nomine. Breve securitatis prò futuris temporibus ad me-
moriam abendas vel retinendas, qualiter factum est in loco ubi dicitur
Campauli prope ecclesia et plebe s. Stepliani, in ptesentia Rainerii fìlio
bonememorie Petri, et Paghani iìlio bonememorie lohannis, et Raimberto
fìlio bonememorie Corbizi, et Widi fìlio loculi, et Widi fìlio boneme-
morie Faroltì, et reliquorum. In eorum presentia stante Petrus, qui et
Paghano vocatur, fìlio bonememorie item Petri, de loco Ormena, et sic
adxireliendit una filia et mundualda sua, nomine Berta, per manum
dextera, et sic dedit et tradit eam leitime ad uxorem Raimberto fìlio
Petri, qui et Rustico vocatus, de loco Casavecla : et tunc ijìse Raimberto
eam recej)it, et cum. anulo suo subbarra vit eam, et prò ipsa datio et tra-
ditio, et prò mundium de predicta Berta fecit eidem merito ad verso Pe-
trus crosna una valentes solidos viginti, et tunc ipse Petrus eam recepit,
et prò ix)sa crosna valentes solidos viginti, et de ipsa crosna sic inve-
sti vit X)roi)rietario iure iam dicto Raimberto de nmndium, frea, et ane-
grij), et de omnem legem et actionem, et de cunctis curtis, et ecclesi,
et sortis, et domnicatis, et terris, et vineis, et servis, et ancille, et de
omnibus res tam mobilem quam imobilem, que ad ipsa Berta erant per-
tenentes, vel in antea pertenere debet i)er quolil)et argumentis. Et tunc
ipse Raimbertus eam recex)it, et prò ix^sa investitura, et datio, et tra-
ditio fecit eidem launechildum ad iam dictus Petrus crosna de vulx>e
una. Factum est, et in presentia de iam dictis testibus, anni ab incar-
natione domini nostri lesu Xsti septuagesimo x^rimo x>ost mille, et Ka-
lendis iulii, indictione nona, feliciter.
Signum §^ manu de iam dicto Petrus qui une scrix)tus fìeri roga vit.
Signimi §§($> manibus de sux>rascrix>tis Rainerius, et Paghanus, Raim-
bertus ibi fuerunt.
Ego Rodolfo notarius ibi fui, et mie In(\f sciiixi. feci.
48 GIROLAMO MANCINI
Xel 1334 fu fissato dentro il castello un matrimo-
nio da celebrare dopo un quadriennio. Un amico co-
mune delle due famiglie determinerebbe la cifra della
dote, da lui stabilita in L. 380. Il contraente, che man-
cherebbe alP impegno assunto d'effettuare il matrimonio,
promise, come caparra per gii sponsali, di pagare al-
l'altro la penale di fiorini 200 d'oro. Xon apparisce
sborsata la multa; bensì dopo due anni fu stipulato
un nuovo contratto e sconcluso il maritaggio (1).
^N^emmeno Linari si conservò immune da una delle
cancrenose piaghe medievali, l'usura, esercitata dai Cri-
stiani (2) nei luoghi dove non l'avevano presa in ap-
palto gli Ebrei, i quali pagavano gravose corrisposte
annuali ai comuni ovvero ai principi che loro ne con-
cedevano il monopolio. Diversi Linaresi nel fare testa-
mento disposero legati come compenso delle usure e
della roba male aMata. Con tale scopo nel 1313 un
testatore lasciò certi danari (3). !Nel 1314 il figlio del
fu Ildebrandino, Orco, nome bene appropriato ad uno
strozzino,
sendo dal mal di morte travagliato,
pagò al cappellano di s. Maria del Castello suo con-
fessore L. 1000 j^ro usuris et male aòlatis certis et incertis,
Ser Goro consegnerebbe i danari a m. Antonio vescovo
(1) I. 47 (13. X. 1334).
(2) Una carta di Passignano dell' 1. IX. 1170, fa conoscere le duris-
sime condizioni subite da un infelice che dovè ricorrere per danaro ad
un imprestatore. Giovannuzzo riceve per un anno in causa mutui liòras III
et solidos VI ad luorum III denariorum per singulos mensefi ex unaquaqne
libra. Come garanzia consegna una vigna, e se non avrà saldato il pre-
stito alla scadenza l'im prestatore iransaoto termino hdbeat ius vendendi et
in possessionem ingrediendi sua auetoritote. Non conosco quali frutti i)re-
tendessero i)ei danari prestati gli usurai Linaresi del secolo XIV. Sugli
Ebrei appaltatori dell'usura pubblicai molte notizie nella mia Cortona
nel medio evo. Firenze, 1897, p. 312-319.
(3) D. 77 (12. V. 1313).
LINARI CASTELLO DELLA YALDELSA 49
<li Firenze; Orco ed il tìglio Cecco non sarebbero tenuti
a nuoA'e restituzioni per nsiire reclamate ( 1 ).
Xel 1334 E osso del fu Volta compensò un conter-
raneo di quanto gli aveva estorto colle usure (2). Doi)o
un quinquennio Volta del fu Tancredi ordinò nel te-
stamento di restituire omuia habifa et accepfa per cnm
per u.surariam pravitatem rei alio illicito modo (3). La
mala i)ianta dell'usura prosperava nella famiglia doAC
rinnoA^avano il nome Volta. Quelli strozzini ridotti in
tìne di A ita vole\'ano rimediare alle ruberie
(li mal toilette per far buon lavoro.
Tancredi del fu Volta infermato, quando imper-
versa\ a la terribile pestilenza magistralmente descritta
dal Boccaccio, ordinò nel testamento di restituire il
danaro carpito coli' usura, aut alia qu.acumque iìlieita,
aut indehita causa nsqiie ad integram satisfactionem, vin-
colando l'intera eredità all'obbligo della restituzione (4).
La coscienza da qualche tempo angustiaA a Tancredi.
Alcuni mesi innanzi aA e^a ottenuto che certo Eigaccio
condonasse quanto gli aA^CA^a carpito per usurariam pra-
rifatem, rei per cinemcnmque modum inlicitum, cum scri-
ptura, vel sine scriptura. Il buon Eigaccio pepercit dicfo
Tancredi in quod ipse vel eius herede.s non teneanfur ad
animam vel ad corpus, e dato il caso che volesse revo-
care il concesso perdono si sottomise a pagare L. 25
di penale (5). Uguale condono Tancredi ricevè pochi
giorni dopo da altro Linarese fino ad allora scorticato
senza y)ietA ((>). Il timore di cadere Aittima del morbo
(1) D. 77 (L5. II. 1314).
(2) G. 369, 1'.'^ 13.
(3) G. 369 (9. VII. 1339).
(4) F. 568 (5. A^I. 1348).
(5) F: 568 (6. IA^ 1347).
(6) F. 568 (21. V. 1347).
Arch. .Stor. It., 5." Sorif. — XXXIX.
50 GIROLAMO MANCINI
spingeva gli usurai a domandar perdono, ed ispirava
alle vittime sensi di pietà verso gV inesorabili carnefici.
Xel medesimo anno della gran jjestilenza un se-
condo usuraio, Matteo del fu Mazzino, quanto il rivale e
collega Tancredi, spaventato dalla straordinaria morìa,
consegnò a ser Eanieri del fu Tanuzzo prete di s. Ma-
ria nel Castello la nota degl'infelici da lui strozzati con
interessi usurari, affinchè V inviasse al vescovo di Firenze
promettendo la restituzione di tutti i guadagni illeciti ( 1 ).
La sicura scorta degli atti notarili, i quali mi per-
misero di sollevare alquanto il fittissimo velo che av-
volgeva le vicende abbastanza prospere di Linari nel
secolo XIV, m'è del tutto mancata pei tempi succes-
sivi, quindi poche altre cose posso aggiungere. Durante
il secolo XY, e molto più sui primi del XVI, la po-
polazione di Linari era diminuita, e le cose del comune
procedevano in gran disordine, per cui fu creduto di
rimediare al male deliberando uno statuto (2).
Ad lionore, lande et riverentia delFopijìhicie et oìun-
potente Iddio et della sua salutifera Madre sempre Tir-
gin e Maria, et de^ beatissimi appostoli messer san Piero
et misser san Paulo, et del glorioso patria rclia, et pro-
plieta, et più elie proplieta misser san Giovanni Batista
singularissimo advocato, proptectore et difensore del ma-
gnifico et excelso populo fiorentino, et del glorioso misser
sani Pulinari, advocato, protectore e defensor e del comune,
lìuomini, et persone di Linari di Yaldesa, contado di Fi-
rense..., possa essere e sia ancUora ad honore, mantenimento,
pace, unione et riposo delli lìuomini, e persone, et comune
del prefato Castel di Linari, a^ quali Iddio per sua infi-
nita misericordia conciedi gratia a ciasclieduno fruire la
beatitudine di sua infinita gloria. Amen.
(1) F. 568 (13. VI. 1348).
(2) A. S. F. statuto di Liìiari. ii." 32().
LINA RI CASTELLO DELLA VALDELSA 51
Lo statuto venne formato a tempo di Marco Bo-
na volti potestà (li San Donato in Poggio, et del li altri
luoghi sottoposti et connessi alia potesteria. L'ordinarono
i Linaresi Bernardo di Fidenza Ciangelli, Martino d' Ap-
l)iano, Francesco di Giovanni Pietro alias Cenlone, e
(riovanni di Santi alias Cartaio, nel 22 decembre 1509
designati a comporlo jìer tutti gVhuomini et persone, e
dua terzi di loro e più, del comune di Linari, viva voce,
secondo venne fatto resultare da strumento notarile.
(tIì statutari premettono che dal 1470 in qua mai
fu tenuto ordine di governo nel comune, essendone stati
semestralmente nominati a voce gii officiali. Costoro,
privi d'emolumento, non intimiditi da pene legalmente
sancite, avevano vantaggiate soltanto le faccende pro-
prie, donde ne risultava al comune molti inconvenienti et
spese extraordinarie per non havere chi quello custodissi
et guhernassi. Quale riparo a simili malanni stabilirono
le borse per estrarne i nomi degli officiali, ed ogni ses-
sennio rinnovare lo squittinio.
La prima borsa sarà del Consiglio, e v' introdurranno
dodici polizze, ciascuna con cinque nomi : il più degno
di loro sarà gonfaloniere, gli altri consiglieri. La pre-
senza del gonfaloniere indispensabile nel prendere de-
liberazioni.
Dalla seconda con venti polizze ed unico nome
verrà estratto il camarlingo generale.
Xella terza porranno a entiquattro polizze con unico
nome. Xe verranno tolte due polizze per ciascun se-
mestre, e gli estratti saranno sindaci del camarlingo,
ragionieri del comune.
(ili officiali delle prime tre borse conserveranno
la carica per un semestre.
La (|uarta borsa dei sindichi de^ malefici de'populi
avrà dodici polizze col nome d'un allibrato nei singoli
populi, vocabolo che nel caso presente dovrebbe signi-
ficare le diverse ville che componevano il comune. Da
52 GIROLAMO MANCINI
questa borsa sarà cavata una polizza. Ciascun sindaco
riceverà 40 soldi e resterà in carica per un anno.
Alla ({uinta borsa degli .vj^/ceio/f/^i sarà ricorso quando
dalle precedenti borse sortiranno nomi di defunti o di
allibrati divenuti incapaci di risedere. I riformatori v' im-
borseranno quante polizze loro piacerà.
Nella sesta .s^' metta L huomini (ossia il nome di 50
uomini), la quale se chiami borsa de'marraiuoli, accioc-
ché bisognando al comune marraiuoli di quivi si cavino
a sorte et fortuna, et tanti et quanti al detto comune
fussi di bisogno, e di comanda mento da' nostri magnifici
et potenti signori Fiorentini, et nessuno possa detta sua
tratta recusare sotto pena di L. 5 se non dessi scanbio.
^N^egli ultimi giorni del sessennio, in presenza d'al-
meno due terzi dei capi di famiglia, sarà da quattro
Linaresi proceduto a nuova imborsazione pagando L. 2
al cancelliere che scriverà. Le borse staranno chiuse in
cassetta a due chiavi, una custodita dal gonfaloniere,
la seconda dal potestà o dal suo notaro.
I cinque del Consiglio, tutti, o dua terzi di loro con-
cordanti, habbino piena auctorità, et poteri, et balìa, quanto
hanno tutti gli huomini et persone d'esso comune, di porre
imposta, data et gravezze, et di potere fare stanziamenti
et spese ordinarie et straordinarie come a llhoro parrà
et piacerà a utile di decto comune, dell'assumere l'of-
ficio i consiglieri presteranno giuramento al cancelliere :
nel deporlo riceveranno per salario di mesi sei, il gon-
faloniere un piattello di stagno pesante libbre 3, cia-
scun consigliere di libbre 2. Multate con soldi 20 le
assenze dalle adunanze.
II camarlingo riscoterà le imposte, i danari delle
condannagioni, e pagherà le spese ordinate dal consiglio
registrando esattamente l'entrata e l'uscita del comune
in apposito libro. Custodirà i pegni ed i gravamenti
fatti nel comune, godrà L. 25 di salario, e i^arte delle
multe intìitte.
LIXARI CASTELLO DELLA VALDELSA O^
Dieliiararouo festivo il giorno saero a .s. Fidi uà ri
{((h'ocafo, prof ecfore vf (ìifensore del comune. Multato in
10 soldi ehiunqne nel 2^ luglio lavorerà eon le bestie
o senza. I cinque del consiglio, il notaro ed il camar-
lingo si recheranno alla chiesa di s. Maria, e ciascuno
offrirà una liaccola accesa d'once 3 pagata dal comune.
Divisero lo statuto in nove vwhYÌQÌi^: Bel in odo de-
re.si far lo squiftiìiio. — Auctorità del corhsiglio, — Del-
Vimctorifà del camarlingo generale. — Della pena a chi
be.sfem lasse Iddio. — Della fesfivUà di s. Fui in ari. —
Della pena di chi lavassi o i mòra classe le fonti. — Della
pena de chi adimandassi cosa che non fussi pagato ^ echi
negassi. — DelVauctorità del sindaco de'maleflcii. — Che 1
messo hahhia hahifar a Linari.
Il 19 gennaio 1510 i re^àsori fiorentini degli sta-
tuti modificarono due delle disposizioni prese. Nella
borsa de'marraiuoli, ossia degli uomini talora richiesti
da Firenze per adoperarne le braccia fuori del respet-
tivo comune, vollero imborsati tutti i nomi dei Linaresi
maschi dai 18 ai 55 anni affinchè ne fossero estratti a
sorte i polizzini in ogni richiesta di marraiuoli, prescri-
A'endo che uno solo per famiglia prestasse servizio. La
l^olizza uscita sarebbe pure stracciata, non dovendo
l'uomo estratto servire nuovamente nei casi di ripe-
tute» requisizioni di marraiuoli. Quanto fu giusta questa
emenda, altrettanto ingiusto il privilegio accordato ai
cittadini fiorentini di non incorrere nelle i^ene sancite
contro gP imbrattatori delle fonti.
Il nuovo statuto riuscì poco soddisfacente, ed i
cincpie del consiglio, recatisi il 14 novembre 1510 presso
il potestà di S. Donato, deliberarono la soppressione
dei piattelli, spesa ingorda, immo più presto superflua,
e con danno gravissimo de^ poveri, e solo resultare in uti-
lità di qualche scioperato che attende a fare arte di si-
mili officii. Attesa la qualità del comune piccolo e povero,
sostituirono ai piattelli pei membri del consiglio soldi 14,
5-1: GIROLAMO MANCINI
e ciascuno provvedesse lo stagno a proprio piacere (1).
Considerata la fatica e perdimento di tempo che nel tempo
del loro nficio Hoportano i sindaci dei maletìzi per ve-
gliare sul buon custodimento delle strade, ne fissarono
F indennità in L. 4. Tolsero al messo V obbligo di dimo-
rare nel castello.
Queste modificazioni non quietarono gii opposi-
tori. Il 19 decembre 1510 a Linari in domo liahitationis
et residentie communis, seu consiliariorum et guhernato-
rnm communis furono solennemente convocati tutti lio-
mini, cioè capi di casa, o vero uno per casa. Tenne
esposto come le correzioni allo statuto erano iniusta-
mente hiasimate da qualche persona d'essa loro comunità,
la quale per il passato ha più presto governato altri, cìie
i'oluto essere governata da altri, e sempre più presto ad
sua utilità die d'essa loro comunità, quindi il gonfalo-
niere invitò gli adunati a dichiarare se credevano le
correzioni proposte in pregiudicio puhlico o privato d'epsa
loro comunità. Dopo molti ragionamenti e 2)areri, le ysl-
riazioni rimasero approvate con 37 Aoti faAorevoli, 7
contrari. Messa in discussione la seconda proposta che
le spese straordinarie fossero Aotate dai soli consiglieri
tassati con soldi 0 di decima, e più, non da quelli che
poco o nulla possedevano, e però facili ad approvare
gra\ ose sjjese con danno dei poAcri come pel passato,
A'enne accettata con 37 fsLve faAorcA oli, G contrarie.
Nonostante l'apparente concordia, gii armeggioni trion-
farono, e dopo un quinquennio fecero sopprimere come
dannosi gli statuti del 1510, e rimisero in a igore (pielli
«Iella lega con a oti 47 favorevoli, 1 solo contrario.
L'esiguo numero degi' interAcnuti alle adunanze
nel secolo XVI prova all'cAidenza la diminuzione de-
gli abitanti nel comune, dove a trattare gì' interessi di
(1) A Poggibonsi noi 1505, ìjuìukIo ritonnnrouo lo statuto, avevano
sox)i)ro6SÌ i juattolli donati ai consitiliori. A. ^. V., Staluii, n. nuovo 025.
I.lNAin (.'ASTKJ.LO HKLI.A VA1J)ELSA OO
tutti erano ^ià concorsi a deliberare persino 277 Lina-
resi. Dal secolo XVI ad ora la popolazione crebbe
nell'antico «territorio del comune Linarese, s'assottigliò
nel castello, il (luale Panno decorso 11)00 contava sola-
mente (iS abitanti fra maschi e femmine ! Pei tempi
successivi al 1515 mi mancano particolari notizie del
comune, nel 2:^ maggio 1774 soppresso dal granduca
Pietro Leopoldo, insieme a quelli di Vico e di Geppa-
rello (1), tutti tre aggregati al comune di Barberino,
divenuto sede della potesteria tolta da S. Donato in
Poggio (2).
In qual modo nel secolo XVIII buona parte del-
l'antico territorio comunale di Linari si trasformasse in
latifondo, i^ochissimo frastagliato da altri proprietari,
e divenisse una fattoria posseduta dai marchesi Cap-
poni di Firenze del ramo detto di s. Frediano, ho cre-
duto inutile d'investigarlo. Nel 1853 quella branca di
(■apponi si trovò ad un tratto finanziariamente rovi-
nata, ma poi si riebbe, secondo ricorda l' iscrizione incisa
sul marmo posta dalla mia Suocera sopra la porta della
<*appellina dedicata a s. Carlo Borromeo, poco distante
dalla priorìa di s. Stefano.
La fattoria recuperata dai Capponi è adesso divisa.
L"na delle due parti spetta ai miei figli, eredi della
madre loro, la marchesa Amalia di Lorenzo Caj)poni,
l'ottima ed impareggiabile donna che infiorò l'esistenza
mia fino al (> marzo 1000, giorno nefasto per me e per
la mia famiglia.
Flrt'ììce. (tTRolaaio ^Faxcini.
(1) CejJpiirello dotto ]»iiro Monmuto. vocabolo do] easalo presso l'an-
tico f-astoUo. Rkpktti, III, 254.
(2) Rki'ktti, I, 2r>S. IL 33.
r€frg5#S^S^
GLI ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO
Per una più coiiipiuta trattazione avrei desiderato esa-
minare lo svolgimento della magistratura degli Anziani
lìn dalla sua origine, ma per deficienza di opportuni do-
cumenti sono stato costretto ad abbandonare tale proposito,
limitando il mio studio al sec. XIV.
Del sec. XIII infatti abbiamo solamente poche provvi-
sioni relative alPultimo decennio, e quegli statuti che nel ll^s()
furono assoggettati ad eguale e contemporanea riforma x>cr
opera del famoso duumvirato costituito da Ugolino, conte di
Donnoratico, e da Xino, giudice di Gallura. Invece le fonti
che ci fornisce il sec. XIY sono molto più numerose e nello
stesso tempo di maggiore importanza; x>oic]iè, oltre gii sta-
tuti (Breve del Comune e Breve del popolo e delle Compagne
di Pisa) pubblicati dal Bonaini, abbiamo moltissimi docu-
menti, che alcune volte hanno servito a confermare e di-
chiarare le disposizioni statutarie, altre invece ad aggiun-
gere nuove notizie che in quelle mancano. Tali documenti,
che si conservano nel K. Archivio di Stato in Pisa, sono:
1. Le Provvisioni ordinarie e straordinarie degli
Anziani (1300-1406), che formano in complesso più di un
centinaio di registri;
2. Le Provvisioni dei Savi;
3. Le deliberazioni del Consiglio del Senato e della
Credenza ;
4. I rogiti, gli istrumenti e le elezioni degli Uffi-
ciali del Comune i)isano.
Servendomi di queste fonti inedite, nonché degli sta-
tuti citati, mi propongo di studiare la magistratura degli
Anziani, col fine di dare un semplice contributo alla storia
delle istituzioni di che Pisa fu ricca nelPetà medioevale.
FERRUCCIO RIZZELLI, (iU ANZIANI NEL GOVERNO EC. 57
L' Anzianato nelle sue origini.
11 1*5 Giugno del llSri si eoiieliiude il celebre trattato
di Costanza, nel quale si trova il fondamento pili autore-
vole delle diverse eostituzioni, con cui si reggono gli stati
italiani dal principio del sec. XIII alla fine del sec. XV.
Ma se è vero che Pepoca della pace di Costanza è quella
delPindipendenza dei Comuni italiani, da essa pure procede
la divisione moltiplicata di sovranità politiche, deboli troppo
])er poter ciascuna da se sola resistere ai pericoli che la mi-
nacciano, non savie abbastanza per sapersi unire e poter
trarre dalle forze congiunte i mezzi necessari a vivere e pro-
sperare. Ma ciò nonostante, Venezia, Pisa e Genova, forti
nelle loro istituzioni interne, quantunque non libere da in-
testine discordie e da continue lotte, datesi alla navigazione
e al commercio, salgono in breve a tale potenza e civiltà da
ren<lersi superiori alla maggior parte degli stati italiani.
Alcuni anni do])0 il trattato di Costanza si nota negli
stati italiani un cambiamento di regime. La città di Pisa
si governava anticamente per mezzo dei consoli, il numero
dei quali, dice il Roncioni (1), non si conosce esattamente :
sembra tuttavia che essi non siano mai stati x>iù di dodici (li).
Più tardi ai consoli subentrarono i podestà, e ciò forse si
fece, come nota lo Sclopis, per evitare nei primi tempi Pob-
bligo delle investiture imperiali, poiché più non esistendo i
consoli, poteva dirsi cessata la necessità di ricorrere alPim-
pero. Ma i i)odestà non diventarono magistratura ordinaria
che circa trent^mni dopo la pace di Costanza, perchè tino a
([uel tem])0 vi fu una fVe(|uente alternativa fra ])odestà e
(1) KoNCioNi, ffifo)-ie pixftur (.irrhirio Storici) Italiano, sorio I, to. \l,
j.ar. I. p. 449).
(2) Breve Coiisiiluiii i>i.saue eivitatis, MCLXIV (Hoxaini. Statuti
pimvi. I. ]>. 121).
58 FERfiUCCiO RIZZEl-LI
<'Oiisoli (1). Fiiialiiiente nel 1255, essendo il popolo giunto ad
afforzare mirabilmente il suo stato cacciando dal governo
la nobiltà, per identità di ragioni avvenne in Pisa quel
civile interiore rivolgimento, che Firenze aveva veduto com-
X)iersi nel 1250(2). Di qui la novella istituzione per cui la
città accoglie nel suo seno la magistratura degli Anziani (3),
con la quale non abbiamo i)iù una persona sola a cui spetti
intera la responsabilità del pubblico ufficio, ma una costi-
tuzione collegiale, la cui unità è semplicemente amministra-
tiva, nel senso che le decisioni non si considerano come
emanazioni dei singoli membri, ma di tutto il collegio, il
quale resta sempre il medesimo, malgrado Peventuale mu-
tamento dei membri che lo compongono.
Se P incuria dei cronisti condusse a tacere i nomi dei
l)rimi Anziani, non spignora i^erò che questo ufficio fosse già
costituito nel 1254(4); ma la notizia del Concioni (5), che gli
Anziani fossero istituiti a Pisa nel 1200, è del tutto falsa,
perchè gli Anziani solo nel 1228 si videro per la i)rima volta
in Italia e propriamente a Bologna, dove rapi^resentarono
dapprima le arti e i loro interessi presso del podestà, poi
divennero i primi consiglieri del capitano, talora rimanendo
soli alla testa della plebe senza bisogno di capitano, finché
nel 1256 essi acquistarono il supremo potere (6). Ma qual
fosse il primitivo ufficio degli Anziani in Pisa, quali attri-
buzioni essi avessero nei primi tempi di loro governo, non
si sa per deficienza di documenti. Il primo Breve del Co-
mune pisano, che ci offra notizie esatte intorno a questa
magistratura, se si eccettua il frammento di un Breve del
1275, dicemmo esser quello del 1286. E dal 1255 al 1286
quale fu il potere degli Anziani ? I registri delle loro prov-
visioni ordinarie e straordinarie incominciano solo nel 1298,
(1) Pehtii.k, storia del diritto itiiiiano, voi. II, par. 1. ]>. X(>.
(2) Fraoiii. Hist. Pis. (Mui{ato];i, /.'. i. .s"., XXIV, <U5).
(3) BoNAiNi, Proemio tigli Statuti, aoI. I, p. xviii.
(4) Hist, Fatriae Mon. edita iiissu Eeììis Cahoi.i Alukimi, Au<iiistae
Taiirinorum, 1854, p. 1226.
(5) RONCIONI, o]>. cit.
(H) l'EltTILK, Ol). t'it.
• il.l ANZIANI NEI. (iUVKHNO DKl, CU.MUXK PISANO 59
sicché, evitando troppo estesi coufroiiti, i (inali richiede-
rebbero accurato e paziente esame degli utlìcì dei singoli
anzianati, con cui si ressero molte città d^ Italia nel Medio
Evo, dobbiamo limitare il nostro studio al XTV secolo.
II.
Elezione degli Anziani e dei loro Ufficiali.
a) Anziani.
lì Consiglio generale, costituito dagli Anziani in carica
e dagli altri Ufficiali dello Stato, riunito dal Capitano del
popolo, per lo più nella chiesa comunale di S. Sisto, affi-
dava Pelezione degli Anziani ai Savi, detti dal loro ufficio
Elettori, i quali dovevano essere figli legittimi, nati in Pisa
o nel distretto, e da cinque mesi almeno non dovevano
aver partecipato ad alcuna elezione di Anziani. Secondo
semplici norme da loro stessi stabilite, i SaA i procedevano
alPelezione dei nuoA'i Anziani, che in tal modo continuò a
compiersi sino al 1808(1); nel qual anno, sia i)er la mag-
giore importanza che la nuova magistratura anda\^a sempre
pili acquistando, sia anche per evitare gli abusi che si
(1) Breve pis. ijopiili et Conix>., 1286 (Bonaini, op. cit., voi. I, p. 573).
Cl'r. K. Archivio di Stato in Pisa, A. 81, e. 76 t. « Consiliimi inimis
« Antianoruni pisani populi et niaius etc... Cum iutellexeritis eapituhmi
« luevis j)isani i)opuli loquens de electione Antianornni pisani populi
« nune corani vobis legi et ex^ilanari, quo modo et i)er quos electio duo-
« dee-ini Antianorum i)isani populi prò mensibus sept«mbris et octubris
« proxinii venturi fìat et fieri debet eonsulite. Suninia supraseripti con-
« silii celebrati Pisis in ecclesia Sancti Xisti per sonimi caniiianaruni
« et voce preconuni, more solito, partito inde facto ad levandum et se-
« denduni, in presentia mei Guidonis Turchii notarli scribe publiei An-
« tianoruni pisani populi et Bonaventure de Falgano notarli sui)rascrix)ti
« Capitanei et Chianecti bannerii i)isani Comunis et aliorum i)lurium
« t/'stium ad hec, quod per Antianos pisani poloni i qui luerunt pio men-
« sibus mail et inni ])roximi preteriti et qui mine sunt in suprascripta
« ecclesia elij^antur et elio-i debeant quactuor sapientes viri de illis qui
« sunt in dieta ecclesia i»er unum quodcumque quarterium, qui quactuor
« homines jier quarterium eligant Antianos pisani populi prò mensibus
« septembris et octubris jiroxjjni venturi, MCCXCVIII, ind. X, XII Kal.
« Se])t. ».
(ìO FERRUCCIO RIZZELLI
cominettevano dai candidati alPAnzianato, si ai)])rovò dal
Consiglio maggiore una nuova costituzione, che regolava
le norme da seguire in ogni elezione di Anziani (1).
La nuova costituzione ordinava che gli Anziani in ca-
rica, ad invito e alla presenza del Capitano del popolo,
dovessero nominare dodici Savi Elettori, i quali alla loro
volta, per scruptineum secretum^ avrebbero proceduto alla
scelta di centotto persone eleggibili alPAnzianato, ventisette
per quartiere. Poscia le polizze, su cui erano segnati i nomi
degli eleggibili, venivano ripartite ugualmente in dodici
borse (2), tre per quartiere, una delle quali era riserbata
per gli iscritti alle arti, Paltra per i popolari e la terza
per i candidati al priorato (3). Inoltre tutte le borse, sigil-
late dal Ca^3Ìtano del popolo e dagli Anziani, erano ripo-
ste in mP altra borsa più ampia che, sigillata come le prime,
si chiudeva in una cassa a due chiavi differenti, affidate
alla custodia del Cancelliere del Comune e del Cancelliere
degli Anziani. Al termine di ogni bimestre, il Capitano
riuniA'a nella chiesa di S. Sisto il Consiglio del popolo,
dove per mano dello stesso Capitano si estraeva una scheda
per borsa e i dodici Anziani così eletti rimanevano in ca-
rica per tutto il bimestre successivo (4). Il qual procedi-
(1) Breve del pojwlo e delle Comp., 1313-1323. ea]). CXIV (Bonaixi.
<>1». elt., voi. II, i>. 605). Da questo caiiitolo, che fu approvato nell'aprile
del 1308, sotto il Calcitano del popolo Tommaso de' Filismini da Fal>-
In'iano, abbiamo desunto la maggior parte delle notizie relative alla ele-
zione degli Anziani,
(2) Cfr. Du Gange, Glossarmm, to. Vili, p. 36.
(3) I Priori, uno ^er quartiere, erano anch' essi Anziani, ma eser-
citaA'ano un'autorità relativamente superiore a quella degli altri col-
leghi, i quali, sotto pena di soldi cento, do Avevano jirestar loro obbe-
dienza, che ])tr un certo risiietto era i)ur limitata, in quanto che i Priori
non solo non potevano i)rocedere ad alcuna deliberazione senza il con-
senso della maggioranza del Collegio, ma eziandio, sotto pena di lire
Acnticinque, erano costretti a mandare in esecuzione ciò che da tutto
il Consiglio degli Anziani fosse stato deliberato. Cfr. BrcA'e del po]>olo,
cap. LXXI-LXXII.
(4) R. Archivio cit., A. 47, ce. 42. 64, 74. 103, 107, 142. 161, 165, 172.
175 e 207; A. 52, ce. 1 e segg.; A. 99, ce. 17 e 18; A. 128, e. 62; A. 139,
e. 47: A. 159, e. 5S.
(ili ANZIANI NKL GUVEKNO DEL COMUNE PISANO ^51
mento valeva a rendere più eonservatriee questa nia^iistra-
tuia, e faceva sì elie un dato indirizzo non per due mesi
soltanto, eome prima, ma i)er un anno e anche oltre si
seji:uitasse; tanto i)iìi che, essendo compresi tra i candidati
alPAnzianato gli stessi Savi, gli Anziani in carica venivano
ad eleggere una parte dei loro successori. Ma gli eleggibili
non furono semi)re in numero di ventisette per quartiere,
secondo il ]U'edisposto della nuova costituzione, perchè in
seguito si ordinò che le schede fossero valide per un tempo
da stabilirsi volta per volta dal Consiglio, al termine del
(|uale quelle non estratte « incontanente erano squarciate et
(fittate ria et di nullo valore erano ».
E come variava il tempo della validità delle polizze, così
])ure variava il numero dei Savi Elettori, il che può rile-
varsi dal seguente prospetto, desunto da un accurato esame
sulle « Prorisiones Antianorum » che vanno dal 1342 al 13<S4.
:)a.ta (leU'isc]
lizione degli eleugibili Savi Elettovi
\'a.lidità delle schede
1342
t '1
(lue anni
1314
l'I
due anni
1346
144
due anni
1348
44
un anno
1349
44
quattro anni
1353
74
due anni
1355
30
un anno
1356
28
cinque anni
1361
48
due anni e mezzo
1370
62
tre anni
1373
64
tre anni
1376
64
due anni
1378
64
due anni
1380
28
due anni
1382
40
due anni
1384
40
due anni.
Qualche volta fu anche ■ imposta ai Savi la revisione
delle borse, sia perchè alcuni eleggibili fossero già morti,
sia perchè altri avessero in seguito assunto obblighi ed
uffici incompatibili colPAnzianato (1). Xon potevano essere
(1) Cfr, A]>i)f'ndieo, doc. 1.
62 FERRUCCIO RIZZELIJ
eletti Anziani il Cancelliere del Comune, il Cancelliere
e il Xotaio degli Anziani, il Camerliugo del Comune, il
Soprastante della gabella maggiore, il Console del mare,
dei mercanti e delParte della lana, il Priore o il Capitano
delle sette arti, il Doganiere del sale in Sarzana, il Doga-
niere del ferro nelP Isola d^Elba, i Castellani e i Rettori
di Lucca, il fornitore delle sussistenze militari e intiiie
P operaio della Primaziale e di S. Maria del Ponte Xuovod ).
Oltre a ciuesti erano dichiarati ineleggibili:
1. Coloro che dimoravano lontani da Pisa oltre
sessanta miglia;
2. Coloro che avevano, da diciassette mesi o meno,
deposto Pufticio di Anziani;
3. <lli iscritti ad una corporazione ;
4. I parenti di un Anziano;
5. Coloro che non erano iuratl in ]^opulo e amanti
del l^enessere dello stato;
6. I figli illegittimi;
7. I forestieri e quelli nati in Pisa da padre fore-
stiero ;
<S. I minorenni;
9. Gli usurai ex publìca fama ;
10. Quelli che gaUcam fecerunt aliquo tempore ipm
vel eoriim patres;
11. Coloro che avevano giurato fedeltà a ])ersone
private di Pisa o del distretto;
12. Gli artieri che non esercitavano la loro arte;
13. Gli appartenenti al partito guelfo o i figli di
guelfi « rebelles pisani Comunis » ;
14. I carcerati, quacitmque de causa;
lo. I magistrati che dovevano render conto della
loro gestione (2).
Compiuta Pelezione, secondo le norme su esposte, il
Capitano del popolo insieme coi Modulatores doveva in-
quisitionem facere cantra Antianos, per accertarsi se gli eletti
si trovassero nelle condizioni prescritte dallo Statuto; dopo
(1) Cfr. Appendice, doe. 2.
(2) K. AifCiuviO cit., A. 99, e. 12 r
(rl.l ANZIANI NKl, (tOVKKNc DKL (tiMUNE PISANU ()•>
(li che ;ì1ì Anziani <>iuravano, con la destra sugli Evangeli,
(li mantenersi seni])re amanti del benessere della città, e
il Notaio degli Anziani leggeva e dichiarava loro il Breve
del ])0])olo e in ])articolar modo i capitoli attinenti al-
PAnzianato (1).
Untlielo degli eletti durava ])er lo piìi due mesi; sol-
tanto nel 1370, tratti di mezzo ai soci della comi^agnia di
S. Michele, gli Anziani stettero in carica per un trimestre
(a])rile, maggio e giugno), assumendo tutti il nome di priori.
Kei (juattro mesi successivi otto di essi conservarono (juesto
titolo, ma subito dopo si fece ritorno al primitivo sistema.
j)er cui (juattro soli degli Anziani si distinguevano per un
tal grado (2).
Terminato il loro uttìcio, gli Anziani, come tutti gii
altri ITlticiali della Eepubblica, dovevano render ragione
del loro operato. A tal fine si eleggevano quattro o cinque
modulatores, i quali esaminaAano le provAisioni degli An-
ziani, e, troA'ando qualche atto (leriAante da abuso di auto-
rità o da trascuranza dei doACri inerenti al loro ufficio,
con sentenza inappellabile (3) iiilliggeA^ano alPAnziano col-
pevole pene a(ieguate al maleficio (4). Gli Anziani però
avcA-ano il Aantaggio di farsi giudicare, Aolendo, dal Po-
destà o dal Capitano del popolo, e allora questi dove-
vano sotto giuramento procedere contro i colpeA'oli entro
quindici giorni dal dì in cui ne aA^essero avuto la facoltà (5).
Così anche al Capitano o al Podestà spettala di punire
(1) Breve pisani ])opuli. MCCLXXXVl, in cap. j^osito sul» luh. « <l<-
lircrc legendo » (Bonaini, op. cit., voi. I, i). 610).
(2) RoxcioNi, op. cit. (Arehirio Storico Italiano, serie I, to. VI, disp. 2'\
p. S9H. n. 2'*^).
(3) Breve del pop. e delle Coiup. nel eap. « Di non appellare delie
sentenzie condemnatorie » (Bonaini, voi. II, p. 483) e nel eap. « De non
appellando a sententiis modulatorum » (Bonaini, voi. I. ]>. 580).
(4) R. Archivio cit., A. 81, e. 55; A. 83, e. 53. Cfr. Breve pis. pop.
et Comi)., MCCLXXXVl, in eap. « J)e inreniendo modulatores Antianorum »
(Bonaini, voi. I, p. 622).
(.5) Breve pis. Coni., MCCCXIII-MCCCXXXVII, in eap. « De arbitrio
« Antianoi'um et eoi'uin notarioruni suheundi iurisdietioni Potestatis rei Capì-
« lunei, quod mafiis voluerint » (Bonaini, voi, II, p, 375).
64 FERRI' e CIO RIZZELLI
^li Anziani, se questi inconsultamente spendevano il de-
naro pubblico, o giudicavano in presenza delP interessato,
o approvavano delle provvisioni che non potessero aver
corso nel tempo del loro anzianato, o annullavano, senza
i^iusto motivo, decreti antecedentemente approvati, o sede-
vano a pranzo con altri cittadini nel palazzo di, loro resi-
denza (1), o venivano in lite tra loro o col Xotaio o col
Cancelliere (2). Xel caso poi di corruzione per denaro il
Breve. del 1286 sanciva la pena di morte (3).
(1) K. ARCHIVIO oit., A. 197, eap. CCVI « De jmìliiìniwm' facta Ox-
« miniH Antianis et eornm caneellariis et notarti^ de comedendo et ìnhendo cum
« (tìlquo ciré pisano vel alio in ])alatìo eorum residentie ». Gli Anziani abita-
vano noi palazzo doi Cavalieri di 8. Stefano, dove oggi lia sede la
K. Scuola Normale Universitaria; su d'una facciata del quale fu ap-
])o.sta nel 1898 la .se<>uente iscrizione:
IN QUESTO PALAZZO
K n 15 E 1{ O T> E G N A S E 1) E
(ìli AN/JAXI della pisana HEITHIJLIC'A
LE VPrrUSTE MUKA
K r K (» X < ) 1{ E S 1 A r 1{ A T E DA G I O IMi I <) ^' A S A 12 I
NEL SECOLO XVI
E COSIMO de' MEDICI
L E DESTINÒ AD A C O O G L I E K E
l' OJJDINP: MILITARE
DEI CAAALIEHI DI S. STEFANO
(2) K. Archivio cit., Consilia et sauetiones senatus j>/*aM/. A. 197,
e, CCXI. « Iteni quod si quis Antianus pis. poi), iniuriose percussit
« aliuni Antianuni vel cancellariuni aut notariuni Antianorum aut si
« cancellarius aut notarius Antianorum percusserit aliquem.... ferro vel
« baculo aut alia re cum sanguinis etfusione, puniatur et condemimetur
« et puniri et condempnari debeat i^ise percutiens a Cai)itaneo pis. pop.
« ultra penas comprehensas in brevibus pis. Comunis et populi in penis
« infrascriptis, videlicet si percussio fuit facta de ferro cum sanguinis
« eftusione in libris quingentis denariorum pisanorum et si baculo vel
« alia re cum sanguinis eifusione in libris duceutis den. pis. et si ma-
« nibus A^acuis vel alia re sine eftusione sanguinis in libris centum den.
« pis. Et caintaneus j^is. pop. ijossit et debeat de predictis i>rocedere et
« i)unire contrafacientes et condempnare, ut supra dicitur,... ». Cfr. an-
clie R. Archivio cit., A. 74, e. 60 t.
(3) BrcA-e pis. poi), et Comp., MCCLXXX^'I, in cap. « De offenden-
tihns Jntianos » (Bonainl voi. I, ]>. 584).
(JLl ANZIANI NEL (aiVKHNo DKL COMUNE PISANO Oo
])) Cancelliere e Xofaio de fili Anziani.
(ili Anziani avevano presso di loro nn Cancelliere, la
cui elezione, dapprima fatta dagli Anziani stessi, fu, dopo
la riforma del 1307, affidata ai Savi. Per cotesto Ufficiale
lo statuto del 1312 (1) ordina « che li Anziani... sieno tenuti,
« per legame di "iuramento, eleggere uno eancillieri loro;
« lo cui officio duri per Panno tanto, et vachi da quello
« ufficio per anni tre che allora prossimamente verranno
«et sia maggiore di anni trentacinque » (2); ma dal 131:(>
in poi la durata delPufficio varia da sei mesi ad un anno,
a seconda delle deliberazioni degli Anziani o dei Savi (3).
In ogni modo doveva restare in carica piii degli Anziani
stessi, essendo ciò necessario per la continuità degli affari,
la cui preparazione era sempre a lui affidata. Questi era
tenuto alPassoluta obbedienza verso tutti gli Anziani ed
a risiedere nel palazzo del popolo, donde usciva col per-
messo dei suoi immediati superiori, i quali potCA^ano an-
che accordargli di pernottare fuori della città, per facti del
Comune n vero evidente et necessaria cagione (4).
In quanto poi alle attribuzioni inerenti al suo ufficio,
il Cancelliere era obbligato a sigillare le lettere, le rela-
zioni di ambasciate e le provvisioni degli Anziani, a re-
gistrare in un quaderno u vero repertorio Pentrate del Comune.
e in un altro apposito libro le somme che il Comune dava
alPoperaio della Tersana, nonché gli stipendi del Podestà,
del Capitano del popolo e di una gran parte degli impie-
gati addetti alla città e al distretto pisano. Terminata la
sua gestione, il Cancelliere si sottoponeva alla solita mo-
dulatio, ne poteva essere rieletto al medesimo ufficio se non
dopo trascorsi almeno tre anni.
(1) Il Cancelliere degli Anziani esiste anche prima del 1312. ma
solo in quest/ anno la sua elezione è regolata da disposizioni statutarie.
(2) Breve del pop. e delle Comp. del 1313-1323 nel cap. CXLYII
(BONAINI, voi. II, p. 615).
(3) R. Archivio cit., A. 74, a. 1346.
(4) Ibid.
Ancn. Src=. Ir., 5.* Serio. — XXXIX. 5
Q6 FERRU'CCIO RIZZELLI
Insieme col Cancelliere, gli Anziani avevano un No-
taio, che doveva registrare ed autenticare le i)rovvisioni ;
era eletto con le medesime norme con le qaali venivano
eletti gli Anziani stessi e restava in carica due mesi. Su-
bito dopo reiezione, giurava solennemente, con la destra sul
Vangelo e dinanzi agli Anziani, di mantenersi sempre fe-
dele al comune e al popolo di Pisa, e, terminato il suo
ufficio, era ancli^esso sottoposto al sindacato e non poteva
essere rieletto, se non dopo trascorsi almeno diciotto mesi.
Qualora poi gli Anziani non s^attenessero a tutte queste
disposizioni, erano puniti dal Capitano del popolo con la
multa di lire venticinque di denari pisani per ciascuno (1).
e) Consiglio dei Sari.
Sotto Punica denominazione di Consiglio dei Savi si
comprendono due categorie di Savi: Savi Elettori e Sari
ComiUtori (2). Tanto degli uni, quanto degli altri la nomina
spettava agli Anziani, dopo quindici giorni dalPelezione
del Capitano del popolo, come si rileva dalla formula ge-
nerale con cui cominciano tutte le provvisioni : « Proridernnt
« infrascritti sapientes viri super Mis ab Antianis pisani po-
« pulì electi etc. ». I primi hanno un carattere proprio e dif-
ferenziale, come quelli ai quali spettano uffici di maggiore
importanza, tra cui Pelezione degli Anziani stessi; i secondi
costituiscono un sussidio continuo e necessario del Collegio
degli Anziani. Quando questi dovevano trattare affari che
per P importanza loro richiedessero una certa maturità di
consiglio o che uscissero fuori del campo della loro perso-
nale competenza, allora si rivolgevano al Collegio dei Savi
Consultori, i quali illuminavano Popera degli Anziani, seJiza
però vincolarla o limitare in qualche modo la loro respon-
sabilità.
(1) Breve del pop. e dello Coinp.. nel oap. LXXA'I « Jh' rclcctione
del notaio delli Jnsiani » (BONAixi, voi. II, p. 511). Cfr. anche K. Ai{-
CHivio cit., A. 197, cap. CCXXVI.
(2) V. Rossi, Il Consiglio dei ^Siivi (negli studi Storici diretti dal pr<»-
fossore A. Ckivkllucci, voi. V, Livorno. 1896, pp. 449-184).
(il.I ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO 07
- Oltre i suddetti Utticiali, j»li Anziani, sotto giuramento,
dovevano elejijjere nel dicembre di ogni anno, i)er i loro
servizi e anelie per guardia del i)oi)olo, quaranta e altre
volte cinquanta marrabesi bene armati « eon coretto u vero
guarnaccia di ferro » e con altre armi convenienti. Xon
dovevano questi essere pisani o del distretto, ne parenti
di altro marrabese, né minori di anni venti o maggiori
di (quaranta (1). I marrabesi nominati giuravano fedeltà
agli Anziani (2), erano tenuti a riconoscere come loro capi
immediati due Capitani (3), e dovevano mutarsi abito due
volte alPanno, ricevendo a tal fine il denaro necessario.
Se qualche volta un marrabese, avendo servito fedelmente
e onestamente per molti anni, diveniva inabile al servizio
in seguito a malattia o per vecchiaia, riceveva dagli An-
ziani una pensione senza obbligo di ulteriori prestazioni
personali (4).
Gli Anziani avevano, oltre i marrabesi, anche i fa-
muli; alcuni dei quali erano destinati ai servizi piti umili,
altri invece, in numero di ventiquattro, costituivano una
si)ecie di guardia degli Anziani, che si mutava ogni
(1) Breve del pop. e delle Coiup., nel eap. LXXVII « JJella electione
dei marrabesi » (BoXAixi, voi. II, p. 512).
(2) R. Akchivio eit., A. 82, e. 87.
(3) R. Archivio eit., A. 81, e. 98; A. 197, cap. CCCLXXVII.
(4) R. Akchivio eit., A. 185, e. 37 t. « Anthiaiii pisani poj)uli....
« providendo statiienint quod Francischus quondam Puccii marrabensis
« etate et senio factus gravis et male sanus, qui servivit et repertus est
« servi visse tideliter et honeste dominis Antianis pis. po}). in servitio et
« oflfìeio marrabensium annis trigiuta duobuSj ultra ab hodie in antea sit
« et esse possit et debeat franchus, liber, exentus et absolutus toto tem-
« pore vite sue a servitiis custodiarum, ambasciatis, et honeribus marra-
« bensium et marrabensibus atributis. Et ghaudeat franchigia et immuni-
« tate concessa consueta marrabensibus emeritis et quod ad dieta servitia
« recjuiri. gravari vel inquietari non possit per aliquos offitiales seu
« ca]>itaneum dictorum marrabensium. Et nichilominus liabeat et habere
« del)eat, donec vixerit, stipendium et tunichas a Comuni x>isano marra-
« l)ensibus franchie et immunibus ordinatas, sicut habent ceteri marra -
« benses franchi. Et propter defectum visus i])sius ad servitia i)ortarum
« re(juiri vel molestari non possit, vigore x)resentis provisionis aliquo
« non obstante ». Cfr. anche A. 148, e. 70 t.
()8 FERRUCCIO RIZZELLI
anno (1). Diciotto di loro dovevano, giorno e notte, dimorare
nel palazzo degli Anziani e due soltanto restare di guardia
tutte le notti nelPaula magna del palazzo medesimo, a fine
di notificare immantinente agli Anziani tutte le novità che
sentissero nel paese. Piìi tardi, verso il 1356, i famuli di
guardia si accrebbero sino a cento e si organizzarono in vero
e proprio corpo armato, sottoposto al comando di quattro
Capitani (2).
Dipendeva infine dagli Anziani un cappellano, al quale,
con uno stipendio annuo di lire venti, si affidava la cap-
pella del Collegio. Vi era pure un massaio, alcuni domieelli
che accompagnavano gli Anziani al passeggio, i cuochi e due
trombettieri con un nacherino che insieme cogli altri servi
avevano il a itto nel palazzo stesso degli Anziani (3).
III.
L'autorità degli Anziani.
Gli Anziani nel governo della Repubblica pisana sono
i veri e propri rappresentanti del popolo, e tutti hanno
la medesima autorità e le medesime attribuzioni. Lealtà
dignità di questo supremo Collegio è salvaguardata da
leggi, che comminano severissime pene contro gli offen-
sori. Gli statuti del 1286 dispongono che colui il quale
offende o fa offendere nella città di Pisa o nel distretto
o altrove, sia col detto che col fatto, sia nella persona
che negli averi, gli Anziani del popolo pisano eletti al
tempo del magnifico Ugolino, Podestà pisano, sia che Pof-
fesa venga fatta durante il tempo in cui gli Anziani sono
in ufficio, sia che venga fatta dopo deposto P ufficio, sarà
(1) I famuli dovevano essere ghibellini e delle parti del Casentino
e del Mugello. Cfr. Breve del pop. e delle Conij»., nel cap. CLIV « Dei
fanti che guardano li Ansiani ».
(2) R. Archivio cit., A. 197, ordinamenta salariorum drl 13ÒG.
(3) R. Akchivio cit., A. 74, e. 215 t. ; A. 197, ordinamenta salariorum
del 1356. Il massaio, i domieelli e i cuochi rimanevano al servizio per
un semestre soltanto.
GLI ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO 69
imnito V coiKlaniiato nelP avere e nella persona con ])ena
do])i>ia di quella imposta alP offensore di un cittadino pri-
vato ; ma se il reo è assente, sarà messo in perpetuo
bando. Però neofli statuti posteriori del sec. XIV la pena
comminata aj»li offensori degli Anziani è estesa, in as-
senza del reo, anche ai parenti di costui. Questo è il con-
tenuto della nuova disposizione: se il Capitano o il Po-
destà non ])uò procedere contro il delinquente, perchè
})ersona ecclesiastica, deve punire il tìglio di costui, e
X' non può avere il figlio, deve procedere contro il padre
del delin(piente e, in assenza del padre, contro i fratelli
legittimi e naturali o anche contro i nipoti. Mancando
poi tutti costoro, il Capitano deve disfare i beni del col-
pevole (1), come quando trattasi di punire Puccisore di un
Anziano, che per lo piìi è condannato a morte, sotto atroci
torture (2 ).
Ma studiando la storia degli Anziani, possiamo facit-
mente rilevare che non sempre fu risi)ettata la loro auto-
rità o fu dato loro di serbare integra la propria indipen-
denza e libertà d'azione. Quando cittadini ambiziosi, in se
stessi accentrando tutti i poteri, giunsero a prendere nelle
loro mani le redini dello stato, tutte le magistrature, com-
preso PAnzianato, rimasero solo di nome, i)erchè dovevano
esser ligie ai tiranni. Tra questi campeggiano le famose
figure del Conte Ugolino di Donnoratico e di Xino giu-
dice di Gallura, i quali, in se raccolta ogni autorità col-
P intitolarsi ad un tempo podestà. Capitani del popolo. Ret-
tori e Governatori del Comune, fecero perdere agli statuti
la loro indole, spensero la virtù degli ordinamenti antichi e
di quei i>olitici ordinamenti che in altri tempi furon causa
della grandezza di Pisa, e principalmente cercaron di li-
mitare o sopi)rimcre del tutto Pautorità delPAnzianato. E
dopo il dominio di Uguccione della Faggiola (1314:-131(j)
troviamo ancora Giovanni delPAgnello, che entra una notte
(1) Breve del pop. e delle Comp., noi eap. « IH quelli ohe ofendesseno
(ili Anziani » (Bona ini, voi. II, p. 637).
(2) Breve del pop. e delle Comp., nel cap. « Del nobile, u vero non
giurato in populo ehe ucciile*i>ìe Anziano » (Bonaini, voi. II, p. 471).
70 FERRUCCIO RIZZELLI
nella sala della Signoria, si proclama doge e, spaventati
gli Anziani, fa che gli giurino obbedienza. Tiranneggia
così quattro anni, durante i quali gli Anziani perdono
ogni ingerenza nella cosa pubblica. In seguito essi riaf-
fermano la loro autorità, e nel 1355 sono nominati per
motu proprio di Carlo lY, suoi vicari perpetui nel luccliese,
pietrasantino, lunigianese, sarzanese e nella Garfagnana (1).
Dal 1369 al ^92 corre per Pisa un certo periodo di Hori-
dezza, finche al termine del detto anno Giacomo d'Appiano,
dopo d'aver a tradimento assassinato Pietro Gambacorti,
che era stato il suo più grande benefattore, diventa signore
di Pisa, e domina la città insieme col figlio Gherardo.
Questi alla sua volta sopprime temporaneamente il Col-
legio degli Anziani, arrogandosi piena balìa, in qualità di
Capitano del ])opolo (2).
Anche l'antagonismo tra i i)artiti esercitò la sua azione
sulPAnzianato. Così studiando quel periodo che va dal 1346
al 1369, quando una lotta accanita rovinava la città di-
visa in due fazioni, dei BergoUni^ favorevoli ai Gherar-
desca, e dei Raspanti, capitanati da Ludovico e Dino della
Kocca, vediamo che gli Anziani, secondo che P uno o
Paltro partito prevalse, furono nella nuiggioranza o J>er-
golini o Raspanti (3), e nel Consiglio non permisero mai
che prevalessero quelli della parte contraria, ma scelsero
invece a preferenza i più arditi sostenitori della loro. Di
qui lotte acerbe nel seno delPAnzianato, lotte che menoma-
vano Pautorità e la dignità dei capi di uno dei più fiorenti
Comuni d'Italia. Ma pur una volta gli Anziani, sebbene
di partiti opposti, si mostraron concordi e d'animo giusto
ed imparziale. Ciò avvenne nel 1348, allorché furono eletti
otto Anziani del partito raspante e quattro del bergolino.
(1) BoHMKH-HrHEH, 11. 2114.
(2) R. Archivio cit., BreAe Vetns Antianormii, e. 251 t. « Nota (juod
« die vigesima prima lueusis laniiarii supraseri])tiis maguilìcn.s iiiilos
« doininus Gerardus Leonardiis de Appiano Capitaneus ete. eleetiis et
« assuiiiptus est in generaleiu dominnni pisaiioruiu. et Autiani ])iedieti
« ili sero ad doinos proprias rediernnt licciitiati ».
(3) Cfr. Cronica di Pisa (Muijatoki, 7.'. /. s., XV, 1017. 1018).
(,LI ANZIANI NEL (U)YERNO DEL COMUNE PISANO 71
StMpejijiiarono vari rumori nel giorno delP elezione, ma la
mattina seguente gli Anziani insieme col Podestà impo-
sero, sotto ])eiia delP avere e della persona, che ambedue
ie parti dovessero (Mjmiwirire innanzi a loro, e i due partiti
giurarono di non offendersi ne in detti ne in fatti, pro-
mettendo di deporre le armi e di attendere soltanto al
bene e alPutile della repubblica (1). Così lo Stato fu salvo
per la saggezza dei suoi governatori.
IV.
Adunanze e deliberazioni.
Le adunanze degli Anziani, per quanto risulta dai do-
cumenti d^ archivio, si tenevano nel Palazzo del popolo,
o nella chiesa comunale di S. Sisto o anche nella Prima-
ziale, quasi ogni giorno.
Gli Anziani si adunavano ogniqualvolta sembrasse
loro oi)portuno « totiens et quotiens eis placuerit^ quocumque
volìterint» (2)^ ma, come poteva tornar loro incomodo il ra-
<lunarsi tutti ogni giorno, sceglievano alPuopo dal proi)rio
seno una deputazione, riservandosi di convenire in pieno
soltanto per gli affari piìi gravi. Infatti nel Breve del popolo
è scritto che « nulla provisione faranno u fare faranno
« senza volontà di tutti li Anziani, u (Vocio di loro almeno,
« mdlo di quelli odo discordante » {3 ); altre volte però la de-
putazione poteva esser formata di sei e anche di quattro
Anziani^ secondo la volontà del ])riore(4:).
Così riunito il Collegio degli Anziani, e intesa la na-
tura delPaffare, si ai)riva la discussione, durante la quale
nessun Anziano poteva parlare senza il permesso degli
altri colleghi « sine voluntate et licentia sociorum suo-
(1) RONCIONI, o]). eit. {Archivio Storico Italiano, serio I, to. VI, voL I,
<lÌKp. 2''», ]). 805).
(2) Brovo ])is. Coni., in ea}». « De stattitis po2mli»(tìi)y.\iy:ì. voi. II. ]». 14).
(3) Breve del pop. e delle Coiiip., nel ca]). LXXXVI (Bona ini,
voi. II, p. 527).
(4) Breve del ]»o]>. e delle Conip., nel ea]). CLXXI (Bonaim, aoI. II,
p. »>27).
72 FERRUCCIO RIZZELLI
rum » (1), e non vi poteva intervenire se nella deliberazione
da prendersi avesse implicati interessi propri o di i)arenti
e amici (2). Xelle sedute ordinarie si deliberava su affari
di poca importanza, ai quali però si doveva jn^ovvedere
durante il tempo, in cui quegli Anziani rimanevano in
carica (3); se poi qualche membro del Collegio si opponesse
alla deliberazione presa dagli altri compagni, il N^otaio
era tenuto a scrivere nella provvisione di quel dato giorno
il nome e il parere contrario di costui (4).
I modi di deliberare erano tre, che non differiscono
da quelli messi in pratica tra noi: ad denarios alhos et
glalloH sive ad scruptineum secretmn; ad voces; de sedendo ad
levandum. Crediamo pertanto che il primo fosse riserbato,
non però esclusivamente, per gli affari di grave importanza,
perchè in tutte le riforme introdotte nelPAnzianato e nelle
altre magistrature, e generalmente in tutte le provvisioni
attinenti agli statuti, si legge la solita formula « partitu
facto inter eos ad denarios alhos et giallos » ; al qual proce-
dimento gli Anziani erano tenuti sotto pena di lire cento
per ciascuno (5). Dobbiamo però notare che in questi casi,
di affari cioè molto gravi, le deliberazioni degli Anziani si
riferivano al Consiglio minore e poi da questo al Consiglio
maggiore ((>), e, qualora fossero approvate da entrambi i
(1) Breve i)is. i>op. et Conip.. in Cii]). « De Antianis, ne surgant in
Consilio prò oonsulendo » (Bonaixi, voi. I, p. 567).
(2) Breve del pop. e delle Coinp., nel oap. LXXXVII (Boxaim.
voi. II, p. 529).
(3) Breve del pop. e delle Coni])., nel eap. LXXXIX « Di non fare
proi'isione che non si possa spacciare al tempo di quelli che la fanno » (Bo-
NAINI, voi. II, p. 529).
(4) Breve del pop. e delle Conip., nel cap. LXXXVI (Boxaim,
voi. II, p. 527).
(5) Breve del \\o\). e delle Comp., nel eap. CLV (Box., voi. II, p. H2^!).
(6) Lo statuto determina quali attribuzioni spettano all'uno e al-
l' altro Consiglio. Il minore per lo \Ah interviene in tutto ciò che ec-
cede i poteri del Podestà; al maggiore i^oi son riservate tutt^ quelle
materie, che, sotto ai Consoli, erano devolute al consiglio o al parla-
mento, come la statuizione, revisione e interiietrazione delle feggi, il
iu8 vitae et necis, la •^•acq, la guerra, i trattati internazionali; concedere
rappresaglie; disporre dei i)ubblici beni; assumere prestanze; rinnovar
l'estimo; mettere pedaggi o altre imposte, ec.
GLI ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO ,->
Consigli, passavano alla ratificazione del Senato (1) e del
Consijrlio della Credenza (2). Le provvisioni degli Anziani
così approvate e ratificate si aftìdavano al potere del Ca-
j)itano, il (juale, se ne trascurava P esecuzione, era con-
dannato alla multa di cin(|uanta lire di «lenari pisani (8).
V.
Governo degli Anziani.
L'attività degli Anziani, intesa nel i)in largo senso
della parola, si determina innanzi tutto nei rapi)orti col-
Pestero, nel mantenimento delPordine giuridico alP interno,
e nei mezzi economici per PAmministrazione dello Stato.
Ma per ben determinare quale sia il contenuto e quali i
limiti degli uffici agli Anziani affidati, occorrerà fare un
esame molto accurato di tutte le loro attribuzioni, perchè,
se da una parte PAnzianato abbraccia la parte piìi grande
delPattività dello Stato, dalPaltra il suo potere non è sem-
pre autonomo, ma coordinato alPazione di altri magistrati.
Intesa bene e chiarita questa parte del nostro lavoro, ci
sarà dato di cogliere nella sua interezza quella che diremo
Pessenza di questa magistratura nel Comune di Pisa.
(1) Breve i)is. Coni., I. e. 55 « Seiiatores quadrat^iiita. lioiios et
« sapientos et legales viros, por dominos siipraseriptos Potestates et Ca-
« ]»itaiieos et Antianos, vel quibus conimiserint, elip;i lacieiuus; videlieot
« deceni prò quolibet (luarterio civitatis; quoniiu offieium durot por tros
« nienses et non plus. Et non habeant nec liabore j)ossint pr<»ptorea
« aliquod feuduni seu salariuni ».
(2) A questo Consiglio particolare chiamato Credenza era riservato
l'ufficio di provvedere sulle relazioni estere, sulla collazione dello ca-
richo e sulla regola dolio tinanzo.
(3) Brovo dol j><)]». o dolio Conii>.. noi oap. XXXV « Di maiKlure ad
executione le prùrisioni » (Bonaixi, voi. II, \}. 479). Le provvisioni degli
Anziani erano registrate tutte bimestre per bimestre; ora si conservano
nel K. Archivio di Stato di Pisa in 117 registri che contengono le prov-
visioni ordinario e straordinario dall'anno 1298 al 1405. quasi sino alla
caduta della Repubblica por mano dei Fiorentini. Cfr. R. Ancinvio cit.,
dalla Dir. A. Si alla Dir. .1. 19S.
FERRUCCIO RIZZELLI
a) B apporti colVesUro.
Gli Anziani dovevano innanzi tntto dilijjenteniente e
scrnpolosamente occuparsi dei rapporti colPestero, in cui
si esplicava la loro maggiore attività, i^oichè dalla buona
trattazione degli affari diplomatici dipendeva in gran parte
il prestigio della EepubbJica.
Essi ricevevano nel loro palazzo le ambasciate, alle
quali dietro loro immediata deliberazione o anche, in. fatti
molto gravi, dopo d^aver inteso il parere del Consiglio ge-
nerale, davano le risposte dovute. Cosi nel 10 febbraio del
1326 si ordina che gli Anziani « una cum sapientibus riris
ab eis eligendis vel mie eis, aicut eis placnerit»^ rispondano
agli ambasciatori venuti da Firenze, e nel 1375 a nome
del comune di Pisa vengono in ti*attative con Xiccolò
d^Alife, ambasciatore mandato dai Reali di Xapoli, per
chiedere un sussidio navale e il denaro promesso per Pim-
presa di Sicilia (1).
Agli Anziani inoltre spettava P altro ufficio di nomi-
nare gli ambasciatori pisani. La quale attribuzione, ri-
masta comune agli Anziani, al Podestà e al Calcitano del
popolo fino al 1313, fu da quest'anno in poi, dopo cioè hi
compilazione del nuovo Breve del Comune pisano, confe-
rita soltanto al Collegio degli Anziani, la cui autorità ve-
niva sempre più affermandosi colPaccentramento dei mag-
giori poteri dello Stato (2). Di questo fatto è prova anche
(1) Cfr. Ax)pendice, doe. 3.
(2) Breve pis. Com., in eap. « De amhasciatoribus» (Bonaixi, voi. II,
p. 22). Le disposizioni principali clic riguardano gli ambasciatori sono
le seguenti:
a) Gli ambasciatori non del)bono ricevere dono alcun») « exceptis
exculcntis et poculentis in fraudeni non reci]ìiendis », e se li ricevono,
A'anno incontro a gravi pene;
h) Gli ambasciatori non i)ossono nella loro ambasciata domandare
qualche cosa per utilità propria o di altri, uè numifestare ad altri l'am-
l»asciata loro conmiessa, senza licenza degli Anziani;
e) Gli ambasciatori debl>ono lar registrare fra gli atti del Comune
]>isau<) le risi)()ste ottenute:
• >I.l ANZIANI XKL iiu\ KKNO DKl. t'o.MLNK i'i>AN() Vo-
il (litticilo (•oiiii)ito che a«>li Anziani era attìdato, di com-
porre i conti itti sorti tra Pisa ed altri Stati, nei (juali in-
tervenivano o direttamente o per mezzo di loro rappresen-
tanti. Infatti nel lo4;i sorti alcuni dissidi tra Pisa e Spinetto
Malasi)ina, fu autorizzato da^li Anziani ser Bene da Calci
a comporre la pace (1), e così anche avvenne nel 1379, nel
quale anno, durando le inimicizie tra Pisa e il re di Tunisi,
j>li Anziani insieme col Capitano Pietro Gambacorti, aven-
done avuta piena balìa, mandarono un tal Kanieri di Pietro
Bullia de' Gualandi a trattare la pace (2). E tale era la
riputazione di elevata competenza nei fatti di politica
estera che «ili Anziani godevano presso i Comuni vicini,
che alcune volte erano da questi nominati arbitri nelle
loro questioni; e furono appunto gli Anziani di Pisa che
nel 134<S composero « nomine gestorio » la pace tra Lucca e
Xerio da Montegarullio (3).
Molto importanti sono inoltre le provvisioni degli An-
ziani relative alle concessioni di cittadinanza. Così, p. es.,
nel '20 settembre del 1342, per deliberazione degli Anziani,
si accorda la cittadinanza pisana ai figli del marchese Ma-
laspina (1), e anche più tardi, nel 28 agosto del 1319, gli
Anziani stessi, per mezzo dei Savi, accordano ogni diritto
di cittadinanza, salvo speciali condizioni, a tutti coloro che
fossero venuti ad abitare in Pisa, poiché la popolazione e
con essa lo stato economico del paese erano venuti man
mano de])erendo per causa della terribile pestilenza del 1318.
d) (ili iiiiibastiaToii haiiiu» mi salario, che vioiic stabilito dagli
Anziani.
Cfr. anche K. Ahchivio oit., A. 81, e. 97 r. e t.; A. 85, e. 104 r.
In altre provvisioni si stabiliscono i salari « prò anibaxiatore qui ivit
ad ludicom Arboree»; «prò anibaxiatore itiiro Florentiani » ; «prò ani-
baxiatore itnvo Lombardiaìn » eo. CiV. A. 81. ce. 17 r. o 21 r, : A, 82,
e. 8 r.
(1) li. ARCHIVIO cit., A. 31, ce. 119 t. e sego-.
(2) R. Akciiivio cit., Atti pubblici, pergamena "/,, 1379. Lo stesso
fatto si ripete nell'anno seguente sotto il Capitano Giacojuo <rA]>i»iano.
('Ir. K. Ahchivio cit., Atti pubblici, cart. XXI.
(3) R. Archivio cit., A. .33, ce. 271 e segg.
(4) R. Aiu'Hivio cit., A. 31, e. 57 r.
76 FERRUCCIO RIZZELU
b) Mantenimento deW ordine ffiuridico aW interno.
Agli Anziimi era data facoltà di presentare proposte
di legge, le quali passavano al Consiglio del popolo per
essere approvate, o respinte, o modificate; ma quando non
si trattasse di riforme statutarie, sia pure temporanee, essi,
a differenza degli altri Magistrati, potevano deliberare in
modo assoluto, senza che le emanazioni della loro autorità,
avvenute nel dominio della legge, avessero bisogno della
sanzione di altri Ufficiali. Così pure nessun Consiglio po-
teva convocarsi senza la loro autorizzazione, e, se ciò ay-
A^enisse, si riserbavano il diritto di pubblica protesta con-
tro il Capitano del popolo, che, pur avendo la facoltà di
convocare le adunanze, non poteva a ciò devenire senza la
volontà espressa degli Anziani : questo ci prova la pro-
testa delPAnziano Giuntino da Peccioli contro il Capitano
del Popolo Simone degli Abati da Firenze (1 ).
yè sotto questo rispetto soltanto si afferma Aa la supre-
mazia degli Anziani, cliè anche in materia giuridica il loro
potere non era limitato che dalle disposizioni statutarie.
Quantunque Pufficio di magistrato supremo fosse de-
stinato al Podestà od al Capitano del popolo (2), pure que-
sti dovevano riconoscere la superiorità delPalto Consesso,
l>erchè le sentenze emanate da loro, o dai giudici che de-
finivano ogni questione in loro assenza, AcniA^ano control-
late dagli Anziani per opera di un Notaio (3). Questi poi
(1) K. Aiìciiivio cit., A. 81, e. 99 t. « Iiintinus de Peccioli Antianiis
«pisani i)opuli, cum domiuus Symon de Abbatibus de Florentia Caj)!-
« taneus pisani i)oi)uli hodie die dominice A'^III kalendas Septenibris
« fecerit banniri Consiliuin maius populi ut congregaretur in malori ec-
« desia civitatis pisane, dixit niilii Guidoni Turcliii notario quod ii)se
« nolebat venire seu ire ad dictuni Consiliuni, cuni dictus Cai^itaneus
« predictum consiliuni lacere non debet, quia non est de voluntate An-
« tianorum A^el octo ex eis, secundum forniani Brevis pisani populi.
« Anno millesimo ducentesimo nonagesimo oetavo, indictione decima,
« oetavo kalendas Sejjtembris ».
(2) R. Aiu'Hivio cit., A. 81, ce. 67 e «8.
(3) R. AucHivio cit., A. 85, e. 132 t.
GLI ANZIANI Nl-:i. (iUVEKNO DEL COMUNE PISANO 77
<luve\ a riferire agli Anziani si quid illicitum vel mhonestum
iudices commicterent in ipsin condcmpnationibus faciendis et
ejiaminandis (1), e qualora tale revisione venisse a mancare
])er colpa dei giudici, le condanne si annullavano ed i giu-
dici incorrevano in una grave multa per ciascuna Aolta
che avessero trasgredito la legge.
Oltre a questa che chiameremo attribuzione di diritto
obbligatorio, gli Anziani avevano anche altre atlribuzioni
facoltative. Essi potevano eleggere alcuni Savi per la con-
fisca dei beni appartenenti ai condannati; i^remiare, se lo
credessero oi)portuno, coloro che consegnassero il reo nelle
mani dei magistrati pisani, con una somma che andava da
lire dieci a lire cento (2); concedere con una provisio extra-
ordinaria la grazia sovrana ai condannati (3), e liberare per
misericordia dieci detenuti nel venerdì santo di ogni anno (4).
Ma se in fatto di questioni criminali gli Anziani ave-
vano importanti attribuzioni, nelle questioni civili era
esclusa dalle disposizioni statutarie qualsiasi loro inge-
renza, Sotto pena di lire venticinque di denari pisani; e
licrchè tal pena, fors^ anche per il rispetto che imjioneva il
Consiglio supremo della Repubblica, non fosse trascurata,
il Capitano del popolo che non esigeva la condanna era
punito alla sua volta con la multa di cinquanta denari
I)isani (5). Pure tra le provvisioni degli Anziani ci fu
(1) Breve pis. Coni., Ili, in cai). « De modo servando in condempna-
tioitihus in officio indici^ eurie maleficiorum » (Bonaini, voi. II, l^. 359).
(2) R. Archivio cit., A. 35, e. 438.
(3) R. Archivio cit., A. 64, e. Go t.; A. 85, e. 62; A. 134, e. 58;
A. 85, e. 35 r. « Providerunt Antiani pis. pop. etc. qiiod ex provvisione
« facta infraseriptis exbannitis de Palaria a Magnifìeo viro domino
« Uguccione de Fagiola occasione jiacis facte inter infrascriptos exbau-
« nitos de Palaria ex una parte et quosdam alios ghibellinos de Palaria
« ex altera.... debeant rebanniri prò Comuni et a Comuni pis. de infra-
« scriptis bannis et aliis, ut inferius continetur.... ».
(4) Breve del pop. e delle Comp., nel cap. « JH relaxare li pregioni
per mizericordia » (Bonaini, voi. II, pag. 492).
(5) Breve del pop. e delle Comp., nel cap. « Di non intromettersi nelle
cauze civili » (Bonaini, voi. II, p. 535). Questa disposizione era in Algore
fin dal 1286. Cfr. Breve pis. pop. et Comp., in cap. « De non intromi-
ctendo de causis eirilihux » (Bonaini. voi. J. ]>. 564).
78 FERRUCCIO RIZZELLI
dato trovarne una, con la quale si ordina a Ranieri di
Metula, Capitano del popolo, di concedere una dilazione
ai debitori di un tal Roberto de Rocca, purché essi pacas-
sero quanto occorreva alla dote di Francesca, figlia del
detto Roberto (1).
Agli Anziani era data inoltre facoltà di nominare i
berrovieri (2), le guardie che attendevano unicamente al
mantenimento delP ordine pubblico, con espresso divieto
per ciascuno alP ufficio di famiUus del Podestà, o di andar
fuori di città per richiesta di qualsiasi cittadino pisano.
Avevano essi per loro superiori immediati un Conestabile
ed un Vice-Conestabile, eletti altresì dagli Anziani (3). Così
soltanto gii Anziani potevano concedere il porto d'armi,
qualora però i richiedenti si trovassero nelle condizioni
stabilite dallo statuto e prestassero cauzione fideiussoria
nella Cancelleria del Comune pisano (4).
e) Amministrazione interna in ordine ai mezzi economici.
]S^ei registri delPArchivio pisano troviamo moltissime
provvisioni relative al commercio della fiorente Repubblica,
le quali bastano a iH'Ovarci con la massima evidenza che
anche questa parte delPamministrazione dello Stato spet-
tava al Collegio degli Anziani. Alcune si riferiscono in
special modo agli ordinamenti per la vendita del frumento,
delle carni e dei pesci sul mercato della città, compilati
dagli Anziani stessi o dai Savi a tal fine eletti. Così nel
capitolo « I>e pissicariis et rigatteriis » del Breve pisano ( 5 )
si ordina che gli Anziani eleggano alcuni Savi (iìtper pro-
(1) R. Archivio cit., A. 113, e. 23 t.
(2) Breve pis. Coni., lih. I, in eap. « Ih' herrovariìs » (Boxain'i. voi. 11,
p. 23).
(3) R. Archivio cit., Bogìta et instrumenta et eleetioneH ofiicialiiim.
A. 36, ce. 336 e segg.
(4) R. Archivio cit., A. 82, ce. 88 e 89 « Baccioni de Seta lilio
« Mactliei de cappella Sancti Luce forisiiorte a doniinis Antliianis pisani
« populi concessa est licentia deferendi quecumquc arnia defeusafiilia,
« dunmiodo praestet lìdeiiissoriani cautioneni in cancellarla jiisani Co-
« miinis, ut consuetum est, secunduni formani Brevis pisani Coiniinis ».
(5) Breve pis. Coni., lih. 111. in ca]>. « De pi.ss}earii>i et rìqatteriix »
(BoNAixi. voi. II. p. 327).
(ìli anziani nel (iOVERXO DEL COMUNE PISANO ni
rifleHclo etc.^ mentre in una provvisione ordinaria del 1315
troviamo una disposizione de«li Anziani sulla vendita delle
anjiuille delPArno, senza i)er() ohe la solita formula « provi-
deìKnt infraseri2)ti mpkntcH viri saper Mis ab Anthianis pimni
popuìi eìecti » ci attesti P intervento dei Savi(l). Altre prov-
visioni si riferiseono invece alla vendita del sale e del
ferro delPElba (1*), o all'importazione di frumento e fo-
raggio (3), o alPesi)ortazione di equini e bovini per uso del
Comune (4); e, i)0ichè i mari erano allora infestati dai pi-
rati, gli Anziani erano obbligati sotto giuramento ad ar-
mare ogni anno due galee (5), per garantire la sicurezza
dei trafficanti che univano in relazioni commerciali la prov-
vida Repubblica con le maggiori isole del Mediterraneo e
con le pili lontane terre delP Oriente.
Tutti gii introiti, die da un così attivo commercio per-
venivano alla Repubblica, erano aftìdati alla Camera del
Comune, i cui amministratori « Camerarii pisani Comunis »,
dap])rima eletti dal solo Podestà e poscia dagli Anziani,
regolavano tutto il bilancio dello Stato, riscuotevano im-
poste dirette e indirette (6) e mandavano ih effetto tutte
quelle provvisioni pecuniarie (7), che dopo opportuna deli-
(1) R. Archivio cit., A. 85, e. 16 t. « Antiani pisani ])oi)uli provi-
« derunt quod piscatores pisane civitatis i)ossint et eis Jieeat x)osse ven-
« (lere et vendi tacere in ci vitate ])isana de mensibus Madii, Innii, Inlii
« et Angusti et quolibet teniixne anguilias de tiuniine Arni tantum im-
« x>une, non obstante (jnod jier forniani Brevis pisani Comunis vendere
« vel vendi faeere eas non jìossint ».
(2) R. Archivio eit., A. 3o, e. 43 r.
(3) R. Aiuiiivio oit., A. 90. e. 81 t.: A. 85. e. 16 t.. e. 17 r. e t..
e. li) t. e e. 20 r.
(4) R. Archivio cit., A. 85, e. 3 r. Gli Anziani di Pisa provvedono
« (jiuid Ciolus Grassnlinus offieialis prò comuni Pisarum in partibus Sai-
« dinee i)ossit prò comuni Pisarum vendere et titulo venditionis dare et
« concedere boves et vacehas trium annorum usque in quinque et boves
« et vacehas v'eteres pisani Comunis de bestiis seu armento J^estiarum ])i-
« sani Comunis et iudicatus Gallure ».
(5) Breve del poxK)lo e delle Coni])., nella rubrica CXLVII « Xuoi'i
eupittdi factl in anno Domini MCCCXII ». (Bonaini, voi. II, j). 515).
(6) R. Archivio cit., A. 93, ce. 2 e 24; A. 94. ce. 45 e 53.
(7) R. Archivio cit., A. 197, cap. CCLXA^ « De modo servando a Ca-
« merariis pisani Comunis in solutionihus per eos fiendis de ^j^'cwwia pisani
« Comunis de qua facte fuerint provisiones per dominos Antianos pisani popuU
80 FERRUCCIO KIZZELLI
berazione degli Anziani (1), erano esaminate dai Revisori (2u
e registrate e sigillate dal Cancelliere e dal Xotaio del
Comune, nonché dal Xotaio stesso degli Anziani (3). Alla
« et aìiis de rerisionibus dictarum prorisionum. Et quod Camerarii camere
« pisani Coiiiimis i)resentes et qui prò tempore fuerint vel alter eorum
« non possint, nec debeant dare seii solvere alieni persone vel loco ex
« forma alienins provisionis dominornm Antianorum pisani poiinli ali-
« qnanj quantitatem pecunie, nisi in ipsa provisione sit sj)eciiìcata causa
« singolariter et exprexa, quare dieta provisio sit seu fuerit et quare
« dieta solutio fieri debeat. Et quod ipsi Camerarii nullo modo possint
« vel debeant solvere seu dare alieni persone vel loco aliquam quanti-
« tatem pecunie ex forma alicuius provisionis dominorum Antianorum
« pisani popoli, que sit et fuerit facta contra formam brevium statutorum
« et ordinamentorum et consiliarorum pisani Comunis et populi. Et quod
« ii)si Camerarii non possint nec debeant dare seu solvere alieni persone
« vel loco aliquam quantitatem pecunie i3ro expendendo et convertendo
« eani in factis x)isani Comunis, nisi ei qui ad executionem factorum pi-
« sani Comunis in provisione contentorum seu continendorum esset per
« electionem jjisani Comunis seu dominorum Antianorum x)isani j)opuli
« electus seu deiJutatus ex forma alicuius provisionis dominorum Antia-
« norum pisani populi.... Et quod dicti Camerari ex forma alicuius pro-
« visionis fiende a Kalendis May i>roxime venturi in antea nullam so-
« lutionem facere jiossint alieni persone vel loco, nisi provisio sit revisa
« et api)robata per infrascrii)tos cives pisanos eligendo» ad infrascriptum
« officium, de quo in x>resentibus ordinamentis sit mentio et eorum si-
« gillo sigillata. Et de predictis teneantur dicti Camerari ad penam dupli
« totius eius quod solverint seu solvent contra dictam formam. Et quod
« calculator et notarii Camere pisani Comunis non jjossit nec debeat ali-
« quam provisionem contra dictam formam factam et non revisam, ap-
« probatam et sigillatam, ut predieitur, admictere, nec solutionem ex
« inde scribere ad dictam penam... ».
(1) Cfr. Api>endice, doc. 4.
(2) K. Archivio cit., A. 197, cap. CCLXYIIl « De officio lievisorum
prorisionum pecunie do in inoi'um Antianorum et notarii dictorum lievisoriim ».
(3) E. Archivio cit., A. 197, cap. CCLXVI « Quod Cancellarius
« ])isani Comunis et dominorum Antianorum pisani poimli et notarius
« <lominorum Antianorum et Notarii Cancellarie pisani Comunis i>re-
« sentes et futuri non possint neque debeant scribere nec sigillare ali-
« quam provisionem pecuniariam, que fieret contra suprascriptam formam
« ad penam suprascriptam, in qua pena possint et debeant a Sindico et
« Modulatore officialium pisani Conmnis condempnari et intantum dictus
« Sindicus et Modulator teneantur et debeant quemlibet contrafacientem
« condempnare ». Cfr. R. Archivio cit., A. 81, e. 2 r. e t., e. 3 t., e. 4 r.
e t., e. 5 r.; A. 82, e. 3 t.. e. 10 r.; A. 84. e. 37 t.; A. 85, e. 31 1.; A. 72,
e. 21 r.
GLI ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO 81
tino di ogni settimana erano obbligati a mostrare per aper-
tum ftcriptum agli Anziani totum et quicquid quod receperint
in ebdomada et totum id quod in summa expenderint^ vel expen-
dissent in ipsa ebdomada il).
Xè soltanto per questo risjìetto si rileva il continuo
affermarsi del potere degli Anziani relativamente alP in-
terna amministrazione, poiché anche sulle dogane di Pisa
esercitavano essi la loro autorità immediata. Gli statuti
del 1286 attestano infatti che gli ufficiali delle dogane erano
eletti dal Podestà, mentre documenti posteriori ci provano
che anche reiezione di questi ufficiali fu più tardi affidata
agli Anziani, i quali alla loro volta potevano pel medesimo
ufficio autorizzare i Savi (2). E come nella Camera eserci-
tavano continua personale vigilanza, così delle dogane do-
vevano controllare gli introiti e gli esiti (3). Oltre a ciò, gli
Anziani avevano facoltà di riformarne gli statuti, quando lo
credessero opportuno (4:\ di esaminare per mezzo d^un notaio
tutti i contratti attinenti ad èsse (5) e di concedere la loro
autorizzazione per Pappalto delle gabelle del Contado (6).
Un'ultima importante attribuzione degli Anziani ri-
guarda il conio delle monete. Gli Anziani erano tenuti a
stabilire e indicare la forma di qualsiasi moneta « nigram
rei grossam » che dovesse coniarsi (7), e ad eleggere due ca-
pitani o sopraintendenti degli uffici della zecca, un prova-
iolo e un intagliatore di monete, al quale era anche affi-
data la custodia dei coni. Tutti costoro rimanevano in carica
(1) Breve jiis. Com., lib. I, in cap. « De Catuerariis etc. » (Bonaini,
voi. II, p. 95).
(2) K. Archivio eit., A. 82, e. 57 t.
(3) Breve «lei pop. e delle Conip., nel cap. CXXIII (Bonaini, voi. II,
p. 559).
(4) Breve pis. Coni. lib. I, in cap. « De introitihus cabellarum pisani
Comunis » (Bonaini, voi. II, p. 39).
(5) Breve pis. Coni., lib. I, in cap. « Quod Antiani teneantur eligere
« unum notarium ad per<juirendum omncs oontractus notariorum pisane civi-
« tatis, qui Jierent ah eis, pertinentes ad cahellam » (Bonaini, a'oI. II, p. 260).
(6) R. Archivio cit.,, A. 33, e. 270. Si autorizza Giacomo da Pec-
cioli a mettere in appalto le gabelle di Pietrasanta.
(7) Il Podestà aveva 1' obbligo di punire nelP avere e nella persona
colui che non rispettasse questa disposizione?" vtutaria. Cfr. Breve pi-
sani comunis, lib. I, in cap. « De moneta » (Bonaini, voi. II, p. 229).
Arch. Stor. It., 5." Sorif^. — XXXIX. 6
82 FERRUCCIO RIZZELLI
]}er nn semestre: il capitano però nou poteva esser rieletto
al medesimo ufficio se non dopo trascorso un anno, mentre
gli altri due potevano esservi subito riconfermati, perocché
i loro uffici richiedevano una speciale competenza tecnica (1).
COXCLUSIOXP].
Di varia natura erano quindi le attribuzioni e gii
scopi di questo Collegio supremo. In primo luogo rileve-
remo che per quanto libera fosse Fazione degli Anziani
nel proprio ufficio, ciò non toglieva che per tutta Pattività
dello Stato si richiedesse una certa uniformità di scopi e
di vedute. La direzione dello politica estera, affidata agii
Anziani, non poteva stare in disarmonia con i criteri ai
quali sospirava Pufficio militare del Capitano del popolo, e
questo aveva il suo contraccolpo nelPamministrazione finan-
ziaria, e questa nello stato economico della Repubblica e così
via. Perciò nel governo della Repubblica Pazione di ogni Uffi-
ciale cospirala per Pattuazione di tutto un insieme di idee
organicamente connesse: e il discuterle e il determinarle
era appunto uno degli scopi del Collegio degli Anziani.
Sicché tutta la loro attività si può riassumere nel modo
seguente: essi adempiono principalmente ad una funzione
che potremmo chiamare integratrice, per la quale la grande
varietà di pubblici uffici, divisi e suddivisi per la specialità
delle incombenze, è poi ricondotta ad una grande unità,
che se da un lato è formale, in quanto trasmette ai sin-
goli uffici quelP autorità onde essi agiscono, dalP altro è
anche effettiva, nel senso che PAnzianato elegge gli Uf-
ficiali ordinari e straordinari, o direttamente o indiretta-
mente per mezzo dei Savi (2), impartendo loro quelle norme
e quei criteri, pei quali Pazione dei vari uffici pubblici
cospira armonicamente al raggiungimento dei fini che allo
Stato incombono.
(1) Breve pis. coni., lib. I, in ca]). « De caintaneìH. jrroruiolo. et iiital-
liatore monete » (Bonaini, voi. II, p. 112).
(2) R. ARCHIVIO cit., A. 31, ce. 49 e 50; A. 33, ce. 279 e 539; A. 34,
ce. 386 e 388; A. 36. ce. 336 e segg.; A. 38, ce. 35, 41, 42, 54, 537 e 539;
A. 47, e. 28; A. 85, ce. 96, 97, 100, 102 e 107; A. 93, ce. 56 e 64.
GLI ANZIANI NKL GOVERNO DEL COMUNE PISANO S'ò
Crii Anziani costituirono dunque nel Comune pisano il
niaji'istrato supremo ehe non riconobbe altra autorità die
([uclla degli Statuti (1); quantunque il loro potere fosse,
in certi casi, limitato dal Capitimo dal i)opolo o dal Podestà,
e dovessero ancli\»ssi, come tutti gli altri Uftìciali, ricono-
scere P obbligo di sottoporsi alla modiUatio^ terminato il
tempo del loro ulti ciò. Ma questi magistrati che formavano
il i)iìi alto e solenne consesso, e che appunto per i loro sommi
poteri eran detti « (/itberìiatores et administratores reipublicae
pisanae », non avevano come gli antichi magistrati di Roma
repubblicana il carattere àeWhonor ; erano anch^essi conside-
rati come veri e propri ofticiali dello Stato, che avevano
<iuindi diritto ad un fendum collettivo, il quale, dovendo
solo servire al loro mantenimento e a quello della loro
famllìa^ ossia dei servi e degli impiegati ad essi imme-
diatamente soggetti, variava da lire tredici a lire quindici
di denari pisani al giorno (2). I Camerari della Repubblica
erano autorizzati a tal pagamento absque casella (3).
Ma (ili e ( Te r r a d' ' 0 1 r a nto).
Ferruccio Rizzelli.
(1) Roxcioxi, op. cit. {Arehirio Storico Italiano, serie I, to. VI, voi. I,
disi». 2\ p. 805).
(2) R. ARCHIVIO cit., A. 197, cap. CCCXXXVIII « Providerunt do-
« mi ni Antiani pis. pop. coiisideraiites diligenter extreniitatem inaonaiu
« salarii librariim diiodeeim per dieiu qnod habent. Eis concessum est a
« Comuni pisano per.formam ordinamentorum pisani Com. prò vietu suo
« et eorum Caneéllarii, notariorum et familie, qui sunt intcr omnes, ultra
« bucelias triginta, de quo salario ipsi domini.... nullo modo vivere x)os-
« sunt nisi ponerent de suo prox^rio, quod non esset conveniens nec ho-
« nestum.... et maxime tempore .iemali, quo solum in lignis, que com-
« burnntur ad usum sapientum i^isane civitatis su^ìer factis Comunis
« singula €lie consulentium, maxima i)ars ijìsius salarii sux)rascrii)ti con-
« sumitur. Et liabito super ])redictis Consilio et deliberatione matura una
« viee et pluril)us cum sa])ientibus viris.... ordina verunt quod ipsi do-
« mini Antiani habeaut et habere x)otuerint et X)ossint et debeant a kal.
« Jan. x>resentis in antea singulo anno de mensibus Novembris, Decem-
« bris et .Januarii et Febriiarii, quibus multa, ut dictum est, ligna com-
« burnntur, singula die libras quindecim den. x)is. sine cabella et omniì>us
« aliis mensibus totius anni singnla <lie libras trcdeeim den. pis. sine
« cal)ella ».
(8) R. Aitcìiivio cit., A. 135, co. 7 e sego;.
8-t FERRUCCIO RIZZELLI
APPENDICE DI DOCUMENTI.
1. 1358 (k. p.).
[K. AicIiìnìo (li Stato in Pisa. A. 197. e. 9o i . et.].
licrisioue (Ielle bor^e (le(jlì Anziniii e/e(/(iibili fatta dai Sari
per ordine di Gualtiero IIoeltf<elilifc. rìeario (jenerale di Carlo IV,
Doininice Incarnationis anno millesimo tregentesimo quin-
<luagesimo octavo, indietione undecima, octaTO idus Martii. Pro-
videriint domini Antiani ])isani x)opuli, utentes in liiis bailia eis
actributa, data et concessa in niaiori et per niaius et generale
consilium pisani Comunis liodie celebratum in malori ecclesia pisana
et ratiflcatum x)er consilium pisani populi, die predicto, prò bono
et ntilitate pisani Comunis et i>ro conservatione boni et pacifici
status pisani Comunis et populi, x)artitu inde facto Inter eos ad
denarios albos et giallos secundum formam Brevis pisani populi,
cum (piam pluves ex intascbaris in tascliis nunc vigentibus de of-
ficio et regimine dominorum Antianorum pisani populi sint mortui
et quam plures in eis positi sint prò artifìcibus prò artibus, quas
non faciunt nec fecerunt ullo tem])ore vt ex lioc dictum ofiicium et
regimen non ])ossit debite reformari,
(piod
infias(ii])ri sai)ientes viri ab ipsis dominis Antianis super liiis
electi revideant, calculent et cernant in presentiis magnifici viri
domini Gualterii Hocbschlitz pisani etiani x>ro imperiali maiestate
generalis \ icarii et locum tenentis et una cum ipso domino Gual-
terio omnes et singulos Antianos existentes in dictis tascliis et ex
inde extraliant et eiciant omnes et singulos mortuos nec non omnes
et singulos suspectos Comuni et populo jiisano et presenti statui,
si quos in eis esse invenerit et loco dictorum mortuorum et su-
spectorum extraliendorum et eiciendorum de tascliis predictis ac
etiam eorum qui deficerent apodixarum in dictis tascliis nunc exi-
stentium, alios devotos, tìdeles et amatores pisani Comunis et populi
et status presentis cernant et in dictis tascliis ponant et mictant
ponendo et mietendo in eis priores prò prioribus, mercatores x)ro
mercatoribus, artifices prò artifìcibus usque ad expedientem et suf-
ficientem numeruni ])i() residuo tempori s prò quo diete tasche nunc
vigentes facte fuerunt, dummodo in dictis tascliis esse non possint
ultra quindecim priores per singulum quarterium pisane civitatis.
ULl ANZIANI NKL (.OVERNO DEL COMUNE PISANO 85
cuniputatis in dicto imiiiero prioriim illis qui remanebimt in dictis
tascliis ex hiis qui in eis nunc simt pio prioribus et illis qui de
novo in dictis taseliis prò prioribus mictentur seu ponentur, ita
quod i>ro niaiori tempore vel in mai ori numero Antianoruni in
dietis taschis ponere vel mietere non possint v^el debeant et eo8
sic ab eis de novo mictendos et alios qui in dictis tascliis renia-
nebunt ex liiis qui in eis nunc sunt, apodixent et apodixare possint
et debeant eo modo et sicut dicto domino Gualteiùo et dictis sa-
pieiitibus viris melius et utilius videbitur. Et durent et durare
debeant diete tasche eo tempore de quo in provisionibus factis de
predictis taschis nunc vigentibus continetur et non ultra, con-
putando in dicto tempore tempus preteritum dictarum tascharum.
Et quod nullus de novo addendus sive ponendus in dictis ta-
schis vel aliqua eanim prò priore possit vel debeat de eis vel
ali«iua earuni extralii vel esse Antianus pisani populi prò priore,
donec omnes priores sui quarterii qui remanebunt prò prioribus in
suprascriptis taschis nunc vigentibus ex eis qui in dictis taschis
nunc sunt et tempore eoruni extra ctionis ad dictum officium prio-
ratus habiles fuerunt, ad dictum olhcium prioratus liabendum
fuerint de dictis taschis extracti. Et si (luis ex predictis de novo
mictendis et ponendis in dictis taschis prò prioribus extraheretur
de dictis tascliis, ante quam predicti omnes qui in dictis tascliis
remanebunt prò prioribus ex eis (jui in dictis taschis prò prio-
ribus nunc sunt, fuerint de dictis taschis extracti eo modo et
forma, de quibus supra dictum est, eius apodixa reponatur et
remictatur in tasclia priorum spicinatorum sui quarterii, et alius
habilis ad dictum officium ex hiis, qui nunc sunt in dictis tascliis,
et in eis prò prioribus remanebunt, extraliatur loco sui ad dictum
ottìcium prioratus. Et idem per omnia fiat et observetur de mercato-
ribus et artilìcibus in dictis taschis de novo mictendis et ponendis.
Et quia utile et necessarium est Comuni pisano officium An-
tianatus virtuosis et bonis liominibus reformari, statuerunt et ordi-
naverunt et disposuerunt prò utilitate x)isani Comunis et populi
quod pontonarius pontis veteris i)isiane civitatis presens in officio
et ojM'rarius pontis de mari sive opere sacti Ranierii dicti pontis
de mari presens in officio possint esse Antiani pisani populi, si
in dictis tascliis sunt, sive in eis de novo ponerentur, sive micte-
rentur, non obstantibus predictis eorum officiis. De aliis vero va-
cationil)us dicti officii Antianatus et de sigillis dictarum tasclia-
rum et cai)sa earundem et clavibus diete capse et aliis omnibus et
singulis serventur et servari debeant provisiones et ordinamenta
facte et factìi de et super suprascriptis taschis nunc vigentibus.
^'> FERRUCCIO RIZZELLI
2. 1361, luglio 2H (s. p.).
|K. Arcliivio (li Stato in Pisa. A. 107. e. SU t. e se-i-i.].
Prorrinioue fafld dai Sari sul/e h<>r.<i(' (leijlì A n ciani
e (lei loro ( 'aìtccììieri e Xofari.
CoiiKiliuiii sen;itu< et ciedeiitie (loiiiiiiornui Aiitlnanoruiii pisani
])oinili et eoriini consilii miiioris et maioris. videlicet decem per
qiiarteriuin et oeto ])()])iili eoiisiiliini maris, eonsulum mercatoriini,
consulum artis lane, capitaneoruni et priorum septem artiiim. et
quiiuleeiiii sa}>ieiitiiiii viroruiii per (jiiodlilK t ([uarterium pisane ci-
vitatis a dominio Antiani.s pisani pox)nli eleetornni et hnic Consilia
additormii secundnm formam Brevis pisani Coniunis a nobili et po-
r<'nt<' \ irò domino Chino Marcinone de C'ivitella pisanornni pote-
state snb sacramento petitum.
Cnm intellexeritis nnnc corani vol»is le.ui et explanari i)rovi-
sionem dominoriim Antianonim pisani i)opnli snprascriptam lioc
anno et indictione, quarto kalendas Angusti, de et super ordina-
mentis tascliarum dominorum Antianonim pisani populi, cancella-
riorum pisani Comunis, cancellarioriim <lominorum Anthianornni
]>isani populi, cancellariorum lucani Comunis et notaiiorum ipsoriim
dominorum Antianorum pisani ])opuli niiper coiiticiendarum et de
aliis et super aliis in dieta provisione et ordinamentis compreliensis;
cuius quideni ])roYÌsionis et ordinamentorum tenor talis est:
Dominice Incaniationis anno millesimo trecentesimo sexage-
simo primo, indictione tertia decima, quarto kalendas Augusti.
Providerunt domini Antiani pisani populi, partitu facto inter eos
ad <lenarios albos et giallos secundnm formam Brevis pisani populi,
et providendo ratitìcaverunt, conlirmaverunt et approbaverunt in-
frascriptam provisionem sapientum virorum pisane civitatis ad liec
a dominis Antianis pisani populi electoriim t'actam suprascriptis
anno et indictione. ([uinto kalendas Augusti in omnibus et per
omnia i)rout et sicut in ea continetur et i)lenius. Cuius quidem
provisionis tenor talis est: Su^H'ascriptis anno et indictione, quinto
kal. Augusti. Providerunt infrascripti sapientes viri super biis a
dominis Antianis pisani populi electi ])ro e\ identi utilitate pisani
Comunis et prò quiete, pace et eijiiitate civium pisanorum et paci-
fico statii ])isane civitatis saliibiiter conservandis
(jiiod
ofHcium et regimen Antianatus pisani po])uli leformetur et refor-
mari possit et debeat ]n*o duolms annis et sex mensibus inci]»iendis
Gl.l ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO 87
in kaleiulis Noveiiibiis proxime veiitiiri per nioduni tascliaium et eo
modo et fonila, de ([iiibus et pront inferins deelarabitur, videlicet
( pioti
V Un'iio si ve eleetioiies et taseìie domiuorimi Aiitliiaiioriini pisani
p(»pnli tìant et tieii possint et debeant de prioribus ipsoruni donii-
nonim Antianonnn pio tribiis annis et durent et durare possint
tantnmniodo annis duobus et mensibus sex tantum, incipiendis in
dietis kalendis Xovembris proxime venturi. ì)e mercatoribus vero
er artitlcibus prò annis quattuor et durent et durare possint et de-
beant duobus annis et mensibus sex tantum, ut sujìra dictum est
de prioribus, incipiendis in dictis kalendis Xovembris proxime
venturi. Et tìant, ut supra dicitur, videlicet
quod
eligantiu- per dominos Antianos pisani populi, nunc in officio exi-
stentes, sapientes (piadraginta poxmlares de melioribus et suificien-
tioribus civitatis pisane, videlicet decem per quodlibet quarterium
civitatis i)isane, et octo sa^iientes eligantur et eligi possint per Magni-
ticujn dominum dominum Gualterium imperialem vicarium etc. de
melioribus et sufficientioribus diete civitatis, videlicet duo per quar-
terium in electores et prò electoribus dictorum dominorujn Antia-
norum eligendorum. De (juibus vero factis omnibus electoribus duo
a<l minus et usqiie in tres ad voluntatem dominorum Antliianoruni
prò quolibet quarterio pisane civitatis sint et esse debeant artitìces
et de sei)tem artibus x>isane civitatis. Quibus electis, cohadunentur
et habeantur in presentia pretati magnifici domini domini Gualterii
et in eius palatio, ubi sint Cancellarius maior pisani Comunis et Can-
cellarius dominorum Antianorum pisani populi et non alius Ael alii.
Et sic cohjidunati nominent et nominare possint et tacere scribi
prò Antianis in priores et prò prioribus (pioscumque volent, vi<lelicet
usque in tres prò (piolibet eorum tantum. Et facta dieta nomina-
rione, priores predicti nominati scruj^tinentur per dictos quadra-
ginta octo sapientes ad scruptineum secretum ad denarios albos et
giallos, ut infra dicitur, videlicet (piod de quolibet et prò quolibet
nominato in priorem sive prò priore fiat scruptineum secretum et
}»artitus ad denarios albos et giallos. Et ille et illi qui habuerit et
habuerint maiorem partem vocum dictorum electorum sive de <pio
vel quibus maior pars dictormn electorum concordabit, scribatur et
signetur prò facto priore. Et illi, in quibus maior pars non concor-
<labit, scribantur et signentur prò non factis. Xicliilominus tamen
omnes tam facti (]uani non facti signentur, quot voces habuerint in
partitu de eis facto, cpio»! quidem scruptineum recipiatur per prefa-
tum dominum Gualterium et Cancellarios suprascriptos. De quibus
88 FERRUCCIO RIZZELLI
vero prioribus eligantur et cernantur tle dictis scriiptinatis decein
octo priores in quolibet et de quolibet quarterio. Et facta dieta cerna
et electione, ut siipra dicitur, illi qui erunt creti per dictum domi-
num Gualtei'ium prò factis prioribus, modo predicto, intelligantur
et 8int priores prò dicto tempore duorum annorum et mensium sex.
Et si contigerit quod illi ex dictis prioribus qui essent signati et
scripti prò factis dicto modo, non essent ad suftìcientiam sive nu-
mero necessario prò dictis decemocto antianatibus ; et si reperi-
rentur scripti et signati prò factis plures quam essent necessarii
prò dictis decemocto antianatibus, per prefatum dominum Gualte-
rium reducantur ad decem et octo tantum, dimictendo illos qui
pauciores voces liabuerint. Et si in pluri rei minori quantitate eve-
nerit casus quod aliciui essent in pari numero vocum, fìat per di-
ctum dominum Gualterium et Cancellarios predictos inde ad sortem
scilicet per apodixas lioc modo, quod cui ex eis venerit apodixa
piena sit prior, si erit de illis in quibus numerus defìceret. Et si
erit de illis in quibus numerus excederet et sibi venerit apodixa
piena ad sortem, sit prior. Quod quidem scruptineum et partitus
predictos predicti Cancellarii teneantur tenere in credentia et se-
creto et nemini di cere vel pandere sub iuramento. Et facta electione
predictorum iniorum, ut dictum est, electores predicti in et de suo
et prò suo quarterio tantum nominent et nominare possint et fa-
cere scribi prò Antianis in mercatores vel artilices quoscumque
volent, videlicet usque in sex tantum prò mercatoribus et usque
in alios sex tantum prò artificibus i^ro quolibet. Et facta dieta no-
minatione dictorum mercatorum et artifìcum, scruptinentur per di-
ctos quadraginta octo sapientes ad scruptineum secretum ad de-
narios albos et giallos, ut infra dicitur, videlicet quod de quolibet
et prò quolibet nominato per mercatorem vel artiflcem fiat scru-
ptineum secretum et partitus ad denarios albos et giallos. Et ille
et illi qui habuerit et liabuerint maiorem partem vocum dictorum
electorum sive de quo vel quibus maior pars dictorum electorum
concordabit scribantur et signentur prò factis Antianis prò mer-
catoribus et artificibus. Et illi, in quibus maior pars non concor-
dabit, scribantur et signentur non factis, nichilominus tamen omnes
tam facti quam non facti signentur ({uot voces liabuerint in partita
de eis facto. Quod quidem scruptineum recipiatur i)er prefatum do-
minum Gualterium et cancellarios supradictos, ut supra dictum
est de prioribus. De quibus vero mercatoribus et artificibus eli-
gantur et cernantur per prefatum dominuui Gualterium de dictis
scruptinatis viginti quactuor mercatores et viginti quactuor arti-
fices in (piolibet et de quolibet (piarterio pisane civitatis. Et facta
(ìli anziani XKl. I.UVEHXO DEL COMUNE PISANO 89
iliota cernii et electione, ut siipia (licitar, illi qui erunt creti per
predictum doiuinuni Gualteriuni prò factis Antianis, prò mercato-
ribus vel artitìcibus. modo predicto, iutelligantur et sint Antiani
prò niercatoribus et artitìcibus prò dicto tempore duorum annorum
et mensium sex. Et servetur et fiat In eis et de eis modus et forma,
qui et «pie servari debet in jivioribus ipsorum Antianorum, de qui-
bus supra tìt mentio.
Et facta electione dictorum Antianorum tam priorum quam
mer«*atorum et (piani artiticum eo modo, ut dictuni est, Antiani
omnes predirti, sicut dictum est, sive eorum nomina apodixentur
et scribantur per suprascriptos cailcellarios in presentia prefati do-
mini Gualterii in apodixis siniplioibus sive spicinatis tantum, dum-
modo in (jualiliet npodixa ponatur sive soribatur unus Antianus
sive nomen unius Antiani tantum. Et si (piis vel si (pii ex toto
proliibitus vel proliibiti esse Antianus vel Antiani secundum pre-
sentia ordinamenta, electus vel electi fuerit vel fuerint Antianus
vel Antiani, non ponatur vel ponantur in dictis tascbis vel aliqua
earum, sed sint ac si electi non essent. Et Cancellarii predicti sub
iuramento teneantur talem vel tales sic electuni vel electos non
ponere vel mietere in dictis taschis vel ali(pm earum. Et (piod fiant
(juactuor tascbe priorum, videlicet una prò quolibet quarterie, in
quarum (pialibet ponantur et mictantur priores decem octo illius
(piarterii. Et similiter fiant quactuor tasche mercatorum et quactuor
artifirum, videlicet una prò quolibet (piarterio dictorum mercato-
rum et similiter artificum. In (piarum (^ualibet dictorum mercatorum
ponantur et mictantur viginti tpiattuor mercatores et in qualibet
artificum ponantur viginti (piattuor mercatores et in qualibet ar-
tificum i)onantur viginti (piattuor artifices. Et omnes predicte tasche
predictorum Antianorum sigillentur et aperiantur prout et sicut in
cai>itulo Brevis pisani populi lotpiente de taschis Antianorum, quod
incipit qiioniam ad rem sacram lathis conUnetur^ et ponantur et
stent in ca])sa solita, cuius claves unam teneat prior dominorum
Antianorum et aliam Cancellarius maior pisani Comunis, ut moris
est. Et postea singulis duobus mensibus videlicet per dies decem
ante exitum Antianorum, (jui tunc fuerint, de dieta tascha Antia-
norum in (jua erunt diete apodixe spici nate per dominum cajjita-
neum i>isani i)<)piili Ael eiui^ viearium in sala palatii pisani populi
in presentia Consilii, ut moris est, extrahantur et extrahi debeant
ad fatum (piactuor priores, (piatuor mercatores et quatuor artifices
dictarum tascharum, scilicet unus prior, unus mercator et unus ar-
tifex cuiustpie (piarterii pisane civitatis, ita tamen quod in extra-
ctione artificum infrascriptus modus servetur, videlicet (piod prima
90 FERRUCCIO RIZZELLI
vice qua extralieiitiir Antiani de dictis taschis, extraliatur et extraìii
(lebeat primo miiis artifex de tasclia artifìcum qiiartevii pontÌ8, .se-
cuiida vero vice extraliatur primo uiius ai-tifex «le ta*»cha artifìcum
qua.rt<erii H\e<lii, t-ertia vero vice extraliatur primo uiius artifex de
tasclia artiiicum quarterii forisporte et (]uarta vice extraliatur primo
uuus artifex <le tasclia artifìcum (piarterii Kintlnce. Et sic fìat con-
tinuo per circuluni in quolibet quarterio pisane civitatis durante
dieta, tasclia temj)ore extractionis ipsorum Antianorum, extractis
primo prioribus et mercatoribus. Et illi, qui sic extracti erunt,
sint et esse intelligantur Antiani prò illis duobus mensibus tunc
proxime venturis. Veruni si aliquis vel aliqui extractus vel extracti
fuerit vel fuerint i)ro Antiano vel Antianis, qui secundum presentia
ordinamenta esse non possit vel possint X)ro illa A'ice, alius vel alii
liabilis vel habiles extrahatur vel extraliantur loco eius vel eorum
de tascha vel taschis, de qua vel quibus extractus vel extracti fuerit
vel fuerint. Et si in dictis taschis vel aliqua earum non reperire-
tur aliquis qui illa vice posset esse Antianus tempore extractionis,
tunc et in dicto casu Antiani presentialiter extracti de dictis ta-
schis, qui comode liaberi poterunt, eligant illuni vel illos qui de-
fìceret vel defìcerent in dicto Antianatii, eligendo pei-sonam vel
personas habilem vel habiles ad dictum ofìicium habendum, secun-
dum presentia ordinamenta.
Et prior dominorum Antianorum tunc in ofìicio existentium
teneatur sub iuramento ipsa die extractionis predictorum Antia-
norum facere ipsos Antianos coliadunari in palatio ipsorum An-
tianorum in aliquo convenienti loco illos qui comode liaberi ])o-
terunt ad faciendum et tìeri facere i)er eos electionem dicti talis
Antiani vel Antianorum, qui in eorum Antianatu defìceret vel de-
fìcerent, ut dietimi est. Et dictus talis Antianus, vel Antiani extra-
ctus vel extracti non valens vel valentes esse illa vice Antianus
vel Antiani reponatur et reponantur in tascham vel taschas nude
extractus vel extracti fuerit vel fuerint. Cui electioni et electoribiis
intersint Cancellarius inaior pisani comunis et Cancellarius dojui-
noruni Antianorum pisani populi vel salteni unus eorum, si alter
esset impeditus et non alius vel alii.
Et quod infrascripti per hec ordinamenta prohibeantur e.sse
ad dictum olfìcium Antianatus, (luando extra lierentur de taschis i)re-
dictis sive eligerentur et loco eorum debeant extrahi et esse alii
habiles, videlicet:
Operariiis pisane maioris ecclesie. Operarius sancte Marie de
ponte novo. Ultra unum de foriiitoribus castrorum et roccharum
pisani Comunis, eis existentibus in dictis ofìiciis. Possit tamen
esse Antianus ille ex eis qui ftniret ofììcium suum tempore <iiio
GLI ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO 91
haberet iiitraiv atl Uictiuii otìiciuin Antianatus taiitiiin. Et eo exi-
sreiite Antiano modulali non debeat de officio quod habuisget.
C'aneellarius ad lioteras tam ille <iui tempore extractìonis esset
in officio qnam ille i\m esset intraturus ad officium tempore quo
intrare deberet ad officium Antianatus. Cancellarius pisani co-
munis ad Consilia et provisiones et cancellarius dominorum Antia-
noium pisani populi, et similiter notarius Antianorum existentes
in officio et ille qui esset intraturus ad officium, ut supra. Doa-
neriiis «loane salis in Plumbino. Doanerius doane salis in Casti-
lione ])iscliarie. Doanerius <loane salis in 8arzana. Doanerius vene
t'eiii de liba, eis existenribus in dictis officiis. Et etiam Castel-
lani et Rectores Luce, fornitor eastiorum et Roccliarum de Luca
et (juilibet alius qui tempore quo intiare deberet ad officium An-
tianatus, esset in alitino officio pisani Comunis in civitate vel di-
strictu lucano eis existentibus in officiis et etiam ex quo electi es-
sent ad ea et illa officia iurassent et acceptassent seu illa iurare
« t acceptare conpelli possent.
Potestas, Capitaneus, Index et Castellanns cuiusque terre pisani
Comunis seu que distringantur per Comune pisanum eis existentibus
in officiis iJiedictis, et etiam ille qui esset intraturus ad aliquod
dictorum officiorum tempore quo intrare deberet ad officium An-
tianatus. Et idem intelligatur de potestate Suvereti et de potestate
Scherlini et de vicariis pisani et lucani comitatuum. Possit tamen
esse Antianus, (luando extralieretur vel eligeretur, quilibet predi-
ctoiiim officialium qui lìniret officium suum tempore quo intrare
deberet ad officium Antianatus, tamen eo existente Antiano de of-
iicio, quod liabuisset, modulari non possit vel debeat.
Absens a civitate pisana per miliariji sexaginta a civitate pi-
sana numeranda, dum tamen non intelligatur de absentibus a dieta
civitate, cpii essent in comitatu vel districtu i)isano, licet essent
absentes a dieta civitate per miliaria sexaginta.
Ille qui non vacasset a dicto officio per mensem decem et octo.
Ultra unum de eadem domo sive patrimonio.
Ultra unum de una et eadem arte.
In uno et eodem Antianatu esse non possit tiliiis, frater car-
nalis vel uterinus, nepos carnalis, patruus, avnnculus, frater pri-
mocosinus, socer et gener.
Et qui iurati non essent in populo pisano et non diligentes
bouum statum pisani Comunis et popiili.
Et qui nati non essent de legiptimo matrimonio, intascliari et
esse possit unus prò quolibet (luarterio pisane civitatis tantum.
Dummodo ipsi tales intascliandi non nati de legitimo matrimonio
sint et esse debeat {sic) legiptimati tempore quo extraberetur ad
92 FERRUCCIO RIZZELLI
dietimi officium Antiaiiatus. J^t 8i tempore quo ad dictum ortìciuiu
Antianatus extralierentiir, legiptiinati non esseht, non possint vel
debeant ipsi vel aliquis eorum esse Antianus vel Antiani et donec
legiptimatus vel legiptimati non fuerit vel fnerint, durante dieta
tasclia. Et lieeat eancellariis pisani Coniunis et dominorum Antia-
norum pisani populi unum per quarterium pisane eivitatis tantum
de non natis de legiptimo matrimonio in tascliis ipsorum Antia-
norum intasehare. Et si aliqui essent in paribus vocibus, de eis
servetur forma supra tradita.
Et qui nati non essent in eiA^tate pisana vel eius distri e tu
ipsi vel eorum patres.
Et minores annis viginti quinque.
Et usurarli qui ex publica'fama liaberentur publici usurarii.
Et qui aliquo tempore in eivitate Pisarum vel eius distrietu
feeerint galicam ipsi vel eorum patres.
Et qui fideles essent alieuius de patrimonio vel alieuius alte-
rius persone layce pisane eivitatis vel distrietus, de qua fìdelitate
esset publicum instrumentum.
Et omnes de septem artibus prò arte aliqua qui artem suam
prineipaliter et direete eontinue tamquam magister de ipsis arti-
bus non exereeant et exereuerint a die qua extraetus fuerit An-
tianus iwY triennium ad minus, et qui fuissent rebelles pisani Co-
munis prò gueltìs vel descendentes.
Et <iui tempore extractionis esset in eareeribus pisani Co-
munis, quacumque de causa, non x)ossit vel debeat esse Antianus
prò illa viee ullo modo et sic servetur et fiat durante dieta taselia,
Aliqua vero alia exceptio vel contrarietas non obstet nec obstare
debeat ijisis Antianis extrahendis vel eligendis de dictis taseìiis
vel ad OS, sed debeant ad ipsum officium iurandum et exercendum
cogi, nulla alia exceptione obstante.
Et (luod Antiani predicti vel aliquis eorum non possint a el
debeant ire prò potestate vel eapitaneo pisani populi quando ve-
nirent ad palatium vel ad ecclesiam maiorem vel ad alium locum,
nec eos vel aliquem eorum somare quando recederent a palatio vel
ab ec^clesia vel alio loco. Et de lioc teneantur iuramento et pena
arbitrio modulatorum eorum.
Et si quis artifex de septem artibus de dictis tascliis extraetus
fuerit Antianus vel electus ad os prò priore vel mercatore et talis
extraetus sive electus si fuerit notarius, ipse notarius ab inde in
antea eligi vel esse non possit ad aliquod officium notarie pisani
Comunis nec eius artem ullo modo exereere. Et si exerceret ullo
modo dictam artem vel aliquod officium notarie pisani Comunis,
non valeat nec teneat illud quod faeeret vel gereret in dieto of-
'il.l ANZIANI NEL (tUVEHNO DEL COMUNE PISANO 93
lirio aliqiio modo vel iure. Et iiicìiiloiiiiims ])08sit et debeat pniiiri
et eondemimari a Sindieo et Modulatore ofticialium pisani Comii-
iiis totieiis quotieiis lioc fecerit in libri» centum denariorum pisa-
noriim. FA ai fuerit alius artifex vel de alia arte de septem artibiig;,
ab inde in antea eligi vel esse non })OS8Ìt ad aliquod offieium sue
artis. Et etiam si dictus talis artifex sic electus Antianus prò priore
A el mercatore acceptaverit et exercuerit et postea aliquod offieium
sue artis exercuerit, numquam esse possit Antianus pisani populi
aliquo modo vel iure, et nichilominus si dictam eius artem exer-
cuerit vel aliquod offieium sue artis acceptaverit et exercuerit in
libris centum denariorum pisanorum. Et quod predicti domini Ca-
pitaneus pisani poi)uli et Sindicus et ]\lodulator officialium pisani
Comunis teneantur et (^uilibet eorum teneatur sub iuramento et
l»ena librarum centum denariorum pisanorum prò quolibet eorum
quotiens contrafecerint vel remissi fuerint vel contrafecerit vel re-
missus fuerit ab eorum et cuiusque eorum modulatoribus auferenda.
Et quod nullus de eligendis et intaschandis prò Antianis, ut
dictum est, esse possit Antianus, durante dieta tasclia, nisi semel
tantum.
Et quod in quolibet Antianatu, durantilnis dictis taschis, sit
et esse debeat unus notarius prò Antiano de intascLatis in dictis
taschis. Et si nullus notarius reperiretur esse in dictis taschis An-
tianorum vel si in eis nullus reperiretur habilis ad dictum offieium
habendum, tunc et in eo casu eligatur et eligi possit ad os x^^i'
alios Antianos, qui tunc de dictis taschis ad dictum offieium An-
tianatus electi sive extracti fuerint, vel maiorem partem eoruni
immediate post eorum electioneni sive extractionem ad dictum of-
fieium de dictis taschis unus bonus et sufficiens notarius de col-
legio notariorum pisane civitatis habilis ad dictum offieium in
Antianum et prò Antiano pisani populi prò duobus mensibus tunc
proxime secuturis. Cui electioni sic fìende intersint et interesse de-
beant Cancellarius maior pisani Comunis ad provisiones et Consilia
et Cancellarius dominorum Antianorum pisani populi vel saltem
unus ex eis, si alter impeditus esset et non alius vel alii.
Et quicumque nominatus et scruptinatus fuerit prò priore do-
minorum Anthianorum pisani j)opuli non possit vel debeat nomi-
nari vel scruptinari prò mercatore vel artifice. Et idem fiat et
servetur de mercatoribus et artificibus. Et quicumque fuerit no-
minatus vel scruptinatus prò Antiano pisani populi, non possit
vel debeat nominari prò Cancellario pisani Comunis vel Cancel-
lario dominorum Antianorum ijisani populi aut Cancellario lucani
Comunis, nec etiam prò notario dominorum Anthianorum pisani
j)opuli. Et quicunupie nominatus vel scruptinatus fuerit prò Can-
94 FERRUCCIO RIZZET>Lr
ct'llurio pisani Comniiis, non possit ve! debeat noniinari vc4 scrii-
ptinari prò Cancellario (loniinonini Antianoriim pisani ])opuli aiit
Canci'llario lucani Comunis. Kt (juicniiKiiic fiicvif noniinatus voi
scniptinatus prò Cancellario dominovuni Antianoruni i)isani j)opuli,
non i)ossit ypl debeat noniinari vel sciuptinari prò Cancellario
lucani Conninis vel doniinormn Antliianorum i)isani populi. P]t
idem liat et seivetur de notavi i;^ dominorum Antianorum pisani
populi. Et 8i noniiiniti vel scru])tinati forent, ipsorum vel alicuius
eorum nominatio <'t sciuptinatio non valeat nec teneat ullo modo ;
set i])so iure sit irrita et inanis. Et quod Cancellarli pisani Co-
iiiuiiis et dominorum Antianorum pisani populi vinculo iuramenti
teneantiir nullum de nominatis vel scru[)tinatis contra dictam
formam intascltaie in ali(iiiam «lictarum tascliarum ad penam eis
et cuius(iue eoruni a Siudico (^t Modulatoi'e ofticialium pisani Co-
munis. si contrafec-erint, eius arbitrio auferendam.
Et (]uicum<pie non fuerit Antianus pisani populi. non possit
A'el debeat iilb» modo nominar! vel scruptinari i)r<) ])riore domi-
norum Antianorum pisani i>opuli, et si nominatus vel scruptinatus
fuerit, di(^ta nominatio vel scruptinatio non valeat nec teneat,
set ii^so iure sit irrita et inanis. Et quod Cancellarii pisani Co-
munis et dominoium Antianorum pisani populi vinculo iuramenti
teneantur nullum nominatum vel scruptinatum contra dictam for-
mam intascliare in ali([uam tasdiam dictorum priorum ad penam
eis <'t cuicjue eorum a Sindico et Modulatore oftìcialium pisani
Coìuunis, si contrafecerit, eius arbitrio auferendam. Et quod ele-
etiones et tasclie dominorum Antianorum ]»isani ])opuli prò futuro
tempore incipiendo fìnitis taschis nuper conticiendis, liaiit et lieri
possint et debeant tempore penultimi Antianatus extraliendi de
su])rascri]>tis tascliis. Et domini Antiani pisani populi vinculo
iuramenti et i)ena librarum centum denariorum pisanorum eis et
cuique eorum a Sindico et Modulatore officialium pisani Comunis
auferenda nullo modo ante predictum tem])us possint vel debeant
jjetere bailiam vel provisionem facere de faciendo aliquas taschas
vel electiones dominorum Anthianorum pisani populi vel taschas
facere vel iieri facere per se vel alios de dominis Antianis pisani
populi, Cancellariis dominorum Antianorum pisani populi, Can-
cellariis pisani Comunis vel Cancellariis lucani Comunis aut No-
tariis ipsorum dominorum Anthianorum vel de corrigendo, provi-
ilendo A-el ordinando directe vel per obliquum aliciuid super dictis
tascliis vel alicjua earum nu])er contici endis, addendo vel minuendo,
et, si fieret, non valeat nec teneat ullo modo. Et quod Cancellarii
pisani Comunis et dominorum Antianorum pisani populi vinculo
iuramenti teneantur nullam s<'ripturam facere vel scribere. nec
GLI ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO 1>5
ali(|uaiii provisioneni si^illair coutia piedistalli fovinam ad peiiaiii
librariiHi centuni denarioiuiiì pisaiiorinn eis et eui([ue eonim a
Siiidico et Modulatore oftìeialiiim pisani Coinunis aiifereiidaiu.
Et (piod tempore dicti penultimi Antiaiiatus in faeiendo seu
tieii faeiendo de novo tascìias et eleetione^ dominorum Antianornm
pisani populi. Caneellarioiiim pisani Comunis et dominorum An-
tianornm pisani populi et lucani Comunis ac etiam notarioruni
ipsorum dominorum Antliianoruni talis modus et forma servetur:
Qiioil per ipsos dominos Antianos in i^rincipio eorum oftìcii vel
quando inde j^lacuerit, liabeatur eonsilium quadrauinta sapientum
virorum ad minus de melioribus et suttìcientiori])Us pisane civitatis
et presentis status, in quo quidam Consilio interesse debeant vi-
giliti quattuor de i^roximioribus prioribus Antianorum Antianatu
predi cto ad minus. Et in dicto Consilio proponatur de tunc novis
tasoliis eonlìeiendis tam dominorum Antianorum pisani po^mli
(juani etiam Cancellariorum et notarioruin predictorum et de liiis
niodis et aliis tenendis et observaiidis in confìciendo ipsas tasclias
et «piambibet earuin. Et prout tune in dicto Consilio providebitiir,
ordinabitur et deliberabitur, ita et taliter fìat et executioni ple-
narie mandetur et sic in posterum successive servetur et fìat de
tempore in tempus.
Et quod fìat tasclia Cancellariorum pisani Comunis ad Consilia
et provisiones in termino trium annorum incipiendorum in ka-
leiidis Martii proxime venturi j)er illos sai)ientes A'iros, quos nia-
i^iiifìcus dominus dominus Gualterius ad liec duxerit eligendiim
ad scruptineum secretum, ad denarios albos et giallos et in eius
preseiitia, quod quidem scrui)tiiieuin per dictuin dominum Gual-
terium recipiatur et cancellarios suprascriptos. In ([ua quidem
fascila ponantur et intasclientur notarii tres sive nomina notario-
rum trium plures voces liabentium per prefatum dominum dominum
Gualterium. Et si aliqui concordarent in paribus vocibus, de eis
fìat et sequatur, prout supra dictum est, de Antianis pisani poi)uli.
Et inde extrabatur notarius unus ad fatum habilis ad dictum
olfìciuin liabendum secundum formam brevi uni et ordinamentorum
l)isani Comunis et populi tempore quo ipsum ofticium reformari
de])ebit ante per dies decem ad miiuis, ita quod otììcium cuiuscine
extracti sive extraliendi de dieta tascha non duret seu durare
possit vel debeat nisi uno anno tantum. Et ille cpii sic extractus
fuerit Cancellarius, sit et esse debeat Cancellarius pisani Comunis
ad Consilia et provisiones prò uno anno tunc proxime venturo cum
otHcio salario et aliis consuetis. Et (juod Hat fascila de offìcio
Cancellariorum dominorum Antianorum pisani populi prò (piactuor
annis incipiendis in kalendis Decembris proxime venturi per su-
96 FERRUCCIO RIZZELLI
prascriptos sapientes. Et de eis tiat et seqiiatiir, prout (lictuiu est
supra (le Cancellariis pisani Comunis, et durent et durare debeant
aimis tribus tantum et non ultra. In qua quideni tasclia niictantur
notarii octo sive nomina notariorum octo et inde extrahatur no-
tarius unus ad fatum habilis ad dietuni oflìeium habendum secun-
dum formani brevium et ordinamentorum pisani Comunis, tempore
quo dictum oftieium reformari debebit antea j^er decem die.s ad
minus, ita quod officium ouiusque extracti sive extrahendi de dictis
taschis duret et durare debeat mensibus sex tantum et non ultra.
Et ille qui sic extractus fuerit Cancellarius, sit et esse del)eat
Cancellarius dominorum Antliianorum pisani i)opuli prò mensibus
sex tunc proxime venturis cum officio, salario et aliis consuetis.
Et quod fìat tasclia Cancellariorum lucani Comunis in termino
quactuor annorum incipiendorum in kalendis Aprelis proxime ven-
turi per suprascriptos sapientes et de eis fiat et sequatur, prout
dictum est supra de Cancellariis pisani Comunis, et duret et du-
rare debeat annis tribus tantum et non ultra, in qua quidem tascba
mictantur octo notarii sive nomina notariorum octo. Et inde extra-
hatur notarius unus ad fatum liabilis ad dictum officium habendum
secundum formam brevium et ordinamentorum pisani Comunis et
populi, tempore quo dictum officium reformari debebit antea per
decenj dies ad minus, ita quod officium cuiusque extracti sive
extrahendi de dictis taschis duret et durare debeat mensibus sex
tantum et non ultra. Et ille, qui sic extractus fuerit, Cancelbirias
sit et esse debeat Cancellarius lucani Comunis j)ro sex niensi])us
tantum tunc proxime venturis cum officio, salario et aliis consuetis.
Et quilibet suprascriptorum omnium Cancellariorum tani pi-
sani Comunis quam dominorum Antianorum pisani populi et quam
lucani Comunis a dictis eorum et cuiusque eorum Cancellariatus
officiis vacet et vacare debeat a die depositi eorum et cuiusciue
eorum officii ad unum annum tunc proxime venturum.
Et quod nullus dictorum Cancellariorum pisani Comunis do-
minorum Antianorum pisani populi et lucaiìi Comunis possit vel
debeat in dictis officiis vel aliquo eorum confirmari vel de novo
eligi vel eius officium prorogari seu modo aliquo in dictis officiis
vel aliquo eorum esse ultra tempora suprascripta. '
Et qui intaschatus fuerit in dictis taschis Cancellariorum pi-
sani Comunis, Cancellariorum dominorum Antianorum pisani po-
puli et Cancellariorum lucani Comunis et extractus fuerit de dictis^
taschis vel aliqua earum ad aliquod dictorum officioruni et illud
habuerit, non possit vel debeat postea de ipsis taschis vel ali (pia
earum aliquod officium liabere. durantibiis dictis taschis, ali(iuo
modo vel iure.
.N(
Et qnoiì taselia et electioiies notarioium (loiiiinoruni Antiano-
niiii pisani populi tìaiit et tìeri possiiit et debeant j)er (loininos
Antianos pisani populi iiunc presentes in officio prò eo tempore et
t«'iiipovibiis et termino et de illis notariis X)isane civitatis, de (^iio
et (juihiiK et eo modo et forma et prout et siciit prefatis dominio
Antianis vel octo ex eis videbitiir et placebit.
Et qiie qiiidem provisio et ordinamenta et compreliensa in eis
examinata et aiiprobata fnerunt a Consilio et in Consilio triginta
quiniiue sapientum virorum pisane civitatis secundum formam
ordinamentoium pisani Comunis inde loqiientium. Et expediat
«lictam provisionem et ordinamenta ratificali etc.
Quod ([uidem Consilium senatus celebra tum fuit dominice In-
carnationis anno millesimo trecentesimo sexagesimo primo, indi-
ctione tertiadecima, tertio kalendas Augusti.
3. 1357, gennaio 5.
[R. Archivio di Stato in Pisa. A. 27].
JRisj9osta degli Anziani di Pisa a Xiecolò d^Alife, amhasciatore dei
lìeali di Xapoli al Comune pisano^ per cliiedere il sussidio navale
o il denaro promesso per l^ impresa della Sicilia.
Ser Vannes Scaccerius prior, Bonaiunta Spanus, Lemnus Vail-
nes, Xicolaus Assopardus, Johannes Lambertucci, Pierus dictus
Castrone vinarius, dominus Filippus Cleri cus, Pellarins Grippes,
Bartliolomeus de Calci notarius, Andreoctus de Vada, Uguccione
Pieri Rau et Bindus Nocchi tabellarius Anthiani pisani populi
eorum officio et vice et nomine pisani Comunis residentes, dictis
et requisitionibus eis prò dicto Comuni et ipsi Comuni factis per
nobilem et prudentem virum dominum Nicolaum de Alifia militem
magne curie Regis et reginalis magistrum ractionalem, procu-
ratorem et nuntium spetialem, ut asserit, Serenissimorum do-
minorum Ludovici et Johanne dei gi-atia Jerusalem et Sicilie
regis et regine et licteris prò parte dominorum, Regis et Re-
gine, Capitaneo, Anthianis, Regiminibus, Consilio et Comuni civi-
tatis pisane directis datis Neocastri die vigesimoquinto Novembris,
decima indictione et ipsis dominis Anthianis per suprascriptum
dominum Nicolaum presentatis; per quas ambaxiatas et licteras
iidem domini Rex et Regina requirunt a comuni Pisarum subsi-
dium quinque galearum prò mensibus tribus seu florenos septem
milia (juingentos secundum (luod comune Pisarum eisdem dare
Akch. Stob. It., 5.» Serie. — XXXIX. 7
98 FERRUCCIO RIZZELLI
teneri as.seruiit ex forma revereiulariim conventionum olim emù
serenissimo principe domino Kege Eoberto initarum, cimi ipsi as-
serant se armasse et continuare intendant armatam prò recupe-
rando residuo insule Sicilie, corani me infrascripto notario etc.
dixerunt et responderunt et dicunt et respondent ipsi domino
Xicolaio, presenti, audienti et intelligenti: Quod comune Pisarum
semper observavit et observare intendit predictas reverendas con-
Tenctiones initas cum olim Serenissimo principe domino Rege
Roberto lerusalem et Sicilie rege, tamen comuni Pisarum per nar-
rata et obstensa sibi seu per ea, que comune Pisarum sciat vel
scire potuerit, non constat taliter prefatam armatam procedere
vel jìrocessisse, quod ius subsidii in dictis reverendis conventio-
nibus contenti et quod petitur a dicto domino Nicolaio a dicto
Comuni prò parte dictorum dominorum Regis et Regine ipsi^ do-
minis Regi et Regine iuridice debeatur. Xichilominus tamen in
casu quo armata in ambaxiata dicti domini Nicolay et in prefatis
licteris regiis exposita, narrata et comprehensa fìat et procedat
aut facta erit modo et forma, quibus dietimi comune Pisarum ex
forma dictarum reverendarum conventionum ad dietimi subsidiuni
teneatur.
Et aliam conciiirant que del>ent concurrere ex forma dictarum
reverendaTimi conventionum, comune Pisarum intendit dietimi su-
bsidium in quantum ad ipsuiii subsidium teneatur, ut supra dietimi
est, in pecunia impendere et sic eligit in casu quo predicta armata
procedat et aliam concurrant, ut supra dictuin est, secimdum for-
mam dictarum conventionum.
4. 1404.
|R. Archivio di Stato in Pisa, A. 197 e. 224 r. e t.].
Capitoli relativi alle attrihuziom degli Aìi:)iani.
Primo quod infrascriptis omnibus agendis per Antianos debeat
interesse vicarius domini et aliter vel alio modo nichil fìat per
eos. Et intelligatur vicarius domini ille quem dominus disposuerit
debere esse cum Antliianis predictis imiis vel plures.
Item in omnibus provisionibus flendis per dietimi vicarium do-
mini et Antianos apponatur titulus in forma infrascripta, videlicet
primo lìonatur dies cum annis domini et indictione deinde dicaturj
Mandato et voluntate Illustris principis et excellentissimi do-
mini domini Gabrielis Marie Vicecomitis Pisarum etc. domini
GLI ANZIANI NEL GOVERNO DEL COMUNE PISANO
provideruut (loiiiiuus vicarius pretati doiuiiii et Anthiani pisani
poimli i>aititii facto inter eos ad deiiarios albos et giallcs seoiinduiii
foiiiiaiii Brevis i)isaiii populi. Et sic in omnibns provisionibus
<»bxervetur.
Et liabeant predicti doniinus vicarius et Antiani providere oni-
nes provisiones ordinarias qiiorunicumque salariorum solvendoruni
otti«'ialibns pisane civitatis tam civibus quani forensibus sicut offici a-
libus Curie cabelle niaioris, Curie cabelle vini, Curie gl'asse et do-
liane salis portaruni pisane civitatis, Campanariorum, banneriorum,
Exactorum, Curiaruni nunptiorum, recercatorum, notariorum, Came-
rarii Cak-ulatoruni, et alioruni omnium recipientium sabirium vigore
suarum electionum sive vigore ordinamentorum pisani Comunis.
Iteni habeant facere provisiones domini potestatis executoris
stipendiiirorum ab equo et pede posteriorum Castellanorum de eorum
soldis. dummodo ipse provisiones sint primo ascultate ad bancum
stipendiariorum predictorum.
Item provisiones militis exbannitorum, potestatuum terrarum
pisani comitatus et Capitaneorum recipientium salaria de pecunia
condepnationum in forma consueta et alias omnes provvisiones
ordinarias.
Item babeant facere provvisiones extraordinari as expensarum
sicut ambaxiatorum, qui mitterentur, expensarum massarii pisani
Comunis prò biboreriisfiendis, dummodo primo revideantur rationess
per calcubitores pisani Comunis.
Item habeant facere j)rovisione8 vini vendendi in grossum per
vinarios, dummodo non sit vinum venale ad minutum et petictiones
primo, quam providentur, sint subscripte per officialem curie ca-
belle vini quod sic sit.
Item habeant facere provisiones elimosine salis quod singiilis
<hiobus mensibus erogatur conventibus, monasteriis et aliis piis
locis et liospitalibus in forma consueta.
Item liabeant facere provisiones extraordinarias comitatus prò
laboreriis ibi fìendis tam vianim quara aggerura et aliorum expe-
dientium reaptari et commissiones sive electiones necessarias prò
predi et is.
Item habeant facere provisiones comitativorum maiorum annis
septuaginta qui volunt se eximi facere de partitu pisani comitatus
prò oneribus personalibus et alias provisiones similes prò comi-
tativis non respicientes in aliquo statum domini.
Item faciant electiones quorumcumque modulatorum offlcialium,
reservata semper bailia domino addendi unum vel plures, si res
recjuireret.
100 FERRUCCIO RIZZELLI, GLI ANZIANI NEL GOVERNO EC.
Item si expediret aliqiiando requirere cives ad Consilia, faciant
dictam electionem reservato semper arbitrio domino addendi vel
minuendi.
Item faciant electiones illoriim civium, qui singulo anno duabus
vicibus, una videlicet in paschate resurrexionis Domini et alia in
testo sancte Marie mensis augusti, eligantur super relaxationem car-
ceratorum et facere inde j^rovisiones opportunas, reservato semper
arbitrio domini, ut supra.
Item facere alias provisiones occurrentes, non tangentes sta-
tum domini in aliquo, dummodo ipse provisiones fìant secunduni
brevia et statuta pisane civitatis et non aliter.
Item facere alias provisiones, que eis imponerentur per do-
minum.
Item quod omnes provisiones, quas fecerint, primo quam po-
nantur in libro, notifìcentur domino et eius Consilio. Et si appro-
bate fuerint, tunc scribantur et dentur requirentibus.
Item quod provisiones subscribantur per vicarium domini et
sigillentur sigillo.
Item conveniant Antiani simul singula ebdomada terrarum.
videlicet die lune et die mercurii ad j^rovidendum et die veneri s
in palatio domini ad referendum et pluries ad voluntatem domini,
si requirentur.
Item faciant incantus cabellarum more consueto et provisiones
necessarias in predictis et in dictis incantibus intersit cum eis.
Item electiones oftìciorum fiendorum tam ad os quam per ta-
sclias scribantur more consueto et detiu* electio unicuique. Demum
solvatur cabella et post modum accipiantur fìdeiuxiones idonee per
notarios cancellarle pisani Comunis more solito. Et litera ultima
officii fiat per cancellarium domini et non alio modo.
Item quod per eorum provisiones non possit derogari officio
potestatis in offlciis curie maris et mercatorum.
-^
-^-
Postilla.
Il prof. Amedeo Grivellucci, che da tanti anni si occupa
di Paolo Diacono, ha voluto portare il suo esame sull' opu-
scoletto De ter min ai ione Provinciarum Italiae, che io pub-
blicai dal codice Ambrosiano A. 226. inf. del sec. XIV (1).
Nel pubblicarlo io posi il quesito : che cosa è lo scritto del
nostro codice? E risposi: «Le ipotesi possono essere due:
« o uno scrittore ha preso la descrizione di Paolo, vi ha
« adattato un principio ed un fine proprio, ha mutato qua
« e là, ha fatto qualche aggiunta etimologica e qualche sop-
« pressione di nomi di città e ha composto quest'operetta ;
« oppure Paolo ha trovato una operetta De ter minat ione pro-
« vinciarum Italiae e T ha usufruita, trasportandola quasi
« di peso nel II libro della sua storia ». Nel corso della
trattazione io esaminai partitamente le due ipotesi ed addussi
le ragioni che potrebbero avvalorare l' una o l' altra ; e con-
clusi col ritenere più probabile la seconda ipotesi, pur senza
professarne assoluta certezza. Le mie espressioni anzi erano
piene di riserve : sicché dopo aver compulsato le prove dal-
l'una parte e dall'altra io concludevo : «Tutti questi indizi
« paiono avvalorare la seconda delle due ipotesi dette. Ed è
« possibile dunque che si abbia qui una operetta del sec. VII,
« usufruita da Paolo e per la maggior parte da lui rifusa nel-
« l'opera sua ». Ad ogni modo io speravo che, pur prescin-
dendo da siffatta questione, per la quale io stesso non pro-
fessavo certezza, gli studiosi di Paolo Diacono avrebbero
gradito la conoscenza del testo antico che io loro presen-
tavo. Di quella parte del libro II di Paolo si hanno alcuni
excerpta e gli storici hanno creduto opportuno di farli co-
(1) Cfr. Crivkllugci, nel periodico Stiulì Storici, voi. XV, fase. I,
pp. 115 wegg. La mia pubblicazione è yvqW Archivio Storico Italiano,
2.a dispensa del 19()6.
102 CARLO PASCAL
noscere agli studiosi, benché spesso le variazioni del testo fos-
sero del tutto insignificanti : perchè avrebbe dovuto essere poco
gradita la conoscenza di questo testo, che presentava varianti
ed aggiunte di qualche rilievo, ed organismo di opera com-
piuta e titolo speciale ed attribuzione ad autore diverso?
Queste ragioni non hanno ottenuto grazia presso il pro-
fessore Grivellucci. Tutti gli altri testi di quella descrizione
egli gradisce di conoscerli e li cita e se ne giova (p. 121);
il mio no; anzi, secondo lui, io potevo risparmiarne la pub-
blicazione (p. 122), e così, egli soggiunge, avrei risparmiato
a lui la sua recensione, di cui i suoi studi su Paolo gli han
fatto quasi un dovere. V^ediamo dunque che cosa dice que-
sto provetto studioso di Paolo.
Quei termini così discreti che io avevo fìssati, circa T ac-
cettazione dell' una ipotesi o dell' altra, egli li varca risolu-
tamente. Secondo lui io, per risolvere la questione nel senso
che a me piace, ricorro ad argomenti ingegnosi e sottili,, ma
che non reggono alla critica. Vediamo perchè. La prima
ragione da me addotta è che la descrizione d' Italia, colà
dov'è in Paolo, ci si presenta quasi come una intrusione,
mentre nel nostro testo ha l' aspetto di opera compiuta ed
organica. È una impressione, s'intende, ne io avevo dato a
cotal ragione valore che eccedesse tali limiti ; avevo anzi
scritto: Si ha insomma l'impressione che l'autore (Paolo)
avendo nominato in quel punto la Venetia abbia voluto illu-
strarla geograficamente e sia ricorso a un trattato ecc. Que-
sta impressione non ha trovato favorevole accoglimento presso
il Grivellucci. Si noti tuttavia, egli dice (p. 117), che quella
descrizione è opportunissima in una storia dei Longobardi
in Italia, e proprio lì, al momento in cui essi penetrano
nella penisola e fa anzi onore a Paolo come storico l'aver
sentita V opportunità di premettere cpiella descrizione. Se-
nonchè la descrizione d' Italia abbraccia tutte le regioni, fin
giù giù, e si estende alla Sicilia, alla Corsica, alla Sardegna
e finisce con le favole circa i primitivi abitanti d' Italia, e
con un accenno circa l'origine dei suoi nomi: si può proprio
sostenere che tutto questo abbia a che fare con l'entrata
dei Longobardi in Italia? Ad ogni modo, può osservarsi,
anche ammesso che in quel punto la descrizione d'Italia sia
SÙLl/OPERA « DE TEKMIXATIONE PROVINCIARUM ITALIAE » lOo
una intrusione, e che Paolo abbia tolto di peso da un trat-
tato, chi ci dice che questo trattato sia quello del codice
Ambrosiano'^? Chi ci dice invece che il testo Ambrosiano non
sia un excerptmn di Paolo? Giustissimo: dol)biamo dunque
esaminare, l'uno di fronte all'altro, i due testi: quello di
Paolo e quello del codice Ambrosiano ; quale dei due ha in-
dizi di seriorità rispetto all'altro? Per me l'opera più an-
tica è quella del codice Ambrosiano, per il Grivellucci que-
sta non è che un excerptnm di Paolo. Ma che cosa ha
opposto alle ragioni mie il chiaro critico? Il nostro ms. no-
mina la città di Ticimis; Paolo dice : Ticinits quae alio no-
mine Papia appellatur ; queste parole non hanno tutta l'aria
di un'aggiunta, fatta per menzionare anche il nome recente
della città ? (1). Ma può pensarsi ad una omissione dell'e^c-
cerptor Ambrosiano ! Sicuro, ed anch' io avevo ciò dichia-
rato; si dovrebbe anzi pensare a ciò, se non avessimo che
questo unico indizio : ma se invece tutti gli altri indizi co-
spirano a questa unica conclusione, a farci ritenere cioè
seriore il testo di Paolo, dobbiamo crederli casuali tutti ?
La Terminano ha totius mundi caput urbem Bomam.
Paolo ha : Roma quae olim totius mundi caput extitit. Roma
continuò certamente ad esser chiamata caput mundi, per
tradizione, anche dopo Paolo ; ma io domando : tra le due
frasi, quale rivela uno studio di esattezza e di precisione
maggiore? quale dunque si manifesta dovuta al desiderio
di emendar l'altra? Certamente quella di Paolo, che dice:
quae olim... extitit. Oppure si dovrà ricorrere anche qui alla
ipotesi della omissione?
Andiamo avanti: la Terminatio, avevo detto io, contiene
errori, ma non contraddizioni. Ma Paolo, per ripetere macchi-
nalmente quegli errori, cade in parecchie contraddizioni con
le notizie che egli dà in altre parti dell'opera o della descrizione
stessa d'Italia. Apportiamo un esempio. Bohium si trova presso
(li lui nella quinta provincia e nella nona. La verità è che
doveva porsi appunto nella quinta, e Paolo stesso infatti
in TV. 41 l'attribuisce alle Alpes Cottiae (quinta pi'ovincia).
(1) ]j'('xr('rj)for del cod. Vatic. Palat. Lat. 1)65, del sec. XIV, vivendo in
epoca nella quale il nome /^fipla aveva ormai assoluta prevalenza, cambia
risolutamente così: Papia (/tic oliiii vacata rsf Tijcìiìuh a fUivUt Ticino.
104 CARLO PASCAL
Ora la Terminatio noi pone nella quinta, e nella nona
pone invece Bohinium. Si tratterà anche qui di una omis-
sione nella quinta provincia? Non si può escludere, perchè
nel § 15 della Terminatio par che il testo sia bruscamente
interrotto dopo Gallortim ; ma d'altra parte sembra pure
ovvia r idea che Paolo sia stato indotto da quel Bobiniuni
a porre erroneamente un Bohìum nella nona provincia. Ed
il fatto è che nell' ambito della Terminatio non vi sono con-
traddizioni e incongruenze, e nella descrizione di Paolo vi
sono : il preteso excerptor avrebbe dunque fatto un lavoro
critico sull'opera di Paolo per eliminarle? Tutto si può sup-
porre, ma è proprio questa l' ipotesi più probabile? o non
piuttosto che Paolo, riproducendo macchinalmente la Ter-
minatio, non si sia accorto delle contraddizioni in cui ve-
niva a cadere con sé stesso?
Ma il chiaro critico aggiunge le presunte prove della
seriorità della Terminatio. E sono prove linguistiche. La
Terminatio, ad esempio, sostituisce in occiduiim a in eii-
mm (§ 1), dicitur a perhihetur (§ 9), fertilissima a satis
ferax (§ 12), sìint a consistunt (§ 13), Umbria... habet a in
Umbria... consistunt (§ 18): insomma rivela la tendenza a
semplificare ed abbreviare i testi. Il guaio è che in occiduum,
come avvertimmo, è lezione dubbia (1) e che ad ogni modo nep-
pure la parola enriim può dirsi sicuramente estranea alla Ter-
minatio, giacché forse é da riporre al § 15 (v. ivi nota); e cosi
pure la Terminatio ha al § 42 consistit, al § 56 quorum fe-
rax est; perché in questi passi V excerptor non avrebbe so-
stituito le parole più comuni? Nel § 1 la Terminatio ha
tyrrheni aut hadriatici maris, Paolo ha sire. L' aut è più
vicino all'uso classico, sire in tal senso é medioevale; dove é
dunque l' indizio di seriorità ? Nel § 30 la Terminatio ha : a
Poenis, Paolo ha: a Punicis hoc est Annibale et eius exer-
citii. Non si ravvisano qui evidenti segni di un'aggiunta,
fatta per dichiarare e spiegare meglio? Gli esempì addotti
dal Grivellucci non provano quindi, pare a me, la sua tesi.
Infine aggiungerò qualche parola circa il codice Vati-
(1) Come già notammo, il codice ha i ned Uni. Piol)al)ilmente il suo
originale aveva In eonin. come ha il Vat. Lat. i:361, f. 8.°, che gli è
strettamente affine.
sull'opera « DE TERMINATIONE PROVIXCL^RUM ITALIAE » 105
(•ano Liit. 1361, del sec. Xll, su cui richiama 1^ attenzione il
prof. Grivellucci (1). Egli giustamente notii la grande affinità
che è tra le lezioni di quel codice e quelle del nostro. Per
apportare qualche prova, dirò che nell' uno e nell' altro
sono i medesimi errori grafici; ad es. (n. l23) ah urbe Roma
per ah iiherrima, (n. i25) a regione per a reginae, ecc. Di più
la descrizione d' Italia che è in questo codice ha l'etimolo-
gia di Capua, come la TerminaUo, non ha il nome più re-
cente Papia, di Roma dice totius mundi caput urhem Ro-
ma m, e non ha la menzione del monasterium Bohitim.
Differisce quindi dalla TerminaUo solo perchè quest' ultima
aggiunge l'etimologia del nome Sicilia a ficii et oleo ed in
fine \)o\ il primo miracolo. Evidentemente i due scritti hanno
tra di loro stretto rapporto. Ma che cosa è lo scritto del co-
dice Vaticano? Esso è anonimo e senza titolo, come ho
novellamente verificato sul codice ; e fa seguito (foglio 8.'^
del cod.) ad un catalogo di papi sino a Innocenzo II e ad
un catalogo d' imperatori sino a Lotario III ; il raccogli-
tore aggiunse a quelle notizie storiche d' Italia quest' al-
tro scritto di indole storico -geografica. Dato quindi che
la ipotesi di una operetta De terminatione provinciarum
anieriore a Paolo semhri la più probabile, noi non avremmo
nel codice Vaticano, se non una copia del sec. XII di tale
operetta. Ad ogni modo, confesso di non comprendere come
il riscontro di tal codice abbia potuto sembrare decisivo per
fare respingere l' ipotesi mia. La quale ipotesi io ripresento
ora con rinnovata fiducia, non perchè io professi per essa
un'assoluta certezza, o stimi dovere abbandonare le riserve
di cui già la circondai, ma perchè mi pare tuttora, riesa-
minate le ragioni tutte, la più piobabile.
Catania. Carlo Pascal.
(1) II Crivellucei enumera cinque codici della descrizione d'Italia,
Clii vuol notizie più particolari sui detti codici potrà ricorrere ai lavori
da me citati in principio del mio primo studio (p. 4 dell' estr.), ove però
l'indicazione: Xoticea et extr., XXXI, 1, è da correggere XXXII, 1. Altre
copie di quella descrizione cita il Graf, Homo nelìa nunnurla ec, I, p. 68,
Di altre tre copie darò prossimamente notizia. neW Archivio storico per
hi SicHi(f (ti'it'nldlo .
Aneddoti e Varietà
Galileo Galilei e Don Giovanni de' Medici.
Tra i fatti rimasti oscuri nella biografia di Galileo, e che for-
tunatamente sono ormai ridotti ad assai pochi, oscurissimo per chi
non voglia limitarsi a ripetere le altrui affermazioni è quello dei
motivi per i quali egli si indusse ad abbandonare dopo un triennio
di lettura lo Studio di Pisa. Ch' egli avesse già pensato a lasciarlo
appena insediatovi, abbiamo indubbiamente da una lettera scrit-
tagli da Guidobaldo del Monte sotto il io aprile 1590, poiché
altrimenti non potrebbero interpretarsi quelle parole : « Mi è som-
« mamente caro di haver nuova di lei ; ma io non resto compita-
« mente satisfatto, perchè la vorrei veder più contenta e meglio
« trattata, secondo li meriti suoi » (i), mentre tutto il rimanente
della lettera tratta di pratiche che il Marchese del Monte aveva
intavolate a Venezia, con la mira di Padova, ed a Bologna per
procurare al suo giovane amico più onorevole od almeno più pro-
ficuo collocamento. Ma perchè Galileo, le cui condizioni econo-
miche, già poco liete, s'erano aggravate per la morte del padre,
si decidesse a rinunziare a quel pane, per quanto scarso ed in-
grato, dovettero certamente intervenire altre circostanze oltre alle
opposizioni che per parte della maggioranza dei suoi colleghi ave-
vano incontrato le idee novatrici da lui enunciate e sostenute; e
ciò tanto più perchè anche le condizioni che da principio gli fu-
rono fatte a Padova non erano per verità tanto laute da giusti-
ficare la deliberazione di espatriare.
Ora, se noi dovessimo prestare piena fede ai due biografi che
furono testimoni degli ultimi anni della sua vita e che contempo-
(i) Le Opere di Gauleo Galilei, Edizione Nazionale sotto gli auspici
di Sua Maestà il Re d'Italia, voi. X, Firenze, tip. G. Barbèra, 1900, p. 42.
ANTONIO FAVARO, GALILEO GALILEI EC. 107
rancamente (t) ne tesserono la biografia, mancherebbe ogni ragione
di incertezza e di oscurità, le quali invece rimangono e si fanno
più gravi e più dense per il fatto che le loro asserzioni non erano
finora confortate dal più lieve ed anco indiretto documento.
Dell'insegnamento tenuto da GaHleo in Pisa, e delle ragioni
per le quali si indusse a lasciarlo, scrive infatti Vincenzio Viviani:
« Sostenne perciò questa cattedra con tanta fama e reputazione
« appresso gì' intendenti di mente ben affetta e sincera, che molti
« filosofastri suoi emuli, fomentati da invidia, se gli eccitarono con-
« tro ; e servendosi di strumento per atterrarlo, del giudizio dato
« da esso sopra una tal macchina, d'invenzione d'un eminente
« soggetto, proposta per votar la darsina di Livorno, alla quale il
« Galileo con fondamenti meccanici e con libertà filosofica aveva
« fatto pronostico di mal evento (come in efì'etto seguì), seppero
'< con maligne impressioni provocargli l'odio di quel gran perso-
« naggio: ond'egli, rivolgendo l'animo suo all'offerte che più volte
« gì' erano state fatte della cattedra di Padova, che per morte di
« Gioseppe INIoleti stette gran tempo vacante, per consiglio e con
« r indirizzo del Signor Marchese Guidubaldo s'elesse con buona
« grazia del Ser."^® Gran Duca, di mutar clima, avanti che i suoi
« av\'ersarì avessero a godere del suo precipizio » (2). Qui dunque
il Viviani non fa il nome dell'inventore, e dice soltanto ch'era
« un eminente soggetto » ; ma poiché Monsignore Niccolò Gherar-
dini, che ripete, come vedremo subito, in termini analoghi la me-
desima narrazione, dice chiaramente che si trattava d'uno di casa
siedici, si comprende senz'altro come il Viviani, che scriveva per
commissione del Principe Leopoldo, l'abbia taciuto.
11 Gherardini infatti, detto dell' insegnaipento impartito da Ga-
lileo in Pisa, soggiunge : « ma per accidente occorso, non stimò
« bene di continuare in quella lettura. La resoluzzione ebbe que-
« sta causa. In quei giorni haveà proposto il S.'' D. Giovanni ch'in
« Pisa si facesse una certa fabbrica, non so già se di fortificazzione
(l) Sene deciviasettima di Scampoli Galileiani, raccolti da ANTONIO
Fa VARO {Aiti e Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in
Padova, Nuova serie, voi. XXIII, pag. il), Padova, tip,. G. B. Randi, 1907.
(2; Le Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale ec, voi. XIX,
\). 606.
108 ANTONIO FAVARO
« o d'altro edifizio. Per l'effettuazzione del disegno si era concluso
« di metter in opra alcune macchine, quali, con il parere de' periti,
« erano giudicate molto a proposito: solo il S.^" Galileo s'oppose,
« e con ragioni forse troppo vive procurò impedirne l'esecuzzione.
« Quello che seguisse, io non lo so; so bene che la contradizione
« non fu grata al S.'' D. Giovanni, il quale con parole di molto sdegno
« ne mostrò risentimento : di che si intimori il S/ Galileo di ma-
« niera, che stimò bene non dopo molto tempo domandar licenza
« da quella condotta, con disgusto grande di quel S.J* dal Monte,
« quale procurò di distorlo dal pensiero, offerendosi per ogni buono
« offizio appresso di chiunque fosse bisognato; ma noi potè otte-
« nere, perchè il S/ Galileo havea stabilito di voler tentare altra
« fortuna » (i). Il qual « S."" D. Giovanni » è appunto quello del
quale poche linee più sopra scrive il Gherardini che la grande
reputazione di cui incominciò a godere Galileo poco più che ado-
lescente «arrivò all'orecchie dell' Ecc.'"^ S. D. Giovanni de' Medici,
« signor di gran qualità et esperienza di guerra, se si considera
« principalmente l'intelligenza che hebbe singolarissima delle for-
« tificazioni e delle macchine d'ogni sorte ». Ed è ancora lo stesso
del quale il Viviani citato scrive ch'ebbe Galileo « gratissimo e
famigliare » a motivo dei grandi elogi che gliene aveva fatti il
Marchese Guidobaldo del Monte, lasciando comprendere che non
senza qualche sua partecipazione ebbe luogo la condotta allo
Studio di Pisa (2) : partecipazione la quale invece è dal Gherar-
dini esplicitamente affermata, cosi anzi da far credere che ad essa
sia andato esclusivamente debitore Galileo della sua elezione (3).
Il Don Giovanni de' Medici, che viene in modo tanto significativo
ad entrare nella vita di Galileo, era il figlio naturale che il Granduca
Cosimo aveva avuto da Leonora degli Albizzi addì 13 maggio del
1567 (4), e che venne subito legittimato con grande solennità e
(1) Op. cit., voi. XIX, p. 638.
(2) Op. cit., voi. XIX, p. 605.
(3) Op. cit., voi. XIX, p. 638.
(4) I libri battesimali dell'Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze
ne serbano questa memoria: « 1567, giovedì, addì 15 maggio; don Giovanni
« dello ill.mo Sig. Duca Cosimo de' Medici, duca di Firenze et Siena, po-
« polo di Santa Felicita. Nato addi 13, hore 20^/^. Compari il signor An-
« tonio da Montalvo e madonna Margherita Filopetra de'Bertini ».
(i.M.ILKn GALILEI E DON GIOVANNI DE' MEDICI 109
riccamente dotato (i), mentre poco dopo, fors' anco perchè all'or-
mai provetto Cosimo arrideva la prospettiva dei nuovi amori con
la Martelli, faceva sposare la madre a Carlo di Bartolomeo Pan-
ciatichi (2). Crebbe Don Giovanni carissimo al padre ed anche
al fratello Francesco, il quale anzi lo mandava, dodicenne appena^
a capo di quella famosa ambasceria che doveva ringraziare la
Serenissima Repubblica Veneta per aver dichiarata la Bianca Cap-
pello vera e particolar figliuola di San Marco, in considerazione
« di quelle preclarissime e singolarissime doti che dignissima la
fanno di ogni gran fortuna ». Don Giovanni anzi nel ritornare a
Firenze fu colpito a Padova dal vainolo, e la Repubblica non ri-
sparmiò premure e diligenze perchè fosse assistito e curato dai
Rettori della città e dai due più famosi medici, il Mercuriale ed
il Capodivacca (3).
A partire dall'anno 1582 intorno ai fatti di Don Giovanni
de' Medici ci informa una narrazione che ne lasciò Cosimo Ba-
roncelli (4), patrizio fiorentino, entrato al suo servizio in qualità di
paggio appunto in quest'anno e che gli fu quasi costantemente
compagno nella brillante carriera militare che incominciò nel 1585
(i) Tra le Perga?nene Medicee del Diplomatico; e nei libri dei Privi-
legi, presso V Atiditore delle Rifor^nagioni (1567-70), sono i diversi atti di
donazione che Cosimo fece a questo suo figlio naturale e che gli costitui-
vano un cospicuo patrimonio.
(2) Cfr. Tragedie medicee do7nestiche (i55'J-8'j), narrate su documenti
da Guglielmo Enrico Saltini, premessavi una introduzione sul governo
di Cosimo I, Firenze, G. Barbèra editore, 1898, pp, 178-227.
(3) Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della Casa Me-
dici, to. II, Firenze, MDCCLXXXI, per Gaetano Cambiagi, p. 316.
(4) Discorso istorico del sig. Cosimo là ASsmcKLLi, fatto a' stcoi figliuoli
della vita e morte di Don Giovanni de' Medici, figlio ftaturale del Gran
Duca Cosimo Primo, con la morte di Concino Concini e della Dianora Bosi
sua moglie seguita a Parigi, essendo i favoriti del Re Enrico 4" e della
Regina Alaria, figlia del Gran Duca Francesco de' Medici, con gli accidenti
della Signora Livia Vernazzi moglie del stid.o Don Giovanni e sopra V in-
validità del matrimonio della stid.<^ e con altri notabili accidenti. AIs. Ma-
gliabechiano della Biblioteca Nazionale di Firenze, segnato Classe XXV,.
370 : un esemplare se ne ha pure nella Biblioteca Marucelliana, scaff. A,.
fase. 224.
110 ANTONIO FAVxVRO
recandosi al servizio della Spagna in Fiandra, dov'era la miglior
scuola di guerra di quei tempi.
Senonchè, morto il Granduca Francesco, e mutato con la
ascensione di Ferdinando al trono di Toscana, anche in conse-
guejiza del suo matrimonio con Cristina di Lorena, l'indirizzo po-
litico, sotto pretesto che i suoi servizi non erano tenuti nel debito
conto, Don Giovanni fu richiamato; e convien dire che, sebbene
appena ventenne, egli godesse già di una singolare riputazione
nelle cose militari, perchè, poco dopo ripatriato, il Granduca lo
mandò per tutto lo Stato a rivedere i luoghi fortificati e suggerire
quali altri avrebbero dovuto essere muniti.
Don Giovanni era adunque in Toscana al tempo in cui, con-
forme riferiscono i citati biografi di Galileo, ne avrebbe favorita
la elezione alla Cattedra di Pisa, ed in Toscana pare sia rimasto
(tranne i frequenti viaggi a Roma per inchinarvi, di commissione
del Granduca, i quattro Papi che si succedettero a cosi breve di-
stanza l'uno dall'altro: Urbano VII, Gregorio XIV, Innocenzio IX
e Clemente VIII) fino al 1594: vi era dunque anche al tempo nel
quale, conforme più o meno esplicitamente afi'ermano il Viviani
ed il Gherardini, avrebbe avuto luogo lo screzio fra di lui e Ga-
lileo, a motivo del parere dato da questo intorno alla invenzione
proposta da Don Giovanni, per la darsena di Livorno secondo il
primo, per certa costruzione in Pisa conforme il secondo.
Ora il Dott. EmiUo Wohlwill, acutissimo fra gli studiosi di cose
galileiane, notò di recente (i) la soverchia facilità con la quale la
narrazione dell'episodio era stata accolta sulla fede delle due as-
serzioni citate, che evidentemente tanto il Targioni - Tozzetti (2)
quanto il Nelli (3), se anche non le citarono né l'uno né l'altro, si
tennero a ripetere senza sottoporle a controllo; e mentre, come
egli giustamente osserva, di un apparato che doveva servire ad
(1) Galilri-Studien, von Emil Wohlwill. II, Der Abschied von Pisa
(Schluss). Separatabdruck aus Mitteiluiigen ziir Geschichte der Medizùi ri.nd
Natttr'wisseJischaften. n, 18, V Band, n. 2 und n. 3, 1906, pp. 439 segg.
(2) Notizie degli aggrandimeiiti delle 'scienze fisiche accaduti in Toscana
nel corso di anni LX del secolo XVII, raccolte dal dr. Gio. Targioni-
TozzETTi, tom. I, in Firenze, MDCCLXXX, pp. 529-30.
(3) Vita e cofiimercio letterario di Galileo Galilei ecc., scritta da Gio.
Battista Clemexte de' Nelli, voi. I, Losanna, 1793, p. 47.
GALILEO GALILEI E DON GIOVANNI DE MI
USO pubblico, così del disegno come del parere dei competenti
in materia, e tanto del successo quanto dell'insuccesso gli archivi
fiorentini avrebbero dovuto serbare qualche traccia, nulla nulla
affatto, non ostante le indagini che, ben si comprende, devono
essere state ripetutamente istituite, si è rinvenuto di relativo a
questo argomento, è indotto a sollevare più che ragionevoli dubbi
sulla verità del fatto, ed a cercare con il suo consueto acume, se
i due biografi o avessero asserita cosa destituita di qualsiasi fon-
damento, o quanto meno fossero caduti in un equivoco.
E seì)bene noi siamo ben lungi dal portare completa luce sul-
l'argomento in questione, confidiamo di farne travedere almeno un
bagliore e di porgere con esso un filo che guidi alla scoperta di
tutta intera la verità ; dimostrando ancora una volta che, per quanto
tutto ciò che vien riferito dal Viviani e dal Gherardini non possa
prendersi come oro di coppella, pur tuttavia, particolarmente per
quelle circostanze della vita di Galileo che è presumibile abbiano
potuto attingere dalle sue labbra istesse e riferire poi, quanto pur
si voglia alterate, le loro narrazioni sono assai più degne di fede
di quello che generalmente si creda (x).
Sta anzitutto il fatto che intorno al 1590 (2) il Granduca
Ferdinando volse tutte le sue cure a colorire quell'antico disegno
di Casa Medici, secondo il quale Pisa avrebbe dovuto essere l'em-
porio della mercatura, e Livorno servirle di porto, raccogliendo
così le tradizioni commerciali e marittime dell'antica Repubblica
Pisana. A questo fine il Granduca Cosimo aveva da un lato con
privilegi e comodi d'ogni specie ricniamate le persone più speri-
mentate nei traffici, e curata dall'altro la congiunzione di Pisa con
Livorno mediante un canale navigabile: Ferdinando poi, conve-
(i) Senza ripetere qui i motivi per i quali dissento a tale proposito
dal mio egregio amico, dr. Emilio Wohlwtcll, mi richiamo a ciò ch'ebbi
a scriverne nella nota intitolata : U episodio di Giistccvo Adolfo di Svezia
nei racconti della Vita di Galileo {Atti del R. Istituto veneto di scienze,
lettere ed arti, to. LXV, par. II, pp. 17-39), Venezia, officine grafiche di
C. Ferrari, 1906 ed a p. 6-12 della mia Serie decimasettima di Scampoli
Galileiani {Atti e Meviorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in
Padova, voi. XXIII), Padova, tip. G. B. Randi, 1907.
(2) Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della Casa .!/■-
dici, to. III, Firenze, MDCCLXXXI, per Gaetano Cambiagi, pp. 34-35.
112 ANTONIO F AVARO
nuto con alcuni dei principali mercanti genovesi che a Pisa si tra-
sferissero le celebri fiere di Besanzone, « si portò, scrive il Galluzzi,
« egli stesso a Livorno per dar principio ad un porto, ad una città
« e ad una nuova fortezza. Seco era Don Giovanni de' Medici suo
« fratello già istruito nell'architettura militare e Fra Antonio Mar-
« telli Cavaliere Gerosolimitano destinato a dirigere l'escavazione
« del porto. Fu quivi stabilito che si riempisse di case e di abi-
« tatori il circondario eretto da Francesco, e che a questa nuova
« città si aggiungesse una cittadella che gli facilitasse la difesa e la
« communicazione di terra ferma : il Bontalenti e Don Giovanni
« de' Medici ne avevano già concertate le piante. Li dieci di Gen-
« naio [1590] si gettarono i fondamenti della fortezza nuova e il
« G. Duca assistè con la sua presenza per dar vigore in quel prin-
« cipio a un'opera cosi importante » (i). Fra le più gravi difficoltà
tuttavia che si opponevano era che il porto non potè mai « con-
« servarsi netto dall'aliga e dalle immondezze che il mare vi de-
« positava e che insidiavano la salubrità del Paese » (2).
Di qui adunque risulta assodato che a provvedimenti e co-
struzioni in Pisa ed in Livorno era stato posto mano nel 1590 e
che tra coloro che erano stati chiamati a contribuire con l'opera
e col consiglio era pure Don Giovanni de' Medici: quindi la va-
rietà dei particolari concernenti Livorno, secondo il Viviani, e
Pisa, secondo il Gherardini, rimarrebbe fino ad un certo punto spie-
gata. Che poi Don Giovanni abbia prestata effettivamente l'opera
sua e che nel 1591 o nel 1592 attendesse in Livorno ad un « mo-
dello » che, secondo ogni probabilità, aveva relazione con i lavori
del porto, risulta indubbiamente da una sua lettera al Granduca
che ci venne conservata tra le carte di Don Giovanni ultimamente
legate dal Conte Cosimo degli Alessandri al Comune di Firenze
con facoltà di depositarle in quell'istituto scientifico della città
(i) Op. cit, p. 36.
(2) Op. cit., p. 37. Nel Diario ben noto del Settimanni, a e. 228 r.
del voi. V: « Addi ix di febbr. 1590 » (s. f.) si parla di lavori fatti « vo-
« lendo il Ser.mo Granduca votare e fabbricare una nuova darsina, congiunta
« di verso mezzo giorno al Porto Vecchio di Livorno » e a e. 281 r. del
medesimo volume: « Addi vni di febbraio 1591 » (s. f.), si narra che fu
incominciato a votare il Porto Nuovo a Livorno.
'i.VLlLEO GALILEI E DON LilUVAXNI DE'MEDICI Ilo
< .iv ci^^>.-^c .stimato meglio opportuno, che negli Alessandri erano
pervenute dai Baroncelli nei quali erano rimaste con la eredità di
c|uel Cosimo che abbiamo già avuta occasione di ricordare, e che
presentemente sono nell'Archivio di Stato di Firenze. Questa lettera
è a car. 173 d'una busta oggidì segnata col n.° 5154, è in data
17 marzo 1591 e quindi non può escludersi la possibihtà che sia
Aò Incarnai ione ^ cioè del 1592, ed in essa testualmente leggiamo:
« Il modello si va finendo tuttavia et Maestro Raffaello è venuto
« molto a proposito, che mi dà aiuto grande dopo le sue faccende
« del misurare. Non ci sono ancora né mattoni né sassi, né si pos-
« sono condurre con questi mali tempi, tuttavia si va spianando
« et facendo quel che si può, né partirò di qua senza bavere la-
« sciato il modello finito di tutto punto. Et con questo di nuovo
« fo reverenza humilmente a \'. A.
« Di Livorno, li 17 di Marzo 1591.
« Di V. A. Ser.ma
« Humiliss.nfio et Obligat.^o Ser.^e
« Don Giovanni Medici ».
La esistenza di un « modello » ideato da Don Giovani de' Me-
dici intorno al 1591 o 1592, in relazione con i lavori che desta-
vano le maggiori preoccupazioni per il porto di Livorno, è quindi
posta fuor di dubbio, ma purtroppo tra le minute granducali non
abbiamo rinvenuta la risposta a questa lettera, né trovammo alcuna
altra notizia a questo argomento relativa, sicché, almeno per ora,
non siamo in grado d'aggiungere ulteriori schiarimenti. Noi non
crediamo ad ogni modo che, come forse di suo aggiunge il Nelli,
intomo al modello sia stato chiesto dal Granduca il parere di
Galileo, ma è tutt'altro che fuori di luogo ch'egli, sia pur priva-
tamente, abbia espresso il suo parere contrario alla effettuazione
di quel disegno, e che da alcuni suoi malevoli sia stato riferito a
Don Giovanni, con le conseguenze che si possono agevolmente sup-
porre. Dell'insuccesso della invenzione si ha ad ogni modo la
quasi certezza da quanto di sopra abbiamo riferito, né vogliamo
spingerci ulteriormente con le ipotesi che ciascuno può fare da
sé e che troverebbero appoggio in alcune presunzioni di certo
mal 'animo che Don Giovanni de' Medici conservò, o si credette
che conservasse, verso Galileo.
Arch. Stor. It., 5." Serie. — XXXIX. 8
114 ANTONIO FAYARO
Quando infatti contro le scoperte celesti partecipate al mondo
dal Sidereus Nuncms si levò la turba degli oppositori, uno tra essi,
e dei peggio avvisati, Francesco Sizzi, imbastita la sua Dianoia,
non trovò di meglio a cui indirizzarla che a Don Giovanni de' Me-
dici, e siccome recava la consuetudine che le dedicatorie fossero
preventivamente accettate, e nel caso in questione gì' intendimenti
ostili dell'autore verso Galileo erano anche troppo palesi dal ti-
tolo stesso dell'opera (i), convien credere che Don Giovanni, in-
terpellato, non vi si sia rifiutato, o che per lo meno il Sizzi
conoscesse i sentimenti di lui verso Galileo e fors'anco le opinioni
intorno alle scoperte annunziate,, e fosse indotto a pensare che
non gli sarebbe tornata sgradita. E se nulla di ciò può rilevarsi
dai termini nei quali la dedicatoria è concepita, ben diversamente
passarono le cose, in un caso analogo, quando cioè Lodovico delle
Colombe, antico avversario di Galileo a proposito della Nuova
Stella del 1604, prese ad impugnarne i ragionamenti e le conclu-
sioni intorno alle cose che stanno su l'acqua o che in quella si
muovono, imperciocché, dedicando egli il suo Discorso apologetico a
Don Giovanni de' Medici, espressamente scrive: « A Lei si doveva
« dedicar questa mia disputa.... quale ella si sia : imperocché.... la
« risolvette in favor mio » (2); e, come si rileva da altro luogo
del Discorso, lo stesso Don Giovanni era presente almeno ad alcune
tra le dispute alle quali la controversa questione aveva dato argo-
mento (3). Le quali dispute; se anche avevano condotto a con-
clusioni soltanto nel secondo semestre dell'anno 161 1, e provocata
la ben nota stampa di Galileo nel 1Ó12, avevano però avuto prin-
cipio alcuni anni innanzi, come si rileva da un frammento cancel-
lato degli studi di Galileo a quell'argomento relativi e che abbiamo
per la prima volta restituito alla luce e pubblicato. Colà infatti,
sotto le cancellature, abbiamo letto : « Io so che 1' A. V. benissimo
« si ricorda, come quattro anni fa mi occorse alla presenza sua
(1) Aiavoia astronomica, optica, physica, qjia Syderei Nnntn 7-wnor de
qitatttor planetis a Galilaeo Galilaei rnaiheìnatico celeberrimo, recens per-
spicilU cuiusdam ope conspectis, vamcs reddittir, Auctore FRANCrsco SiTlO
fiorentino, Venetiis, 161 1, apud Petrum Mariani Bertanum.
(2) Le Opere di GALILEO GALILEI, Ediz. Nazionale ec, voi, IV, \). 315.
(3) Op. cit., voi. IV, p. 319.
(iAl.ll,K(> (.Al. ILEI K DON UlOVANXI DE' MEDICI 115
« contradire al parere di alcuni ingegneri, per altro eccellenti
« nella profession loro, li quali, nel divisare il modo di contessere
« una larghissima spianata di legnami, la quale, aiutata dalla pro-
« pria leggerezza del legno e da gran moltitudine di vasi, pur di
« legno ma concavi e pieni d'aria, sopra i quali, già sottopostigli
« in aqqua, la detta spianata riposasse, facevano gran capitale del-
« l'aiuto, il quale si promettevano dall'ampiezza della superficie, la
« quale, distesa sopra larghissimo campo di aqqua, speravano che
« fusse per dovere e poter sostenere, senza sommergersi, il doppio
« o' 1 triplo, più di peso, che il computo minuto e particolare,
« raccolto separatamente da i detti vasi tavole e travi, non dimo-
« strava loro. Sopra della qual credenza io dissi, che non bisognava
« far capitale che quella macchina, ancor che spaziosissima, fusse
« per sostenere niente di più di quello che sosterrebbero le sue
« parti disgiunte e separate, o in altra macchina, di qual si
« volesse altra forma, riunite; concludendo io generalmente, che
« la figura non poteva essere di aiuto o disaiuto a i corpi solidi
« nell'andare o non andare al fondo nell'aqqiia » (i).
Galileo adunque ricorda qui una discussione seguita quattro
anni prima, e sebbene gli studi preparatori alla definitiva stesura
del trattato si debbano benissimo supporre intrapresi nel 1611, e
quindi possa intendersi che egli voglia risalire al 1607, io credo
fermamente che il dibattito qui ricordato abbia avuto luogo nel
1608, e precisamente nell'estate di quest'anno, poiché nel 1Ò07
Galileo non fu, almeno per quanto finora ci risulta, in Toscana,
mentre vi si trattenne durante tutte le vacanze del 1Ó08, essendo
anzi ed a lungo ospite della Corte nella Villa Ferdinanda ad
Artimino (2). La Altezza, alla quale Galileo si rivolge nel suo discorso,
è Cosimo II Granduca, che nel 1608 era ancora Granprincipe di
Toscana.
Si potrebbe ora desiderare di sapere se Don Giovanni de' Me-
dici, il quale condusse così gran parte della sua vita fuori della
patria, sia stato presente alla disputa a cui in termini cosi chiari
ed espliciti accenna Galileo, e per questo converrà che, sia pur
per sommi capi, lo andiamo seguendo con la scorta principale della
narrazione citata del Baroncelli.
(i) Op. cit., voi. IV, p. 32, nota 3.
(2) Op. cit, voi. X, pp. 217-23.
116 ANTONIO FATAR 0
Fino al 1594 adunque egli si trattenne in Toscana trascor-
rendo il tempo negli studi di architettura civile (i) e militare e
raccogliendo gli studiosi nel suo palazzo in Parione e splendida-
mente trattenendoli e qui e nelle ville dalle quali troviamo fre-
quentemente date le sue lettere conservateci nelle carte Ales-
sandri : benché giovanissimo ancora, non disdegnava gli studi più
severi e le conversazioni con i più gravi filosofi e in Firenze e
in Pisa, di che fornisce indiretta testimonianza anche Iacopo Maz-
zoni che lo dice « omni scientiarum genere cumulatissime ornatus »
nell'opera (2) che diede occasione alla ben nota lettera indiriz-
zatagli da Galileo (3). Ma appunto nel 1594, eletto dall'Imperatore
Rodolfo II a Generale dell' artiglieria nella campagna contro il
Turco, lasciava la Toscana e l'Italia avendo al suo comando ben
duemila fanti e quattrocento cavalli armati e mantenuti a tutte
spese del Granduca in quella guerra nella quale Don Giovanni
diresse fra altro la espugnazione di Strigonia e l'assalto di Vis-
grado, benché la infelice perdita di Giavarino impedisse che da
quella campagna si raccogliessero tutti i frutti che se ne erano
sperati.
Di ritorno dalla guerra, come comandante in capo delle ga-
lere toscane prese parte nel 1597 alla ben nota spedizione di
JMarsiglia, dove pare abbia avuto il torto di lasciarsi sfuggire e di
non saper poi raggiungere il famoso corsaro Amurat Rais, dal quale
i Marsigliesi non erano rifuggiti dall' invocare aiuto.
(i) Fra le più cospicue opere d'arte alle quali Don Giovanni de'Me-
DICI attese nel corso della sua vita, vogliamo qui in particolar modo ricor-
dare le Cappelle IMedicee in San Lorenzo {Delle tre sorduose cappelle vie-
dicee situate nelV Imp. Basilica di San Lorenzo, Descrizione istorico-critica
del canonico Domenico AIoreni ec, Firenze, presso Carli e Comp., 1813,
pp. 200, 301-45), in concorso con Bernardo Buontalenti, che vuoisi sia
stato suo maestro, e la facciata di Santa Maria del Fiore {Vita e cojnt?iercio
letterario di Galileo Galilei qc, scritta da Gio. BATTISTA Clemente de' Nelli,
voi. I, Losanna, 1793, p. 826).
(2) Jacobi Mazzonii Caesenatis, in almo Gymnasio Pisano Aristotelem
ordinarie, Platonem vero extra ordinem profitentis. In tiniver sarti Platonis
et Aristotelis Philosophiatn praeludia, sive de cotnparatione Platonis et Ari-
stotelis ec, lib. I, Venetiis, M.D.XCVII, apud Ioannem Guerilium, p. 195.
{3) Le Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale ec, voi. II,
pp. 197-202.
GALILEO GALILEI E DON GIOVANNI DE' MEDICI 117
Nel 1599 lo troviamo in Ispagna a capo della Ambasceria
mandata a Re Filippo III, dove, causa la macchia della sua ori-
gine, non potè, nonostante i grandi servigi resi già in Fiandra,
conseguire il Grandato al quale aspirava.
Nel 1600 comandava le diciotto galere che. con inaudita e
più che regale magnificenza, accompagnarono a Marsiglia la nuova
Regina Maria de' Medici, e dopo aver nuovamente militato in Fian-
dra, fallitogli il tentativo d' accomodarsi con Re Giacomo d' Inghil-
terra, fu assunto ai servigi di Enrico IV con ragguardevole sti-
pendio e con straordinarie distinzioni; ma coinvolto nei famosi
intrighi di quella Corte e poco gradito alla Regina, la quale anzi
ripetutamente ebbe a lagnarsene col Granduca, con grande ram-
marico del Re se ne licenziò.
Preceduto dal fido Baroncelli, Don Giovanni fece ritorno in
Italia nell'aprile del 1608 e confidando, per le promesse fattegliene
dall'Ambasciatore Veneto a Parigi (i), di poter essere subito con-
dotto agli stipendi della Serenissima, venne a Venezia e si pre-
sentò in Collegio addi 17 maggio ricevuto dal Doge con ogni
dimostrazione d'onore ed in risposta alle sue domande ed esibi-
zioni ebbe le seguenti parole : « La proferta poi di V. S. della
« sua persona sarà conservata da noi et da questi Sig.""' per un
« principal deposito ne' nostri cuori, et per farne alle occasioni
« quella molta stima che si deve. La sia dunque, diremo cosi, la
« benvenuta, con sicurezza di essere et amata et benissimo veduta
« da tutti, et si prometta di dover o in questa città, o Padoa, o
« altro luogo che si fermerà, ricever tutte quelle sodisfattioni, che
« merita la sua persona, et la sua particolar buona dispositione
« verso questo Dominio » (2). Nulla dunque era stato predisposto
perchè Don Giovanni venisse condotto, conforme gli era stato fatto
sperare a Parigi, sicché egli si trattenne in attesa, come e dove
risulta da quest'altro documento in data 21 maggio 1608: « Venuto
(i) Pietro Friuli e forse anche Antoxio Foscarixi, perchè l'ultimo
dispaccio del primo è del 19 aprile 1608 ed il primo del secondo sta sotto
il dì 26 dicembre 1607. Ved. a questo proposito il citato Discorso istorico
del Baroncelli, a c. 58.
(2) Archivio di Stato di Venezia, Esposizioni Principi, reg. 20,
PP. 33-35-
118 ANTONIO FAVARO
«neirEcc.™° Collegio 1' 111."^° SìgJ Geronimo Capello (i) fu del-
« rill.™° SìgJ Vincenzo, disse che essendo andato il SìgJ Don Gio-
« vanni de' Medici per visitarlo, Sua Signoria lU.'"^ fece far la iscusa-
« tione di non poter ricever la visita per le leggi della Ser.'"^ Rep.'^^
« Ma che ricercata licenza alli Ecc,™^ Sig/ì Capi di andarlo a visi-
« tare, et passati li debiti ufficii di complimento, esso Sig.^ Don Gio.
« le disse che voleva esser servitor non di parole ma di fatti a
« questa Ser.""^ Rep.^^ et per ciò haveva preso casa in Padoa et
« la voleva prender anco in questa città, per fermarsi in questo
« Stato et che non dimandava titolo, et quanto al resto si sarebbe
« accomodato alla volontà di Sua Ser.*^, pur che potesse ha ver
« qualche iscusatione presso a gli altri Principi di fermarsi più in
« questo Stato che in altro luoco; il che potria far con maggior
« quiete di animo quando fusse fatto degno di servir con effetti
« a questa Ser.""^ Rep.^^. Il che tutto haveva voluto rifferire, acciò
« Sua Ser.t^ restasse conscia di quanto haveva inteso » (2).
Nel maggio 1608 aveva dunque Don Giovanni presa stabile
dimora in Padova e vi si trovò quindi contemporaneamente a Ga-
lileo ; e poiché non risulta in alcun modo di relazioni passate tra
loro in tale occasione, è lecito argomentare non corressero tra di
essi amichevoli rapporti, contribuendovi fors'anco certi attriti tra
Giovanni de' Medici e Giovanni Battista del Monte, generale delle
fanterie della Repubblica, residente in Padova e col quale Gali-
leo si trovava ormai da tanti anni in amichevole relazione. Non
si protrasse tuttavia a lungo il soggiorno di Don Giovanni in Pa-
dova, poiché dovendosi nell'autunno di quello stesso anno cele-
brare le nozze del Granprincipe Cosimo con l'Arciduchessa Maria
Maddalena d' Austria, vi fu invitato egli pure e si recò a Firenze,
e quindi può benissimo essersi trovato alla Corte nella occasione
in cui alla presenza di Cosimo ebbero luogo le accennate prime
(t) Ci sembra di dover notare die questo illustre Patrizio, che aveva
già coperte varie cariche nel Governo della Serenissima, era in ottime rela-
zioni con la Casa Medici, e di queste si era anzi giovato Galileo per vedere
esaudite dal Senato Veneto alcune sue domande. Cfr. Galileo Galilei e lo Studio
di Padova, per ANTONIO Favaro, voi. IT, Firenze, successori Le Mounier,
1883, pp. 130-31.
(2) AR(.:hivio di Stato di Venezia, Esposizioni Principi, reg, 20, p. 36.
GALILEO GALILEI E DON GIOVANNI DE'MEDICI 119
avvisaglie delle dispute sulle Galleggianti delle quali abbiamo toc-
i:ato, sebbene il diario ben noto del Tinghi (i)non menzioni Don Gio-
vanni fra le persone che furono ospiti della Villa Ferdinanda ad
Artimino, la quale fermamente noi teniamo sia stata la scena di
i[uelle discussioni: sebbene d'altra parte non crediamo che queste
siano state appunto a dar motivo agli stridori fra Don Giovanni e
Galileo, come presumerebbe il Wohlwill citato, il quale stima siano
caduti in equivoco il Viviani ed il Gherardini che li fanno risa-
lire a tanti anni innanzi e vi riconoscono anzi le cause per le
quali Galileo si indusse a lasciare lo Studio di Pisa.
Si trattenne Don Giovanni in Firenze anche dopo celebrate
le nozze granducali, e mentre si disponeva a far ritorno a Padova
venne a morte il Granduca Ferdinando, sicché, pur sempre col-
tivando la idea di entrare ai servigi della Serenissima, fu costretto
a trattenersi per allora in Toscana. Vedendo pertanto come gravi
difficoltà si opponessero al conseguimento del suo desiderio, nel-
r ottobre 1Ò09 mandava a Venezia il fido Baroncelli, il quale, rac-
tomandato da lui, veniva condotto come capitano d'armi agli
stipendi della Serenissima (2), riuscendo ai suoi abili maneggi di
ottenere che circa un anno dopo fosse condotto a condizioni ono-
revolissime anche Don Giovanni. Questa condotta veniva delibe-
rata addì 24 settembre 1610 (3), e quindi allorché egli si recava a
Venezia per assumerla, Galileo aveva già abbandonata la lettura
nello Studio di Padova.
Come poi abbia potuto Don Giovanni de' Medici trovarsi pre-
sente alla disputa ricordata da Lodovico delle Colombe si spiega
col fatto che addi 11 febbraio lóii egli aveva ottenuta dal Se-
nato una prima licenza di due mesi, prorogata di altri due il
22 aprile e nuovamente il 9 luglio e fino al 27 dicembre, giorno
nel quale gU fu concessa la sanatoria per l'assenza durata oltre
il permesso (4); mentre sappiamo d'altra parte che durante tutto
(i) Biblioteca Nazionale di Firenze, mss. Gixo Capponi, 261, voi. I,
ce. 213t.-2l8t.
(2) Archivio di Stato di Venezia, Senato, Secreti, filza 80. Deli-
1) razione 20 febbraio 1609 m. v.
(3) Ibid., Senato, Secreti, filza 81.
(4) Ibid., Senato, Secreti, filza 81; Senato Terra, filze 197-98-99, 201.
120 ANTONIO FAYARO
questo tempo egli si era trattenuto in Toscana per soprintendere
ai lavori ripresi nel porto di Livorno (i).
Le successive vicende della vita di Don Giovanni de' Medici
non presentano per Io scopo nostro alcun interesse: diremo sol-
tanto che, scaduto dalla condotta della Repubblica per averla
senza le debite licenze abbandonata (2), disgustato poi della Corte
di Toscana per conto della quale aveva ancora abilmente con-
dotti negoziati delicatissimi senza averne riconoscimento pari alle
sue benemerenze, e per altri intimi motivi che provocarono cause
clamorose le quali non entrano nel quadro della nostra narrazione,
procurò ed ottenne d'essere ricondotto (3), e ritiratosi definitiva-
mente negli Stati della Serenissima, mancò ai vivi in Murano
addì 19 luglio 162 1.
Nessuna traccia di relazioni dirette tra Don Giovanni de' Me-
dici e Galileo è conservata nei Manoscritti Galileiani da noi ormai
così compiutamente studiati da dover escludere che potesse esserci
sfuggita. In quelle buste però ch'ebbimo la ventura di scoprire
nel 1885 fra i resti della Bibhoteca Palatina (4), e che sono pre-
sentemente nella Nazionale di Firenze in appendice alla Colle-
zione Galileiana propriamente detta, abbiamo trovata una carta
nella quale trovansi insieme riuniti, e non sapremmo per quale
caso, il nome di Don Giovanni de' Medici e la mano di Galileo.
Le carte 313-314 della busta segnata col n*' 9 (5) contengono
infatti una canzone « AH' Ecc.'"» Sisf. D. Giovanni Medici » e nel
(i) Potremmo di ciò addurre molti documenti, ma ci limiteremo a
riferirci a quanto ne narra il Galluzzi nella Istoria del Gramhicato di To-
scana sotto il governo nella Casa Medici, tom. Ili, Firenze, MDCCLXXXI,
P. 313.
(2) Archivio di Stato di Venezia, Senato, Secreti, filza 86, Fra
altri documenti, reggasi quello sotto il dì 7 agosto 161 3.
(3) Ibid., Senato, filza 93. Deliberazione degli li novembre 161 6 e
documenti ad essa allegati.
(4) Intorno ad alcuni Documenti Galileiani recentemente scoperti nella
Biblioteca Nazionale di Firenze, per Antonio Fa varo (estratto dal Bullet-
tino di Bibliografia e di Storia delle Scienze tnatematiche e fisiche, tom. XIX,
gennaio, 1886), Roma, tip. delle Scienze matematiche e fisiche, 1886.
(5) Intitolata sul dorso: /. Galileo. Lavori per servire alla vita di
Galileo, raccolti dal ViVlANi e dal Xelli.
GALILEO GALILEI E DON GIOVANNI DE' MEDICI 121
tergo della 314 leggiamo scritto di mano di Galileo: « Canzone
del S. Chiabrera ». Questa è la stessa stampata fra le opere del
Chiabrera col titolo: « Canzone all'Illus. ed Eccel. Sig. D. Gio-
« vanni Medici. Da alcune poesie sopra la morte del Principe
« D. Francesco Medici » (i). Il quale Chiabrera poi dovette essere
in assai strette relazioni con Don Giovanni, poiché molte altre
volte indirizzò sue composizioni poetiche al valoroso bastardo Me-
diceo (2), ed una anche « Al Signor Cosimo Baroncelli, quando
D. Giovanni Medici fu condotto da' Veneziani » (3) ; e finalmente
noteremo che Don Giovanni stesso in una lettera al Baroncelli
data da Venezia sotto il dì 5 settembre 1Ó15, e che si legge a
car. Ó4 della busta 2^ del legato Alessandri, scriveva: « Hebbi il
« Poema del S. Chiabrera, et con questa sarà la risposta: V. S.
« a mio nome lo ringrazi e me gli offerisca affettuosamente sic-
« come cordialmente io l'amo ».
Padova. Antonio Favaro.
(i) Delle Opere di Gabbriello Chiabrera., tom. IV, contenente le
poesie liriche omesse nella edizione di Roma ec, in Venezia, presso An-
giolo Geremia, MDCCXXXI, pp. 1-2.
{2) Delle Opere di Gabbriello Chiabrera, in questa ultima impres-
sione tutte in un corpo novellamente unite, tom. I, contenente le canzoni
eroiche, le lugubri, le morali e le sagre ec, in Venezia, presso Angiolo
Geremia, MDCCXXX, pp. 33-47, 303-04, 427-29.
(3) Op. cit., pp. 443-44-
^^
Rassegna Bibliografica
Sebastiano Salomone, Storia di Augusta. — II ed., Augusta, 1905.
Il signor S. Salomone ha pubblicato la seconda edizione della
sua Storia di Augusta, uscita la prima volta nel 1876. Questo lavoro,
ora più completo e più organico, non ha grandi pretese, ma è con-
dotto con grande amore, con giusta misura e in forma popolare. Qua
e là forse sarebbe stato meglio approfondire certe questioni, ma ciò
non toglie niente al merito del lavoro. Il S. tratta dei primi abi-
tatori di quella contrada, poi di Megara Iblea, delT espansione dei
3Iegaresi, che, oltre a fondare Selinunte, andarono a popolare la città
di Xifonia; della distruzione di Megara per opera di Marcello, delle
reliquie di Megara e delle istituzioni megaresi. Continua dicendo che
i cittadini profughi, temendo di non potere ricostruire Megara, se
ne vennero in Xifonia imponendole il nome della loro terra origi-
naria, che questa nuova città venne distrutta da Sesto Pompeo
nella guerra civile coi Triumviri, essendo quei cittadini partigiani
dì Augusto, e che questi sulle rovine ancora fumanti fece ricostruire
la città dandole il nome di Augusta (42 a. C). Essa ebbe poche vi-
cende importanti sino al principio del secolo XIII, quando venne in
quel posto « Federico II per ripararsi dai furori di una tempesta, e
« vedendo la bellezza del sito, la sicurezza della rada, la posizione
« strategica della rocca normanna, concepì il disegno di fondarvi una
«nuova città e d'ingrandire il castello».
L'Imperatore concesse alla città di poter mandare due Deputati
al Parlamento di Foggia (1240) e il diritto di partecipare a tutti i
Parlamenti del* regno. Augusta, per la sua fedeltà agli Svevi, fu pu-
nita terribilmente dagli Angioini che vi commisero stragi nefande.
Dopo il Vespro sostenne un lungo assedio, ma finalmente cadde in
potere degli Aragonesi ; e allora il re Federico prima e Ferdinando
di Castiglia dopo concedettero in feudo la città che, salvo un breve
intervallo, rimase città feudale sino al 1575. Nel 1641 soffri, come
tutta l'Isola, una gravissima carestia; nel 1675, essendo insorta Mes-
sina ed essendosi accordati i Messinesi con Luigi XIV per cedergli
SALOMONE, STORIA DI AUGUSTA 123
la Sicilia, questi spedi un'armata che riuscì ad impadronirsi di Au-
uiista e che fu poi sconfìtta dal famoso ammiraglio olandese liuyter
(^essendo l'Olanda alleata allora della Spagna) (22 aprile 1676).
Luigi XIV, dopo quasi tre anni di inutile lotta, abbandonò l'Isola
e lasciò i suoi partigiani e specialmente i Messinesi in balla degli
Spagnuoli che si vendicarono barbaramente dei loro sudditi ribelli.
Seguono altre notizie sulla casa di Savoia in Sicilia, su Augusta nel
secolo XIX e specialmente sui Carbonari nel 1820, sul colera del 1837,
sul grave terremoto del 1848, sulla rivoluzione dello stesso anno
e su quella del 1860. Il S. accenna anche agli uomini illustri di Au-
gusta, ma si dilunga troppo sulla città d'oggi, sui nomi antichi delle
vie, sulle chiese, sui conventi, sulle opere pubbliche, sulle condi-
zioni economiche, sulla marina da cabotaggio, sulla demopsicologia
() folMore augustano, ec. ec. Quest'ultima parte del lavoro è molto
prolissa e sarebbe riuscita più confacente all'indole di esso, se fosse
stata più riassunta. Insomma il lavoro del S. merita di essere lodato
abbastanza.
Massa. G. Bianco.
Pio Pecchiai, L'Opera della Frimaziale Pisana. Notizie storiche e
documenti. Elenco degli Operai. Begesto di diplomi a tutto il do-
dicesimo secolo. — Pisa, Mariotti, 1906.
Con la guida sicura di autentici documenti e portando un con-
tributo alla storia dell'Opera della Primaziale Pisana, il Pecchiai
ha provato chiaramente non esser quella fino dalle sue origini
una istituzione di Stato, come taluno ha preteso di addimostrare.
Quest'Opera cominciata ecclesiastica è addivenuta istituzione civile,
senza però esser mai istituzione di Stato. Difatti, salvo rarissime
eccezioni, sopra di essa nessun atto d'imperio, ma solo di protezione
e tutela, hanno esercitato i governi, che, nello svolgere dei secoli,
in Pisa si son succeduti. Che se talora questa tutela apparve e fu
soverchiamente grave, non fu mai tale, che potesse dirsi esser quel-
l'Opera addivenuta istituzione di Stato.
Del resto essa, come tutte le istituzioni simili a questa, che con
nomi diversi si trovano allato alle antichissime chiese, specialmente
cattedrali, sono state costituite per la necessità di provvedere al-
l'amministrazione dei beni, che la pietosa magnificenza dei principi
o la devozione dei popoli donavano alle chiese. Queste donazioni di
sovente ricchissime per larghe possessioni, per danari e cose pre-
ziose, doveano servire al culto delle chiese, al sostentamento del
124 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
vescovo e del clero ed al mantenimento delle fabbriche sacre, e per-
chè fatte alla chiesa, erano dai sacri canoni e dai vescovi nominati
prima fra gli nomini di chiesa, e poi anche nel laicato coloro che
per la chiesa dovevano conservare ed amministrare tali beni. Circa
il secolo XIII le civili autorità pretesero, togliendolo ai vescovi ed
al clero, il diritto di nominare gli amministratori del patrimonio
delle chiese, ma non si fecero mai lecito di esercitare tale ufficio,
come funzione di governo, ma solo per tutela e difesa delle chiese
medesime. Come questo sia avvenuto nella chiesa Pisana ha mostrato
il Pecchiai, narrando sempre con l'aiuto delle antiche carte lo svol-
gimento storico dell'Opera della Primaziale Pisana, contro chi per i
suoi fini leggendo a suo modo i documenti avea di quest'Opera
preteso falsarne la natura col farla una istituzione di Stato.
Dobbiamo poi esser grati all'autore di questa monografia per
averci dato completo l'elenco degli operai con esattissima diligenza
copiato dagli autentici documenti dei ricchi archivi Pisani, per il
valido aiuto che tali compilazioni, quando son condotte a dovere,
porgono agli studiosi delle cose avvenute nei tempi che furono.
Che se meritevole di lode si è reso il Pecchiai pubblicando
l'elenco degli operai, di tanta maggiore importanza avrebbe dotato
il suo studio, se il regesto dei documenti riguardanti l'Opera del
Duomo di Pisa fosse stato fatto di pubblica ragione nella sua in-
tegrità, senza trascurare quelle indicazioni, che rendendolo completo
lo avrebbero fatto tanto più utile agli studiosi della storia Pisana
per le persone ed i luoghi nominati in quelle carte.
Del resto, lo studio del Pecchiai prova quanto sieno utili i re-
gesti delle carte specialmente delle chiese e monasteri, che hanno
avuto i loro principi nella più remota antichità.
Firenze. G. B. Ristori.
G. Volpe, Per la Storia giuridica ed economica del Medio Ero. —
(Estr. dagli Studi Storici, voi. XIV, fase. TI. Pisa, 1905).
Dall'esame di tre recenti libri d'indole storica e giuridica, che
hanno fatto fare un passo importante agli studf economici e sociali,
il prof. Volpe coglie occasione per porre in termini netti e precisi
le questioni che concernono la proprietà fondiaria nel M. E., i patti
agrari, la condizione personale e lo stato giuridico degli agricoltori
nella vita curtense, le origini nell'alto M. E. del lavoro industriale,
lo sviluppo dei commerci nell'Italia superiore, ecc.
VOLPE, STORIA (tIVRIDICA ED ECONOMICA DEL MEDIO EVO 125
Le opere prese ad esame sono: 1." Un volume di L. M. Hart-
ìiANX contenente sei monografie, raccolte sotto il titolo Zur Wirt-
!<chaftsgeschìchte Italiens in frùhen M. E. — 2.'^ / contratti agrari
in Italia nelVaUo M. E. (Torino, 1904), di S. PiVANO. — 3.'' Bistun\
loid Geldwirtscliaft dello Schneider, in Queìlen und Forschungen
dell'Istituto Prussiano in Roma, Vili, 1905.
Il primo scrittore rivolge i suoi studi ad alcune fra le maggiori
proprietà ecclesiastiche, alle corporazioni d'arte nell'Italia bizantina,
;il commercio nella valle del Po, ai diritti di mercato, agli oneri
dei cittadini per le opere pubbliche. Sostiene la tesi che l'ordina-
mento fondiario del M. E. è in sostanza una continuazione o tra-
sformazione dell'ordinamento romano. Esaminando le proprietà ec-
clesiastiche, la prova del fatto riesce più evidente, perchè nella
Chiesa si conservò più intatta la tradizione antica.
Il dotto tedesco considera il livello e Fenfiteusi come due veri
contratti agrari, distinti fra loro per la durata, la entità della con-
cessione, la persona del concessionario, ecc. Invece il Pivano. con
una teoria nuova e convincente, divide i contratti in due grandi
categorie: contratti formali, cioè il livello, la precaria e la prestarla;
contratti reali, cioè l'enfiteusi, il pastinato, la porzionaria, la co-
Ionia, la masseria, l'usufrutto vitalizio, la locazione a tempo e la
parziaria. Questa distinzione sembra al nostro A. troppo rìgida,
perchè non vi è considerata in giusta misura l'importanza delle ra-
dicali modificazioni che la natura dei contratti agrari ebbe a subire
nei diversi tempi. Lo stesso Pivano è costretto a riconoscere che
coll'andar del tempo il livello perdette la sua natura di contratto
formale e si confuse con l'enfiteusi. Ad ogni modo, osserva il Volpe^
l'aver dato poco peso allo svolgimento storico non toglie merito
alla concezione del Pivano, perchè giuridicamente la teoria rimane
intatta.
Una monografia dell'Hartmann sulla economia del monastero di
Bobbio offre al Volpe l'opportunità di studiare il livello nel suo
svolgimento storico e di considerare alcuni aspetti meno noti del-
l'ordinamento agrario in Italia nell'alto M. E. Egli propone la se-
guente classificazione delle plebi rurali, cioè dei lavoratori della
terra non proprietari: da una parte il personale dominico, costituito
da servi rustici, domestici e artigiani curtensi; dall'altra gli agri-
coltori che hanno un manzo in cultura autonoma, siano essi servi
o massari, aldi o coloni, livellari o commendati. Nei fondi eccle-
siastici, a differenza di quel che avviene nei laici, la prima cate-
goria di uomini scarseggia, la seconda invece è numerosa. Il nostro
A. continua col considerare la condizione dei coloni, dei massari e
126 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
dei livellari, i quali tutti dopo il sec. Vili tendono a conglobarsi
in una massa unica.
Quanto al lavoro industriale, il Volpe enumera i modi coi quali
si provvedeva al bisogno dei prodotti dell'industria nelle corti. Una
parte del lavoro era compiuto in economia dai dipendenti della
corte; un'altra parte dai liberi lavoratori, che vendevano i loro pro-
dotti nei mercati. I liberi artigiani crebbero dall' Vili secolo in poi,
e si raccolsero in corporazioni o scolae, nelle quali l'Hartmann vede,
come nell'ordinamento agrario, la continuità della tradizione ro-
mana. Questo scrittore tratta dell'argomento, prendendo ad esame
i documenti dell'Italia bizantina, nella monografia intitolata Zur
GescMchte der Ziinfte in friihen M. E. Il Volpe ammette il fatto
per le città bizantine, quaJi Roma e Ravenna, ove la tradizione la-
tina ebbe salde radici: ma nega che lo stesso principio si possa
estendere alle regioni dell'Italia non bizantina. In queste la ten-
denza corporativa si sviluppò più tardi, non prima forse del sec. XI ;
e non fu di origine curtense, né derivazione dall'antico. Fu invece
una nuova creazione storica, coeva o posteriore a quella che dette
vita alla più ampia corporazione del Comune.
Gli ultimi due studi dell'Hartmann: ComaccMo iind der Po-
Handel e Marktrecht iind Mimerà trattano del commercio italiano
nell'alto M. E. Prime forme di scambi sono il trasporto dei prodotti
agricoli dalle corti lontane alla centrale e quello degli stessi dalle
campagne alla città, per la vendita sul mercato. A quest' ultimo in-
tento i grandi proprietari, e specialmente le Chiese più ricche di
fondi, hanno casa o corte nella città più vicina al luogo di loro
residenza ; e speciali impiegati, scelti fra i loro dipendenti, so-
vrastanno all'azienda commerciale e trasportano per le vie fluviali
su navicelli propri i prodotti, che vanno al mercato. Altro cespite
commerciale è il lavoro dei liberi artigiani. Ma assai più impor-
tante è il commercio interregionale e internazionale, esercitato
dalla classe dei mercatores. La via di comunicazione più comoda
nell'alta Italia per i mercanti di professione è il corso del Po: e
le città, che presto acquistarono maggiore importanza commerciale
in questa zona territoriale, furono Venezia e Comacchio. L'Hart-
mann esamina e analizza i trattati che re Liutprando stipulò con
queste due città; e mostra come la maggior parte dei diritti por-
tuali, di ripatico ed altre rendite e privilegi commerciali passarono
a po' per volta nelle mani degli ecclesiastici. Similmente avvenne
dei mercati (anche essi, secondo l'Hartmann di origine romana e
distinti fra settimanali e annuali, .cioè urbani e rurali) e delle re-
lative rendite. Coi diritti di mercato le chiese acquistarono, mediante
VOLPE, STORIA GIURIDICA ED ECONOMICA DEL MEDIO EVO 127
diplomi reg'i, iincho aree di territorio e edifici attig'ui al luogo, ove
il mercato era aperto. Conseguenza di ciò fu che coir andar del
tempo molti vescovadi diventarono proprietart della maggior parte
del suolo, deg-li edifici e delle piazze nelle città e nei territori cir-
costanti : avviamento questo alla conquista del potere temporale per
parte dei vescovi, con l'autorità di conti.
L'affinità dell'argomento trasporta l'Hartmann ad occuparsi an-
che dei beni comuni nelle città. Il Volpe promette di studiare a
fondo questa materia in un suo lavoro. Per ora espone sommaria-
mente le idee che svolgerà nella trattazione. Egli, fra coloro che,
come l'Hartmann, vogliono far risalire l'istituto dei beni comuni
all'età romana, e quelli che lo considerano un fatto di formazione
nuova, crede doversi seguire una via di mezzo ; perchè, se si consi-
derano le terre pascne e boschive per sé, i beni collettivi si possono
riconnettere con un simile istituto già esistente nell'antichità: ma
se si pon mente al titolo del godimento, cioè alla trasformazione
dell'uso secolare di detti beni in proprietà comuni (trasformazione
avvenuta, come tante altre, per il tramite della Chiesa), i beni
comuni del M. E. costituiscono un fatto nuovo.
E veniamo all'ultimo, lavoro, che il Volpe sottopone ad esame
critico, cioè la monografia dello Schneider sul Vescovado di Vol-
terra. Studiando la storia di questa città nel tempo in cui ebbero
autorità di vescovi-conti più personaggi della nobil casa dei Pan-
nocchieschi, lo Schneider rileva il fatto che in pochi anni, dopo una
politica fatta alla grande, il vescovado si ingolfò nei debiti e giunse
alla bancarotta. Qual'è la ragion vera del disastro finanziario? A parer
suo il fatto è conseguenza diretta della lotta economica fra la pro-
prietà fondiaria e la proprietà mobiliare, cioè fra la ricchezza agricola
e fabbricativa da una parte e la ricchezza commerciale, industriale e
monetaria dall'altra. Quest'ultima riusci vittoriosa, e i proprietari
di fondi e di stabili furono travolti nella sconfitta e fallirono. Ve-
scovi e signori, per il crescere della ricchezza mobiliare, videro de-
prezzate ad un tratto le loro proprietà; non seppero trarsi d'im-
barazzo col porsi alla testa del nuovo movimento industriale e
commerciale; e non trovarono altro mezzo, per far fronte ai bisogni
d'ogni giorno, se non quello di dare in pegno i propri beni. Le
usure assorbirono in breve tempo i capitali rappresentati dalle pro-
prietà oberate dai debiti: d'onde la bancarotta.
Ma, osserva il Volpe, in questo modo si considera la questione
da un sol punto di vista ; e invece di trarre dai fatti storici le con-
seguenze che naturalmente ne scaturiscono, si pongono i fatti e i
documenti a servigio d'una idea preconcetta. Se la teoria dello
128 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Schneider fosse sicura ed assoluta, le stesse vicende che si riscon-
trano a Volterra sarebbero avvenute ovunque. Invece molte altre
Chiese vescovili si adattarono bene alla nuova condizione di cose,
superarono la crise del deprezzamento dei beni immobili e conser-
varono a lungo ricchezza, autorità e forza materiale. Dunque bisogna
cercare anche in altre cause il repentino decadimento della contea-
vescovado di Volterra. Tra le quali il Volpe enumera la posizione
geografica della città, che mancava di un comodo sbocco al mare:
i rapporti di Volterra con le altre città della Toscana, specie con
Pisa, vicina temibile, contro la quale il vescovo volterrano ebbe
a lottare per la propria indipendenza spirituale e per gravi contro-
versie di giurisdizione territoriale: la lunga lotta fra i cittadini, che
aspiravano a togliere il potere temporale al vescovo e a costituirsi
in comune libero, e il vescovo conte, che contrastava tali pretese e
voleva conservati appieno i diritti dagli imperatori con ripetuti
diplomi concessi; la vittoria finale della cittadinanza che riusci a
stabilire una amministrazione laica autonoma, e via dicendo. Insomma
le ^particolari condizioni dello stato volterrano, assai più che ragioni
economiche d'indole generale, determinarono l'abbassamento repen-
tino della potenza dei vescovi-conti di Volterra di casa Pannocchiesea.
Firenze. Pietro Santini.
Armando Tallone, Begesto dei Marchesi di Saluzzo {1091-1340).
(Bibl. della Società storica subalpina, XVI : Reg. I). — Pinerolo,
Chiantore-Mascarelli, 1906. — In S"*, pp. 14, xviii, 547.
Gabotto F. e G. B. Barberis, Le carte dello archivio arcivescovile
di Torino fino al 1310. Indice compilato da G. M. Sartore.
(Bibl. della Società storica subalpina, XXXVI, Corpus chart.
Italiae, XXIV). — Pinerolo, Chiantore-Mascarelli, 1906. — In 8.-,
pp. viii-449.
Le due opere sopra enunciate hanno importanza per la scienza
storica, poiché contengono i più antichi documenti di due istituzioni,
che, ciascuna nella sua sfera, estesero la loro influenza ed il loro
dominio su gran parte delle terre subalpine. In verità, cosi dell'una
come dell'altra, storici ed eruditi si erano già occupati ex-professo
ed avevano anche pubblicate parecchie carte ; ma la raccolta e l'edi-
zione sistematica di queste erano da un pezzo desiderate, perchè
speravasi, come si verifica ora, che recassero luce più viva sull'ori-
gine, sullo svolgimento e sull'estensione della potenza dei Marchesi
STUDI DI STORIA SUBALPINA 129
(li Saluzzo, e un contributo notevole alla storia cosi di essi, come
del vescovado torinese.
In una profonda ed interessante introduzione al Corpus dei do-
cumenti saluzzesi, il prof. Gabotto tratta rapidamente dell'origine
della casa marchionale di Saluzzo, secondo gli ultimi studi e segna-
tamente secondo i suoi propri e quelli del Bandi di Vesme. I membri
della quale casa, gli antichissimi Marchesi del Vasto, come i Mar-
chesi di Monferrato, i Capetingi, gli Arduinici di Torino, la R. Casa
di Savoia ed i Duchi di Borgogna, ec. derivano, per lui, da quel
grande ed unico stipite che fu Aetelberto, re di Kent (563-612).
Quindi, per sommi capi il Gabotto ricorda le vicende dei Marchesi
e degli altri rami della famiglia di Saluzzo, per giungere fino agli
attuali Saluzzo di Paesana. Cosi aperta la strada, lascia la penna
al Tallone; il quale in due parti distinte pubblica fonti notevo-
lissime per la storia del Marchesato di Saluzzo, da Bonifacio del
Vasto a Manfredo IV, e in generale per la storia subalpina. Nella
prima parte raccoglie 1016 regesti precisi e sufficientemente ampi
di tutti i documenti che vennero a sua conoscenza nei lunghi anni
nei quali pazientemente attese a questa lodevole fatica. Nella se-
conda, pubblica integralmente 162 carte e diplomi inediti concernenti
quei Marchesi e quello Stato.
Basterebbe già questa ultima parte per richiamare sull'opera
l'attenzione degli studiosi, poiché contiene diplomi imperiali, bolle
pontificie, convenzioni, donazioni, vendite dì terre e paesi, investi-
ture ec. degne di essere studiate. E alle stesse specie di docu-
menti si riferisce la copiosa serie degli interessanti regesti; per
mezzo a' quali gli eruditi seguono tutto lo svolgimento della potenza
saluzzese nel periodo suo più glorioso ed hanno tutto l'agio di con-
siderare il metodo severamente scientifico, col quale la raccolta è
condotta; quantunque v'abbia chi, a ragione, potrebbe domandare
che vi fosse aggiunto un indice dei nomi.
Minore importanza politica ha certamente il secondo dei volumi
citati, ma uguale interesse sociale ed economico. Si riferisce al ve-
scovado di Torino, che fu nell'alto medio evo potente feudatario del
Piemonte centrale ed estese lontano dalla città la sua giurisdizione
e la sua influenza. Gli egregi Autori ne hanno raccolto e pubblicato
integralmente le carte più antiche dal 981 al 1310, vale a dire nel
periodo più oscuro ed intricato della sua storia. Questo corpo do-
cumentario contiene anch'esso, in 336 pergamene, diplomi imperiali
e bolle pontificie, donazioni, vendite, affitti,- investiture, albergarle,
sentenze, ec. che illustrano la storia politica e civile di tutto il ter-
ritorio della diocesi; ed oltre a recare un notevole contributo alla
Akch, Stor. It., Serie 5.". — XXXIX. 9
130 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
conoscenza delle vicende delle terre e dei comuni compresivi o vi-
cini, oltre a meglio determinare le condizioni economiche e sociali
nelle qnali giacevano quei paesi, danno una idea sufficientemente
precisa di un feudo ecclesiastico fra i più notevoli dell'Italia setten-
trionale. La storia della Chiesa torinese vi trova dillucidazioni im-
portanti, che permettono di seguirne tutti i passi e le fasi in quel
lungo periodo e di formarsi anche un concetto dei suoi vescovi
come signori temporali. Non è dunque questo volume meno del pre-
cedente importante; e pertanto tutti siamo grati agli editori di
avere assicurato alla scienza, con metodo rigorosissimo e con intenso
amore, la conservazione di quei preziosi documenti.
Torino. E. Casanova.
Pietro Santini, Quesiti e ricerche di Storiografia fiorentina. — Fi-
renze, Seeber, 1903; 8^ pp. 146.
Il Santini, in questo dotto e ricco volumetto, fa nuove ricerche
intorno alle più antiche fonti della storia e della leggenda fioren-
tina, riuscendo ad aggiungere nuovi indizi e nuovi dati sicuri a
quelli che già si possedevano. Gli storici di Firenze fermarono la
loro attenzione sui perduti Gesta florentinoriim^ menzionati da To-
lomeo Lucense, e si studiarono di ricostituire il contenuto di que-
sta prima fonte delle antiche cronache, confrontando fra loro quei
rifacimenti di essa, a noi pervenuti, che sembrano averne conser-
vato più fedelmente le sembianze. L'Hartwig, come è noto, dette
la preferenza a una cronachetta anonima, contenuta in un codice
napoletano; ma ora il S. mostra che, assai più di questa già tarda
e alteratissima compilazione, deve credersi prossima ai Gesta un'al-
tra cronachetta, conservataci nelle carte 1^-21'" d'un codice della Na-
zionale fiorentina, il già Magliab. XXV 505, appartenente al sec. XIV.
primo trentennio, anche se la trascrizione sia alquanto più tarda. Non
già che fra Tolomeo e la cronachetta vi sia perfetto accordo: alcune
notizie sono in questa che mancano nell'Annalista lucchese e altre
ci sono fornite dal Lucchese che la cronachetta non contiene ; ma le
somiglianze sono così grandi che inducono a non tener conto delle
non grandi differenze. Forse il S. non ci spiega in modo del tutto
persuasivo come maiala cronachetta taccia dell'incoronazione di Fe-
derico II (1220), che si trovava descritta nei Gesta, come appare da
Tolomeo: egli attribuisce l'omissione ai sentimenti politici del ri-
facitore, guelfo arrabbiato; ma sembra un po' singolare che (luesti
SANTINI, gUESITI E RICERCHE DI STORIOGRAFIA FIORENTINA 181
giungesse nella sua passione politica al punto da voler sopprimere,
(luasi per distruggerli col silenzio, gli avvenimenti storici. Poteva,
come fa altrove, ricordarli aggiungendovi un rabbioso commento.
Ciononostante, poiché il Santini medesimo non vuole riconoscere
nella sua cronachetta una riproduzione esatta" dei Gesta, ma sol-
tanto un rifacimento più fedele o meno infedele degli altri, e poiché
non possiamo sapere in quale stato il testo dei Gesta pervenisse al
rifacitore, e l'opera stessa di questo, nel manoscritto che ne abbiamo,
non è autografa, sarebbe un pretendere troppo se chiedessimo che
il ?^. ci sciogliesse in modo sodisfacente tutte le difficoltà e tutti i
dubbii. La cronachetta è da lui pubblicata nella seconda parte del
volume (pp. 91-144), coi riscontri dì Tolomeo.
La cronachetta del Santini comincia col solito leggendario Libro
fìesolano; benché di esso non resti che una parte, essendo il codice
acefalo. E della Chromca de origine civitatis, e insieme di quella sua
redazione volgare, eh' è appunto il cosiddetto Libro fìesolano, tratta
il S. nel suo secondo capitolo, soffermandosi di preferenza sui codici
che le contengono, ora a parte, ora fuse o contaminate con altre scrit-
ture. Trovo accennato dal S. che «l'episodio romanzesco degli amori
« di Catìlina e di Eclissa, di Tiverina e del Centurione, raccolto dal
« Malespini » si trova « trascritto la prima volta in un codice del
« principio del sec. XIX, contenente V Avventuroso Siciliano di Bo-
« sone da Gubbio ». Quel XIX, sfuggito nella stampa, sarà forse
da leggere XIV, poiché si suole attribuire tal data al cod. Lauren-
ziano del romanzo; e cosi s'intende quel «trascritto la prima volta».
Ma. in tal caso, anche il S. s'è lasciato trarre in un errore, che non
è meno un errore perchè sia stato accolto da tutti a occhi chiusi.
II codice deìV Avventuroso CiciUano è sicuramente del secolo XV ; e
il romanzo stesso pei suoi caratteri si manifesta opera tarda, o del
secolo XV o di poco anteriore ; cosicché non è da prestare alcuna
fede r\V expUcit, che lo dice composto da Bosone nel 1311.
Parlando delle fortune del Libro fìesolano, il S. rammenta na-
turalmente ch'esso fu in alcuni manoscritti accodato ai Fatti di
Cesare, come già era detto anche in un mio vecchio lavoro sul ro-
manzo che si conosce sotto questo nome. Veramente si tratta d' un
fatto di ben poca importanza: ma il S., prendendo un grande
amore alla sua ricerca, s' induce perfino a dedicare una speciale Ap-
pendice (pp. 61-79) ai Manoscritti fiorentini dei Fatti di Cesare^ ben-
ché solo cinque di essi (che fra tutti sono quasi una quarantina) mo-
strino la detta coda posticcia. È senza dubbio nel libro del S. un fuor
d'opera; e inoltre i codici erano stati indicati e descritti tutti, tranne
uno o due brevi frammenti, o dal Banchi o da me: ciononostante, non
132 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
c'è da farne un grave rimprovero al S., perchè a cavai donato non §i
guarda in bocca, e può ben essere che ad alcuno giovi trovar codesti
manoscritti catalogati qui tutti insieme.
Il terzo capitolo, La cronaca di 3Iartino di Troppau e il suo
volgarizzamento^ gode anch'esso del vantaggio di una Appendice
(pp. 81-87), dove i codici fiorentini, che contengono il testo origi-
nale della cronaca; e rimasero ignoti al Weiland, sono enumerati e
classificati secondo le conclusioni dell'editore tedesco. La tradu-
zione volgare, finora inedita (a non tener conto del frammento pub-
blicato dal Ciampi), sarebbe, secondo il S., da attribuire alla fine
del sec. XIII, perchè appartiene alla redazione B, vale a dire è
anteriore « al tempo in cui fu divulgata la più ampia recensione
« di Martino », C. E un argomento di probabilità, che lascierebbe
sempre qualche luogo alla possibilità contraria, che il volgarizza-
mento, per un caso qualunque, venisse compiuto secondo un codice
della redaz. B, in un tempo in cui la redaz. C era già nota e dif-
fusa. Sarebbe dunque stato opportuno, dal punto di vista della chia-
rezza e della buona composizione del libro, che il S. accennasse qui
subito a un altro argomento, assai più sicuro, che sta in favore della
sua datazione ; al fatto cioè che la cronachetta malamente attribuita
a Brunetto Latini (la quale fu per lo meno cominciata, se non anche
compiuta, avanti la fine del sec. XIII) si fonda in gran parte sulla
cronaca più malamente ancora attribuita al Petrarca, che a sua volta
si fonda sul volgarizzamento di Martino. Ma è anche vero che le re-
lazioni cronologiche fra lo Pseudo-Petrarca e lo Pseudo-Brunetto non
sono esposte con sufficiente chiarezza.
Le scarse e nude notizie dì storia fiorentina, eh' erano tutto il
patrimonio dei secoli XII e XIII, poterono dunque, all'apparire della
cronaca martiniana, venir « associate coi maggiori avvenimenti del
« papato e dell' impero ». Uno de' primi ' e ancora incerti tentativi,^
rivolti a questo scopo, è la detta cronaca, attribuita al Petrarca.
Di essa e specialmente de' codici che la contengono tratta il S. nel
quarto capitolo; passando poi via via ne' capitoli seguenti alle com-
posizioni più progredite. Anzitutto, La Cronaca Napoletana-Gad-
diana^ cioè contenuta in un codice di Napoli e in uno fiorentino^
Laur.-Gaddiano, la quale ha per suo elemento principale lo Pseudo-
Petrarca e fonde con esso il materiale offertole dai Gesta, e s' in-
grossa pure d'altre notizie, che almeno in parte dovettero esser
dapprima glosse marginali. Essa fu adoperata dal commentatore di
Dante, che si suol chiamare l' Ottimo. Poi, La Cronaca del codice luc-
chese Orsucci, cominciata nel 1290, e condotta innanzi fino al 1341 ;
specie di lavoro preparatorio, in cui l'autore raccoglie il materiale
SANTINI, QUESITI E RICERCHE DI STORIOGRAFIA FIORENTINA 133
latino e volg-are, a lui noto, per la storia della Toscana e di Firenze,
in relazione colla storia generale, per trarne poi fuori, come era sua
intenzione, una cronaca ordinata, in latino. Infine, La Cronaca attri-
huita a Britnetto Latini, che fu, come si sa, pubblicata dal Villari,
e il cui abbozzo autografo, mutilo però di tutta la parte più antica,
trovasi nel cod. miscellaneo della Biblioteca nazionale II, IV, 323, già
Magliab. XXV, 565. Essa si fonda sullo Pseudo-Petrarca e inoltre i
Gesta fiorenti norum, continuati fin quasi alla fine del sec. XIII, ma
ci fornisce pure notizie, che non conosciamo da nessun' altra fonte.
Lo studio del codice Magliabechiano è importante soprattutto perchè
« ci offre modo di sorprendere il compilatore nel momento che appa-
« recchiava il suo lavoro; ci ammaestra cioè sul metodo, seguito ge-
« neralmente dai cronisti dei secoli XIII e XIV, nel comporre le loro
« opere ».
Nella lucida conclusione il S. riassume e completa i risultati del
8UO diligente e utilissimo studio, che sarà d'ora innanzi il necessario
punto di partenza per ulteriori ricerche sui fonti della primitiva
storia fiorentina e sulle loro vicendevoli e complicate relazioni.
Firenze. E. G. Parodi.
Enrico Sieveking, Studio sulle finanze Genovesi del medio evo e in
particolare sulla Casa di S. Giorgio, voi. I [Atti della Società
Ligure di Storia patria, voi. XXXV).
Ogni promessa è debito ed è tempo che V Archivio storico italiano
mantenga una vecchia promessa (1901 I 214 II 331), almeno quando
viene alla luce la traduzione italiana dell'opera a cui quella si
riferisce. Negli anni 1898-99 Enrico Sieveking pubblicò nelle VolT^-
H'irthschaftliche Ahhandlungen der Badischen Hochscìmle un'opera in
due volumi col titolo Genueser Finanzwesen mit hesonderer Berilck-
siclitigung der Casa di S. Giorgio : il primo volume tratta dell'ammini-
strazione finanziaria del comune di Genova sino al sec. XV, il se-
condo comprende la storia del celebre Banco dalla fondazione sino
al 1815. Ora la Società ligure di storia patria accolse ne' suoi Atti
la traduzione del primo volume fatta dal sig. Onorio Soardi e ri-
veduta dall'autore e speriamo vi farà seguir presto la traduzione
del secondo: l'opera del Sieveking avrà in tal modo in Italia la
diffusione di cui è degna e che non ebbe finora, dacché nelle biblio-
teche nazionali essa è piuttosto rara ed a giudicare da certi cata-
loghi nostri si troverebbe solo a Genova e Firenze.
134 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Il primo volume comprende tutta la storia finanziaria del comune
di Genova, con grande ricchezza di particolari sulle varie specie d'im-
poste e tasse, sui prestiti pubblici, sui bilanci dello Stato e sui molti
uffici, cui tale gestione era affidata. Assai gran copia di notizie e di
fatti viene aggiunta a quelle, non molte ma molto ordinate e precise,
che ci offerse il Goldschmidt nella sua nota UniversalgescMchte des
Handeisrechts; frequenti sono i confronti con altre città italiane,
Firenze, Venezia, Pisa, ed altri con Siena ne aggiunse il Solmi nella
sua ampia recensione nella Jìiv. di diritto comvterciale, IV, 1, 485.
L'autore usò non solo molti documenti già editi e vide anche
in bozze parte del voi. XVIII dei Monumenta Historiae x^(^^^'^^^y
pubblicato più tardi col titolo Leges Genuenses, ma si valse pure
largamente dei materiali inediti, specialmente dei numerosissimi
atti notarili del sec. XIII: il lavoro di ricerca è tra questi assai
agevolato dal Foliatium Biclierii che ne contiene il regesto, parte
per materie, parte per notai, ed ha un indice proprio, e dalla raccolta
completa degli estratti formata dal prof. Wolf per molti argomenti
economici e finanziari e conservata nell'Archivio della stessa Società
Ligure. Nel sec. XIV le fonti principali sono il codice delle regule
comperarum capituìi [ora stampato nel suddetto voi. XVIII] ed il liher
magnus contractnum Sancti Georgii, oltre agli statuti, ai libri dei
conti ed ai libri delle compere minori.
Colla maggior riverenza per chi ha contribuito largamente alla
conoscenza della storia economica italiana con lavori molteplici di
varia mole, sia lecito notare che i materiali non sono sempre disposti
nel miglior ordine : talvolta non si evitano le ripetizioni o manca
qualche anello di collegamento, tal' altra non è pienamente escluso
ogni dubbio che certe affermazioni generali siano fondate sopra una
sola citazione od anche sopra un solo regesto altrui di atti non
veduti dallo stesso Sieveking.
Le prime notizie sulle condizioni finanziarie del territorio ge-
novese risalgono all'alto medio evo, quando le tasse erano fissate e
riscosse dai Marchesi per diritto feudale e passarono poi in gran
parte per infeudazione od usurpazione ai Visconti loro rappresen-
tanti, specialmente dopo le suddivisioni della famiglia marchionale
Obertenga, che impedivano ai singoli membri d'esercitare i loro di-
ritti entro Genova. I Visconti, che secondo un'opinione assai fondata
(malgrado qualche lacuna genealogica) discendevano da uno stipite
unico, vissuto intorno alla metà del sec. X, esercitarono quei diritti
come un possesso comune consortile. Le resistenze e le opposizioni
ai Marchesi si accentrarono intorno al Vescovo, il quale, poiché ebbe
acquistato estesa potenza territoriale e larga influenza politica, ap-
SIEYEKING, LE FINANZE GENOVESI DEL MEDIO EVO 135
])rofittan(lo della supremazia ecclesiastica e delle decime che poteva
rificiiotere in nome di essa, impose a sua volta altre tasse alla bor-
^Hiesia.
Ricordiamo brevemente che questa dapprincipio considerò il
Vescovo (divenuto arcivescovo nel 1133) come suo rappresentante
nei rapporti esterni, e fattasi più forte si esplicò nella Compagna,
associazione d'uomini atti alle armi, stretti dapprima a solo scopo di
difesa locale, più tardi per garantire la sicurezza della città e del
commercio anche nelle spedizioni lontane, in fine coli' intento di
spingere la penetrazione politica e mercantile e quindi anche con
mezzi d'oifesa — dapprima temporanea per determinate occasioni,
poi rinnovata regolarmente e resa obbligatoria coli' escludere i re-
nitenti da ogni profitto delle spedizioni comuni. La Compagna, che
sceglie dapprincipio i suoi capi nelle famiglie viscontili e nobiliari,
s'identifica per gradi col Comune accogliendo i comunisti sotto la
sua protezione, stringe relazioni colle aggregazioni affini esistenti
in altri luoghi, tende ad acquistare anche la sovranità nella parte
finanziaria, insieme col diritto di chiamare alle armi e citare in
giudizio : il Comune entra in lotta (sec. XII) coi Marchesi, coi
Visconti, coir Arcivescovo, sia per assicurare la propria indipen-
denza, sia per impadronirsi delle tasse ed imposte, vince molto più
presto contro i primi e l'ultimo, mentre i Visconti (appunto perchè
ascritti alla Compagna) conservarono loro ragioni e diritti ancora
nella seconda metà del sec. XIII. Qui, come altrove, la vittoria po-
litica fu conseguita prima della economica, perchè il Comune fu
pago dapprincipio di far riconoscere la sua sovranità (p. es. sui
pesi e misure, p. 30), lasciando più a lungo a beneficio de' suoi av-
versari parte dei profitti che ritraevano dai redditi stessi: cosi esso
potè ottenere nel 1162 da Federico Barbarossa precisa conferma
delle regalie che già possedeva, in compenso dell'aiuto promesso per
la conquista della Sicilia.
Vari furono nei tempi i diritti riscossi nei territori genovesi e
crebbero secondo l'importanza dei commerci che ne furono la base
essenziale. Non parrà strano che essi presentino parecchie analogie
colle tasse esistenti nel tempo romano e sotto i popoli germanidi
|cfr. Solmi nella recens. cit.j, tanto più che i beni imponibili erano
i medesimi ed appartenevano tutti alla ricchezza mobiliare, mentre,
com'è noto, la signoria sugli immobili ebbe nell'alto medio evo ed
in parte nei secoli successivi un carattere essenzialmente patrimo-
niale, pel quale dava luogo piuttosto alla riscossione di frutti e
rendite, che all'esazione d'imposte. Parte principale di quei redditi,
^•lic passò dall'uno all'altro possessore della Sovranità nel Comune,
136 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
furono i dazi d'entrata delle merci in città e quelli di transito,
che si computavano talora sul peso delle merci, tal' altra sulla
distanza del luogo d'origine da Genova: distinguevansi per lo più
secondocbè l'ingresso avveniva per via di mare o di terra, e i nomi
introitus ripe, intr. porte corrispondono senza dubbio in origine a
tale distinzione, quantunque più tardi ne sia stato modificato il
senso. I Marchesi possedevano i diritti feudali di bannalità, di tasse
giudiziarie, di mercato, di fodro ; i Visconti vi aggiunsero una
tassa sui contratti ed acquisti fatti in Genova col nome ({''introitus
vicecomitatus (e più tardi con quello dì ripa) e la tassa sui banchi
de' macellai che tennero più a lungo per sé: l'Arcivescovo ebbe,
oltre alla decima sui frutti delle terre, una decima di mare che si
pagava a forma di testatico da ogni navigante secondo il viaggio
da cui ritornava: il Comune introdusse una tassa per la manuten-
zione del porto ed il lucroso monopolio del sale.
Le condizioni finanziarie ebbero secondo l'Autore una grandis-
dissima importanza nella storia di Genova. Causa principale della
rivoluzione del 1256, che condusse all' istituzione del Capitano del
popolo, fu, insieme colla oppressione esercitata dai nobili guelfi, anche
il cattivo stato delle finanze: Guglielmo Boccanegra, il primo chia-
mato al nuovo ufficio, die opera attiva a raccogliere tutti i cespiti
di reddito in mano del Comune, riducendo quelli spettanti ai Mar-
chesi ed all'Arcivescovo, proteggendo invece quelli dei Visconti, e vi
aggiunse nuovi prestiti forzosi per pagare i debiti esistenti. Altre
agitazioni nel 1270 ebbero per effetto l'equa ripartizione degli uffici
e del carico delle imposte fra nobili e popolani, tra cui esse si
suddivisero o per alberghi, gruppi di famiglie nobili riunite secondo
i vincoli del sangue e la prossimità dei palazzi, o per quartieri
popolari e conestagi o secondo le associazioni e corporazioni operaie.
La rivolta del 1339 fu ancora provocata dal terzo stato, gravato
dalla mala amministrazione delle finanze, quantunque soltanto i
mercanti ne abbiano dapprincipio goduto i vantaggi. In questi moti
violenti, come nei mutamenti pacifici introdotti negli ordinamenti
comunali, fu sempre tenuto in gran conto l' interesse dei numerosi
creditori del comune, che riuscirono spesso a far accettare i prov-
vedimenti più vantaggiosi per loro, non quelli che avrebbero dato
maggior utile alle finanze cittadine. Del qual fatto è assai agevole
scoprire la ragione in ciò, che la repubblica Genovese, sempre in-
tenta a mantenere la supremazia nel commercio europeo, a lottare
contro i rivali, a preparare o compiere o far fruttare numerose ed
importanti spedizioni militari, si valse in proporzione assai larga
dei prestiti, aumentando oltre misura il numero de' suoi creditori
SIEVEKIXG, LE FINANZE GENOVESI DEL MEDIO EVO 137
ed attribuendo quindi ad una parte de' cittadini, ai più ricchi e
potenti, un'azione positiva nel riscuotere molto più forte di quella
che avrebbero avuto, se gravati d' imposte avessero potuto esercitare
soltanto un'azione negativa di resistenza nel pagare.
Il bilancio fu per lungo tempo tenuto in modo incompleto; le
partite si ordinavano alfabeticamente secondo i nomi degli impie-
gati del Comune, si distinguevano le spese ordinarie, pagate cogli
incassi ordinari, dalle straordinarie, alle quali si provvedeva con
leggi speciali, ma non si raccoglievano mai entrate ed uscite in un
conto generale e compiuto. Si fissava spesso un limite di somma per
le spese ordinarie, ma era poi necessario allargarlo rapidamente pel
frequente mutare dei bisogni. I primi registri, che giunsero sino a noi,
dell'anno 1340, sono tenuti a partita doppia, coli' uso di due fogli
diversi pel dare e per l'avere, i quali devono pareggiarsi nei saldi,
e col trasporto dei residui in un altro foglio: il nome dato a questo
modo di registrazione, ad modum banchi, prova che esso fu adoperato
dapprima dai banchieri privati ed un passo delle citate Leges Ge-
nuenses (col. 101) dimostra in modo certo (non solo probabilmente.
p. 104) ch'esso consiste appunto nella partita doppia (1). Il Sieveking
pensa che i Genovesi ne siano stati gli inventori, ma se ne trovano
tracce anche nel Constituto Senese del 1310 (Solmi, recens. cit.).
Tra le varie forme, che si potevano usare per raccogliere il
danaro bisognevole allo Stato, quella del prestito volontario o più
spesso forzoso fu più gradita al Comune ed ai cittadini Genovesi,
al primo che otteneva più presto le somme necessarie senza aspettare
la riscossione delle imposte, ai secondi che preferivano anticipar
somme maggiori ed averne l'interesse, invece di pagar quote minori
d'imposta senza rimborso, e non consideravano che essi stessi od i
loro discendenti avrebber pur dovuto sottostare a nuovi carichi o
nuovi mutui per pagare i debiti e restituire i capitali ricevuti :
la stessa riscossione delle coUecte od imposte assumeva forma di
prestiti. Tali imprestiti forzosi si ripartivano secondo i catasti
formati per le imposte dirette: ai mutuanti il Comune assegnava in
pegno le tasse per un certo numero di anni, ^mticamente coll'inca-
rico di riscuoterle direttamente, più tardi curando esso medesimo
l'esazione e pagandole somme stabilite ai creditori. Nel 1339 il doge
assegnò loro tutti i redditi dello Stato, riservata al Comune sol-
(1) Legg. Gen., col. 101, cap. 174: < Cartularinni in quo scribi de-
beant omnes introytus Comunis et in eodem cartulario /J?r contra scribi
debent solntiones ».
138 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
tanto una somma annua di ventimila lire, che l'ufficio delle compere
doveva pagargli. Dapprincipio si fissava un termine pel rimborso
del capitale, poi vi si rinuncia per la difficoltà di mantener la pro-
messa e tali prestiti si trasformano cosi di fatto in consolidati ;
dapprincipio il comune si obbligava a pagare un interesse fisso a
rate trimestrali, ma l'erario non era mai abbastanza provveduto per
soddisfarvi integralmente, l'ultima rata era proporzionale al gettito
delle imposte e talora si pagavano acconti, accreditando i versamenti
residui nelle annate successive. | Singolare la frase degli statuti che
compone et officia non possunt integras payas solvere et solvuvf ut
voliiìit vel ut ptossunt (Leges Genuens, cit. col. 62)].
Tali prestiti furono chiamati qualche volta mutui, ma più spesso
compiere, perchè si consideravano compere delle imposte e coll'aiuto
del nome si allontanavano sospetti di violazione dei divieti canonici.
Si istituiva una compera per ogni impresa, e v'è perfino una com-
pereta magistri Pauli di otto luoghi [ibid. 224), ottocento lire neces-
sarie per pagare il magister : intorno al 1262 s'introdusse l'uso di
cartulari speciali, ne' quali si assegnava una colonna ad ogni cre-
ditore, per iscrivervi regolarmente i suoi pagamenti e gli interessi a
lui pagati, ed una al Comune per quella parte del prestito che non
si potesse raccogliere rispetto alle previsioni: i creditori vi si collo-
cavano in ordine alfabetico (1), secondo il nome di battesimo, come
soleva farsi in antico quando i cognomi mancavano od erano poco
diffusi [cfr. p. es. Legg. Gennenses, coL 125]: unico proprietario le-
gittimo delle somme registrate il creditore iscritto e solo il libro
faceva fede del possesso. Il capitale era diviso in quote, alle quali fu
presto assegnato un valore fisso uniforme di cento lire, quantunque se
ne ammettesse la suddivisione, cosicché taluno poteva anche averne
un numero frazionario: le quote si dissero loca, con nome dato ne' più
antichi tempi alle parti spettanti agli armatori sulla proprietà d'una
nave ed agli appaltatori d'imposte sui redditi di queste, parti le quali
successivamente ebbero nome di karati. I loca si consideravano cose
mobili, salvo il pareggiamento ai beni immobili pel pagamento delle
imposte (cfr. Legg. Gen., 525), e con legge speciale del 1303 furono
dichiarati fungibili : anche in caso di bando politico i loca erano
(1) La citazione del cap. De alphaheto in cartulariis preponendo
(p. 104) non è opportuna, perchè quel capitolo non si riferisce ai cartulari
delle compere e degli appalti, ma a a quelli in cui si scrivevano atti pro-
cessuali e sentenze civili e criminali, pei quali si prescrive che siano or-
dinati alfabeticamente, prout moris est, per ritrovare prestamente i nomi
delle parti a cui si riferiscono. Legg. Gen., 637.
SIEVEKIX*;, LE FINANZE GENOVESI DEL MEDIO EVO 139
esenti dalla conlisca ed il Comune poteva impadronirsi soltanto degli
interessi {Legg. cit., col. 215). Carattere essenziale la cedibilità di essi,
trasmissibili fra cittadini senza limiti, tra forestieri coli' obbligo d'ot-
tenere particolare licenza e di sottostare alle imposte, con un diritto
di prelazione se il Comune volesse acquistarli: accettavansi in paga-
mento nelle casse pubbliche e per cauzioni d' ufficiali, erano ricer-
tati come impiego sicuro di capitali anche per donne e minorenni,
t' d'altra parte potevano per la facilità delle trasmissioni esser og-
getto di speculazioni, di vendite con patto di ricupero, di convenzioni
uguali ai moderni contratti a termine ed agli affari differenziali,
riconosciuti dagli stessi tribunali (1404, p. 208).
Queste compere nei momenti più difficili si riordinavano, si
riunivano a gruppi, e si operava una conversione col diminuire nel
passaggio il valore del locus: altre volte per pagarne gli interessi
si ricorreva a compere nuove ed a nuovi mutui. Nel 1350 s' intro-
dusse un modo speciale di provvedere all'estinzione, formando colle
code un fondo per l'ammortamento: il Comune si riservava una parte
dei loca, riscuoteva sopra questi gli interessi e li metteva in serbo
finche ne avesse raccolto quantità sufficiente per comperare altri loca,
finché coi frutti e cogli acquisti fossero tutti assorbiti ed estinti.
Anche taluni privati, pel primo Francesco Vivaldi nel 1371, dona-
rono alle compere un numero determinato di loca^ perchè fossero
ugualmente destinati a tale scopo, e l'acquisto successivo di altri loca
cogli interessi per via di moltiplico: i novanta loca assegnati dal
Vivaldi alla compera pacis fruttarono quanto bastò per estinguerla
nel 1454.
Nel 1323 si aggiunsero agli altri uffici del Comune, cui era
particolarmente affidata la vigilanza sui mutui e sulle compere, sulle
riscossioni e sui pagamenti, i protectorefi comperarum capituli che
rappresentavano tutti i creditori delle compere esistenti : eletti pro-
babilmente dapprima per volontà dei partecipi, a vigilare che le
rendite loro assegnate non fossero spese altrimenti, divennero poi
un ufficio pubblico permanente, superiore agli stessi visitatores o
ispettori che erano il principale ufficio finanziario del Comune, e
colla più ampia facoltà di richieder conti e veder libri: furono
nominati la prima volta dai partecipi stessi ed elessero poi i loro
successori d' anno in anno, sempre fra i comperisti (con una forma
d'elezione usata anche per altre cariche del Comune): essi ebbero
pure la giurisdizione per tutte le cause fra contrtbuenti, appaltatori
d'imposte e loro fideiussori.
Qualche volta il concorso pecuniario dei cittadini si presenta in
una forma speciale, col nome di maona, per le imprese di guadagno
140 RASSEGNA BIBLIOGR.iFICA
sicuro e rilevante: 1 privati non davano il danaro al Comune, ma
direttamente armavano le navi, assoldavano l'equigaggio, preparavano
la spedizione, di poi provvedevano all' esecuzione sotto un capo
nominato dal Comune e conseguivano in cambio il governo delle
terre conquistate e il monopolio dei traffici, mentre il Comune rite-
neva la sovranità su quelle, l'alta giurisdizione, il mero e misto
impero. Il Goldschmidt ricorda come più antica quella del 1149 pel
ricupero di Tortosa [ma i documenti contenuti nei Libri lurium e
citati da lui stesso non provano che essa sia uscita dai limiti
d'una compera uguale alle altre]; secondo il Sieveking la più antica
fu la maona di Ceuta nel 1235; la più importante, per la quale ab-
biamo gran copia di documenti dove si legge per la prima volta il
nome di maona, fu quella di Chio e Focea nel 1347, ed egli aggiunse
una quantità di notizie particolari specialmente economiche a quanto
già dissero su di essa I'Hopf (nella Allgemeine Encicìopddie di Ersch
e Gruber, voi. 68 s. v. Giustiniani) ed il Goldschmidt.
Il Comune di Genova, pel crescente aumento di bisogni, dovette
usare largamente anche l'altro modo, a cui uno Stato può volgersi per
far danaro. Le imposte indirette ebbero un carattere speciale, poiché
allo scopo fiscale fu sempre associato l'intento di politica mercantile
ed industriale, favorire l' importazione di materie greggie e di pro-
dotti di consumo e l'esportazione delle merci lavorate, impedire
invece le correnti contrarie, mantenere il bacino a nord ovest del
Mediterraneo in condizioni di mare chiuso a beneficio di Genova.
Tali imposte crebbero sempre più di numero e di peso e colpivano
anche là ogni cosa tassabile, perchè, . mentre le necessità erano
grandi, mancava la capacità finanziaria di comporre con un assetto
stabile un largo sistema di tributi.
L'imposta diretta fu per lungo tempo straordinaria, aveva nome
di coUecta terre e e. maris, e si distingueva la coUecta terre su^ìer
immobile, sugli stabili secondo il catasto, in cui era obbligal^oria
l'iscrizione dei fondi ad ogni mutamento di proprietà, in e. t. super
mobile, sopra i bestiami e le mercanzie tassate secondo il valore sulla
base delle dichiarazioni giurate, la e. maris pei capitali impiegati nelle
spedizioni marittime, tanto nelle navi quanto nel carico. Modo ordi-
nario di riscossione l'appalto annuale: però formato il ruolo dei
contribuenti coli' annotazione delle loro sostanze, stimate da alcuni
ufficiali del comune, conforme alle dichiarazioni delle persone ed alle
informazioni date flai vicini, non si esigevano le imposte dirette in
misura costante né periodicamente né per intero, ma, determinata la
somma necessaria pel bisogno presente, si riscuoteva questa soltanto,
si divideva fra tutti in proporzione della somma totale iscritta e si
SIEVEKIXG, LK FINANZE GENOVESI DEL MEDIO EVO 141
riservava il soprappiù per altre necessità. Vi erano esenzioni pei
patrimoni minimi, pei magistrati e cavalieri, pei giudici e medici :
i contribuenti minori potevano ottenere una specie d'abbonamento a
somma fissa per un certo numero d'anni. Tali imposte dirette, a cui
s'aggiunsero poi altre pagate da tutte le persone residenti in Genova
e da tutti i liguri abitanti fuori di essa, s'indicarono più tardi con
altri nomi, focagium, cotumum, spendium, avaria, stalia, tutti di
carattere generale e non applicabili ad una speciale imposta dei
quali potrebbe esser utile ricercare V etimologia. [Spendium, o di-
spendium forse appunto perchè s'imponeva una somma uguale a quella
che era necessario spendere: cotumum forse per analogia col nome
cottimo della tassa che i consoli della repubblica Veneta all'estero
riscuotevano sui loro mercanti, cfr. Rezasco, Dizion. del ling. ital.
stor. s. V.: quanto ^Wavaria e stalia, gioverebbe sapere se il nome
sorse prima nel commercio marittimo, dove ora si applica, o passò
a quello in particolare dagli ordini finanziari generali].
L'opera del Sieveking è pur molto rilevante per la storia del
diritto italiano sotto parecchi punti di vista. Essa mette in primo
luogo in evidenza con tutto il suo contenuto le relazioni strettis-
sime fra le trasformazioni d'un Comune tanto importante, quanto fu
Genova, e le condizioni delle sue finanze, fra i passaggi successivi
della sovranitcà in questa parte della vita cittadina, e quelli che
avvenivano non sempre contemporaneamente, nella vita civile e
politica.
È noto in secondo luogo che l'esistenza di giudici speciali per le
cause commerciali in Genova fu negata dal LASTiG(Entwickelungsivege
und Quellen des Handelsrechts) e validamente dimostrata con buone
ragioni dal Bensa {Archivio Giuridico XXVII): il nostro A. nota che
sino dal 1286 [senza alcuna indicazione di fonti] i tractatores mercantie
furono chiamati a decidere sulla concessione di lettere di rappresaglia
ai cittadini Genovesi. [Possiamo qui aggiungere che nelle più volte
citate Leges Genuenses si legge un capitolo che mantiene agli uffici
di Mercanzia e di Gazaria tutta la giurisdizione che avevano prima
della creazione della dignità ducale (col. 343), ed un altro (col. 536,
537) secondo il quale l'ufficio di Mercanzia, già investito della piena
giurisdizione tra mercanti per causa mercantile, doveva esser com-
posto di guelfi e ghibellini in numero uguale, mentre in un capitolo
posteriore (col. 540) non vi è più traccia di quella distinzione di
fazioni civili; l'uno ricorda quindi un tempo anteriore al 1339 e
Taltro non può appartenere se non ai primi anni del sec. XIV].
Il Sieveking interviene pure nella discussione intorno all'origine
della società per azioni. Secondo il Goldschmidt questa forma di so-
142 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
d'età deve da una parte esser collegata ai loca, come quote dì parteci-
pazione a prestiti pubblici, di valore sempre uguale, or nominale, or
reale, dall'altra parte alle maone, in cui i concorrenti alla formazione
del capitale partecipano anche all'amministrazione di esso. Il Lehmann
{Die geschichtUche Entwiclxelung des Actienrechts) ritiene invece che
nessuna delle società antiche e medievali presenti quello che egli
considera il carattere essenziale della società per azioni, il dividendo
variabile, prima della Compagnia olandese delle Indie orientali fon-
data nel 1602, e che questa non abbia alcun rapporto colle forme
italiane, non abbia imitato alcun modello, e sia derivata esclusiva-
mente dalla speculazione pel commercio marittimo. Il S. nega che
quelle società possano esser derivate dalle maone, accettando l'opi-
nione del GoLDscHMiDT per le compere.
1 due autori citati esaminarono la materia da due punti di vista
diversi. Il Goldschmidt espose i fatti che nel Medioevo s'incontrano
più affini ai vari istituti dell'odierno diritto commerciale ed anche
alle società per azioni: è soprattutto necessario non dimenticare
che purtroppo la morte gli impedì di continuare le preziose ricerche
storiche al di qua di quel periodo di tempo (cfr. sopra la storia
delle società per azioni nella sua Zeitsclir. fiir gesammte Handeisr.
XXX, 72). Invece il Lehmann risali dal Code de commerce, che primo
diede norme precise a quello speciale contratto, alle forme prece-
denti che più direttamente vi rassomigliano e che ebbero sul Code
una più immediata e più certa influenza; inoltre quest'ultimo non
è in tutte le pagine del suo scritto sempre coerente, e mentre in
principio considera come elementi essenziali del concetto di tale
società tutti quelli che sono comunemente ammessi, più innanzi ne
accetta uno solo come utile per la distinzione secondo i tempi,
l'azione a dividendo variabile.
A parer mio giova ricordare che la ricerca delle origini d'un
istituto odierno deve estendersi a tutte le tracce degli elementi
fondamentali di esso, e tali sono per le società per azioni la ripar-
tizione del capitale in quote di valor numerico uguale e liberamente
trasmissibili, la responsabilità limitata alle quote, il dividendo
variabile, la separazione della società e del suo patrimonio dalle
persone e dal patrimonio dei soci, la partecipazione di questi all'am-
ministrazione almeno colla nomina dei gerenti. Invece lo scopo, a
cui il Lehmann attribuisce una grandissima importanza, la specu-
lazione commerciale intrapresa coi capitali dell'associazione, non
sembra essere tanto importante per la natura della società per azioni,
che senza quello non potrebbe giuridicamente esistere e mantenersi.
Quantunque né compere ne maone genovesi siano state costituite
coir intento diretto d'assicurare un lucro ai capitali in esse investiti.
SIEVEKIXG, LE FINANZE UKNUVESl DEL MEDIO EVO 143
possiamo sempre considerarle come istituti che contengono i primi
elementi per la nuova forma di società, destinata all'immenso svol-
gimento moderno, qualora noi troviamo in esse tracce di quegli altri
requisiti suaccennati. E che questi esistano nessuno può contestare :
di luoghi a valor numerico costante e sempre trasmissibili si parla
per le compere e per le maone, ed anche là dove si fa menzione di
earati e quote minori, esse sono sempre ragguagliate ai luoghi di
più antica origine (fatta eccezione per la maona nuova di Chio); —
l'interesse, fissato in principio in misura percentuale, divenne pur
variabile in proporzione ai frutti delle imposte, ed il Sieveking mise
questo fatto in piena luce, quantunque non sia fuor di luogo 1' os-
servazione del Lehmaxn che un simile dividendo, per quanto varia-
bile, era sempre inferiore all' interesse promesso e fu accettato ap-
punto perchè le promesse non si potevano mantenere: — i capitalisti
partecipano all'amministrazione del capitale e delle imposte loro
assegnate, od almeno alla nomina dei gerenti, eletti in parte fra
loro: — la responsabilità apparisce sempre limitata, ne le parole e
l'unico testo citato dal S. (p. 219) bastano a provare il contrario,
poiché si riferiscono alla responsabilità pel versamento della quota
promessa e non pagata, la quale deve manifestamente essere illimitata,
non ad una domanda di nuove somme da aggiungersi alla quota stessa
per soddisfare i debiti dell'impresa. E sia pure, come afferma il
Lehmann, che nelle grosse società mercantili olandesi, precorritrici
dirette delle odierne società per azioni, non si usi mai la voce italiana
luogo, né si accenni agli ordinamenti del Banco di S. Giorgio come
assunti a modello, né le analogie tra quegli ordini e le regole fissate,
octroyées per quelle società siano grandi e rilev^anti : io penso che
le costituzioni di un Banco tanto conosciuto ed ammirato anche
fuori d'Italia (che sono filiazione degli antichi capitoli delle compere
e maone in esso riunite e fuse), non siano state senza qualche in-
fluenza sugli ordini nuovi, per quanto la diversità degli scopi im-
mediati e del carattere nazionale stesso abbiano potuto diminuire
d' assai le estrinseche rassomiglianze.
Qualche minima osservazione prima di finire. Gli statuti del ceto
mercantile, a cui si accenna a p. 76, come compilati nel 1432 e
pervenuti a noi in una copia del 1743, sono gli stessi che i particolari
statuti dell'arte della seta pei setaiuoli e mereiai che il Sieveking
illustrò altrove (^Schmoller's Jahrhucli fiir Gesetzgehung etc. 1897, pag.
103) e pei quali indica le stesse date? In caso negativo, i cultori della
storia del diritto genovese vogliano darcene qualche maggiore notizia,
perclié a Genova di tali statuti de' mercanti non si ebbe finora co-
noscenza.
La tassa sull'industria della seta ragguagliata a quattro denari
144 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
2)ro libra natorum et nascitorum (corr. nasciturorumP) non sarà piut-
tosto sui filugelli che sui panni (p. 177 not. 1)?
Non credo che Vintroitus rose et murte (p. 83) si possa interpre-
tare come dazio sulle rose e sui mirti, che sarebbero stati introdotti
in città* per uso di chiesa. La voce niurta è veramente tradotta per
mirto in parecchi glossari, sia in quello generale del Ducange-Fabre,
sia in quello speciale del Rossi, Gloss. mediev. ligure {Mise, di st.
ital, Ser. ITI, voi. IV, p. 85), ma questo significato non conviene ne
allo statuto di Porto Maurizio (cit. a p. 88) che tutela il monopolio
della compra vendita della murta vel ebreaca^ né ad alcuni altri testi
genovesi, in cui si vieta di trasportar la murta, come il fimo ed il
letame, allo scoperto senza sacchi od invogli chiusi e di bruciarla
fuori di luoghi coperti {Leges Gen. cit. col. 435, 436, 600) e si ordina
di tenere i cuoi in murta seu in affaito per dieci mesi almeno (Stat.
di Albenga ap. Rossi op. cit. p. 31 s. v. callegarius): la voce murta
deve dunque indicare una materia conciaria con un odore acuto e
poco gradevole. 'Infatti il Casaccia nel suo Dizionario del dialetto
genovese registra quella voce col significato di foglie di corbezzolo
(albatro o rosella, arbutus unedo) ed aggiunge che si adoperano dai
conciatori. Probabilmente ajiche la voce rose ha un senso affine :
nel documento pubblicato a p. 234 si legge roxi et murte e nelle
Leges Genuenses sopracitate, allo stesso luogo boxi et murte (col. 230,
234), e perciò la prima voce se è boxi, si può interpretare bosso, le
cui foglie sono pur ricche di tannino, o sommacco, se invece la giusta
lezione è roxi (v. per altri esempi Rossi, p. 85 e Arch. stor. it.,
1902, I, 302).
Torino. Alessandro Lattes.
Gino Arias, Il sistema della costituzione economica e sociale italiana
nella età dei Comuni. — Torino, Roux e Viarengo, 1905.
Oggidì è di moda il contestare che la storia sia veramente una
scienza : ma di questo avviso non è l'Arias, il quale pensa che scienza
potrà veramente divenire se, dopo le incertezze o i tentennamenti
dell'ora presente, s'incamminerà decisa per la giusta via cercando,
a traverso lo studio dei fenomeni e del loro coordinamento, la
legge unica regolatrice di essi. E per conto suo la giusta via do-
vrebbe essere additata da una comprensione teorica ch'ei distingue
col nome di « naturalismo storico », per differenziarla dal « materia-
lismo storico » col quale ha molti lati comuni: movendo dai due
postulati indeclinabili consistenti neiraff"ermazioue dell'intima e
ARIAS, COSTITUZIONE KCt».\OMiCA DEI COMUNI 145
indissolubile colleganza tra i vari fenomeni sociali e della dispo-
sizione di questi secondo un ordine gerarchico in rapporto alla
genesi e airefficienza sociale, lo storico, che, armato del presidio d'una
ben intesa sociologia, dovrà esser non solo un descrittore, ma un
interprete, potrà e dovrà spingersi ben oltre l'umile compito di rac-
cogliere e catalogare dei fatti e potrà dar la ragione di questi
risalendo a grado a grado a traverso i fenomeni subordinati fino a
raggiungere il fenomeno superiore da cui tutti gli altri come secon-
dari promanano o dipendono. Allora il subbiettivismo, dominante
nel campo artistico, cederà necessariamente il campo ad un sereno
obbiettivismo suggerito e imposto dalla natura stessa delle cose : e
nel pensiero e nella esposizione dello scrittore si rifletteranno fe-
delmente il coordinamento e la gerarchia esistenti nella realtà. Pro-
cedendo dai fenomeni derivati ai primogenii ben si vedrà come tra
questi campeggi il fattore economico : gli altri fattori, il morale, il
religioso, il politico, il giuridico non sarebbero in ultima analisi che
<lei « simboli » plasmantisi variamente secondo la necessità della
costituzione economica.
Questi i concetti che, presentati al termine del libro a mo' di
conclusione, costituiscono in realtà le premesse cui fu inspirata la
sua condotta; ed io ho preferito riportarli al vestibolo della ricostru-
zione appunto perchè subito ne risultassero i criteri informatori.
Il lettore ha già capito che l'Arias più che degli istituti in sé si
occupa del loro « spirito », cioè della loro funzione in rapporto al
vario giuoco delle forze sociali e delle loro attinenze con gli isti-
tuti collaterali e con la vita ond' erano circondati ; più che de-
scrivere esplica; più che della storia fa, direi, della filosofia della
storia. E il libro, che tratta materia ben degna di studio, è industre-
raente piantato e armonicamente svolto sui criterii di base ponendoci
anzi tutto sott' occhi la costituzione economica dell'età dei comuni
per poi indagare la sua azione sulla costituzione sociale e risalire
in fine a una visione sintetica del sistema.
Eccone le linee principali.
All' assetto feudale, basato sul predominio dell' economia ter-
riera, subentrò nell' epoca comunale un assetto quasi borghese che
poggiava invece sulla iniziata prevalenza delle energie mobiliari:
ma pur difì'erendo profondamente per quelle intime note, i due periodi
avevano per carattere comune il particolarismo esclusivista dei vari
eentri economici. Se pur nel periodo più recente, sempre più cre-
scendo l'importanza dell'economia locale, alcune città, nell'esercizio
delle attività loro, già eccedevano talvolta i limiti della nazione,
non ancora v'erano gli estremi d'una economia nazionale e ogni
Arch. Stoe. It., 5.'' Seri». — XXXIX. It»
146 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
città cercava tuttavia entro se stessa lo sviluppo delle più disparate
energie e nella tutela di queste s'informava al più rigido egoismo.
In seno ad esse la produzione aveva i suoi organi precipui nelle
corporazioni artigiane e mercantili: o il primo quesito che l'Arias
si propose risguardò appunto il funzionamento di quegli organismi
corporativi e toccò anzitutto della loro genesi per venire alla con-
clusione clie r affermata incompatibilità tra il regime associativo
e la costituzione sociale e politica del medioevo non risponde al
vero e che, esistendo nei territori longobardi quelle stesse necessità
che nei territori bizantini richiedevano il vincolo associativo per
provvedere adeguatamente alla produzione e al lusso cittadino e
sorvegliarlo e dirigerlo, tra le associazioni romane e le comunali
fu possibile un legame di continuità formale e sostanziale. Poi anche
nelle arti cercò sagacemente le stigmate dell'esclusivismo cittadino:
il bisogno di proteggere e assodare le fresche energie, che si spie-
gavano nelle città dopo il lungo torpore medioevale, esigeva la
creazione di ferme barriere le quali, limitandone il campo d'azione,
ne intensificassero l'efficacia e costituissero insieme la più vigile
salvaguardia contro le concorrenze estranee : e di qui ei deriva ap-
punto le misure che vietavano o difficultavano l'ammissione dello
straniero all'esercizio dell'arte e le altre che pur ai lavoranti in-
digeni proibivano d' esercitar l' arte fuori della città, di ricevere
direttamente commissioni dal di fuori, di esportare i materiali primi,
di comprare e vendere per conto di forestieri. Ciò avrebbe offerto
modo al forestiero di sottrarsi al mercato cittadino e alle norme
con cui le città singole regolavano le industrie, avrebbe prodotto
un facile arricchimento di pochi a danno di tutti, avrebbe mutato
le condizioni dell'offerta di lavoro, avrebbe consentito ad estranei
un pericoloso predominio sul mercato ; e si voleva scansare un tal
rischio. A quelle stesse cause s'inspirò e agli stessi scopi mirò il
regime esclusivista che da ultimo s'impose anche in rapporto ai
cittadini vietando ai non iscritti nell'arte di compiere i lavori
ad essa attinenti : per vincere la concorrenza occorreva affermare
sempre più la solidarietà delle cooperazioni mentre sorsero norme
che tendevano a intensificare la coesione con banchetti comuni, con
doveri di mutua assistenza in vita e di accompagnamenti collet-
tivi in morte o ad eliminare le cause dissolventi che derivavano
dal soverchiare di alcuni soci sugli altri, col vietare l'incetta delle
merci o con l'imporre la comune partizione di queste, col proibire
di sottrarre i contraenti dalle botteghe altrui o di contrarre con
chi fosse venuto meno agli impegni verso altri soci, coli' impedire
la compera di merci da altri comprate o di rincarar la bottega ad
ARIAS, COSTUI /J().\K KIUNOMICA DEI COMUNI 147
;ilrri artittata o di tirare a sé il lavoro ad altri accaparrato; di (iiieste
iiii;iure sopratutto abbisognavano le arti minori per cementare in
unione fraterna le forze tenui dei piccoli imprenditori che isolata-
mente non avrebbero potuto reggere ai rischi del mercato. Il di-
scepolato stesso alla funzione tecnica di addestrare gli inesperti
all'esercizio dell'arte aggiungeva quella di assicurare ai maestri il
lavoro a un prezzo relativamente moderato col sostituire la mercede
in natura a quella in denaro e con la creazione di uno stato mite
ili dipendenza rinsaldava la gerarchia ch'era a base della costituzione
dell'arte. Dalla libertà del credito sarebbe risultato uno spareggio
fra chi osava e poteva ricorrervi e chi se ne asteneva e avrebbe
cresciuto il prezzo per trovar nell'aumento di questo una assicurazione
contro i rischi del prestito : ma ad impedire il rialzo dei prezzi dan-
noso alla concorrenza e ad impedire lo spareggio fra i soci mi-
rarono i divieti di cercar credito fuori dell'arte o d'associarsi con
membri d'arte diversa. L'esclusivismo artigiano fu cosi inarmonica
corrispondenza con l'esclusivismo cittadino: come ogni città così
ogni gruppo tendeva al proprio vantaggio senza riguardo al discapito
dei gruppi collaterali. Ma l'antagonismo apparente aveva pure il
fiuo nesso col sistema generale. E l'organizzazione corporativa ebbe
lo scopo di raggruppare le singole attività individuali per meglio
dirigerle e coadiuvarle: essa, col disciplinarle e moderarle entro
i contini della città, doveva adattarle a lottare vittoriosamente sui
mercati esteriori impedendo un eccessivo rincaro dei prezzi per via
di limitazioni legali supplenti alla deficienza dell'azione depressiva
che in altro regime avrebbe esercitata la concorrenza fra produzioni
di vari luoghi, regolando il complesso della produzione locale perchè
non eccedesse la potenzialità del mercato, tenendo soggetti i lavo-
ratori agli imprenditori per agevolare lo svolgersi del capitalismo.
La pressione di questo ben si rivela nell'intreccio de'congegni
con cui si coerciva la libertà dei sudditi dell'arte: l'Arias li distingue
in diretti e indiretti. E tra i primi rassegna il giuramento di obbe-
<lienza cui era subordinato l'ingresso nell'arte, il divieto di far ressa
o d'associarsi per fini economici e politici o di lavorare per proprio
conto e tutto l'altro complesso di norme che tendevano ad assicu-
rare l'imprenditore contro l'operaio ed a deprimer questo nei rapporti
con quello aifermando il principio della responsabilità solidale della
famiglia, proibendo l'assunzione di operai debitori verso altri padroni
o concedendo diritto di retenzione a favore di quelli, privilegiando
la posizione giudiziaria del maestro in rapporto alla prova delle
obl)ligazioni dell'operaio, ostacolando che l'imprenditore con una
.soverchia richiesta di mano d'opera o con una troppo larga con-
148 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
cessione di materie greggie compromettesse la mitezza dei eomi)ensi
del lavoratore e contrastasse al sistema domestico di certe indnstrie,
limitando la quantità del lavoro e il termine dell'esecuzione, tassando
legalmente i salari. Tra gli indiretti enumera invece il divieto del
lavoro nei giorni festivi mirante ad impedire, in momenti di difficile
collocazione, il sovrabbondare dei prodotti o a frenare la richiesta di
lavoro in momento in cui scarseggiava l'offerta, i limiti posti alla
concessione di credito da parte del padrone nei riguardi dell'operaio
e la rigorosa tutela delle ragioni di credito che quello avesse even-
tualmente contratto verso questo, l'artificioso mantenimento di un
dislivello fra lo stato economico dei vari lavoratori allo scopo di
difficultare l'unione delle forze lavoratrici contro il capitale e la
creazione di una classe di discepoli privilegiati che con la speranza
di un sicuro miglioramento fosse interessata alla conservazione dello
statu quo, lo sfruttamento monetario ottenuto col porre una moneta
aurea privilegiata accanto a una moneta d'argento scadente e di vii
l)rezzo, l'accumulazione del capitale improduttivo che minorando la
concorrenza tra le frazioni del produttivo deprimeva il salario con
una relativa riduzione della domanda di lavoro, la voluta conser-
vazione dell'industria domestica a integramento di quella svolgentesi
nei laboratori dell'imprenditore, le pubbliche distribuzioni intese ad
addormentare gli istinti ribelli e a promuovere 1' esistenza di una
classe disagiata costituente una riserva acquistabile a bassissimo
prezzo ad ogni occasione e infine la artificiosa depressione nella
condizione economica dei lavoratori del contado.
E se in rapporto alla produzione l'Arias credette avvertire una
perfetta corrisj^ondenza tra l'organizzazione e la funzione della cor-
porazione, artigiana e il sottosuolo, non meno chiara gli parve di
scoprirla rispetto alle istituzioni dello scambio. Già la coniazione^
dell'oro sembra a lui tutta legata alle speciali condizioni di Firenze
e la ravvisa come un congegno per vincere le difficoltà che le nuove
energie capitalistiche incontravano nella situazione politica, nell'as-
setto politico e nei detriti d'un ordinamento giuridico omai antiquato:
vantaggiosa da principio come elaterio del credito all' estero e con-
seguentemente come uno spediente per agevolare l'acquisto delle
materie prime e per guadagnar terreno al commercio bancario, si
rivelò poi dannosa per l'emigrazione dell'oro anzitutto e poi per
quella dell'argento, indarno ostacolata con leggi che tendevano ad
un artificiale rialzo del suo prezzo progressivamente degradante.
Codesti fenomeni derivarono dal particolarismo che caratterizzava
l'economia medioevale e pur la politica monetaria che da essi fu sug-
gerita s'inspirò all'egoismo gretto che in quel particolarismo s'era
ARIAS, COSTITUZIONE ECONOMICA DEI COMUNI 149
tatto dominante. Ben ne scorgiamo l'impronta nei divieti del trasporto
<l('Ila moneta cittadina oltre i confini dello stato e nell'esclusione del
corso della moneta straniera concorrente: ma anche l'alterazione della
moneta, che si suol riguardare come uno stratagemma fiscale, ebbe
lo scopo di far cadere altri pesi sullo straniero. La varietà molte-
plice dei sistemi monetari e le gare fra i singoli stati rendevano
però vane le misure prese contro l'adulterazione delle monete pro-
mossa dall' eccedenza del valore di corso sul valore di costo e
contro la riproduzione dei tipi locali per vantaggi rilevanti che da
essa traevano i coniatori e la sregolata coniazione di monete simili
ingenerava una confusione enorme per la difficoltà di stabilire il
rapporto delle monete stesse attraverso le loro rapide oscillazioni :
ma di qui trasse appunto le sue basi il grande sviluppo della in-
dustria bancaria. Le barriere frapposte fra stato e stato e i pericoli
del trasporto del denaro imposero infatti la formazione di una classe
l»en retribuita che a quelle pratiche attendesse: e la ditìicoltà degli
impieghi produttivi allettò volentieri il capitale a quelle imprese
tìncliè r incauto volgersi del capitale improduttivo a sempre più
azzardate speculazioni per l'eccessiva fiducia generata dal monopolio
addusse agli strepitosi fallimenti delle ditte per esse già fatte opu-
lente. Largo campo fu aperto all'attività dai banchieri nei rapporti
coi romani e sopratutto col papa per la accolta e la trasmissione
dei tributi, per anticipazioni e prestiti: e lauto ne fu il guadagno
mentre la mancanza generale di fiducia sgorgante dal sistema ge-
nerale di scissioni e antagonismi rendeva alto il saggio dell'interesse
coll'elevare il premio d'assicurazione in esso incluso.
Ma anche nel contado la trasformazione oude l'economia agricola
uià fondamentale diventò solo integratrice della economia mobiliare
dominante nella città generò perturbazioni profonde. La cresciuta
richiesta dei prodotti importò anzitutto una intensificazione della
coltura e poi l'aumentata otìerta e la attiva concorrenza ne svilirono
i prezzi e, attenuando i benefici dei proprietari, scemarono anche il
valore della terra: la necessità di un più proficuo impiego delle
energie umane per supplire alle nuove funzioni dell'agricoltura ral-
lentò allora i freni del lavoratore della terra a cui favore, per neces-
sità d'equilibrio, operava anche il contrasto deUa condizione sua con
quella più libera e agiata del lavoratore urbano. Quindi la servitù fece
luogo al villanaticodove prima, dove dopo, secondo la varia intensità
del fenomeno urbano: solo la lentezza e la gradualità del processo
einancipativo impedi il trasmodare delle pretese dell'agricoltore.
Non possedendo che una sola forma di ricchezza, l'immobiliare,
le campagne non avevano potere di resistere alle forze invadenti
150 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
(lei centri maggiori ove alla ricchezza immobiliare si era aggiunta
la mobiliare e dovevano fatalmente asservire a quelli le proprie
energie. L'estensione, la durata, l'intensità di questa politica sotto-
mettitrice fu naturalmente varia in proporzione alla vivacità e
all'entità delle forze operanti nel centro urbano e alla perfezione dei
congegni che ne aiutavano il giuoco, ma dappertutto alla sottomissione
si giunse poiché al comune rurale fu pur causa generale di debolezza
l'assenza di un governo di classe e conseguentemente d'una politica
ferma e costante. Gli allettamenti al credito vennero presto scontati
con l'asprezza dei mezzi con cui quello si tutelava e i debitori fu-
rono presto alla mercè dei^creditori: la dipendenza economica generò
la politica. Ma le città non si spinsero fino a sopprimere del tutto le
organizzazioni già formatesi nelle campagne: la conservazione della
personalità dell'ente parve anzi necessaria per sorreggere le obbli-
gazioni e le prestazioni ad esso addossate. E non cercarono se non
quel grado di sottomissione che era spediente per impedire che
le industrie della campagna acquistassero una fisonomia propria e,
stabilendo dei propri mercati, danneggiassero le industrie cittadine
nella produzione e nello spaccio: la depressione del lavoratore rurale
era anche richiesta per impedire un soverchio rialzo nelle condizioni
del lavoratore urbano.
Prodotto della vita sociale, lo stato dovette a questa adattarsi
e fu di conseguenza l'esecutore delle imperiose volontà imposte dalla
costituzione economica generale sia che la sua azione si esplicasse
negativamente col frenare gli impulsi spontanei delle energie econo-
miche sia che si esplicasse positivamente coll'assumerne la direzione.
L'azione negativa si svolse specialmente nel senso dì ridurrò le
pretese di determinate categorie di lavoranti o imprenditori per
moderare i prezzi de' loro prodotti o nel senso di limitare il cara
dell'annona minacciata sempre dalla irregolarità delle culture e dalla
difficoltà dell'approvvigionamento dall'estero e mirava a mantenere
il necessario equilibrio fra lo stato dei lavoratori delle città e delle
campagne e tra il lavoro domestico e quello di laboratorio, imponendo
dazi d'entrata o d'uscita per certe merci e per le altre lasciando
la maggior libertà d'ingresso come^ pei cereali rispetto ai quali te-
mevasi che la rendita fondiaria non s'elevasse troppo a danno del
profitto: l'azione positiva si esplicò invece soprattutto nel monopolio
e le tendenze monopolizzatrici dello stato per riguardo alle compere
e allo spaccio di certi generi come i cereali e il vino, furono giusti-
ficate appunto per ciò che rispetto ad essi la speculazione, senza ec-
cessivo rialzo de' prezzi, non consentiva al privato un lucro che
compensasse le spese e i rischi del trasporto mentre invece all'ente
ARIAS, COSTIJIZIONE I-XONOMIGA DEI G(JMIM 151
collettivo la larghezza deiracquisto consentiva che si avveratir^e in
condizioni migliori e la indipendenza da nno scopo di lucro dava
l)oi maggior facilità e sicurezza di smercio.
Secondo la direzione presa dalle energie produttive si organizza-
rono anche e si contrapposero le classi sociali. Se in un primo periodo
sotto la pressione di comuni interessi i rappresentanti della ricchezza
immobiliare e della mobiliare non ancora sicura di sé poterono vivere
a fianco in un relativo accordo, poscia gli attriti si acuirono e
rinconciliabilità si fece manifesta: la borghesia si slanciò contro il
feudalismo sforzandosi di conseguire la forma già tipica di ric-
chezza per togliere agli avversari l'arme più grave né s'arrestò se
non quando ebbe soppressa l'autonoma esistenza di quelli. Allora
i possessori della ricchezza mobiliare raggiunsero il colmo della loro
parabola ascendente: ma a questo punto, per le discordie insorgenti
tra le varie frazioni della borghesia, ne cominciò la decadenza col
volgersi del salariato contro gli imprenditori.
In mezzo all'urto tra le classi feudali e la borghesia s'affermò
il comune, in cui l'Arias vede il frutto di un compromesso tra le
vecchie energie feudali e le borghesi per la creazione di un organo
che ne permettesse la consistenza e ne educasse il progresso: quindi
a funzioni coordinatrici dovette aggiungere delle funzioni di tutela
a favore dei singoli centri economici suscettibili di vita autonoma.
A traverso la varietà dei procedimenti storici locali per cui l'ini-
ziativa organizzatrice qua venne dall'aristocrazia feudale, là dalla
borghesia egli ravvisa tuttavia in essi l'espressione di necessità
generali ed uniformi.
Se all'ombra del comune si maturò il trionfo della borghesia che
ai feudatari strappò il privilegio politico e la giurisdizione, co-
desta vittoria si confece appunto alla prevalenza del capitale mo-
l)ile sul terriero e all'avverarsi di condizioni tali che la rendevano
non solo possibile ma necessaria. E l'azione comunale fu necessa-
riamente egoista per il particolarismo dominante nell'aggruppamento
e nel l'atteggiarsi delle energie economiche: l'antagonismo degli in-
teressi generò le differenziazioni politiche. Del resto pur all'interno
dal giuoco delle forze economiche trasse la sua forma la costitu-
zione politica: ove s'ebbe una classe economicamente poderosa, una
grassa borghesia o un' aristocrazia marinaresca, il governo fu di
preferenza repubblicano: ove questo dovette poggiare su una massa
di popolo minuto inadatto all'esercizio delle funzioni politiche e di
esse incuranti fu signorile: fu monarchico in fine dove predominò la
proprietà terriera e il reddito si raccolse nelle mani di pochi privi-
legiati sollevantisi su la folla quietista dei rustici. E il sorgere stesso
152 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
e il foggiarsi delle singole magistrature fu a quelle subordinato:
all'Arias sembra che il podestà sia nato appunto quando si ruppe
il primitivo accordo fra la ricchezza mobiliare e l'immobiliare e che
pur la sua scelta all'interno e all'estero abbia realmente corrisposto
a due momenti diversi nella evoluzione economica dei due comuni.
Uno strumento per conciliare il particolarismo di mestiere con quello
di città egli scopre poi nella costituzione delle società delle armi
che richiamavano ad unità giusta un criterio topografico le diverse
categorie del popolo differenziate già secondo le vocazioni economi-
che : e ragioni di carattere economico attribuisce pure all' adozione
delle milizie mercenarie in un momento in cui, scomparsa la classe
feudale, la borghese era all'armi disadatta e tutta compresa dalle
necessità di non distrarre dall'opera loro i lavoratori manuali. Tanto
più ritrovò evidente l'attinenza col sottosuolo economico nelle isti-
tuzioni politico-mercantili del tipo della mercanzia fiorentina ch'ei
vuole sorta per dirimere i conflitti tra le frazioni preponderanti del
capitalismo locale.
Da conflitti economici erompevano per lo più le guerre, il cui
successo dipendeva in gran parte dalla potenzialità economica rive-
lando nelle vittorie o nelle sconfìtte l'ascensione o la depressione di
quella: e ad essi si informarono anche i trattati che tendevano a
mitigare pacificamente gli antagonismi assumendo vario aspetto
secondo la varia combinazione dei fattori economici e vario conte-
nuto secondo che le condizioni del momento non consentivano che
il raggiungimento d'uno scopo negativo qual'era l'eliminazione di
qualche ostacolo o permettevano invece il conseguimento d'una uti-
lità positiva per mezzo di privilegi. Quindi nelle alleanze dominò
il tornaconto e così per esempio l'accordo quasi costante fra Napoli
e Firenze fu determinato dalla necessità di trovare uno sfogo alle
derrate meridionali e ai capitali fiorentini e supplì dall' un lato al
difetto del capitale, dall'altro a quello dei prodotti agricoli. Infine
pur il carattere mercantile delle colonie medioevali s'improntò alla
costituzione economica del tempo derivando non già da necessità
di occupare una popolazione sovrabbondante, ma da quella di smal-
tire i prodotti delle industrie locali: e pur in questo bisogno trova
la sua esplicazione precipua lo slancio con cui si seguirono le cro-
ciate ammantate sotto il velo della pietà.
Moventi economici l'Arias ricerca anche in fondo all'azione della
chiesa che si sarebbe esplicata appunto come un' integrazione del-
l'azione della autorità laica in armonia allo svolgersi della vita
economica e civile: essa avrebbe cercato di dominarla e dirigerla
modificando a quest'uopo la sua stessa costituzione e rendendola più
ARIAS, COSTITUZIONE ECONOMICA DEI COMUNI 153
complessa con la creazione di nuovi organi. Cosi T accentramento
dell'autorità suprema nel pontefice a traverso la corruzione dell'au-
torità vescovile sarebbe derivata dalle necessità di rafforzare l'or-
dinamento gerarchico per intensificare la propria azione assorbente
t' dirigente e la costituzione delle parrocchie avrebbe dovuto favorire
la incubazione delle energie locali nel loro risorgere e quella delle
corporazioni religiose con un lavoro privilegiato avrebbe contribuito
validamente all'acquisto del mercato in tempi non certo propizi al
lavoro libero e l'anapiezza stessa della legislazione ecclesiastica
sfarebbe stata lo specchio della progressiva invasione delle norme
ecclesiastiche nei rapporti della vita civile.
Più tacile fu naturalmente il rivelare il nesso tra la costituzione
generale dell'economia e le istituzioni finanziarie.il capitale indu-
striale e mercantile fatto sicuro cercò ben presto di riversare altrove
la pressione tributaria ostacolante il suo cammino e cosi, ove il ca-
pitalismo fu in fiore, prevalse il sistema dell'estimo mentre quello del
catasto dominò dove quello era fiacco o decadente: là un sistema com-
plesso di congegni tendeva per vie indirette a colpire le classi che
non partecipavano alle forme di reddito capitalistico, qua un sistema
più semplice e arretrato tendeva ad avvantaggiare la proprietà fon-
diaria. Come mezzo di vivere e prosperare a danno dei possibili
concorrenti esteriori si presentano i dazi di transito e, in parte, quelli
d'entrata e d'uscita proteggenti !e deboli industrie interne; e all'in-
terno il predominio delle imposte indirette fu poi il mezzo con cui
le classi dominanti premettero sulle lavoratrici per diminuire il va-
lore reale delle mercedi e assicurarsi il profitto. Anche l'aggravio del
contado a vantaggio delle città fu una valvola di sicurezza per non
eccedere i limiti delle impossibilità sopra le classi lavoratrici ur-
bane. Leva e strumento d'espansione politica e commerciale si pa-
lesano i prestiti pubblici all'estero e i prestiti dei cittadini al co-
mune appariscono come uno sfogo all'eccesso del capitale e insieme
come un mezzo per rinsaldare al governo la classe detentrice di esso.
Ma l'ingiustizia e la oppressività del regime finanziario causava una
incertezza enorme nelle riscossioni e quindi il bisogno di congegni
che ad essa ovviassero : di qui, come un mezzo di assicurazione
contro quei rischi, la generale adozione dell' appalto a breve sca-
denza e poi le leggi che moltiplicavano il numero dei responsabili
o rendevano coattivo il ricorso agli atti colpiti da tasse e di qui
anche, per la irregolarità del regime finanziario, la repugnanza a
far dell'erario una persona giuridica a sé e il suo appoggiarsi alla
persona del sovrano. Potrebbe dopo ciò parer strana la tolleranza
verso imposizioni ecclesiastiche come le decime che per l'iniqua
154 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
distribuzione e pel loro valore intrinseco e pei privilegi ond' erano
assicurate dovevano essere gravissime: ma, secondo l'Arias, s'esplica
per gli infiniti vincoli che legarono lo Stato alla Chiesa, da cui traeva
un aiuto alla sua fermezza, e perchè da quell'enorme movimento
di ricchezze v' erano classi, ed erano appunto le dominanti, che
traevano non poco benefizio.
Nel dominio del diritto privato il riverbero della costituzione
economica è quindi ricercato da lui nella rafforzata coesione dome-
stica, neir atteggiarsi della patria podestà, nel regime patrimoniale
fra coniugi, nelle limitazioni alla proprietà privata, nella esclusione
dello straniero dalla proprietà, nella distinzione fra la proprietà e
il possesso, nelle garanzie delle obbligazioni, nelle successioni, nelle
tutele, nel diritto all'azione e nelle modalità del suo esercizio: nel-
l'alto medioevo il fulcro della vita economica era la famiglia e pa-
reva giusto che da questa non fossero distratti i beni e che la libertà
individuale fosse sottratta all'utile collettivo, ma col succedere d'una
economia, ove precipua fonte di ricchezza diventò il lavoro, l'indi-
viduo si emancipò dai vincoli troppo impaccianti e di qui la necessità
di riforme familiari. Però, cedendo 1' esclusivismo domestico, rima-
neva sempre 1' esclusivismo locale avverso agli spostamenti di ric-
chezza da luogo a luogo e continuò a causare il privilegio del
cittadino e impedi il sorgere della fiducia necessaria perchè il
sistema delle obbligazioni si svolgesse senza ceppi sostanziali e
formali e senza necessità d'una ferrea tutela.
L'esclusivismo di classe unendosi a quello diede poi al diritto
commerciale quell'aspetto subiettivo che oggi cede dinanzi all'obbiet-
tività consentita e imposta dal minor rigidismo nella contrapposi-
zione delle classi sociali e dalla internazionalità del commercio, del
quale è divenuto anima il risparmio reciproco dei costi. E la para-
bola ascendente del capitale si riflettè sullo svolgersi delle società
commerciali e nel loro movimento verso l'acquisto della persona-
lità giuridica che da prima non sarebbe stata possibile appunto
per la necessità che i rischi del commercio fossero sostenuti con
tutte le forze e con la piena responsabilità di tutte le persone
commercianti. Secondo l'Arias la prisca forma sociale sarebbe stata la
commenda, risultato della prima costituzione del capitale in maniera
disgregata e sporadica e utile strumento alla sua espansione con l'as-
sicurare al lavoratore un beneficio proporzionale che alla sua volta
gli avrebbe permesso di farsi centro d'una particolare efficienza
economica; quindi sarebbe sorta la società collettiva che, model-
lata sulla famiglia, avrebbe risposto alla necessità di contrapjjorre
a rischi maggiori una maggiore resistenza e di afforzare le garan-
ARIAS, COSTITUZIONE ECONOMICA DEI COMMUNI 155
zie verso i terzi con una illimitata responsabilità ; e tìnalmente sa-
rebber giunte le società anonime, nel medioevo impossibili per la
mala sicurezza dei trasporti, per le barriere dividenti classi e terre,
per la mancanza di fiducia. Sono gli elementi stessi che tardarono
lo sviluppo dei titoli di credito: e l'Arias ritiene infatti che pur
la clausola al portatore abbia potuto farsi innanzi solo in tempi
recenti. Come correttivo e compenso alle difficoltà risultanti dal-
l'esclusivismo di luogo e di corpo egli considera infine le fiere che
permettevano agli stranieri e ai lavoratori di sfuggire di quando
in quando ai sistemi abituali di sfruttamento e alle coercizioni usate
contro di loro: e vennero meno appunto quando il riavvicinamento
tra le economie separate e chiuse resero men vivo il bisogno di
quell'antidoto. Così sparvero altresì le rappresaglie e molti altri
istituti che, rampollati dall'esclusivismo mediovaie, erano destinati
a mitigarne le asprezze.
Nel dominio del diritto penale l'evoluzione economica portò
all'abolizione della ragione privata, sostituì al principio della ven-
detta quello della difesa dell'aggregato sociale, tolse e creò varie
figure di reati e ne influenzò la valutazione inducendo a graduar
le pene secondo la loro frequenza e la loro capacità di danno,
scemò i rigori contro lo straniero e ne rafforzò la tutela, modificò
il sistema delle prove con l'eliminazione di ogni involucro super-
stizioso.
Secondo l'Arias le stesse idee sociali si sarebbero manifestate
come una reazione o una giustificazione dei moti economici. La lotta
ecclesiastica contro il mutuo fruttifero p. es. avrebbe avuto le sue basi
prima nella necessità di frenare il prestito del denaro in tempi in
cui il capitale circolante era scarso, poi, quando cominciò ad ab-
bondare, nella necessità di coercirne le tendenze troppo baldan-
zose e per ovviare al rischio che un soverchio accrescimento delle
vecchie energie economiche soffocasse le altre in via di formazione e
per impedire il volgersi del capitale a impieghi improduttivi a scapito
del capitale produttivo: e così l'opposizione cattolica, mantenen-
dosi in periodi economicamente diversi, avrebbe sempre avuto la
sua ragione nelle condizioni reali, a queste inspirando le non lievi
modificazioni che permisero in fine di ammettere, accanto ad un com-
penso pel danno emergente, un compenso pel lucro cessante. Fin la
Kiforma appare all'Arias sospinta da moventi economici; egli la con-
cepisce come un grande sforzo per svincolarsi da Roma e dal Mez-
zodì, per promuovere una più feconda incubazione dei germi di
risorgimento che già si manifestavano in Germania; e cosi esplica la
preferenza data all'agricoltura sul commercio, la lotta contro il coni-
156 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
mercio di lusso alimentato dalle regioni meridionali e la condanna
del monopolio. Al disgregarsi dell'economia capitalistica e al so-
l)ravvt?nto della terriera rannoda pure il pensiero economico degli
umanisti, il sistema politico del Savonarola, il ridestarsi del cesa-
rismo: e connette il sorgere delle teorie mercantilistiche al riavvi-
cinarsi delle varie economie locali, preludiante al sorgere d'una
economia nazionale.
La chiave della vita sociale è così da lui ricercata nel neces-
sario assecondamento delle nuove energie capitalistiche integranti
prima e soverchianti poi l'economia agraria trasmessa dall'alto me-
dioevo : la loro educazione avrebbe richiesto il particolarismo che
adempì alla funzione di differenziare tra le varie economie le più
forti in modo da consentire in un periodo successivo l'esplicarsi
delle speciali attitudini economiche supplendo alle loro deficienze
col commercio internazionale.
Ho riassunto con la maggior fedeltà, usando spesso le parole
stesse dell'Autore, le precipue conclusioni del suo libro: e da questo
riassunto ne emergono i pregi e i difetti. Che pregi vi sieno è grato
il rilevarlo: in ogni parte del libro s'incontrano infatti raffronti
arguti e argomentazioni sottili e già da un punto di vista generale
le costruzioni dell'Arias s'avvantaggiano sulle precedenti combat-
tendo le teorie di coloro che escludevano per l'età comunale l'esi-
stenza di un vero capitalismo e del salariato. Ma d'altro lato pos-
sono dar luogo a dubbi e a critiche e la struttura troppo rigidamente
sistematica del lavoro e lo sforzo perenne verso deduzioni artata-
mente uniformi.
Se nell'ammettere la colleganza intima dei fenomeni sociali parec-
chi saranno d'accordo con l'Arias, molti dissentiranno invece da lui
rispetto all'ordinamento gerarchico ch'egli afferma in essi esistente
e, pur consentendo che l'azione di leggi superiori riduca in ben ri-
strette proporzioni le influenze arbitrarie, potranno esser tratti a
fare una parte più larga agli elementi volitivi e casuali. Inteso a
cogliere e ad illustrare l'azione dell'economia sulle altre categorie
dei fenomeni sociali, l'Autore ha forse trascurato un po' troppo la
possibilità di reazione da parte di esso e ha rivelato meglio le ar-
monie che non le antinomie: con ciò il giuoco delle energie eco-
nomiche che, secondo il suo avviso, dovrebbe avvenire in modo
assolutamente indipendente dagli accorgimenti dei singoli e della
collettività, sembra spesso svolgersi in un mondo astratto dove
non esistano gli attriti della realtà. L' interdipendenza dei fenomeni
fu non di rado violentemente ridotta a un rapporto di subordina-
zione ii'en etica.
ARIAS, COSTITUZIONE ECONOMICA DEI COMUNI 157
Del pari, se può esser lodevole lo sforzo costante dell'Arias ad
andar oltre il fatto per ricercarne le cause, a molti parrà poi che
la tendenza verso una causa unica lo abbia spinto non di rado a
un semplicismo troppo poco persuasivo. E in realtà sì ha spesso
l'impressione che l'Autore abbia posto uno schermo ai suoi occhi
in modo da non vedere che da un lato. Qua e là poi la conclusione
è sproporzionata ai fatti e nasce anche il dubbio che i fatti non
sieno stati debitamente accertati: l'Autore dogmatizza più che non
dimostri e nell' accogliere le pretese constatazioni degli altri spesso
è stato in realtà troppo fiducioso. Almeno ogni capitolo avesse avuto
([uel corredo di documenti che fu annesso ai primi due !
Quindi in parecchi punti la ratio dubìtandi s'impone ancora im-
periosamente. Nel primo capitolo, per esempio, l'Autore può aver
dimostrato che anche nell'alto medioevo vi era un ambiente adatto
all'esistenza e allo sviluppo di forme associative, ma non ha pro-
vato affatto che tra le associazioni romane e le comunali vi sia stata
una continuità formale e sostanziale. Già l'osservazione che sia con-
traddicente ai dettami della logica storica il concepire una forma
singolare d'associazione come la tipica e l'unica degna di para-
gone a indurre l'esistenza dell'istituto in tempi diversi cela un
equivoco: e l'equivoco si fa manifesto quando si vede l'Autore
osservare che l'associazione doveva presentarsi in strutture dif-
ferenti in armonia alla variabilità delle sue funzioni e dei suoi
rapporti con gli istituti e con i fatti collaterali. Egli ha guardato
al genere e quelli eh' ei combattè badarono invece alla specie, né
l'obbiezione sua ha tenuto giusto conto della diversità tra i due punti
di vista mentre nel differenziamento del genere in specie distinte
sta appunto la ragione metodica cui si attiene la scuola giuridica
la quale, individuati certi tipi d'istituti in base a determinate
note peculiari, dove queste non si trovano constata che manca la
figura precisamente intesa sotto quel dato punto tecnico e procede
a differenziare le figure non ancora caratterizzate.
Ma contro la scuola giuridica l'Arias non risparmia i suoi strali.
Egli la considera infetta da soverchio formalismo e in qualche caso
la critica può essere non del tutto infondata come quando egli se
la piglia con coloro che nella storia giuridica nostra s'ostinano a
vedere nulla più che una lotta in superne regioni tra il diritto ro-
mano e il germanico senza ricercare il perchè delle sopravvivenze
o dell'acclimatazione dell'uno e dell'altro diritto, e fermandosi
alla sola constatazione delle analogie esteriori: ma dimostra poi di
non aver apprezzato a dovere le basi scientifiche di essa. Il com-
pito descrittivo e sistematizzatore dello storico-giurista è tutt'altra
158 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
clie esaurito : e chi, affacciandosi a trattare il problema genetico
dei singoli istituti giuridici, dimentichi le lacune che ancor si hanno
nella fissazione e sistemazione di essi, risica di confondere quello
che vorrebbe chiarire.
Questo potrebbe essere accaduto qualche volta anche all'Arias:
ma io non starò a segnare pedantescamente i punti in cui ciò ac-
cadde. Con un giovane che può ancora, volendo, correggersi delle qui
lamentate deficienze non amo atteggiarmi a troppo rigido censore.
Palermo. Enrico Besta.
P. Girolamo Golubovich 0. F. M., Biblioteca Bio-Bibliografica della
Terra Santa e dell'Oriente Francescano. — Quaracchi, 1906, in
esclusiva vendita presso l'editore Otto Harrassowitz, Lipsia.
Questa biblioteca non è ne un arido catalogo, né una ristampa
dei testi di antichi scrittori intorno alle missioni francescane in
Terra Santa, ma un insieme di accurate monografie sulle fonti più
importanti della storia dell'ordine. Cosi fin dai primi numeri: dal 5,
in cui si tratta delle due vite del Celano, al 6, dove si fa cenno
della vita versificata per la prima volta, pubblicata e tradotta dal
Cristofani ; al 9, dove si discorre delle due vite scritte per ordine del
capitolo da S. Bonaventura ; al 14, dove si dà ampio conto della Cro-
naca delle tribolazioni e di una nuova traduzione di essa contenuta
in un codice di Siena, l'intendimento dell'Autore è di mostrare, clie
se tutte le altre vite si avvantaggiano su quella del Celanese per nuovi
particolari intorno ai viaggi di S. Francesco in Oriente, non è da
credere che queste aggiunte sieno dovute alla fantasia dei nuovi
biografi, ma ben piuttosto a nuove fonti a cui essi avran potuto
attingere. Così, p. e., se l'A. della vita versificata è il frate Enrico.'
che andò in Oriente, si comprende bene che per questo lato ne po-
tesse sapere più del Celano. S. Bonaventura non fu mai in Oriente,
ma bene avrà potuto attingere le sue informazioni da frate Illumi-
nato, il compagno di viaggio di S. Francesco, per ben due volte
citato dal Serafico. Il Clareno infine esplicitamente dichiara che dai
compagni stessi di S. Francesco, sopravissuti al tempo suo, ebbe
parecchie informazioni. Se quindi queste biografie più recenti ci par-
lano della licenza concessa dal Soldano e della gita di S. Francesco
in Siria e ai luoghi santi, non v' ha ragione di dubitarne. Con tutto
ciò, fino a prove più rigorose, io esito a credere che S. Francesco
proponesse al Soldano la prova del fuoco, come racconta S. Bonaven-
tura. Ben altri argomenti avrà saputo trovare il Santo d'Assisi per
lH»LUr.OVK:ii. IKKHA SANTA K UHIKMK FHANC ESCANO 159
apriitsi la via al cuore del temuto monarca, se pure è vero, come
tutte le fonti narrano concordi, che, non ostante l'aperta guerra tra
Cristiani e Saraceni, a S. Francesco non fu torto un capello, né vie-
tata la libertà di predicazione. Al n. 13 discute il G. la nuova fonte
l)iografìca che il Minocchi trasse dal codice Capponiano 207 della
Vaticana, e prova che « il compilatore della leggenda Capponiana non
« sarebbe altri che il troppo noto frate Angelo Clareno, l'autore stesso
« dell' ormai celebre cronaca delle tribolazioni ». Ad una simile con-
clusione ero venuto anch'io da una esatta collazione dei primi ven-
tisei capitoli del testo Minocchi, che, all' infuori di qualche stron-
catura od aggiunta (come ad esempio tutto il cap. 8), non sono se
non un volgarizzamento del testo di frate Angelo dal fol. 1 al 18 v. 11
capitolo 27 « come Sancto Francesco dichiarava e voleva che fosse
la forma dell'abito » non è se non la traduzione del fol. 72» presso
la fine della VII tribolazione. Dal capitolo 28 si torna indietro, poi-
ché, come ha dimostrato il Golubovich, vi si traduce dal fol. 37'» -
41 'i della quarta tribolazione, e nel capitolo seguente 29 si salta al
fol. 52 <i della quinta. Col cap. 30 s'esce fuori dalla cronaca per at-
tingere ad altre fonti, come lo Specuhim e gli Actus. ma non è escluso
die saltuariamente non vi si faccia ritorno, come nel cap. 43, che è
uguale alla cronaca 13^. A questa farraginosa compilazione sarebbe
tare troppo onore se si attribuisse col Golubovich al Clareno me-
desimo, il quale non si sa bene a quale scopo avrebbe cosi malme-
nata l'opera propria. Ma non la si può chiamare in alcun modo
Legenda antiqua, come vuole il Minocchi; poiché, fin dalle prime
linee, si cita la Legenda nova di S. Bonaventura; il che vorrebbe
dire una leggenda antica posteriore alla nuova e, che è lo stesso,
una contraddictio in adjecto.
Un'altra piccola monografia è al n. 31 «Cenni biografici su frate
Elia d'Assisi », nella quale io consento prossoché in tutto, tranne
che il giudizio, che vi si porta sulla monografia del Lempp, parmi
molto severo. Poiché non v'ha dubbio che meglio dell'Aflo il Lempp
lia ben vista l'importanza del documento riportato nello Specnhtm
ritae, anche se non si possa essere sempre d'accordo con lui nel
modo d'interpretarlo. In fine dell'articolo il Golubovich da un ma-
noscritto autografo del P. Mariano da Firenze riproduce una notizia,
secondo la quale frate Elia era non solo cultore dell'alchimia, ma
benanche dell'architettura e per incarico di Federico II intendeva
alla costruzione di rocche e fortilizi nel regno di Sicilia.
Importante é il n. 33 «Cenni critici sulla vita del b. F. Pietro
Catani », dove l'Autore a differenza dei suoi predecessori stabilisce
che (\\xGì^io juris peritns et dominus ìegum fu « secondo discepolo (1209)
160 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
« e primo vicario di S. Francesco (intorno al J210, o al più tardi
«intorno al 1212); primo generale dell'ordine dopo la rinunzia del
«santo nel 1217». Quest'audace ricostruzione, che tra due vicariati
intercala addirittura un generalato, mi lascia molto perplesso; né
il linguaggio dei biograti è cosi preciso da vincere le dubbiezze.
Se dovessi citare i numeri, dove qualche nuova dilucidazione o
qualche errore sì corregge, dovrei citarli tutti dal primo all'ultimo.
Mi contenterò di addurne alcuni soli, come esempi del modo tenuta
dall'Autore nel rifare a novo una vecchia materia. Nel n. 55 si hanno
importanti note ed osservazioni per una nuova edizione critica della
relazione sui Tartari di fra Giovanni di Pian Carpino, e dal cod. E.
V. 8 della Nazionale di Torino si pubblica il Liber de factis Tcirtha-
rorum, che secondo il nostro A. è la prima redazione, non ancora così
diifusa come nel testo pubblicato dal D'Avezac (Relation des Mongols
ou Tartares par le frère Jean du Pian de Carpin. Paris, Arthus-Ber-
trand, 1838). Anche questo testo al Golubovich non par completo;
perchè vi mancano le lettere che il Kan scrisse al Papa, le quali si
trovano « e nel breve compendio dell'itinerario che il compagno del
« Piancarpino, fr. Benedetto di Polonia, dettò a quelli di Colonia (vedi
« n. 56) e nel Chronicon dì fra Salìmbene, che le copiò fedelmente dal
« grande libro autografo che conteneva esse lettere con la grande re-
« lazione del Piancarpino ».
Nel n. 65 è riportato da un codice della Nazionale di Torino
(DXCV, 1, III, 28) il testo del de constructione castri SapJiet, die è
molto più corretto di quello che il Baluzio trascrìve dal Parigino
lat. n''. 5510. Se questo libro secondo il Golubovich non appartiene
a fr. Benedetto da Alignano, vescovo di Marsiglia, ben noto al Sa-
l imbene, certo « fu lui l'ispiratore o dettatore di chi per luì scriveva ».
Nel n. 81 è data una nuova versione latina del testo del Pachi-
mero intorno agli sforzi durati dal fra Giovanni Parastron, Minorità
di Costantinopoli e legato dell'imperatore greco, per compiere la
desiderata unione delle due Chiese al tempo di Gregorio X.
Infine nel n. Ili sono riferiti estesi cenni biocronologici e biblio-
grafici intorno al B. Raimondo Lullo « ascritto al terzo ordine Fran-
« cescano e come tale coli' abito e colla corda figurato sulla sua
« tomba». Del Lullo è fervido ammiratore il Golubovich, ne sa perdo-
nare all'Hauréau gl'ingiusti giudìzi che ne ha portato nel XXIX voi.
deW Histoire littéraire de la France, dove all'ottimo materinle bi-
bliografico fornitogli dal Littré aggiunse dì suo la parte biografica e
polemica. Ma sulle dottrine filosofiche e teologiche del Lullo il nostro
Autore sorvola, e quello solo che mette in evidenza è l'ardore del-
l'apostolo, che non s'è mai stancato di proporre a Papi, a Re, a
(iOLUBOVICH, TERRA SANTA E ORIENTE FRANCESCANO 101
coiiciir le più opportune misure per scongiurare il pericolo, che i
Saraceni guadagnassero i Tartari e che uniti insieme questi popoli
divenissero i padroni definitivi dell'Oriente, come pur troppo av-
venne. Alcune di queste misure, come la fondazione di collegi per
insegnare le lingue orientali e la fusione degli ordini militari in un
solo, furono di nuovo proposte dal Du Bois a Filippo il Bello, ma
certo è che il Lullo le aveva bandite sino dal 1275, epoca della
fondazione del collegio arabo di Miramar.
Un'opera, come questa del Golubovich, a cosi vasto disegno,
non si può dire mai compiuta, e già in questo stesso volume, dopo
aver dato al numero 119 « un sommario cronologico delle principali
« lettere apostoliche che riguardano specialmente l'apostolato fran-
« cescano nella Terra Santa... entro il secolo XIII », si aggiungono
altri nove articoli ed altri non dubitiamo se ne aggiungeranno nel
susseguente volume. Certo è che quest'opera sarà indispensabile
non solo ai Palestinologi, ma più ancora a tutti gli studiosi di cose
francescane. E la consultazione ne è resa facile cosi dal severo
ordine serbato nella trattazione, come dai tre copiosi indici posti
in fine: I. Index chronologicus, IL Indice di cose e di nomi, Index
analyticus, III. Indice di autori e di codici.
Firenze. Felice Tocco.
Luigi Rossi, Venera e il re di Napoli. Firenze e Francesco Sforza dal
novembre del 1450 al giugno del 1451. — 1905, pp. 124 (estr. dal
Nuovo Ardi. Veneto, nuova serie, X, I-II).
Lega tra il Buca di Milano, ì Fiorentini e Carlo VII re di
Francia {21 febbraio 1452). — 1906, pp. 55 (estr. dall'.4rc/<. Stor.
Lombardo, XXXIII, X).
Le monografie presenti si collegano intimamente col libro pub-
blicato dal medesimo storico in Firenze nel 1903 {La Guerra in
Toscana, 1447 -48\ e promettono un nuovo lavoro sulla Guerra fra
Venezia e Milano, e fra re Alfonso di Napoli e i Fiorentini del 1452 ;
(juindi si scorge chiaro, che l'A. si propone un più largo disegno
storico, e cioè d'illustrare quel periodo di storia italiana, che va
dalla morte di Filippo Maria Visconti alla pace di Lodi (1447-53) ;
periodo doloroso per la storia del nostro paese, ma degno di studio.
perchè oscuro ed intricato quanto altro mai.
In queste due monografie vengono esposte lucidamente le ne-
goziazioni, le trattative, che precedettero la guerra del 1452: e la
Arch. 8tor. It., 5." Serie. — XXXIX. 11
162 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
trattazione supera, per ricchezza di contenuto e di materiale storico,
le esposizioni precedenti. Nella prima monog-rafia sono illustrati i
maneggi adoperati da Venezia contro i Fiorentini e Io Sforza, e per
legare a sé il re di Napoli; nella seconda le trattative dei Fioi-en-
tini col re di Francia, per indurlo ad entrare nella lega contro la
Serenissima ed il re Alfonso. Il primo studio contiene tre appendici
di documenti inediti, tratti dagli arcliivi di Milano, di Firenze, e di
Venezia; il secondo comprende pure ricca messe di documenti, quasi
tutti inediti, degli archivi di Milano, di Firenze, di Siena, e di
Venezia.
La trattazione procede ordinata, lucida, e corroborata da ma-
teriale storico nuovo, e criticamente elaborato. Ciò che non è pic-
colo merito, essendo questo periodo storico molto complesso, nel
quale erano in giuoco le mire, le cupidigie, le ambizioni di tutti
gli stati italiani; nel quale alla politica apparente si contrappone-
vano le arti segrete, i raggiri, le arti occulte della diplomazia più
esperta, e più raffinata per la cultura dei suoi rappresentanti. A])-
parentemente si cercava la pace, e l'equilibrio degli stati, e dai più
si tendeva alla guerra. Oltre ai principali contendenti, quali il du-
cato di Milano, Venezia, Firenze, il re Alfonso di Napoli, il re di
Francia, rendevano complessa la situazione le mire di Pisa, di Siena,
di Genova, di Bologna, del marchese di Ferrara, del duca di Man-
tova, del duca di Savoia, e del marchese di Monferrato.
Pistoia. Luigi Chiappei.li.
P. MoLMENTi, La Storia di Venezia nella vita privata, voi. II: «Lo
Splendore». — Bergamo, Istituto d'Arti Grafiche, 1906; pp. 656,
con moltissime illustrazioni.
Al periodo in cui maturò la civiltà veneziana successe l'età
dello « Splendore », e questa età, attraente per la magnificenza esu-
berante della vita, viene dal Molmenti fatta argomento al volume,
riccamente illustrato, che qui si annuncia, e che, per l'importanza
del contenuto come per la bellezza della sua veste esteriore, cor-
risponde alla natura del periodo storico, cui si riferisce. Fa vera-
mente piacere parlare di un'opera quale è quella che ci sta ora
dinanzi. È una fortuna che non tocca così di sovente a chi ha l'uso
di far recensioni.
Il M., colla erudizione desunta da molte fonti edite e inedite, e
col soccorso di riproduzioni non mene felicemente scelte che eseguite,
ci fa rivivere in mezzo alla società nel più bel fiore della Kina-
MOLMENTl. LA SKJKIA DI VENEZIA NELEA VEIA l'IUVATA Kh)
j^cenza, co^i che ci par proprio di trovarci in mezzo ai patrizi, o
(juasi anche, come f!rli antichi, dimenticliiamo i pericoli cui lo Stato
andava effettivamente incontro.
A creare l'atmosfera veneziana di quel tempo molte correnti
contribuirono, venute dairOrìonte, iriunto dall'Italia, ori^-inate dalle
condizioni locali.
Sino dalle prime pagine il M. a\\eiU' come T esordio di (luesto
periodo, che è tutto una festa di tinte e un scintillìo di lumi, coin-
cide cogli inizi della decadenza. Poiché fu appunto tra la fine del
sec. XV e il cominciamento del XVI, che a Venezia venne a man-
care il commercio orientale, da cui traeva le fonti principali della
sua ricchezza. Il M. cita l'osservazione di un contemporaneo, Cristo-
foro da Canale, il quale avvertì che le ricchezze già accumulate
distoglievano i Veneziani da nuove ardite e difficili imprese marit-
time. La lega di Cambray costituì per Venezia una crisi, da cui salvò
l'esistenza, ma a prezzi gravissimi. La battaglia di Agnadello fu per
la Repubblica un colpo sì fiero, da impedirle di rialzarsi mai più.
Tuttavia la decadenza si presenta appena, e si vive invece in mezzo
;illa grandiosità, nella esuberanza della vita.
Se le imprese militari, politiche, commerciali diminuiscono di
numero e di importanza, la vita si effonde nell'arte e negli studi,
si manifesta nei festeggiamenti d'ogni genere, si esaurisce nel lusso.
Il M. intende la vita di Venezia in senso largo, giacché prende
tosto le mosse parlando degli ordinamenti politici, della legisla-
zione ecclesiastica, del diritto famigliare. Meglio fa al caso no-
stro ciò che egli dice intorno alle pene e alle carceri. Quando
discorre della cura che il governo aveva per l'esercito e per la
marina, le notizie che meglio si accostano al suo argomento sono
quelle riflettenti gli abbigliamenti dei soldati, che sono qui rappre-
sentati con bellissime riproduzioni, al pari dei vestiti dei magi-
strati. A proposito delle malattie, e dei medici, curiosissimo é, p. e.,
il vestito di un medico, indossato per preservarsi dal contagio.
L'aspetto della città cambia. La piazza di S. Marco e Rialto
ne costituiscono i due centri principali, e colà, tra il sec. XV e
il XVI, si rizzano nuovi edifici, splendidi e imponenti, così che a
buon diritto i forestieri che visitavano Venezia, da (jualsiasi part»'
venissero, ne rimanevano ammirati ed entusiasti.
Nelle feste pubbliche si abbandonano le dure prove dell'armi,
che ne avevano determinato lo spirito per l' addietro: ad esse si
sostituisce la magnificenza ed il lusso. Il carnevale e le maschere
acciuistano sempre più d'importanza. Quanto la repubblica ha di
più alto, vuol essere circondato dal lusso. A mantenere la vita sfar-
1(34 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
zosa del doge e della dogaressa, non basta lo stipendio di cui Io
Stato può disporre: perciò il dog-e dev'essere molto ricco, e deve
spendere largailfente del suo. Le visite dei signori stranieri olirono
frequenti occasioni di festeggiamenti. Rimasero celebri nella storia
i viaggi a Venezia di Girolamo Eiario con Caterina Sforza, di Bea-
trice d'Este-Sforza, di Enrico III di Francia. Ma anche senza di que-
ste straordinarie occasioni, i Veneziani sanno trovar continui motivi
per rinnovare feste e divertimenti.
Intorno all' origine e al progresso di tali tendenze, il M. non
insiste molto, ancorché giustamente non dimentichi di avvertire
l'influsso del classicismo umanistico, che si esercita fino dalla seconda
metà del sec. XVI, ne di notare come, in conseguenza di ciò, « la
« sublime mestizia » del Cristianesimo si trasformasse paganeggian-
dosi. L'allegria invade tutto. Il Gian (1), tenendosi nel campo let-
terario, si era alcun tempo prima occupato nel ritracciare in Ve-
nezia l'eco dell'umanismo italiano, e (se non mi inganno) nel suo
discorso, così ricco di fatti importanti e di belle osservazioni, aveva
un tantino esagerato. Il problema è bellissimo, e dobbiamo, come
al Gian, così essere riconoscenti al Molmenti. per averne l'uno più.
l'altro meno largamente, trattato. Speriamo che i materiali si ac-
crescano a poco a poco e che al problema, così ricco di conseguenza
storica, si possa dare finalmente una soluzione precisa e completa.
Discorre susseguentemente il M., con larghissime cognizioni e
competenza particolare, delle arti belle, in quanto esse sono l'ef-
fetto e la manifestazione del sentimento popolare. Forse l'argo-
mento poteva essere svolto con maggiore ampiezza, e con rigidezza
maggiore, così che si sfuggisse del tutto al pericolo di far penetrare
la vera e propria storia dell'arte in quella che dovrebbe essere sol-
tanto la storia della vita. Ma questa osservazione, che mi permetto
di fare, non diminuisce l'interesse e il valore di queste pagine
del M. Farmi che in modo più rigidamente severo il M. si comporti
in appresso dove discorre delle arti minori, ossia delle arti nella
loro relazione coli' industria.
A proposito delle arti maggiori, il M. (pp. 142-3) asserisce che,
a differenza di quanto avviene a Firenze, gli artisti veneziani non
assumono per protagonista un personaggio, ma lo Stato. E l'osser-
vazione, assai arguta e importante, ferma l'attenzione del lettore,
destando in lui il desiderio che la dimostrazione sia data in modo
(1) La cultura e Vitalianità di Venezia nei Binascimento, Bologna,,
Zanichelli, 1905.
MOLMENTI, LA STORIA DI VENEZIA XELLA VITA PRIVATA 1(35
rincora più largo di quanto potè fare il M., stretto dai limiti impostigli
«lair argomento, complicato e complesso, ch'egli imprese ad esporre.
Belle cose scrive il M. intorno ai tessuti, e agli altri meravi-
gliosi lavori che i Veneziani sapevano eseguire coli' ago e colla
spola. Egli avverte (p. 176), a tale proposito, che nei tessuti i di-
segni orientali si mescolano coi fiamminghi e coi francesi. Più ad-
dietro, come vedemmo, egli parla d' influenza classica. Queste os-
servazioni sparse fanno desiderare che il M. spieghi con maggiore
aini)iezza la lotta che in Venezia si combattè fra le varie tendenze
artistiche provenienti dall'Oriente, come dall'Occidente, dalle tra-
<lizionì antiche, come dai bisogni moderni. La situazione geografica
di Venezia, posta fra il mondo Cristiano e il mondo Musulmano, of-
friva opportunità alle varie correnti del sentimento e del pensiero
iV incontrarsi sulle lagune. Oltre a ciò, il fatto che Venezia si tro-
vava distaccata dall'Italia continentale, dovea favorire in essa l'in-
<lirizzo conservatore delle sue caratteristiche antiche, opponendo, per
alcun tempo, un riparo all'ingresso delle nuove tendenze. Sono pro-
blemi questi che si presentano sopra tutto nella storia politica, ma
che pure interessano grandemente la storia dell'arte e delle lettere,
e quella pure dei costumi. A parer mio sta propriamente in questo
squilibrio, che la geografia e la storia avevano posto tra Venezia
e il resto di Europa, la causn principale e profonda della guerra
ili Cambray.
I fiamminghi recarono (1422) l'arte degli arazzi a Venezia, ma
t's:>:i non vi attecchì.
Un capitolo (VII), interessantissimo nella sua novità, è dedicato
allo studio dell'arte nella vita degli artisti. In esso avrei desiderato
che si discorresse con maggiore larghezza intorno al modo con cui
gli artisti intesero e rappresentarono la vita veneziana. Senza dubbio
a questo argomento si accenna più volte, come p. e. quando si nota
la licenziosità di Paris Bordone, e l'amore con cui i pittori berga-
maschi ritraggono la soave intimità della casa (1).
Sviluppando le attinenze fra gli studi e la vita, accenna alle
varie tendenze letterarie e scientifiche vive in Venezia. Assai bre-
vemente tocca del valore dei Diari di Marin Sanudo per la cono-
scenza dei costumi veneziani. Il Sanudo ricevette i primi rudimenti
delle lettere a Sangui neto nel Verouese.
Il) A \). 197 parla della parola mammola e dei suoi significati, omet-
tciulo di notare che se ne occupò anche C. .Salvioni, in un raro opuscolo
nuziale.
166 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Il governo si occupava con impegno delle scuole. Si fonda-
vano biblioteche, si aprivano tipografie. Il M. discorre con maggiore
0 minore larghezza di tutto ciò, e tocca delle celebri tipografie ve-
neziane, senza trascurare neppure le rilegature dei libri. Anche
questa parte del volume del M. va rilevata come una delle più
belle, delle più curiose per novità di argomenti e per ampiezza
di dati.
Le rappresentazioni drammatiche e i concerti musicali ci ri-
conducono nella parte più viva e più vera della vita veneziana. Il
pennello di Paolo Veronese e di altri grandi pittori non isdegnava
di dipingere le porte degli organi. Il M. desume da quadri quelle
scene che meglio si confanno alla illustrazione dei suoi argomenti.
Spesso sono particolari che al pittore servirono come sfondo alla
rappresentazione, ma il nostro storico le trae di là, e ce le mette
innanzi come riproduzioni schiette, vere, parlanti della vita vene-
ziana, nei suoi minuti particolari. A questa fonte inesauribile di no-
tizie egli ricorre anche per farci conoscere i concerti musicali, quali
si usavano largamente presso le famiglie patrizie e ricche.
Lo sfarzo trionfa nell'insieme della casa, come nei suoi parti-
colari, ed è uno sfarzo nel quale lo sfoggio della ricchezza è idea-
lizzato dal gusto squisito dell'arte. Le porte, le stanze, le scale, i
soffitti, i cortili, gli arredi, i mobili, ogni cosa offre motivo ad am-
mirazione. A rappresentare al vivo tutto questo, il M. non è più co-
stretto a limitarsi allo studio dei quadri antichi, ma molti esempi ne
rimangono tuttodì. Accanto ai palazzi, decoro di Venezia, si devono
ricordare le ville, che ì ricchi patrizi possedevano sulla Terraferma,
1 piaceri della villa attrassero le doviziose famiglie veneziane sino
dal sec. XV, dopoché la Terraferma fu sottoposta al dominio della
Serenissima. Talune di queste ville, decorate perfino dal pennello di
Paolo Veronese, esistono ancora, e il M. ne derivò rappresentazioni
assai belle, associandole a quanto ci fanno conoscere quadri e di-
segni dell'età della Rinascenza, ed elegantemente traendo da una
fonte l'interpretazione dell'altra.
Ricchezze si profondevano negli abbigliamenti femminili, sia per
le mirabili stoffe, sia per le gioie, di cui, a profusione, si carica-
vano le belle patrizie (1). Il lusso, specialmente nella dogaressa, rag-
giungeva l'esagerazione. Le leggi suntuarie non riuscivano a frenare
la vanità femminile-, che anzi, in alcune circostanze solenni, le stesse
(1) Gli orecchini si introdussero assai in ritardo. Sono ricordati per
la prima volta nel 1525.
MOLMENTI, LA STORIA DI VENEZIA NELLA VITA PRIVATA 107
le^^i suntuario venivano sospese. La grandiosità dei festini, i balli,
la ricchezza della mensa, la studiata ghiottoneria, assorbivano te-
sori. Anche gli al)l)igliamenti maschili costavano niolto, ed erano
sfarzosi assai. Interessanti notizie speciali raccoglie il iM. intorno
ai busti e ag-li zoccoli delle matrone, intorno al belletto ecc. Nelle
foggie dei vestiti, estremamente scollati, già si vede chiaramente
come al culto della bellezza artistica e pura si mescola il culto dei
sensi. La corruzione si infiltra e a poco poco dilaga, specialmente
nelle classi più elevate e più ricche.
La leggerezza della vita può scorgersi nelle radunanze serali,
nei circoli che le matrone tenevano, radunanze e circoli in cui il
tempo si impiegava nel gioco. La cultura delle donne non era del
tutto trascurata,, ma in generale era alquanto scarsa.
Tuttavia non per questo la famiglia si dissolveva. Il M. rac-
colse, con giusto amore, parecchi dati sulla vita di famiglia; ma,
secondo lo scopo del suo libro, egli si ferma particolarmente ad il-
lustrare le cerimonie solenni, che si riferiscono alla famiglia, in
occasione di matrimoni, di nascite, di morti.
Il commercio delle schiave orientali fu cagiono all'aggravarsi
della corruzione. Si era formata a Venezia utia vera easta di donne,
che, sotto il nome di cortigiane, conducevano mala vita: esse pas-
savano i loro giorni in palazzi dorati, fra il lusso e lo sfarzo. Le
cortigiane eranvi numerosissime, ed aveano raggiunta tanta impor-
tanza in Venezia, che, se le leggi erano severe con esse, invece di-
venivano a loro riguardo indulgenti i magistrati.
Come dicemmo, l'opera del M. è illustrata da riproduzioni d'ogni
genere, e tutte bellissime, tali veramente da far onore all'Autore del
libro per la scelta fattane, e all'Istituto bergamasco d'arti gratìche,
per la ben riuscita esecuzione. Le tavole a colori soddisfano l'occhio.
Il M. non volle raccogliere nel suo libro tutto quanto è noto
riguardo ai costumi veneziani tra la fine del sec. XV e l'esordio
del XVI. Ma la varietà degli argomenti trattati è pur tale da som-
ministrare ampia materia all'Autore. Forse le cerimonie religiose
avrebbero potuto trovar qui uno svolgimento più largo, ancorché
neppure esse vengano trascurate, come si vede ad esempio rispetto
alle processioni, e in particolar modo riguardo ad alcuno festività
speciali.
Nell'appendice il M. raccoglie documenti editi e inediti, fra cui
alcuni inventari, e varie interessanti note di spese; non mancano
contratti nuziali, sia di patrizi, sia di semplici cittadini, e contratti
per compera di schiavi. Il M. infatti non tralasciò di fare indagini
nello fonti ms.. sia di Venezia, sia dì Milano.
1(38 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Più volte il M. paragona i costumi di Venezia con quelli delle
altre terre italiane. Così a proposito dell'uso dei profumi, egli nota
che in tutta Italia, e non soltanto nella città della Laguna c'era per
esso una passione, che toccava il delirio. Tuttavia un più ampio e
più sistematico confronto tra la vita veneziana e" la vita italiana in
generale avrebbe potuto riuscire proficuo, e svelarci nuovi aspetti
della storia veneziana. Bello quanto arduo problema è quello di
determinare fino a qual segno Venezia mantenesse la sua autonomia
artistica ed intellettuale, e fino a qual segno le sue sorti politiche si
collegassero a questa speciale condizione della Serenissima. Cosi a
me pare; peraltro nell'atto stesso che scrivo queste parole, m'accorgo
di una buona risposta che mi si può fnre: un lavoro di raffronti
avrebbe ampliato troppo gravemente i limiti di un'opera, che, anche
cosi com'essa è, presentasi imponente.
Firenze. Carlo Cipolla.
P. L. Rambaldi, Intorno ad Antonio Vinciguerra ed ai principi della
satira regolare italiana. — Venezia 1905. Estr. dal Nuovo Archivio
Veneto, N. S., voi. X, parte I: di pp. 35.
Questo articolo non doveva essere, in origine, se non una recen-
sione del libro di Arnaldo Della Torre intorno al Vinciguerra (Rocca
S. Casciano, 1902); ma la dottrina e l'acume del Rambaldi e la cura
da lui posta nel ristudiare il soggetto, mettendo a profitto altre
recenti pubblicazioni attinenti al Vinciguerra e alle sue opere, ne
hanno fatto un lavoro che sta di per sé e merita d'essere segnalato
per qualche novità di ragguagli e per l'aggiustatezza delle ragionate
conclusioni. Un chiaro regesto di documenti, quali già noti per le
ricerche del Della Torre e quali rintracciati dal R. stesso (pp. 5-14),
ci presenta il quadro dell'operosità del Vinciguerra, come segretario,
come legato, come testimonio di pubblici atti, da quando nel 1458
fu assunto, giovinetto, all'ufficio di donzello salariato del Maggior
Consiglio, sino alla sua morte, che fu il 9 dicembre del 1503 nella
villa di Zovon sugli Euganei. L'incarico ch'egli ebbe dal Senato,
nell'ottobre del 1486, d'intimare l'ordine segreto del ritorno in patria
all'orator veneto a Roma Antonio Loredan, accusato di sodomia, e
la reggenza, protrattasi oltre un anno, di quell'ambasciata, segnano
forse il punto culminante della sua carriera. Ma — osserva il R.
colla sua esperienza degli u»i del governo veneto nel Quattrocento
— ne per codesta difficile missione di fiducia, né per l'amicizia col
Bembo, al savio ed operoso segretario spetta un luogo di singolare
rilievo fra i suoi numerosi colleghi, che furono anch'essi bene spesso
RAMBALDI. ANTONIO VINCIGUERRA 1(39
adoperati in missioni degne di veri uomini politici e dei quali i
patrizi non sdegnarono l'amicizia e la collaborazione.
Andati perduti il Liheììus de Principe e quasi tutto il Canzoniere,
il Vinciguerra può essere giudicato solo come autore delle satire, che
sono dieci, compresa la Consolatoria a Giovanni Caldiera, tutte in
terza rima. Gloria di poeta esse non gli conferiscono certamente ; e
del loro signitìcato psicologico è ben ragionevole dubitare. Le os-
servazioni acute, talvolta anzi un po' sottili, del R. intorno alle
satire stesse e al testamento del verseggiatore provano che l'ascetismo
austero, di cui l' opera appare materiata, è piuttosto dei modelli
tenuti presenti dal Vinciguerra e additati dal Della Torre, che non
di quell'anima, sensibile agli allettamenti del mondan romore, non
troppo devota, nella pratica, alle cristiane virtù che predicava.
D'importanza storica le satire del Segretario veneziano non mancano;
l)ur non ne hanno tanta quanta si credette fino a poco fa. I temi in
esse trattati avevano già avuto largo svolgimento nella letteratura
medievale e nella stessa poesia volgare del Quattrocento: i concetti
etici cristiani onde traggono ispirazione, erano stati ripetuti a sazietà:
la terza rima, che aveva disputato alla canzone e alla frottola il
dominio della poesia moraleggiante, s'era ormài assicurata la vittoria
prestando i suoi servigi al Sommariva nella traduzione di Giovenale
messa a stampa nel 1475, quando il Vinciguerra non ancora aveva
posto mano alle satire, poiché anteriore a quell'anno è soltanto la
(^o)isolatoria al Caldiera. Temi, concetti, forma metrica, esempi clas-
sici, tutto era pronto; il Vinciguerra ne congegnò goffamente le sue
composizioni, e, senza sapere di lui, un noto rimatore padovano,
Niccolò Lelio Cosmico, quella Safi/ra, che fu pubblicata - — mi è
dolce il ricordarlo -— dal mio Vittorio Gian. A qual dei due spetti
la priorità cronologica è impossibile, né forse importa, stabilire; il
merito d'entrambi é, come dimostra il R. riprendendo e svolgendo
un'osservazione del Cian, di continuatori della tradizione satirica
italiana dentro al modulo giovenalesco di recente messo a nuovo dal
Sommariva. La chiara manifestazione della propria personalità, la
coscienza del proprio ufficio di poeta moraleggiante, l'universalità
satirica ed al^ri meriti che il Della Torre riconosce al Vinciguerra,
gli contesta a buon dritto il R., mettendo in evidenza con arguta
analisi l'inanità degli argomenti giustificativi di codeste lodi. Ond'è
ormai palese quanto resti sminuita e a che si restringa la gloria di
primo poeta satirico italiano altre volte attribuita al valoroso Se-
gretario della Serenissima; né dopo il lavoretto riassuntivo e con-
clusivo del Rambaldi gioverà più tornare a discuterne.
Pavia. V. Rossi.
170 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Max Fkeiherk vox Wolff, Untcrsuchumjen zar Venezianer Foì itile
Kaiser Maximilians I tcàlirend (lev Liga ron Camhray mit he-
sonderer BenicJisichtigung Verona^.— Innsbruck, Wao-ner. 1905,
pp. V, 181.
L'ultimo tentativo fatto dall'impero g'ennaiiico per ristabilire
il suo antico dominio nel territorio Veneto appartiene a Massimi-
liano I, il quale vi si applicò con animo deciso, e con quel corag:^io
che a lui- veniva dalla sua natura eminentemente cavalleresca (1).
Il barone de Wolff si lasciò sedurre da un soggetto di tal fatta, e
si applicò a trattarlo, giovandosi sia dei libri e dei documenti a
stampa, sia del materiale inedito, a lui fornito dagli archivi di
Innsbruek e di Verona. Infatti la corrispondenza fra il governo impe-
riale e i suoi rappresentanti in Verona si trova divisa fra Tuna e l'altra
città. Fra i libri pubblicati, il Wolff giovossi in modo particolare
dei Diarii di Marin Sanudo, che sono davvero una fonte inesausta e
preziosissima per la conoscenza della storia nostra nella prima metà
del sec. XVI. Siccome il punto centrico della occupazione Massimi-
lianea è costituito da Verona (poiché se l'imperatore ebbe sotto il
suo dominio anche qualche altra città del Veneto, ciò avvenne sol-
tanto in via precaria), così alla storia di Verona dal 2 giugno 1508
al 15 gennaio 1517 si è rivolta in particolar modo l'attenzione del
Wolff. La prima di queste due date segna il momento in cui gli
imperiali conquistano quella città, la quale alla seconda data ri-
torna a Venezia.
Per certo egli non considera cosi esclusivamente Verona, da
fargli dimenticare gli eventi che si svolsero anche nelle altre città
del Veneto. L' eroica resistenza opposta da Padova contro Massimi-
liano rientra nell'orizzonte del nostro storico, ancorché ne parli la-
conicamente e senza ricorrere ai cronisti locali, fattici conoscere per
la prima volta da A. Gloria, e poi da altri più tardi largamente
illustrati.
Lo sfondo della politica generale è tracciato dall'Autore di
([uando in quando, a seconda che egli ne sente il bisogno per po-
di Contemporaneamente, o quasi, alla pubblicazione del Wolff. un'altra
monografia uscì sopra un argomento che con questo ha relazione strettis-
sima. Alludo agli scritti di Bergee, Der Krieg Maximiiians mit Venedicf
lùlO, JaJtresher. I. hischofl. Privat-Gi/nanasiions ani Kolìegiiiììì Fe-
triniim in Urfahr, 19U4 e 1905, p. 7, e p. l:^.
WOLFF, POLITICA VENEZIANA DI MASSIMILIANO I 171
ter narrare od interpretare ^li avvenimenti che particolarmente lo
interessano. Le figure di Luigi XII e di Francesco I, di Giulio TI
e di Leone X compariscono al momento opportuno, ma non è sopra
di esse che egli vuole concentrare ì suoi raggi luminosi. I fatti di
guerra gli stanno a cuore. L'assedio di Verona, che costituì T ul-
tima fase di questo episodio storico, quando Massimiliano spiegava
tutta la sua energia per conservare quella città all'Impero, si ac-
cresce per opera del Wollì" di notizie nuove e importanti. Cosi p e.
fra i documenti editi alla fine, insieme con estratti dal carteggio
imperiale, troviamo l'elenco delle forze imperiali, che militavano in
Verona addi 8 giugno 1516.
Gli argomenti politici, in senso stretto, meno largamente sono
trattati dal Wolff. Anche la famosa controversia sulla pretesa esen-
zione dal giuramento di fedeltà, che Venezia avrebbe permessa ai
suoi sudditi, non fa qui alcun passo. Cosi pure l'amministrazione
civile della città sotto Massimiliano non è abbastanza chiarita. Vero
è bensì che questo punto è scabroso a trattarsi, poiché nell'Archi-
vio di Verona (come so per mia esperienza personale) gli atti sono
in tale riguardo deficienti. Ne d'altra parte può negarsi che talvolta
di questo argomento il Wolff si occupa, secondo l'opportunità.
Verso la fine del volume, l'Autore inseri un capitolo intorno
alla organizzazione dello Stato Veneziano di Terraferma e gli Sta-
tuti di Verona. Ma rispetto alla organizzazione della Terraferma
Veneziana, il Wolff quasi affatto si limita a notizie dì carattere
generale. Riguardo poi agli Statuti di Verona, egli si occupa della
riforma fattane nel 1450, che cita secondo una tarda edizione (Ve-
nezia, 1727), riassumendoli in parte, e fermandosi sopratutto a ri-
cavarne uno schema del governo cittadino a mezzo il sec. XV.
Della vita religiosa, artistica, letteraria di Verona, dei costumi,
dei partiti politici, al tempo della dominazione Massimilianea il Wolff
o tace, 0 parla in modo alquanto succinto, e seguendo l'invito che
qualche occasione gliene fa. Però desta interesse ciò ch'egli riferisce
sulle disposizioni imperialistiche dell'aristocrazia Veronese (pp. 14-15),
ancorché tutto quello ch'egli ci comunica non riesca nuovo. Pietro
Sgulmero, di indimenticabile memoria, di ciò si era occupato con
profitto.
Utili sono, in calce al libro, alcuni documenti. Sono 10 e ab-
bracciano il periodo che va dal 1509 al 1516. In assai uìaggior nu-
mero sono i documenti che l'Autore usufruisce, e che egli cita
soltanto. Nel materiale inedito consiste uno dei pregi migliori del
libro, che riceve vnlore anche dalla chiarezza della esposizione e
della precisione con cnì i fatti vengono messi in vista.
172 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Il Wolff non pare che sempre abbia potuto scliivare qualche ma-
linteso. A p. 65 egli cita M. Sanudo, quando a proposito di Matteo
Schinner, dice che gli parlò in Venezia da buon italiano « licet sia
« nasuto barbaro ». Al Wolff sfuggì che « nasuto » equivale a « nato »,
e traduce « langnasiger Barbar», come se il Sanudo volesse dire che
il vescovo di Gurk aveva il naso lungo. A p. 79, citando il Sanudo,
accenna ad una commedia recitata in onore del vescovo di Gurk,
quando si recò ad assumere il governo di Verona, e ne dà il titolo:
« Die verlassene Italia und ihr Bràutigam Maximilian ». Questo ti-
tolo non corrisponde al contenuto della commedia, il cui nucleo sta
in ciò che il Gurk viene messo innanzi quale il paraninfo inviato
dallo sposo, cioè dall'imperatore. Senza questa spiegazione lo scopo
della recitazione fallisce.
Nel libro del Wolff non troveremo tutto quanto potremmo desi-
derare, se da esso chiediamo di conoscere sotto ogni rispetto quel-
r importante episodio della nostra storia. Ma ciò non toglie che il
libro sia utile e ricco di pregi. Né bisogna dimenticare che in ogni
libro dobbiamo cercare soltanto quello che il suo Autore si propose
di darci.
Firenze. Caklo Cipolla.
Venocchio Maffei, Dal titolo di Duca di Firenze e di Siena a Gran-
duca di Toscana (Contributo alla storia della politica di Co-
simo I de' Medici). — Firenze, Seeber, 1905.
Il sig. Maffei, rilevando la particolare sagacia e la brama gran-
dissima dì dominare su tutto e su tutti, dimostrata da Cosimo du-
rante il suo principato, si ferma specialmente sopra un fatto, che
fu, per cosi dire, come la sintesi di tutta la sua politica.
Questo fatto, di cui forse finora non fu mai osservato il vero
valore, fu il trapasso dal tìtolo di Duca di Firenze a quello dì
Granduca dì Toscana. In generale gli storici, ripetendosi volentieri
fra di loro, confondono la questione del titolo colla vecchia lite dì
precedenza, dibattuta tra i Duchi dì Firenze e quelli dì Ferrara.
Ma giudicando in tal modo, dice il sig. M., 'si lascia da parte e si
trascura l'elemento più essenziale della questione stessa; giacche lo
scopo di Cosimo nel cercare il nuovo tìtolo non fu solamente di
vincere quella lite.
Infatti, se è vero che con l'elevazione del titolo e col conse-
guente passaggio da Firenze a Toscana si venne a dare il colpo di
grazia alla causa di precedenza, non si può però dire che la questione
MAFFEI, cosmo I E IL TITOLO DI (4RANDUCA 173
(lei titolo ne sia proprio l'ultima fase. Per l'autore questo fatto
esce in gran parte dalla sfera degl'interessi de' principi italiani:
mira più in là, e in sostanza, si riduce ad un tentativo di scuo-
tere l'influenza e la dominazione straniera. Il tentativo non riuscì;
ma ciò non può togliere il merito dovuto a chi lo ideò e lo fece.
Tale è l'aspetto nuovo e interessante, sotto cui il sig. M. ha esami-
nato e studiato questo episodio, che riescirebbe certo a rialzare la
figura di Cosimo davanti alla storia. Ma diremo subito che, sebbene
questo asserto abbia molta apparenza di verità e sia anche confor-
tato da molti indizi di fatti e documenti, non ci sembra ancora cosi
provato da avere il valore di legittima supposizione. Anzi nello stato
presente de' documenti è più naturale l'ammettere che Cosimo, nei
vari tentativi fatti per raggiungere quel suo intento, fosse guidato
dalla sua solita, innata ambizione personale, e non dal nobile senti-
mento che l'autore suppone. Tuttavia ci auguriamo vivamente che,
allargando i suoi studi oltre l'Archivio di Stato di Firenze, il sig. 31.
giunga a raccogliere nuove prove in favore della sua tesi. Perchè
i lettori possano più facilmente giudicarne, riepilogheremo in breve
le principali argomentazioni del libro.
L'idea di ottenere un aumento, o maggiore riconoscimento di
potere, coli' accrescersi il titolo, s'incontra più volte nella storia del
principato di Cosimo I. Fu anzi una delle principali aspirazioni di
lui dopo l'acquisto di Siena. Era infatti giusto, dice l'autore, che
egli, dopo avere tanto lavorato e speso per indurre il re Filippo a
concedergli l'investitura di quella città, e dopo averla finalmente
ottenuta, agognasse di invertire la condizione di fatto in quella di
diritto, indùcendo a riconoscerla proprio chi aveva un interesse op-
posto. Era naturale che quella condizione di possesso precario e la
clausola delle fortezze, che, conforme ai patti, dovevano restare agli
spagnuoli, gli facessero l'eflt'etto di una i^pina conficcata nel cuore^
e desiderasse l'indipendenza assoluta della Toscana. Ma come po-
teva egli raggiungere quest'ultimo scopo, data specialmente l'infe-
riorità sua di fronte a Filippo II? Fu però costretto a seguire una
politica di astuzie e di infingimenti, traendo partito da qualunque
combinazione politica, o preparata o spontanea, che si parasse: così
mentre da un lato mostrava la sua servitù verso Spagna, desiderava
dall'altro di vedere quel re in continua guerra coi francesi, coi fiam-
minghi, coi mori, perchè fosse distolto dal pensare seriamente agli
affari d'Italia, e per renderglisi infine necessario per via degli aiuti di
gente e denari, che spesso era chiamato a somministrare. Ora rientra
appunto nei piani di questa politica il disegno vagheggiato lungo
tempo dal Duca di un matrimonio fra il suo primogenito e la so-
171: RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
rclla del Re di Portogallo. Cosimo aveva fondato grandi speranze
su quella donna, pel cui mezzo sperava di ottenere la reintegra-
zione delle fortezze e dei porti dello Stato di Siena. Neiroccasione
pertanto di queste trattative sorse l'idea di un ampliamento del
titolo, dì farsi cioè Ite di Toscana. Per raggiungere tale intento
Cosimo, dovette anche molto confidare nell'aiuto e cooperazione
del Papa Pio IV. Però l'Autore, basandosi specialmente sopra una
« Relazione » dell'Ambasciator Fedeli al Senato veneto e sopra certe
lettere molto importanti del Cardinale Dolfin, nunzio apostolico a
Vienna, che si riportano in appendice, crede che uno degli scopi
per cui il Duca si recò a Roma nel 1560 fosse appunto quello di
concludere le pratiche per il passaggio da Firenze a Toscana, È
certo merito del sig. Maffei di aver portato luce sopra questo viaggio
di Cosimo, che secondo il Galluzzi sarebbe stato fatto solo per
zelo religioso, e di avere anche meglio determinato il significato
speciale dell'opposizione fatta da Filippo II, quando fu ricercato
del suo consenso, al cambiamento del titolo. Ma siamo noi au-
torizzati a vedere in tutto ciò « uno spostamento del centro della
medesima questione»?, a dedurre che l'idea cui il Duca si ispi-
rava era quella della indipendenza dalla soggezione straniera?
o non sarebbe piuttosto vero, per dirla colle stesse parole usate da
un altro ambasciatore veneto, Andrea Boldù, nella sua Relazione
della Corte di Savoia, ch'era pensiero di Cosimo di farsi Re di To-
scana, parendogli che dove esso Duca di Savoia è il primo principe
in Italia, gli converrà allora essere il secondo? Inoltre anche l'Au-
tore stima necessario di osservare a questo punto che si deve bene
intendere il vero significato di questa parola indipendenza, perchè
« era ben lungi dagli intenti e dalle aspirazioni di Cosimo il vero
«concetto di libertà e di indipendenza nel senso moderno»; ed
infine soggiunge che intorno a questo primo momento dell'aflfare del
titolo, da lui accennato un po' troppo di volo, sarebbe necessaria
una più minuziosa ricerca nelle carte del tempo.
Procedendo nel nostro esame rileveremo che quando Cosimo
dovè deporre l'idea di un parentado col Portogallo o con la Spagna,
anche la questione del titolo parve per allora sopita. Ma fu risol-
levata quando nel 1565 si cominciò a trattare il matrimonio tra il
principe Francesco de' Medici e la figliuola dell'imperatore Ferdi-
nando. Parve questo a Cosimo un momento opportuno. Infatti l' im-
peratore non poteva rifiutarsi di cooperare all' ingrandimento della
sua famiglia. Fu anche in quella occasione che il Duca annunziò
il suo proposito di cedere al medesimo suo figliuolo il governo dei
suoi Stati. Ora, secondo il Galluzzi, questa deliberazione di Cosimo,
MAFFEI, COSIMO I E IL TITOLO DI OK.VXDUC.V 175
che empi di meravif>iia tutta l'Italia, fu motivata dal desiderio di
dar maggiore dignità a Francesco e di procurare a se stesso un
pò* di riposo dopo 28 anni di governo. Ma il sig. MafiFei insiste nel
credere che a questa renuiizia non sia stato estraneo l'affare del ti-
tolo Perchè, quando Cosimo per la prima volta mise fuori «luel-
ridea, ebbe agio di tastare il terreno e di vedere tutta la mala
disposizione che v'era contro di lui. Ora, allontanandosi dal governo,
oltre a dimostrare l'insussistenza delle accuse che gli eran mosse,
la cosa doveva necessariamente cambiare d'aspetto; che Francesco
non era uomo da destare timori. L'ipotesi poi che la renunzia sia
in relazione colle mire di un aumento di titolo acquista maggior
fiducia sapendosi che già nel 1560 lo stesso ambasciatore Fedeli
aveva considerato possibile l'allontanamento di Cosimo dalla pub-
blica scena per un identico scopo.
Con finissima critica il nostro Autore dimostra pure che si deve
invertire il racconto del Galluzzi a proposito delle pratiche corse
tra il Papa e il Duca per trasformare il Ducato di Firenze in Ar-
ciducato di Toscana; inquantochè l'iniziativa delle stesse pratiche
non sarebbe già venuta da Pio IV, ma da Cosimo, che col suo oro
intanto si era già guadagnato l'imperatore Massimiliano e i suoi
ministri. E se ne possono vedere le prove negli interessanti docu-
menti riportati nell'appendice. Quando adunque parve giunto il mo-
mento opportuno, il Duca si dispose a riferire all'imperatore le
offerte del Papa circa 1' aumento del titolo e delle sue prerogative,
scrivendogli la lettera riferita dal Galluzzi. Massimiliano, che non
si aspettava certo quest'imbarazzo e che da un lato desiderava di
continuare i suoi buoni rapporti col Duca e col Papa, e dall'altra
temeva i piati del Duca di Ferrara e il disgusto di Ferdinando II,
ricorse al solito espediente di una risposta ambigua e artificiosa, la
<iuale lasciando le cose sospese, lo liberasse da qualunque respon-
sabilità. Allora col consiglio del Card. Dolfin fu ardito un nuovo
tranello. Cioè Cosimo doveva subito levare ogni sospetto all'impe-
ratore rispondendogli che quanto a sé aveva preso a cuore il di-
segno del Papa, solo per deferenza verso di lui, e non perchè
rispondesse ad un suo intimo desiderio. Difatti volentieri rinun-
ziava a questa idea se doveva portare con sé complicazioni. Ma
nello stesso tempo però doveva cercare che il Papa prendesse la
cosa su di sé e ne facesse questione, per cosi dire, personale, in-
sistendo sul fatto del non poter egli venir meno all'impegno as-
sunto ver.30 il Duca di Firenze. Tutt'al più poteva il medesimo
pontefice ammettere che, se il titolo di Arciduca offendeva le orec-
chie aufitriaclie, si adottasse ([uello di Granduca. Con tal ripiego
176 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
infatti, cioè creando della Toscnna un Granducato come ({uelli di
Lituania, Slesia e Moscovia, si eludevano le gelosie degli Arci-
duchi; ed era infine naturale che Cosimo, riunite sotto di sé le re-
pubbliche dì Firenze, Pisa e Siena, si dicesse Granduca. Con tutto
ciò, seguita a dire l'Autore, non si erano ancor vinte tutte le dif-
ficoltà. Ben si sapeva come Filippo II, fosse contrario ad ogni spo-
stamento politico in Italia e non avrebbe certo inteso volentieri quel
trapasso da Firenze a Toscana, sulla quale vantava de' diritti. Bi-
sognava perciò ridurre alle minime proporzioni il disegno stesso:
e siccome si calcolava snlì'ùitervenlo di Cesare, circondare il piano
stesso di tali garanzie nell'interesse de' terzi, che l'imperatore, scor-
gendolo affatto innocuo, senz'altro lo accettasse.
Così soltanto si spiegherebbe per il sig. Maffei la clausola a cui
si volle sottoposta la nomina Salvis tamen jurihiis S. imperii e S. Re-
gis CathoUci super civitate et statu Senarum, saìvis etiam jurihvs
S. imperii ad quaecumque alia loca aut civitates in provincia Tn-
siciae sitaSy item salvis juribus regis Hispaniorum in Portu Hercule
et Orhetello, item salva liberiate reipublicae Lucensis, salrisgue tan-
dem unicuique suis legitimis juribus et immunitatibus.
Arrivato a questo punto confessa anche il sig. Maffei che viene
spontanea la domanda: e in che consisteva dunque il valore dì que-
sto titolo tanto agognato? Posta così la questione, i tentativi di
Cosimo non si risolvono piuttosto in una vuota e spagnolesca am-
bizione ? Tali domande però, seguita a dire l'aut., trovano la loro
risposta nella lettera sopraccitata del Card. Dolfìn. Quell'astuto ec-
clesiastico insinuava a Cosimo che non era tanto l'imperatore,
quanto il Re di Spagna che bisognava temere. Però stando le cose
in questo modo.... siccome finora non solo è fatato aborrito il nome
della dignità, come a dire re ed arciduca, ma il nome del princi pato .,
cioè voler passare da Firenze a Toscana..., non bisognava mettere
innanzi due cose sì odiose ad un tempo ; ma tentare una sola, la più.
essenziale, cioè il passare ed ascendere da Firenze a Toscana...; fatto
il detto transito ed ascensione, io predico, e so di non ingannarmi,
che Elia avrà presto ogni grado e dignità che vorrà avere.
Ma a qualunque deduzione che si possa trarre da questo do-
cumento si potrà sempre obiettare che se Cosimo fosse stato ani-
mato in quest'affare dallo spirito che l'Autore suppone, si sarebbe
contentato di ottenere il nuovo titolo con tante restrizioni e con
tante limitazioni di dominio, come si adattava in ultimo? Non avrebbe
dovuto cercar piuttosto di emanciparsi da quelle odiose condizioni,
anche a scapito di qualche tìtolo più o meno, cercando piuttosto
MAFFEI, COSIMO I E IL TITOLO DI C4RANDUCA 177
la sostanza che l'apparenza e non questa a danno dell'altra? La
vecchia volpe sarebbe stata in questo easo inferiore alla sua fama I
Del resto, la sua ambizione personale si dimostra anche più chiara
nella soluzione di questo episodio.
Si sa che la morte improvvisa del Papa fu una vera rovina per
Cosimo e per il suo disegno, che per la seconda volta fu messo in
disparte. Ma 1' esperienza di due volte non era stata inutile. Cosimo
aveva omai inteso che per raggiungere il suo scopo doveva più con-
tare sull'appoggio del Papa, che su quello di Cesare o di Re Fi-
lippo. Per la qual cosa chiamò subito da Vienna il Concini perchè,
da vecchio conoscitore, com'era, dell'ambiente cardinalizio, guidasse
come meglio si poteva la nuova elezione secondo i suoi desideri.
Riuscì eletto Michele Ghisleri, detto comunemente il Card. Alessan-
drino, che, per gratitudine al suo predecessore, prese il nome di
Pio V. Era uomo austero e religioso, « negligente per le cose del
mondo » ; onde la sua scelta non fu di certo la più gradita a Cosimo ;
e bisognò che questi scandagliasse dapprima l'animo del nuovo Pon-
tefice, cercando di guadagnarselo a poco a poco. Infatti le relazioni
fra i due principi non furono da allora in poi che una serie conti-
nua d'attenzioni, di proteste di servitù e d'obbedienza, che tende-
vano a fondere insieme gl'interessi Medicei e quelli della S. Sede.
Una prova di questa politica l'autore la trova nel modo con cui il
Duca trattò Pietro Carnesecchi. La vera ragione infatti, nota l'au-
tore, che spinse Cosimo a dare il Carnesecchi in mano all'Inquisi-
zione non sta già nel fervore religioso o nel convincimento della
sua eresia: il tradimento di Cosimo fu determinato da cause estra-
nee alla religione: fu un atto dei più meditati che mirò a gettar le
basi di quella alleanza col Papa di cui Cosimo già aveva stabilito
qual ricompensa doveva chiedere.
Da molti anni la lite di precedenza si trascinava per i tribu-
nali di Roma e di Vienna, senza che si venisse ad una sentenza
definitiva per l'uno o l'altro dei contendenti. Il Duca sperò finirla
coir aiuto del Papa. E siccome Monsig. Onofrio Camajani, vassallo
e protetto di Casa Medici, copriva allora a Roma la carica di Pre-
sidente de' Brevi, si incominciò collo svelargli il progetto del Car-
dinale Dolfin, perchè fosse riferito e proposto al nuovo Pontefice.
Anche questa volta pertanto l'autore invertirebbe, e non a torto, il
racconto del Galluzzi, che, non dando alcuna importanza alla parte
avuta da Cosimo nella preparazione di questo affare, scrive avere
il Duca accettato lietamente e di buon animo il nuovo titolo offer-
togli dal Papa. Su questo punto il nostro autore ha trovato de'do-
Akch, Stor. It,, 5.* .Serie. — XXXIX. VI
178 RASSEGNA BIBIJOGRAFICA
cuinenti assai importanti: nonostante, dice che le sue ricerche nel-
l'Archivio di Stato di Firenze non gli dettero i resultati che a buon
diritto si aspettava. Ma questa mancanza di notizie non deve far
meraviglia e fu voluta a bella posta perchè, trattandosi di cosa assai
delicata, fu stimato più opportuno definirla a viva voce. Senza di-
lungarci di troppo nel raccontare tutti i minuti particolari con cui
si condusse quest'affare, ricorderemo come la Bolla, che creava il
nuovo Granduca, fu portata a Firenze dal nipote stesso del Papa;
e come dipoi Cosimo, col pretesto di recarsi a Roma per ringraziare
di questo atto il Pontefice, volle da lui ricevere la corona grandu-
cale, nonostante che il Papa lo dissuadesse da quest'atto, mostran-
dogli le noje e i pericoli che potevano venire, come vennero di fatto,
da una tale provocazione. Ma Cosimo insistè pensando che l' incorona-
zione, mentre confermava pubblicamente l'operato del Papa, lo impe-
gnava ancora più strettamente a mantenere e far rispettare la sua au-
torità. Il sig. Maffei fa qui rilevare come fosse savia politica, per
parte del Duca, l'aver condotto la cosa a complicazioni di tal ge-
nere; e l'aver fuso cosi la sua causa con quella del Pontefice. Non
neghiamo che l'autore ha ragione di far questa deduzione rispetto
al semplice fatto del conseguimento del titolo; ma non diremo pur
saggio il procedere di Cosimo quando veramente avesse avuto il
nobile pensiero per cui meriterebbe la nostra lode.
Il prof. Luigi Carcereri, parlando appunto di questo libro nel
voi. I, fase. Ili, (ìeWAteneo veneto, mostra di accordarsi nella so-
stanza col concetto del Maffei, e porta anche dei nuovi documenti,
che in parte rettificano e in parte completano questo racconto.
Ma anch'egli dice infine che, ricercando ne' carteggi degli ambascia-
tori od agenti segreti dei vari principi italiani, negli archivi e
biblioteche di Roma, si potrebbero rintracciare altri documenti che
schiarissero meglio tale argomento. Per citare un esempio, ricorda
che nel volume secondo dei NunUaturberichte aus Deutschìand si
legge che la copiosa corrispondenza del Card. Dolfin, dalla quale
fu estratta tutta la parte che si riferiva alle trattative della dieta
e agli altri affari dell'impero, si trova ancora inesplorata in un co-
dice vaticano, come pure vi stanno i rapporti di altri agenti, ciie
in generale si occupavano in quel tempo della lite di precedenza.
Però noi termineremo questi cenni incoraggiando l'egregio au-
tore a riprendere nuovamente in mano il suo lavoro, cercando con
l'acume, di cui ha ben dato prova, di risolvere quei dubbi che ancora
ci rimangono.
Firenze. A. Gioruetti.
DEL VECCHIO, SU LA TEORIA DEL CONTRATTO SOCIALE 179
fìiouGio Del Vecchio, aSV ìa teoria del contratto .sociale. — Bologna^
Zaniclielli, 1906.
Questo lavoro — che attesta nel suo Autore una bella e geniale
t'ontinuità nella ricerca scientifica (1) — ha per oggetto di chiarire
il senso proprio della dottrina del Contrai social del Rousseau, con
r intendimento di mostrare, da un punto di vista filosofico, come
4ul essa debba ricongiungersi la Dichiarazione dei diritti nella Rivo-
luzione francese ; e ciò in contraddizione con la tesi del Jellinek,
che ritiene la Dichiarazione derivata esclusivamente dai bilh of rights
americani, e sorta in opposizione con il contratto, perchè questo ne-
gherebbe ogni libertà individuale nello Stato.
È da avvertire, prima di tutto, che nella sua opera il Rousseau
si propose di adempiere una analisi deontologica in rapporto alla so-
cietà umana ; e poiché, per determinare il dover essere, è, secondo
lui, da ricercarsi la originaria e fondamentale natura dell'essere, così
si fece a rintracciare la storia degli ordinamenti sociali. I quali gli
apparvero come l'antitesi del primitivo stato di libertà e d'ugua-
glianza goduto dagli uomini: di guisa che il problema della politica
attuale veniva naturalmente a consistere nelT istituire tali ordini, che
anche nella società civile riescano a tutelare le prerogative giuridi-
che dello stato naturale. Ora, l'idea secondo la quale può e deve av-
venire la coordinazione civile dei diritti naturali degli individui è,
nel pensiero del Rousseau, il contratto sociale.
La concezione ideologica del contratto sociale, professata dal
Rousseau, va dunque intanto nettamente distinta dalla concezione
realistica di esso, propria dei precedenti scrittori politici. Principal-
mente neir opera del Grozio il contratto sociale è presentato come
un atto empirico, che ha la sua base in una qualsiasi opportunità
del momento, non nella natura propria dell'uomo. Inoltre, il con-
tratto sociale, assimilato ad ogni altro contratto particolare, in que-
sta dottrina ha valore e deve essere rispettato solo perchè ed in
quanto rientra nella categoria generica dei contratti. Cosi inteso,
il contratto sociale non ha, né può avere, alcuna funzione valuta-
tiva rispetto alle costituzioni vigenti: ogni governo è frutto di un
contratto, che i sudditi hanno obbligo di osservare per se stesso ;
vale a dire, la legittimità del governo si. deduce dalla sua esistenza.
(1) Si ricordi, fra gli altri, il saggio dello stesso, La Dichiarazione
•dei diritti delV uomo e del cittadino nella Bivolmione francese, Ge-
nova. 1908.
180 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Ora, presciiideiulo dall'ordine di obbiezioni storiche, giuridi-
che e razionali, che può muoversi al pensiero del Grozio e che il
Del Vecchio fa oggetto di una efficace e valida discussione, deve
dirsi che già prima del Kousseau altri scrittori eran venuti acco-
gliendo qualche elemento razionale e speculativo nella elaborazione
del principio contrattuale, come attesta la storia interna di questa
dottrina. Così nel sistema contrattualista dispotico dell' Hobbes, per
quanto il contratto sia ancora adibito qual formola generica a con-
sacrare la legittimità di tutti i governi, esso è però già concepito
come il prodotto di una esigenza della ragione rivolta ad assicu-
rare l'ordine e la sicurezza dello Stato. Ma più specialmente per il
Locke lo Stato è una creazione della volontà degli individui a ga-
ranzia di determinate prerogative individuali, onde s'inferisce l'ob-
bligazione perpetua dei governanti di rispettare queste prerogative.
Nel concetto del Rousseau lo Stato deve invece supporsi aver
avuto origine da contratto, perchè questo è il solo mezzo per pro-
muovere il riconoscimento del diritto naturale di libertà e d'ugua-
glianza. 11 punto di vista empirico è superato in questa concezione:
il contratto sociale, come illustra assai bene l'Autore (pp. 85-98), nel
sistema del Rousseau, « non è più un fatto, né dipende dal placito
«o dall'arbitrio di alcuno, ma è per sé stesso il necessario risulta-
« mento di termini dati obbiettivamente, e fissi per natura di cose:
« è l'interferenza ideale dei diritti connaturati degl'individui». Vale
a dire, il contratto si determinerebbe fra lo Stato e gli individui, for-
niti di diritti naturali, a soluzione del problema politico fondamen-
tale consistente in questi termini: « trouver une forme d'association,
« par laquelle chacun, s'unissant à tous n'obéisse pourtant qu'à lui-
« méme et reste aussi libre qu'auparavant ». Gli individui alienano
idealmente i propri diritti allo Stato, il quale li riconferma ai sin-
goli e con ciò viene ad essere assicurata una libertà uguale per tutti :
nel raggiungimento del quale intento sta la ragione suprema dell'or-
dinamento politico. Ciascuno, unendosi a tutti in virtù di questo con-
tratto ideale, obbedisce in ultima istanza soltanto a sé stesso, in quanto
ogni atto d'impero dello Stato si risolve in una estrinsecazione della
volontà stessa di coloro che vi devono sottostare: e resta così libero
come per l' innanzi, essendo generale questa alienazione. «L'aliénation
« totale de chaque associò avec tous ses droits à tonte la communauté »
è, secondo il Rousseau, — dice con espressione sempre esatta il Del
Vecchio (p. 94) — solo un atto fittizio, o un canone costruttivo ne-
cessario per dimostrare come i diritti dell'individuo, pur essendo in-
scindibili dalla sua natura, debbano formalmente essere conferiti a lui
dallo Stato, da che e in quanto egli ne fa parte.
Si vede pertanto che il sistema del contratto sociale ha, contra-
DEL VECCHIO, SU LA TEORIA DEL CONTRATTO SOCIALE 181
riamente a quanto pensa il Jellinek, con la Dichiarazione dei diritti
^i[uesto intento in comune: il riconoscimento giuridico della persona-
lità dei singoli nello Stato. Non già che nella dottrina del Rousseau i
diritti fondamentali degli individui sian messi in contraddizione con
l'autorità dello Stato: di questa costituiscono, al contrario, l'es-
senza: si suppone — scrive con frase suggestiva il Del Vecchio
(pp. 101-2) — un atto, per il quale i diritti originari di tutti i singoli
convergano idealmente in un centro comune, dal quale irraggino
poi di nuovo sopra gli stessi individui, che acquistano, per con-
^ieguenza di ciò, la qualità giuridica di cittadini. Orbene, questo
medesimo processo è previsto dalla Dichiarazione, la quale pone,
pure essa, a fondamento, non a negazione, dell'autorità dello Stato
i diritti essenziali degli individui e preesistenti alla organizza-
zione politica. Lo Stato si afferma come persona, in quanto è
i<intesi dei diritti del gruppo, i quali esso è chiamato a riconoscere
non a creare. Nella Dichiarazione è detto che « gli uomini nascono
« e restano liberi e uguali in diritti », e nella conservazione di questi
iliritti è « il fine di ogni associazione politica ». Se pertanto il con-
tratto sociale e la Dichiarazione hanno per intento di comporre ob-
biettivamente entro i termini dello Stato i diritti essenziali degli
individui, si vede già da queste correnti dottrinali balzare nitida-
mente l' idea moderna dello Stato giuridico o costituzionale, in cui
gli organi dello Stato nell'esercizio delle loro funzioni sono sottoposti
ad un complesso dì norme imperative, delle quali i cittadini, a ga-
ranzia dei propri diritti, possono esigere l'osservanza.
Queste stesse conclusioni, oltre gli ammirevoli pregi di pen-
siero e di forma che lo adornano, conferiscono speciale importanza
al lavoro del prof. Del Vecchio. Piace veder ripreso l'esame di dot-
trine, dalle quali l'indagine scientifica, in questi ultimi tempi, a torto
«rasi in parte allontanata; mentre una critica poderosa e illuminata
può lumeggiarne limpidamente l'intimo senso e la connessione coi
più moderni indirizzi. Il movimento speculativo, che ha il proprio
riassunto nella Dichiarazione dei diritti, mostrasi, per vero, non solo
<nntesignano della concezione giuridica nella vita dello Stato, ma,
esaminato adeguatamente, potrebbe anche corroborare, con valido im-
l)ulso, la tesi che designa nel contemperamento delle esigenze indivi-
■duali con quelle della società il fine specifico del diritto moderno (1).
Modena. Benvenuto Donati.
(1) Contro r interpretazione esclusivamente individualista della Dichia-
razione, vedi le belle considerazioni già esposte del Del Vecchio, La Di-
cìiiaraìioue dei diritti cit., pp. 70-76.
182 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Ignaz Philipp Dengel, Die poìitisclie und kirchliche Tdtigl-cit des
Monsignor Josef Garampi in Deiitscldand. 1761-1763. — Eoin,
Loeseher, 1905. In 12", di pp. xi-196.
L'A., che già in altri lavori aveva illustrato la vita del dotta
investigatore degli Archivi Vaticani e dell'abile diplomatico, tratta
in questo suo studio della missione affidata al Garampi in Germania
nel 1761-63, durante il pontificato di Clemente XIII.
Era sorta allora la speranza che la Guerra dei Sett'anni volgesse
al fine; trattative diplomatiche erano corse tra le potenze per la
riunione di un congresso che dovesse preparare la conclusione della
pace e, benché con molti ostacoli e dopo molte tergiversazioni, il
congresso pareva deciso. La Curia Romana aveva troppi interessi
religiosi e politici in Germania per non tentare ogni mezzo di
partecipare a quel convegno; ma da tempo la sua influenza era
andata scemando; i messi pontifici erano stati esposti a grandi
umiliazioni, e dalla pace di Nimega in poi il papato non aveva
avuto più nunzi ufficiali, ma soltanto ministri senza carattere. Tut-
tavia il momento era così grave e dal congresso potevano uscire
deliberazioni di tanta importanza per le condizioni dei cattolici in
Germania, che il papa non esitò a chiedere che si ammettesse un
suo delegato a quell'assemblea e, non avendo ottenuta favorevole
risposta, decise di inviare colà un agente privato e scelse a questo
ufficio il Garampi, affidandogli l'incarico di una visita al Monastero
di Salem, per giustificare il suo invio.
Il Garampi stesso scrisse le istruzioni per la sua missione, te-
nendo presenti quelle che il papa aveva già segretamente mandate
nel 1758 ai nunzi di Parigi e di Vienna, nelle quali erano espresse
le idee di Clemente e le sue intenzioni, perchè i deliberati della
pace di Vestfalia, nella quale, secondo lui, era il fondamento d'ogni
male, non venissero interpretati in modo da rendere ancora più
difficile la condizione della Chiesa cattolica in Germania.
Nell'agosto del 1761 il Garampi parti per la Germania, accompa-
gnato dall'abate Callisto Marini; ma, mentre egli si tratteneva colà
per la visita a Salem, e ritardava poi il ritorno, viaggiando nella
Svizzera, nel Belgio, nell'Olanda, in Francia, s'allontanava l'idea
del congresso, mentre prendeva maggiore consistenza la fiducia nella
conclusione della pace per la morte della zarina Elisabetta e per la
mutazione del ministero in Inghilterra. Ma in ogni luogo svolgeva
egli la sua attività, ora conversando coi dotti dei paesi da lui vi-
sitati, ora raccogliendo o copiando documenti, ora contribuendo a
DEXGEL, MONSIGNOR GARAMPI IN CtERMANIA 183
risolvere delicate questioni, come quella riguardante la condotta del
cardinale vescovo di Liegi, Giovanni Teodoro, zio dell'Elettore di
Baviera, o la causa contro il canonico d'Augusta, G, B. Bassi. Sta-
bilitasi la pace, che il papa trovò foUerabile^ perchè poteva temersene
di peggio per i suoi interessi, il Garampi tornò in Italia, in appa-
renza senza avere espletata l'opera sua, perchè il congresso non si
era raccolto; in realtà, secondo l'A., appunto per questo, con ottimi
frutti per la Chiesa.
11 congresso avrebbe eccitato nuove ed inefficaci proteste del
papa, le quali avrebbero avuto per conseguenza soltanto il maggiore
consolidamento della Unione evangelica e quindi avrebbero inacerbito
la lotta tra cattolici e protestanti. Invece il Garampi ebbe modo di
conoscere più intimamente le condizioni della Germania, lo spirito
delle corti, lo stato delle coscienze, e potè con animo sereno e sicuro
dimostrare alla Curia romana la detìcenza e la fallacia della sua
azione politica e religiosa in Germania ed esserle di guida nella sua
condotta ulteriore.
La seconda parte dello studio del Dengel riflette più partico-
larmente la visita del Garampi al Monastero di Salem. A quella
abazia potentissima era preposto già dal 1746 Anselmo II Schwab,
principe splendido, geloso della sua dignità, rigido con sé e coi suoi
dipendenti. Contro di lui si era mossa una coalizione di monaci
intriganti e di impiegati lesi nei loro interessi, secondati in parte
dagli altri monaci, malcontenti della eccessiva severità dell'abate,
e dal vescovo di Costanza, cardinale di Rodt, nemico di lui per
questioni di giurisdizione. Una inchiesta, condotta con molta minu-
ziosità ma con criteri e modi molto strani da due abati tedeschi
inviati come visitatori dal generale dei Cistercensi, era terminata
colla sospensione di Anselmo dal suo ufficio. Questa condanna aveva
portato un grande scompiglio, perchè parve lesiva ai diritti della
Chiesa romana, che aveva Salem in particolar protezione e a quelli
dell'Impero, dal quale, per le cose temporali, l'abazia direttamente
dipendeva. Cosi era seguita una serie di proteste, di appelli, di
reclami, di difese da parte della Corte di Vienna, della Curia di
Roma, del Cardinale di Costanza, dell'Abate di Citeaux, dei visita-
tori, di Anselmo, dei monaci più direttamente interessati ; e maggiore
esca aveva gettato sul fuoco un decreto della Nunziatura di Lucerna,
che aveva annullata la sospensione dell'abate e iniziata una nuova
inchiesta. Ardua dunque la missione affidata al Garampi e tale da
vincere le forze di chi non avesse avuto, come lui, oltre a un vivo
sentimento di giustizia, anche una grande equanimità e la pazienza
e il tatto necessari per vincere gli intrighi e condurre in salvo la
184 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
causa della verità attraverso tanti e cosi svariati interessi in conflitto
tra loro. L'A. espone con molti particolari i procedimenti del Ga-
rampi che finirono con la reintegrazione definitiva dell' abate nella
sua carica e con una generale pacificazione.
L'interessante lavoro termina con un elenco delle fonti vaticane
per la storia dei congressi per la pace, dalla pace di Nimega a quella
di Aquisgrana (1748): con una lettera dì Maria Teresa a Clemente
XIII del 20 marzo 1763 e un'altra di questo all'Imperatrice del 20
aprile 1763, riguardanti la pace di Hubertsburg e la perdita della
Slesia ; e con una nota delle spese fatte dal Garampi per il suo viaggio,
dall'agosto 1761 al giugno 1762.
Napoli. G. Papaleoni.
J. LucHAiRE, Essai sur Vévohitio'n inteUectuelìe de V Italie de 1815
à 1830. — Paris, Hachette, 1906.
La storia del nostro Risorgimento si è arricchita di due lavori
notevoli: di uno, Le Origini dei Itisor()ime)ito Italiano di F. Lemmi,
ci occuperemo quanto prima; l'altro, del quale ora discorriamo, è
scritto da uno straniero, J. Luchaire, che studia l'evoluzione intel-
lettuale dell'Italia dal 1815 al 1830.
Questo libro presenta caratteri affatto diversi da quelli comuni
alla quasi totalità delle odierne pubblicazioni sul Risorgimento. Gli
uomini che cooperarono al nostro riscatto erano rimasti cosi esal-
tati dall'eroica animazione dei dì della lotta, che per essi solo l'epica
tromba poteva tentare di tramandare ai posteri la memoria della
guerra santa della patria, delle gesta immortali del popolo italiano.
E il loro entusiasmo ebbe tanta purezza, e generosità, e imponenza,
da trasfondersi, benché meno vivì^ce, anche nei figli ; pei quali ogni
storia dì tentativo liberale divenne perciò un'apologia, ogni biografia
dì patriotta. un elogio. Tale glorificazione sistematica produsse na-
turalmente una reazione in senso opposto, cosicché noi abbiam visto
aftermarsi la tendenza ad esaltare le benemerenze dell'antico regime,
a scoprire le colpe e i difetti del patriottismo e dei patriotti. A questa
corrente iconoclasta, spesso animata da puro spirito di contraddizione
e da smania di novità, 1' anima nostra, per quanto abituata alla cri-
tica demolitrice oggi trionfante, ha trovato la forza di reagire. Ep-
però fra una lusinghiera apologia che tradisce una evidente inesat-
tezza, e una dolorosa verità che repugna al fondo più antico e più
caro del nostro patrimonio intellettuale, molti han preferito di cer-
care la verità, e si son dati a una indefessa indagine degli avanzi
[RE, l'evoluzione INTELLETTUALE DELL'ITALIA 185
iterici (li quell'età. Ma presto sono cominciate anche qui le esage-
razioni : pur di metter fuori documenti inediti, si è pubblicato anclie
quel materiale che altri aveva già esaminato e ritenuto indegno dì
stampa. E in siffatta ricerca analitica, si è insistito così, da smarrire
la prospettiva storica e perdere la veduta dell' insieme (1).
Ai lavori sintetici ci richiama opportunamente con l'esempio dì
questa bella pubblicazione il signor Luchaire. « Io non ho voluto dare
qui — egli dichiara — se non indicazioni sulle origini intellettuali
dell'Italia contemporanea. Ho tentato di far conoscere il fondo co-
mune del pensiero di questa nazione, lo spirito pubblico in un dato
momento : ho presentato degli individui esclusivamente a titolo di
esempio ». Il proposito, confessiamolo, è ardito, poiché per compiere
anche con mediocre successo un lavoro di questo genere, ci vuole ben
altra somma di attitudini e di conoscenze che non per apparecchiare
un'ottima stampa di documenti inediti. Ma il Luchaire — che pru-
dentemente ha dato al suo studio il titolo di saggio — si è accinto
all'opera con una preparazione vasta e abbastanza completa: pochi
libri sul nostro Risorgimento rivelano una maggiore conoscenza dei
vari indirizzi del movimento intellettuale europeo nei primi decenni
dell'ottocento, e una più serena concezione delle vicende e dei prin-
cipi che agitarono quei primi fortunosi anni del secolo XIX.
Nell'introduzione il Luchaire discorre dell' elììcacia che gli avve-
nimenti dal 179H al 1814 esercitarono sullo spirito pubblico in To-
scana; sono poche pagine sobrie e schematiche, ma sufficienti: pregio
che occorre rilevare, perchè spesso le pubblicazioni francesi sotto la
vivacità e lo splendore della forma nascondono incertezza e incom-
piutezza di pensiero.
Il primo capitolo tratta delle condizioni della vita intellettuale
dopo la restaurazione. L'opera soporifera del governo, che cercava
addormentare gli spiriti col triplice narcotico della censura, della po-
lizia e del clero, è messa in luce con lodevole chiarezza. Assai più
in breve è esposto l'atteggiamento delle varie classi e dei diversi
centri, di fronte a tale politica: eppure non sarebbe proprio questo
(1) >Sono queste le conclusioni di uno scritto intorno allo svolgimento
degli studi sulla storia del nostro Risorgimento, che fa parte del volume
Epimdl, tendenze e figure della Storia del nostro Risorgimento, in corso
di stampa.
180 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
il passo più interessante per ehi volesse conoscere le condizioni della
vita intellettuale?
11 secondo capitolo è dedicato alle tendenze e alle opere che agi-
rono più efficacemente sullo spirito pubblico. Esso si apre con l'esame
del patrimonio intellettuale italiano in quell'epoca; ma queste pa-
i>ine riescono forse le meno pregevoli di tutta l'opera. Nell'attività
delle menti del '700 il Luchaire scorge una generale inanità e debo-
lezza: idea poco esatta, che da più decenni è stata ripudiata dalle
persone colte e dalle scuole. Meno che mai poi l'opera del Monti si
può chiamare, come al Luchaire piace definirla con una sola parola,
« sterilizzatrice ». Pel L. il poeta romagnolo non è se non il proto-
tipo dei letterati di professione, oziosi ricercatori di parolette, vacui
cesellatori di versi e di periodi (p. 64 segg.). Invece nell' opera del
Monti e' è innegabilmente qualcosa di più e di meglio, tanto è vero
che essa sopravvive gloriosa alla già obliata caterva degli scritti dei
mestieranti delle lettere; ne il magistero della forma basterebbe da
solo ad assicurare la vitalità di un'opera d'arte, e meno che mai di
tutta la produzione di un autore. Certo l'uomo fu eccessivamente debole,
come dimostra, assai meglio del Luchaire, il Clerici nel suo bel lavoro
sul Conciliatore il). Indole timida, incapace di reagire agli impulsi
esterni, aveva bisogno di sentirsi carezzato dal favore dei potenti, per-
chè il suo spirito potesse con piena tranquillità attendere alla crea-
zione artistica. Eppoi la varietà e discontinuità di sentimenti in
quegli anni è nello spirito pubblico, e il poeta non fa se non ri-
fletterla nell'opera sua, ma sempre spontaneamente, con partecipa-
zione cordiale : onde non è lecito asserire che egìi abbia scritta
versi per commissione, come atferma il Luchaire (p. 65). Certo in
giovinezza il Monti ebbe l'energia di sacrificare ai sentimenti liberali
gli agi di casa Braschi, per correre ad un ignoto avvenire. Così da
vecchio avesse mantenuta la sua fierezza di fronte agli amici del
Conciliatore contro le lusinghe dell'Austria !
A queste pagine difettose, seguono altre assai pregevoli sul-
r efficacia già declinante del filosofismo francese, e sulla romantico-
machia; ed anche in questo argomento il Luchaire ha tenuto d'occhio
più la manifestazione esteriore dei sentimenti, che le condizioni mo-
rali onde questi traevano alimento.
Suir « Alfierismo » si alternano pagine mediocri e ottime, con
prevalenza però di quest' ultime. Il Luchaire non intende la ra-
(1) E. Clerici, lì Conciliatore, Pisa, Nistri. 1908, pj). 52 sogg.
187
;^ione d' essere del Misogallo e di tutta la conseguente letteratura
gallofoba. A parte che molti hanno, come il Leopardi, parlato dei
Francesi « come per pretesto e figura » (1), in luogo degli Austriaci,
nel i)rimo quarto del secolo era ancora troppo recente il ricordo delle
ruberie e delle vessazioni dei commissari della repubblica, diffama-
tori del nome francese: negli Italiani erano tanto educati alla vita
l)ubblica da apprezzare i vantaggi politici della invasione francese
come superiori ai gravi danni economici da essa prodotti. Inoltre le
classi più colte erano rimaste disgustate dal trattato di Campofor-
mio, il quale aveva fatto una impressione straordinaria, veramente
inesplicabile agli occhi nostri; e a. tacere di Vincenzo Cuoco, un
solitario la cui opera grande non agi efficacemente sullo spirito
l)ubblico (2), bisogna arrivare al Balbo per sentire affermare che la
fine della Kepubblica di Venezia era stata di « pochissimo danno» (3).
Il capitolo III studia, sulla scorta dei registri della censura e
dei cataloghi dei librai, quello che si stampava e si leggeva in
Toscana fra il '15 e il '30. Sono dati e osservazioni di un pregio
eccezionale per originalità e per valore intrinseco: l'evoluzione del
gusto letterario vi è seguita minuziosamente, e ricollegata in modo
veramente egregio agli avvenimenti contemporanei. Queste pagine
rimarranno certo a lungo un elemento basilare per gli studi sul
nostro Risorgimento.
Nel IV capitolo viene esaminata l'idea italiana nella sua tra-
dizione secolare; e sono lieto di constatare che il Luchaire concorda
pienamente con i risultati di uno studio — a lui ignoto — che io
avevo già pubblicato in estratto dal citato volume Episodi, tendenze
e figure. Segue una analisi minuta, ma geniale, e se non esauriente,
certo assai larga, degli elementi costitutivi dello spirito di italianità;
e infine è studiata l'espressione che questo prese nel Giordani, nel
Leopardi, nel Niccolini e nei propositi dei Carbonari.
11 capitolo V è dedicato al liberalismo, inteso come reazione
alla restaurazione. Questo si esprime da un lato come preparazione di
un rinnovamento intellettuale, morale ed economico,- per opera del
gruppo (\e\V Antologìa e dei Georgofili; dall'altro lato come educa-
zione insurrezionale, che a Firenze trova due vigorosi campioni nel
(1) G. Lkopardi. EiJÌstolario, A P. Brighenti, 21 aprile 1820.
(2) « Il compimento della profezia del Segretario fiorentino, la distru-
« zione di quella vecchia imbecille oligarchia veneta, sarà sempre per
« l'Italia un gran bene». V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione dì
Napoli, Milano, 1801, p. :]1.
(3) Balbo. Delle Speranze d'Italia, cap. VII.
188 RASSEGNA BIBLIUGRAFICA
Niccoliiii e nel Colletta. Lo storico napoletano è forse l'unico autore
del quale il L. discorra a lung'o senza una adeguata preparazione.
Per intendere bene questo scrittore, che prima della penna aveva
adoprata la spada, ed era stato uomo di governo e diplomatico,
bisogna metterlo nel suo « ambiente », laggiù a Napoli, dove vivono
a fianco senza conoscersi Vincenzo Russo e i lazzaroni, e accanto
al gentile fiore dell'eroismo germoglia 1' abbiezione e l'infamia: sono
proprio in questo mondo tempestoso e buio quelle contraddizioni
che il L. rileva nel quadro fattone dal Colletta, e a lui attribuisce.
Cosi pure bisogna osservare, contro il L. (p. 201), che la colla-
borazione del Niccolini e del Giordani alla Storia del Reame di
Napoli ebbe scarsa efficacia, strettamente formale, e che l'imitazione
di Tacito è anch'essa puramente- esteriore, e di sola ispirazione.
Il VI capitolo studia il moralismo rifiorente fra il '15 e il '30,
che assume l'aspetto a volte di stoicismo, a volte di misticismo
religioso e politico, a volte di neocattolicismo. Quest'ultima tendenza
è rappresentata nella sua astrazione più fine e aristocratica dal
Manzoni, nell'espressione volgare dal Pellico, nella teoria filosofica
dal Rosmini giovane. È questo un capitolo denso di idee, nel quale
argomenti molto delicati sono esaminati e chiariti in modo vera-
mente definitivo, senza uscire mai dai limiti della serenità; difficil-
mente un italiano avrebbe saputo far tacere così completamente le
sue passioni.
Il penultimo capitolo tratta un argomento più noto e assai
meglio studiato, il pessimismo. Il Guerrazzi ne è l'espressione vio-
lenta e rivoluzionaria: un giornalista lo chiamerebbe un anarchico
del sentimento; il Leopardi, basandosi sulla ragione, dà del pessi-
mismo l'espressione filosofica, logicamente salda. L'uno e l'altro
però mantengono fiso lo sguardo all'avvenire; il loro non è dunque
scetticismo, è sdegno del male e aspirazione al bene; in fondo perde
molto della sua natura di pessimismo.
L'ultimo capitolo infine studia le avvisaglie del 1830, l'affer-
marsi delle correnti più attive, l' accentuarsi del carattere pratico.
Un uomo viene ad assommare in se tutti i vari indirizzi, fin qui
esaminati, per comporli in unità organica e porre nettamente il
problema patriottico: Giuseppe Mazzini. Con un'ottima sintesi si
chiude il volume, nel quale, ad onta delle mende che qua e là si
rilevano (1), il lettore deve ammirare l'abbondanza delle notizie,
(1) Stupisce in un'opera cosi scu-ia e ponderata vedere il Mazzini
posto nella schiera di quei politici che gettano a mare l'eredità del pas-
sato, per fare ricominciare la storia dal momento prc^sente, ond' essa si
LUCHAIKE, i/evoluzione INTELLETTUALE DELLÌTALIA 189
la sicurezza del metodo, la serenità del giudizio, la sobrietà ed
eleganza della forma. Qual elogio migliore si potrebbe fare ad un
libro di questo genere?
Appunti sui particolari, V ho ripetuto più volte, se ne pos-
sono fare parecchi, come è naturale in un lavoro di sintesi, lungo
885 pagine: ma due osservazioni generali mi sembrano necessarie.
Anzitutto il titolo pecca di eccessiva estensione, perchè questo studio,
eccellente per la storia della Toscana, non può assolutamente servire
per dare un' idea della evoluzione intellettuale di tutta la penisola.
I Francesi sono abituati a trovare in Parigi il cervello e la mente
ove affluiscono tutte le energie pensanti della nazione. Di un tale
accentramento non è traccia in Italia, dove dobbiamo contentarci
di vedere vari centri di cultura che sono in contatto tra loro, ma
spesso battono vie diverse. Ora nell'epoca della quale si è occupato
il Luchaire, una simile uniformità di condizioni e di tendenze man-
cava assolutamente, perchè aifatto diversa era la tradizione letteraria
delle varie regioni dopo il '700, e oltremodo vario lo stato economico,
politico e morale che costituiva l'ambiente nativo delle opere d'arte.
Astraendo da questa differenza, si finisce col cadere in quegli errori
in cui il nostro Autore, proprio per questa ragione, è incorso nel
discorrere del Colletta. ©
Certo nella Toscana, dove gli studi erano più coltivati, si rivelano
meglio che altrove i caratteri del movimento intellettuale ; ma non
si possono scorgere lì le diverse tendenze del lavorio delle menti,
neanche, in una luce riflessa. Quantunque fin dal 1822 VAntologia,
allargando e riprendendo con onestà d'intenti il proposito della
Biblioteca Italiana, proclami la sua aspirazione a divenire l'anello
di unione fra tutti i pensatori italiani, non si può parlare di un
centro intellettuale della penisola prima del '48.
Un'altra osservazione bisogna fare sull'insieme del lavoro, che
cioè nelle opere dei maggiori autori non sempre si scorgono le linee
esatte per tracciare il quadro completo delle condizioni intellettuali
sviluppi nel senso da loro concepito (p. 332). E noto invece — e il recente
volume postumo del Bovio sul Mazzini ha ribadito questo concetto — che
l'austero Genovese derivò i suoi principi da una lunga assidua medita-
zione della storia patria. E appunto per questo egli, attribuendo alle sue
idee il valore di logiche deduzioni, le stimò incrollabili: onde la sua tanto
rimproverata intransigenza.
lOO ■ RA^^^SEGXA BlJiLlUtilLVFlCA
di un popolo. I grandi maestri imprimono Forma vigorosa della
propria personalità sulle loro creazioni, le quali perciò non sempre
riescono uno specchio fedele del tempo; nell'opera dei minori invece e
negli altri documenti in genere, V elemento soggettivo suole essere
più debole, e quindi più esatta la rappresentazione dei fatti storici.
Una prova di ciò il L. può trarre dalle stesse sue pagine, osservando
la differente espressione che il sentimento pubblico prende nella
produzione letteraria dei maggiori scrittori, e nei rapporti di polizia,
che costituiscono per noi i documenti più attendibili, quando sono
esaminati con criterio, come il L. mostra di saper fare.
Per la stessa ragione al L. è sfuggita affatto l'efficacia non
lieve che l'opera delle sètte, delle congiure, delle sollevazioni, in-
somma la vita dell'azione, allora attivissima, esercitò sulla vita del
pensiero; ed egli arriva alla asserzione, non sostenibile, che la for-
mazione dello Stato italiano è dovuta alla potenza di un'idea più
che a circostanze favorevoli e all'azione delle forze materiali (p. xi).
Oli apostoli del materialismo storico ne inorridiranno : e questa
volta bisogna dar loro ragione.
Roma. S. Nu'Astko.
J. E. Driault, Napoìéon en Italie {1800-1812). — Paris, Alcan,
1906. - ln-8«, di pp. 687.
•
Discorrendo in questo medesimo periodico del libro di L. Ma-
DELIN sulla Boma di Napoleone, abbiamo già notato il mirabile ri-
corso storico, pel quale la caduta del potere temporale nel 1808 si
svolse presso a poco nello stesso ordine che tenne dipoi nel 1870.
Non più soltanto per Roma dobbiamo fare quell'osservazione, ma per
tutta r Italia, poiché il concetto della nostra unità e costituzione
si svolse, ai tempi nostri, collo stesso ordine quasi, con cui si ma-
nifestò a principio del secolo XIX. La differenza essenziale dei due
«volgimenti consiste nell' essere stato quello, che ci diede una pa-
tria grande e indipendente, opera esclusiva del popolo e degli Ita-
liani, mentre il primo fu unicamente parto e ambizione di un uomo
solo, il quale se ne servi non a vantaggio dei nostri padri, ma ad
esclusiva utilità sua propria, ad affermazione della sua idea impe-
riale, a conclusione del sogno portentoso che in se e per se nutrì e
pei suoi discendenti.
Questa verità per noi risulta dal poderoso lavoro del prof. Driault,
condotto con vastissima dottrina ed erudizione, con alta mente filo-
sofica su infinite serie di documenti inediti, che per lui hanno sve-
DRIAILT, NAI'ULKUNE IX ITALIA 11>1
lato i se«;reti. che contenevano. P^gli studia 1' evoluzione della po-
litica di Napoleone in cinque libri, che intitola dalle g-randi tappe
della epopea imperiale in Italia, poiché in Italia si svol«:e segna-
tamente l'opera e il pensiero di lui; in Italia prende origine e con-
sistenza la sua ambizione di ricostituire un impero più vasto di
<iualunque altro, che tutto abbracci il Mediterraneo colle sue enormi
membra, respinga la Russia nelle steppe e nei ghiacci, s' imponga
vittorioso ad ogni popolo. Dell' Italia pertanto Napoleone ha biso-
gno per r esecuzione dell' immane disegno ; e l' Italia egli procura
di costituire, di ridurre alle sue voglie per formarne bi base ango-
lare dì quello straordinario edifìzio, che in sogno accarezza dì lasciare
al figlio ; che crede di avere inalzato appunto allora quando le
fiamme di Mosca lo svegliano di soprassalto e tutta la spietata sua
fatica, la mostruosa sua concezione riducono in fumo.
Checché si sia detto e scritto, checché si sìa pensato, Napoleone
non ebbe mai in mente di costituire un'Italia libera ed indipen-
dente. Nella nostra contrada, da lui due volte conquistata, due volte
a lui cara, egli non pensò mai se non di esercitare il mero diritto
della conquista, di smungerla e formarla ai suoi intenti, senza preoc-
cuparsi né dell' idea nazionale, né della libertà, né del futuro. Tut-
tavia, l'opera sua, innovatrice e potente, sconvolse dai fondamenti
lo stato della penisola : ed ebbe per conseguenza la fortuna di at-
tizzare il fuoco, che, latente, covava da circa mezzo secolo sotto le
ceneri, di farne divampare le fiamme e di provocare inconscia-
mente quel santo incendio, al quale dobbiamo la patria nostra.
Tutta quest'opera si svolge dunque gradatamente : dapprima,
con la costituzione della Repubblica cisalpina, l'annessione del Pie-
monte (1800-1802) : quindi, colla consolidazione della conquista per
mezzo dell'incoronazione di Napoleone ad imperatore e re d'Italia
(1802-1805). Prosegue colla conquista della penisola (1805-1808) e la
sua costituzione in tanti stati vassalli, donde il princìpio delle dif-
ficoltà col papato. Dal 1808-1809 la politica napoleonica, colla oc-
cupazione di Roma, con la distruzione del potere temporale e con la
prigionia del papa, consegue 1' intento di stabilirsi nella città im-
periale per eccellenza; e, colla nascita del Re di Roma, Napoleone
pensa a dare una costituzione alla sua conquista. Egli procura di
assodarla, di ordinarla e respìngerne lontan lontano i perìcoli che
la minacciano. Questo desiderio, vero anelito della sua vita dopo
la nascita di Napoleone II, lo scaraventa contro la Russia ; dove la
sua possanza s' infrange, insieme coi suoi ideali, sulle rive inospitali
della Moscova, appiè di quel Kremlino, eh' egli ha creduto di po-
tere iiiipinioniente calpestare.
192 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
E noi, riandando quell'epopea e la memoria delle cerehia sem-
pre più late di quell'assorbente e terribile politica, osservando la
vivacità colla quale tutte le fasi ne sono esposte e studiate dal
Driault, restiamo compresi di maraviglia; mentre riconosciamo che
l'opera dell'egregio Autore non è una delle solite declamazioni napo-
leoniche, ma il frutto di osservazioni e di studi profondi, che, unito con
tutto il lenocinlo della forma, nel quale i nostri fratelli sono maestri,
rendono il suo lavoro pregevolissimo e veramente degno d'encomio.
Torino. E. Casanova.
Le « Attualità Sociali » delV Istituto di Sociologia di Bruxelles.
Istituzione consacrata allo studio imparziale dei fenomeni so-
ciali, V Istituto di Sociologia degli Institiits Solraif di BruxeUes non
poteva limitare l'attività sua alla pura investigazione scientifica;
essendo il dominio delle ricerche sociali troppo umano perchè si
possa, percorrendolo, disinteressarsi delle applicazioni pratiche di
esse al miglioramento sociale, od anche solo tenere al buio il grande
pubblico delle persone colte, intelligenti, e coscienti dei problemi
più gravi del momento, sui risultati raggiunti dall'esigua minoranza
dei ricercatori o degli iniziati d'un istituto scientifico. Accanto così
alla pubblicazione Notes et Mémoires., contenente studi sociologici
originali e rassegne critiche, redatte con la collaborazione d'un
gruppo di specialisti, ed all' altra, pure di carattere rigidamente
scientifico, dal titolo Études sociales., iniziatasi nel 1904 coli' interes-
sante lavoro del De Leener sui sindacati industriali nel Belgio (1),
l'Istituto ha pensato di pubblicare, col titolo di Actualités sociales,
una nuova serie di volumi, avente per oggetto la volgarizzazione
delle questioni sociali correnti.
Ispirata però ad un fine essenzialmente pratico di progresso
economico e sociale, tale serie non si limita a volgarizzare i problemi
del momento, ma tende anche a render popolare una data soluzione
di essi, fra le tante escogitabili.
Questa soluzione, per usare il neologismo espressivo inventato
dal fondatore stesso deW Istituto di /Soao/o^m di Bruxelles, Ernesto
Solvay, è la produttivista, cioè quella che assicura all'attività
umana in tutte le sue manifestazioni, fisiche, intellettuali, economiche,
morali, il maximum di rendimento. L'utilizzazione migliore degli
(1) G. De Leener, Les syndicats iudustriels en Belgigue, Bruxelles,
Misch et Thron, 1904.
I
LE « ATTUALITÀ SOCIALI » DELL'ISTITUTO DI S0CI0L0C4IA 193
sforzi individuali e collettivi dal miglioramento della costituzione
tìsica al perfezionamento incessante della tecnica, dalla riforma d^lla
ricuoia in senso più utile alla vita a quella dell'educazione morale
dell' uomo a seconda dell' ambiente in cui vive e dell' opera, eh' è
chiamato a dare : ecco il fine cui mira questa propaganda produtti-
vistica, aliena da ogni formula di scuola, da ogni esclusivismo di
classe o di partito, intesa solo ad un graduale elevamento di vita
per la società tutta e per l' individuo. « Un cittaclmo sano nella città
sana, tale sarà, dice il Waxweiler nella prefazione alla collezione,
applicata alla politica sociale la forma produttivista dell' antica
massima di rigenerazione individuale. Farla conoscere, amare e pra-
ticare, sovratutto in quanto può avere di fecondo per la grandezza
della patria belga, tale sarà il programma delle Attualità Sociali ».
Né a questo programma sono venuti meno i volumi di esse,
pubblicati, nel corso del 1904 e 1905 dagli editori Misch e Thron di
Bruxelles e Lipsia coi titoli:
Trincipes (V Or'ientation sociales, résumé des études de M. Ernest
Solvay sur le Productìvisme et le Comptabilisme, 2^ édition, 1904.
Que faut-il faire de nos industries à domicile?, par M. Ansiaux, 1904.
Le cliarhon dans le Nord de la Belgique. Le point de vue technique,
Gr. De Leener. Le point de vue juridique, L. Wodon. Le point
de vue économique et social, C. Waxweilee, 1904.
Le procès de lihre-échange en Angleterre, par D. Crick, 1904.
Entrahiement et fatigue au point de vue militaire, par J. Jo-
teyko, 190.5.
IJ augmentation du reudement de la machine liumaine, par
L. Quertou, 1905.
Assìirance et assistance mutuelles au ptoint de vue medicai, par
le mème. 1905.
Di questi l'unico, come è facile arguire dai titoli stessi, che
abbia un interesse storico, oltreché sociologico, é quello del Crick,
il quale, compendiando i principi fondamentali ed esaminando cri-
ticamente gli argomenti e le cifre addotte in appoggio della propria
tesi da liberisti e protezionisti, fissa come in una lastra fotografica
a vantaggio dei cultori di storia economica il grande dibattito prò
e contro il libero scambio, cui assistettero l'Inghilterra e le sue
colonie all'alba del secolo XX", dibattito terminato, per ora almeno,
secondo le idee del Crick, cioè colla vittoria del liberismo, nelle
ultime elezioni politiche inglesi.
Svolto nelle linee generalissime più che nei particolari, come
tendenza più che programma dettagliato di politica commerciale dal
Balfour, il quale si limitava a sostenere la necessità per l'highilterra
di trattati commerciali protettivi delle sue industrie, il principio
Akch. Stor. It., Serie 5.*. — XXXIX. 13
194 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA, EC.
protezionista avea trovato, com'è noto, il suo apostolo fervente nel
Chamberlain, che ad esso innestava il principio unionista, volendo,
a fine politico più ancora che economico, esonerate le colonie inglesi
da quel dazio d'importazione sulle derrate alimentari, il quale in-
sieme con un dazio d'importazione del 10 "j^ in media sui manufatti
doveva costituire la base del nuovo sistema doganale inglese : a ciò
il Chamberlain era spinto dall'esame del movimento commerciale
dell'Inghilterra nel periodo dal 1872 al 1902, durante il quale le
esportazioni non erano aumentate che d'una ventina di milioni dì
sterline (da 256 a 278), mentre le importazioni dei manufatti dell'estero
erano salite da 63 a 149 milioni di sterline, squilibrio proporzionale
che sarebbe stato avvertito ben più dolorosamente, secondo il Cham-
berlain, dalla nazione inglese, se le colonie, V esportazione per le
quali aumentò nello stesso periodo da 60 a 107 milioni di sterline,
non avessero esse assorbito le merci inglesi non suscettibili di col-
locamento nei mercati stranieri. Al Chamberlain però i liberisti
rispondevano col far notare anzitutto l'artificiosità dei limiti cro-
nologici da lui scelti per far risaltare la sua tesi (il 1872 infatti fu
un anno eccezionalmente favorevole al commercio inglese in seguito
alla guerra franco-prussiana), col metter quindi in rilievo le lacune
esistenti nell'esame fatto dal Chamberlain del movimento commer-
ciale inglese nel periodo 1872-1902 e col contestarne l'esattezza
d'alcuni dati fondamentali, col mettere in dubbio per molte colonie
il preteso vantaggio derivante dal trattamento preferenziale, spacciato
dagli unionisti come il tocca-sana economico, ed il legame politico
indissolubile, col sostenere infine e sovratutto gli interessi dei con-
sumatori inglesi, cioè delle masse, il rincarimento di vita delle quali
in seguito al dazio sui generi alimentari, sul grano in ispecie (basti
pensare che i ^/^ del frumento consumato nel 1900-1902 erano d'im-
portazione estera), avrebbe costituito un danno economico ed un
pericolo sociale ben più grave per la nazione inglese che non una
diminuzione relativa dell'esportazione.
Una splendida bibliografia del Warnotte sulla questione doganale
in Inghilterra chiude il volume del Crick, aumentando così il pregio
e l'utilità di questa interessante documentazione riassuntiva della
grande lotta prò e contro il libero scambio, pubblicata nelle Actua-
lifés Sociales.
Pavia. Gennako Mondaixi.
Necrologìa
GIOSUÈ CARDUCCI.
La (j rande ora che Egli aspettò immutato e imiìertur-
hato venne per il Poeta il 16 febbraio 1907. Fu ora di
lutto nazionale ; ma Bologna, ma P Italia, presente tutta
con lo spirito, accomjiagnando la salma di Giosuè Oar-
ducei, sentivano di compiere non un rito funebre, sì
una glorificazione. E fu un silenzio sacro, rotto più da
acclamazioni che da gemiti, intorno al feretro che dalla
casa divenuta storica moveva alle Manche e tacite case
(le i morti; e Bologna era quale nel canto di Lui :
....nel cliiaro inverno la fosca turrita Bologna
e il colle sopra bianco di neve ride.
È l'ora soave che il sol morituro saluta
le torri e '1 tempio, divo Petronio, tuo....
E da' colli toscani parve salire verso il nevoso Ap-
l)ennino, su P aure di precoce primavera, il saluto
della patria.
È e dev' essere questo Grande nostro dinanzi agii
occhi degli Italiani non nelP atteggiamento del vinto
dalla morte che spense quello sguardo vampeggiante, e
fermò quel nobile cuore; non nei ricordi indiscreti de'suoi
tardi infermi giorni ; non nelle picciole e non sempre j)ie
esumate memorie : è, e dev' essere, dinanzi a noi, forte,
animoso nella sua maschia persona. E tutta deve ve-
dersi e guardarsi quella semplice e gagliarda figura.
Dalla cintola in su tutto il vedrai :
COSÌ Dante insegnò come si crea e si contempla un
eroe : e noi vediamo Farinata ergersi, ancora, col petto
<^ colla fronte !
196 NECROLOGIA
Ohi tale ripensa e sente Giosuè Carducci non
corre alle lodi facili e vane, e alle sentenze: ma, nel
compianto dell' Italia e del mondo civile, quale pro-
ruppe — anzi maggiore, per la rinnovata coscienza
di nazione — alla morte di Alessandro Manzoni, vede
il suggello delP immortalità. Sa, altresì, come fosse per
il Carducci un verso aspro di suoni' dentali e di verità
quel primo d' un canto di Giovanni Prati :
Dio ti salvi dal dì della lode !
Perciò, registrando nelle pagine à^WArcMvio Sto-
rico Italiano (del quale Egli ben si ricordò nel cenno
all'opera degli studiosi che parvero accomiìagnare e in-
coronare gli avvenimenti onde stava per uscir rifatta la
patria: Opere^ XYI, 128) la data della morte di Giosuè
Carducci, e adempiendo, così, un dovere di Italiani e
di studiosi, vogliamo, più che lodare e giudicare, ram-
memorare ed esporre: sono lodi i fatti, e tali che su-
perano ogni misero giudizio schematico ; e tale è la vita
e l'opera di Lui, che n' è annullato subito ogni tentativo
di sciogliere il misterioso nodo dell'anima sua. Diremo
specialmente, come s' addice a questo Periodico, quanto
Egli operò negli studi della storia, il che non porta se
non a ritrovare intera, anche per questa parte, la sua
alta mente di storico e d'artista: maestro di verità,
artefice di bellezza.
Fu designato quale il poeta della storia : dovrà
anche dirsi maestro della storia. Anzi, più che non si
usasse dai puri letterati del suo tempo giovanile, egli
fondò e inquadrò risolutamente nella storia i suoi studi
di letteratura e filologia. Così si maturava negli anni
questo poeta animatore magnifico della storia, che il
fato storico {Opere, IV, 440; A^II, 18; XII, 40) sen-
GIOSUÈ CARDUCCI 197
tiva ispirazione a splendidi carmi : Cu ira. Per la morte
di Xapoh'Oììe Eugenio, Miramar^ La guerra.,.. E si ricor-
dino i versi, che possono parere l'epigrafe della sua
l^oesia :
Pone l'ardente Clio su '1 monte de' secoli il piede
Agile e canta, ed apre l'ali superbe al cielo.
Fra le letture che, scolaro d'umanità e retorica,
faceva, troviamo vicino all'Ariosto — il primo autore che
ei cercò nella Magiiabechiana il 4 dicembre 1849 — e
agli altri poeti antichi e moderni, il Muratori, il Balbo.
L'amoroso e fido raccoglitore delle memorie carduc-
ciane ci attesta: « lo studio della storia fu in lui una
« passione che dai primi anni lo accompagnò per tutta
« la vita. La conoscenza piena, minuta, sicura che per
« effetto di tale studio appassionato e non mai inter-
« rotto, venne acquistando degli avvenimenti umani
« presso tutti i popoli in tutti i tempi, formò il substrato
« della sua vasta coltura, e si era, direi quasi, immedesi-
« mata coi suoi sentimenti e coi suoi pensieri » (Chia-
Kixi, Memorie, p. 396; cfr. Opere, XII, 450, 482, ec). E il
Chiarixi (ibid., pp. 50 sgg.) ci dà notizia di una delle
lezioni fatte dal Carducci per ottenere il magistero,
nella quale rampognava il Botta di giudizi avventati sul
medioevo : il Botta che ebbe, peraltro, influsso durevole,
se non m'inganno, nelP atteggiarsi pur delle mature
concezioni storiche carducciane. Del 1894 {Opere^ X, 325)
è questa confessione del Carducci stesso : « .... io credo la
« verità sia la migliore eloquenza e la storia superiore
« «li molto all'invenzione e anche più dilettevole della
« poesia ».
Col cuore, poiché non potè col braccio, partecipò
alla gesta patriottica che, adolescente e giovane, vide
svolgersi dal '48-' 49 al '(30 e di poi, sino a Eoma ca-
pitale ; e poi ancora, nella pienezza degli anni e della
gloria, fu « sempre vigile e idealmente partecipe a tutte
198 NECROLOGIA
le vicende dell'agitata vita dell' Italia moderna ». Egli
si formò nella tradizione ghibellina, la corrente minore
della vita e del pensiero della Toscana. Onde, pnr se-
guendone il progresso e cogliendone i frutti, quando
ritornò a Firenze, conseguita la laurea a Pisa, rimase
e fu tenuto come in disparte nelP opera rigogliosa
di rinnovamento storico che si compiva intorno al
Vieusseux, a Gino Capponi, a Niccolò Tommaseo — e
massime con questo Archivio Storico Italiano; opera
cui parteciparono spiriti più fraterni al Carducci, quali
non solo A. Vannucci e A. Eabretti, ma lo stesso G. B»
Xiccolini. La serietà degli studi filologici e storici, che
si continuavano tradizionalmente e si miglioravano di
tanto in Toscana, fu scuola, eccitamento sì al Carducci,
che si volse ben presto alle indagini letterarie, e sì ad
altri volenterosi e valorosi quali Adolfo Bartoli, Ales-
sandro D'Ancona, che divisero poi con lui il vanto di in-
staurare dalla cattedra universitaria lo studio della
storia delle lettere nostre, ne' tempi davvero avventu-
rati nei quali all' instaurazione della cultura storica e
filologica provvedevano con non minore ardore P. Ali-
lari, D. Comparetti, E. Teza, e altri in altre discipline:
e si ebbero subito maestri insigni nei loro scolari. In
queir otìicina toscana, anzi fiorentina, di belli e buoni
studi, si temprò pure l' ingegno di non pochi altri che
o non ascesero la cattedra universitaria o nelle Acca-
demie e negli Archivi, o diversamente, benemeritarono
della cultura nazionale : giovi ricordare, almeno, i nomi
del Bonaini, del Capei, del Tabarrini, di C. e G. Milanesi,
di Cesare Guasti, soprattutto, dal Carducci estimatissimo
(Opere, XII, 0 e altrove).
Che il Carducci consentisse meno con le idee che col
metodo di studi di quei valentuomini toscani di circa
il '()0, più o men giovani che essi fossero; si rinserrasse,
torbido e solo, nei suoi lavori tenacissimi che non spensero,
sì alimentarono la fiamma della sua arte, e nella fida
GIOSUÈ CARDUCCI 199
schiera degli amiei lìedanti e di pochi altri intimi; che
a compafiììieuti e dispreszi {Opere^ IV, o(), o7) rimanes-
sero esposte le Bime che diventaron poi i JuveniUa; si
sa e s' intende. E così s' intende com'egli trovasse, fuor
Iella compagnia dei troppo neognelfi, e nn po' acca-
lemici, toscani, nella seconda e lunga età della sua
vita, temperie più conforme all' animo, anzi una se-
onda patria, in Bologna. Disdegni, questi, « contro la
-< beghineria non pur religiosa, ma intellettuale del de-
« cennio innanzi al 'OO, contro quella nullaggine faccen-
<^ diera che graA^ava con tutto il i)eso della vanità sua
« su '1 paese.... » (Opere, IV, 54), che avevano appunto
dettate le Bime al principiante ardito, al libero spirito
l)ieno della sua rubesta vigoria maremmana ; solitudine
(juasi austera, che egli consolava di pochi attetti cor-
diali e di molto studiare. I Eaccoglimenti ce ne traman-
dano il ricordo. Ma se fu disdegnoso, non fu ingrato :
e della sua dolce Toscana non i)oteva essere immemore
il poeta. A Firenze aveva trovato il suo editore primo
in Gaspero Barbèra, e nella Nazione un giornale nel
(piale potè scrÌA ere schietto e franco, come altrove non
si permetterla. E della sua terra, e della sua vita in
Toscana (p. es. nella Fref, ai Levia Gravia, che è
del 1881) torna a parlare, a giudicare rimbrottando sì,
ma rendendo giustizia alla gente da bene. Meraviglio-
samente, e non solo serenamente, è giudicato Gino Cap-
poni (Opere, IV, 25). Tutti quei ricordi (cfr., V, 502; VII,
349) son fatti d'amore e, insieme, di disdegno, al quale
però è sempre vicino l'amore.
Anche per la scelta delle Prose (1859-190;|) l'animo
dell'autore fu di preferire gli scritti « che potessero si-
« gniflcare qualche cosa nella storia lettei^aria o politica
« mentre più benigno e i)iù largo procedeva il criterio
« dell'editore » ; e l' ultimo volume, il XA^I, pubblicatosi,
lui A'ivente, delle Opere (che non avremo molto a desi<le-
rare complete in altri pochi volumi) ha il titolo riassun-
200 NECROLOGIA
tivo quasi di tutta l'oi^era carducciana: Poesia e storia;
mentre la materia dantesca, muratoriana, del Eisorgi-
mento italiano, leopardiana, metrica, riabbraccia e ricol-
lega quasi ogni cosa a lui diletta più caramente ; e dalle
ultime pagine della prefazione alla Primavera e flore della
lirica italiana (Pultima, credo, delle sue prose composte
ex uovo) ci viene innanzi, al ricordo dell' inno fatidico
Fratelli d'Italia, F ammonimento : Leviamoci in inedi:
è il quarantotto. Così l'ultimo dei suoi libri poetici Rime
e ritmi si congedava con lo stornello invocante un fiore
di tre colori come la bandiera d' Italia :
Fior tricolore,
Tramontano le stelle in mezzo al mare,
E si spengono i canti entro il mio core.
Dalle Opere, che gii fu concesso di disegnare, preor-
dinare e difendere dalla fortuna del tempo e da' ca-
pricci de' critici futuri, e gli fu dato di assicurar quasi
compiute ; dagli altri non molti scritti che vi trove-
ranno presto il loro luogo, quanta ricchezza e varietà
di argomenti, di dottrina, di arte ci si rivela e ci con-
quista ! Ohi si metta a disporre per soggetti in un in-
dice metodico e ragionato tutta quella grande mole di
nobili studi ha sempre nuova sorpresa dalla moltipli-
cità delle cose che il Carducci pensò, studiò, scrisse (1 ).
Xulla di meglio, prima di dir altro, che ricercare
in quei volumi, ricostruiti secondo un concetto orga-
nico e cronologico insieme, i documenti del pensiero.
(1) È unMmi)ressione personale che ho avuto nel vedere appunto
un cosiffatto lavoro — fondamento a un saggio sulla critica letteraria
del Carducci — compiuto molto lodevolmente l'anno scorso, e spero presto
inil)l)licato, da una mia scolara, la signovina Tral>audl-Foscarini.
GIOSUÈ CARDUCCI 201
del metodo, del lavoro storico del grande scrittore.
Compariscono nel primo, coi celebri Discorsi sulla let-
teratura nazionale, e con altri cui torneremo, le Re-
ìazioni lette nelle adunanse generali (1866-1873) della
R. Dej)utazione su gli studi di storia patria per le Pro-
vincie di Eomagna. Più avanti nella Serici (voli. V,
A^II, XI) si hanno i Bendieonti fatti alla Deputazione
medesima: molte e varie scritture di argomento anche
archeologico (seguendo gli autori e le opere di che ri-
feriscono) percorrenti per lungo e per largo il campo
della storia romagnuola. E la Deputazione romagnuola
deve ben onorarsi di avere in una scrittura del Car-
ducci un riassunto della propria storia per il dodicen-
nio 1860-1872: scrittura veramente esemplare di diligenza
ed eleganza, che si chiude così (Opere, VII, 91) : « può
« esser vero che in Italia si faccia poco, ma pur troppo
« è certo che più accalorato a lamentare e gridare che
« nulla si faccia è chi fa meno o solo affaccendasi in
« ozio faticoso a far quello che dovrà poi, per il me-
« glio, disfarsi. La Deputazione romagnuola per la storia
« patria, nelP ordine dei suoi studi, per questi dodici
« anni così pieni di fatti strepitosi e di quelle fortu-
« uose vicende che sogliono togliere a simili studi la
«quiete, l'attenzione, l'incoraggiamento, ha seguitato
« in modesto silenzio a fare ciò che doveva e poteva;
« ne teme il giudicio degli intendenti e discreti ». E
dei suoi Rendiconti disse (Opere, V, Avv. II) : « Di questi
« i miei dolci nemici d'allora dicevano esser le sole cose
« passabili mie e che io facevo bene soltanto il segre-
« tarlo. Ai giudizi dei nemici vuoisi avere sempre la
« debita osservanza ».
Egli ben mostrò la sua stima e la sua riconoscenza
ai colleghi, che lo vollero, dopo il Gozzadini, e onorarono
Presidente della Deputazione (Opere, XII, pp. 577 sg.);
bene additò il valore delle industri fatiche collegiali
onde la storia della regione si nobilita e si allarga
2U2 NECROLOGIA
nella storia della patria (ibid., e cfr. V, 382): noi ammi-
riamo il tesoro della sua dottrina, il decoro e la co-
scienza del suo lavorare, che gii faceva respingere ri-
chieste e occasioni di improvvisare : « A tale rispetto
« per l'arte o meglio per l'officio dello scrivere, non so
« di esser^ venuto mai meno : né v' è cosa che più
« m' olfenda del sentirmi schiaffar su '1 viso proposizioni
« come queste: Qualunque cosa, pur che sia, ci basta.
« Ah, signori miei : se basta a voi, non basta a me ».
(Opere, IV, 43).
Comunque e dovunque scrisse o lesse o parlò, non
venne mai meno, infatti, alla sua dignitosa coscienza e
netta : nello Studio, nel Comune, nel Senato, a uditori
dotti o di popolo ; preciso, sicuro, quasi minuto talora,
nel ricercare, raccogliere e preparare ; bibliografo amo-
rosissimo, erudito de' i^iìi severi, sicché certi tratti di
sue scritture ci farebbero forse dimenticare lui j^oeta,
se, con qualche scatto e volo, il poeta non balzasse e
si. levasse su nelle alte regioni note alla sua ala, pur
tra un' indagine e una discussione, una variante e
una data !
Al saggio Di alcune condizioni della presente lette-
ratura, che riproduceva in parte il discorso proemiale,
de' primi del '51), al periodico II FolizianOj pone, nel
ristamparlo nelle Opere (voi. II), la seguente postilla:
« Xè ho cosa da emendare per ora, salvo che, ove ai
« dotti della scuola romantica è data lode dell' avere
« introdotto primi nella storia lo studio delle condi-
« zioni dei popoli, vuoisi dire per giustizia che cotesta
« idea d'un sì fatto rinnovamento storico non mancò
« nel secolo passato. Il Voltaire, che, vogliasi o non
<^ vogliasi, è uno dei padri della filosofìa della storia,
« scriveva al march. D'Argenton (26 janv. 1740): " On
« n'a fait que l'histoire des rois, mais on n'a point
« fait celle de la nation. Il semble que, pendant (jua-
« forze cents ans, il n'y ait eu dans les Gaules (|ue
(UUSUE CARDUCCI 203
^< (les rois, (le8 miiiistres, et des généraux : mais nos
« moeurs, nos lois, nos coutumes, notre es^n-it ne sont-
« ils (Ione rien? „ » (II, 509). E discorrendo nel saggio
delle due scuole che tenevano il campo delle lettere,
scriveva (pp. 488 sg.): « .... la prima precede di i)OCO e
« s'accompagnò e seguì poi alla rivoluzione delP89 e
« tra l'Altieri che cantò Parigi sbastigliata, e il Niccolini
« che in Xabucco adombrò Napoleone, ella ebbe poeti
« il Parini il Monti il Foscolo il Leopardi, oratore il
« Giordani, filologo il Perticar i, filosofi e statisti il Gioia
« ed il Eomagnosi, storici il Botta e il Colletta.... ». Ma,
rilevava, non sentì il popolo che è tanto grande cosa :
pur ebbe essa « gran segno di temperamento artistico,
« spedito e sicuro il movimento del pensiero e nerA^osa
« e netta l'espressione, che raccoglie e condensa in un
« raggio vigoroso la luce dell'idea, non la oscura né
« la illanguidisce dissipandola e rifrangendola ». Tale
in lui, di già, sin da (luei giovani anni (vien fatto di
osservare), pensoso erudito e poeta!
E dell' altra scuola così giudicava : « Contro alla
« scuola del rinnovamento classico.... insorse la scuola
« romantica.... la scuola della quale è poeta maggiore
« Alessandro Manzoni a cui seguono il Grossi ed il Pel-
« lieo, della quale è critico pure il Manzoni e un illustre
« vivente (A. Tommaseo), sono storici il Balbo, il Troya e
« anche un A'ivente illustre (G. Capponi), filosofi il Gio-
« berti e il Kosmini ». E detto degli altri suoi pregi, sog-
giungeva: « ed anche nella storia, avvezza da lungo
«tempo a registrare solo i trionfi e le catastrofi dei
« potenti furono le condizioni del popolo nei vari secoli
« messe in chiaro e sottilmente disaminate dagli eruditi di
« (juesta scuola : il che forse le torna a maggior lode che
« non l'attribuirle intieramente il risorgimento della cri-
« tica storica, che non sarebbe, parmi, vero all'in tutto ».
Sperava in una restaurazione dell'arte e della poesia
che non poteva esser però fatta da conservatori gretti
204 NECROLOaiA
o da novatori sconsigliati, e si dimandava: quando?
« Voler determinare il momento sarebbe andacia. Ma
« forse non prima che, ricostituite le nazioni nei loro
« confini e definita la questione politica, un'altra sia per
« inaugurarsene non meno necessaria e ben più ampia
« ed umana. A cotesta arte, forte come il diritto, severa
« come la libertà, raggiante come la ragione, lasciati da
« una banda gP ideali del mondo che fu, sarà materia
« la realtà nelPordine sociale. " Incipit — diciamo co '1
« poeta — incipit vita nova „. A noi non sarà dato
« udire i solenni concenti della futura poesia : oh almeno
« ci resti la fede, onde il battezzatore nel deserto an-
« dava gridando — Preparate le vie » (II, 495 sg.).
Giornalista (un bellissimo resocontista ^ come oggi
altri direbbe) si fa per II secondo centenario di L. A.
Muratori (voi. Ili): è Pamore suo, questa grande figura
di studioso e di storico, dei giovani e de' tardi anni.
E ai giornali democratici, l'antico collaboratore della
Nazione, si piacque molto di concedere scritti, quando
le necessità delle molte battaglie impegnate e il bisogno
di aperte confessioni gli fecero sentire il valore che an-
dava sempre più acquistando l'articolo di giornale. Ed
egli che s'era trovato a dover difendere se e Popera pro-
]3ria nella contrastata ma vittoriosa ascensione trionfale
(fu tutto un salire faticoso sì, ma un salire senza mai una
ritirata, verso la vetta del diruimto monte della gloria),
ben trovò e colse l'anima dell'uomo nelPopera di tanti
scrittori. Da quel III volume si ripresentano a noi,
con Goffredo Mameli, Emilio Littré e Augusto Barbier.
Fervente gli durò sempre, e la professò con atto di
viva fede civile, l'ammirazione di quanti furono i fat-
tori del nostro Risorgimento : Garibaldi, Mazzini, e vi-
cini ad essi Mameli (X, 43), Saftì (IV, 350; XII, 411),
Alberto e Jessie Mario (XI, 305; XII, 171 sg. ec),
Bertani (IV, 469; XII, 552), Mamiani (Froemio agli
Scritti 2>oL di A. Mario, e altrove), Giuseppe Montanelli,
GIOSUÈ CARDUCCI 205
Crispi (XII, 44(1), Cesare Albicini (X, 314). Scriveva di
aviaria Teresa (rozzadini: « questa gentildonna alla
« quale il derivale dal sangue di Giovanni di Schio e
« di Dante Alighieri e il far parte di una famiglia che
« nel principio del secolo decimoquinto negò dar tiranni
« a Bologna non impedì essere ciò che oggi dicesi una
« personalità ella stessa: esempio notevole in questo
« continuo smontare della nobiltà storica e sormontare
« d' una pettegola democrazia titolata » (IH, 387). E
come volentieri nelPalta epica popolana romanesca di
Cesare Pascarella lodava (III, 442) il senso storico del-
V idealità eroica degli Italia ìli!
Xelle polemiche, urtando piccoli e grandi (o creduti
grandi), scorge, penetra il \ì\o degli uomini e delle cose,
con una percezione intensa, vorrei dire, del momento
storico per cui passa — ed egli vorrebbe sospingerla
sempre più in su — la storia d' Italia ; più frustando che
accarezzando, ma non restio mai a far omaggio ad uo-
mini che ei stimasse, pur d'altro partito e d'altra fede:
basti il ricordo di ciò che scrisse a Cesare Cantù (XI,
376) ; e ora, i^erfìno, il compiacimento di quelli che sanno
il loro nome, comunque sia rammentato, nelle pagine
del meraviglioso polemista.
Eiferendosi alle prefazioni che aveva dato alle rac-
coltine di Poesia melica e Lirica classica, e al volume di
Cantilene e ballate (un libro che apriva tutt'un orizzonte
d' arte e di critica), scriveva (IV, 48) : « furono degli
« anni 18()8-1870, il tempo per me dei GiamM ed epodi.
« Chiedo giustizia. Ero, parmi, calmo assai nel lavoro
« e sereno nella critica storica. Per V opera artistica e
« politica mia, è un altro conto: non solo volevo ma
« dovevo combattere ».
Xello stesso volume, nella famosa Critica e arte,
tra le molte e serie cose che ha da sapere un critico
degno, non dimentica di additargli la storia del suo paese;
e rivendica poi al poeta il diritto alla lotta politica
206 NECROLOGIA
(ibid., 323), egli che il paese suo e nostro iiiA oeò replica-
tamente (I, 187 ; IV, 330) cara e santa patria. Il suo pen-
siero e sentimento su questioni di politica, e anche su
cose di storia, ci è serbato quasi giorno per giorno nei
tre vclumi (Y, VII, XI) Ceneri e faville (lSò9-ìmi), dove
veramente è e sarà ancora da cercare molto dell'ardore
che raggiò da quell'anima e che non è coperto, come
non sarà spento mai, dalla cenere dell'oblio. La pubbli-
cazione delle lettere (già se ne stampano delle stu-
pende e importantissime) integrerà la conoscenza del-
l'anima di questo grande, che non ha, del resto, avuto
gli avvolgimenti e spasimi interiori di anime dolo-
ranti o morbose, e ha confessato se stesso come il suo
Dante :
ed io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne
levai lo capo a proferer più erto.
Ohi esamini lo svolgersi delle sue dottrine, e le sue
conquiste negli studi danteschi (voli. I, Vili, X), si
accorge subito quanto solido fondamento ei vi ponesse di
cognizioni e meditazioni storiche : dalla sintesi gagliarda
ed eloquente su L' opera di Dante alle pagine su un
codice diplomatico dantesco; dallo scritto rivelatore e
fecondatore Della varia fortuna di Dante all'ultimo suo
commento, solenne e nervoso a un tempo, sulla can-
zone Tre donne intorno al cor mi son venute.
Dopo aver presentato, con uno scritto de' suoi più
belli, un buon libro di U. Pesci sulla presa di Eoma,
conchiude (X, 392): « Leggendolo, a noi parve rivivere
« nella nostra giovinezza: della quale non siamo al tutto
« scontenti, se fummo degnati a veder tanto. Legga la
« generazione nuova; sia degna dell'avvenire ». E nel
volume medesimo si ha il breve discorso detto a Keggio
d' Emilia per il centenario del tricolore : ed è non solo
la storia, ma la fede, ma la poesia meravigliosamente
GIOSUÈ CARDUCCI 20?
ertusa della bandiera d'Italia. Vicino, lo scritto che
narra P episodio di Giacomo Leopardi deinitato. Xon
più che di nome, come il Carducci ci narra, non senza
aver prima esclamato : « xVnche lui ! anche lui ! Nessuno
« de' grandi ingegni di questo secolo sfuggì dunque al
« dovere di partecipare pur con V opera alla rÌA^oluzione
« italiana » ; per concludere, a proposito d' un decreto
del 18(>() emanato in Ancona in nome del re dal Com-
missario generale della Marca per un monumento al
Leopardi: « Come eravamo degni del gran nome d'Ita-
« lia e che forza d' idealità avevamo in que' giorni
« gloriosi ! ».
Alla sua profonda coscienza di storico e d'italiano
sembrava, perciò, compiere opera patriottica non solo
benaugurando all'impresa degnissima della Dante Ali-
ghieri, ma assumendo in Senato la difesa delle scuole
medie classiche. Agii adunati nel Convegno fiorentino
del 1905 telegrafava : « Sono d'accordo con voi nel di-
« fendere con la Scuola Classica la ragion d'essere della
« coltura italiana nella civiltà ».
E per guardare anche ad un altro volume, notiamo
che ci si profilano innanzi e Garibaldi — quale lo animerà
poi in pagine immortali — e Guglielmo Oberdan (XII,
11^3; 235 sg.), e Giuseppe Montanelli, nel cui elogio si
leggono queste memorabili parole: « bisogna cavar di
« testa all'Europa che l'Italia sia un mercato di ciancie,
« che l'italiano sia un popolo il quale non crede in nulla,
« non in se, non nelle sue forze, non nel suo avvenire.
« IHitt'altro ! In Italia i grandi caratteri che sono gii
« Dei termini della storia nazionale sono tutti caratteri
« di fede. Per noi la fede della religione si chiama
« Dante Alighieri ; la fede dell' avventura si chiama
«Cristoforo Colombo; la fede dell'arte si chiama Mi-
« chelangelo Buonarroti : la fede della scienza si chiama
« Galileo Galilei; la fede della politica si chiama Giu-
« seppe Mazzini » (ibid., 393).
208 NECROLOGIA
Quanto sapesse poi mettere a profitto la sua cul-
tura storica a intendere nel Einascimento in fiore e
declinante l' opera e P arte dell'Ariosto e del Tasso, ci
mostrano i saggi accolti nel decimoquinto a olume.
Ben aveva letto nel Foscolo le parole ammonitrici:
« O Italiani, io vi esorto alle storie, perchè niun popolo
« più di voi può mostrare ne più calamità da compian-
« gere, ne più errori da CAitare, né più virtù che vi
« facciano rispettare, né più grandi anime degne di
« essere liberate dalla obblivione da chiunque sa che si
« deve amare e difendere ed onorare la terra che fu
« nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà pace e
« memoria alle nostre ceneri ». E pur dal Foscolo pro-
cedeva non solo qualche atteggiamento della critica e
dell'arte del Carducci, ma anche la sua civile eloquenza,
della quale appunto le prose foscoliane e mazziniane
tanto ci sembrano sfjesso sorelle. Con più minuta analisi
degli elementi costitutivi de' suoi lavori storici, si Ter-
rebbe, credo, ad accorgersi, che il Carducci molto meno si
appropriò i caratteri della critica storica straniera, come
non si volse troppo alla considerazione filosofica o, di-
ciamo pure, sociologica delle vicende umane, sicché più
vasto deve sembrare l'orizzonte apertosi, e prima e dopo,
ad altri storici e filosofi. Il fondo della sua cultura é una
larga e industre e sincera erudizione, su cui lo scrittore, e
spesso il poeta, inalzano il proprio edifizio. Erudizione
degna veramente di questo nome; non volubilità e super-
ficialità bibliografica, da ostentarsi dalla cattedra o dalle
coacervate note di un libro (di questa facile e presun-
tuosa cultura egli mostrò tutto il suo dispregio); mirabile
lavoro d'una vita tutta piena di pensiero e di lavoro:
da meravigliare che il tempo gli sia bastato per produr
tanto, per insegnar tanto, ed essere sempre fra i disce-
(4I0SUÈ CARDUCCI 209
poli suoi fatti maestri non solo il ]VIaestro dell'arte ma
(Iella dottrina letteraria. Dalla buona tradizione toscana,
dunque, degli studi storici, dalla migliore eloquenza ci-
vile, egli viene svolgendosi, e là si impernia, quasi direi,
con la sua anima lìera e veggente di democratico e di
poeta. Coloro che dell'oi3era sua di storico volessero giu-
dicar troppo presto che fu opera di poeta, non hanno che
a riflettere quanto si deve ricordare che egli è storico,
e quanto saper di storia, per volere intendere lui poeta !
Con anima poetica, ben è vero, sentì, e fu fortuna
dell'arte storica, le ragioni ideali della storia; e, mo-
vendo dalla tradizione per il metodo, spinse l'ala della
fantasia ai sogni dell'avvenire. 80I0 un poeta ci A^oleva
per possedere cpiel senso sacro delle origini della nostra
gente e della nostra storia ; per circonfondere di tanta
luce la veneranda imagine di Eoma; dell'antica Eoma
e di Eoma rivendicata . all'Italia. Da che Dante, riassu-
mendo quasi tutta la venerazione che il medioevo pur
continuò a nutrire per P Urbe, avea scritto : « E sono di
« ferma opinione che le pietre che nelle mura sue stanno
« siano degne di reverentia; e '1 suolo dov' ella siede
« sia degno, oltre quello che per gli uomini è predicato
« e provato », altri fremiti devoti avevan pervaso le
anime del Petrarca, dell'Alfieri, del Mazzini, de^ caduti
nelle giornate di Roma che veramente furono la genesi
della nazione (A comm. di G. Mameli, Oi). X, 45 sg.); e
la religione e la poesia di Eoma sono tra' sentimenti più
profondi, tra le piìi alte ispirazioni, di Enotrio romano :
Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
del Fòro, io seguo con dolci lacrime
e adoro i tuoi sparsi vestigi,
patria, diva, santa genitrice.
Son cittadino per te d'Italia,
per te poeta, madre de i popoli,
clie desti il tuo spirito al mondo,
eli e Italia improntasti di tua gloria.
Arch. Stoe. Ir., 5.' Serie. — XXXIX. 14
210 NECROLOGIA
E il medesimo alto Q,dii\to Nell'annuale della fonda-
zioni' di lioma proclama:
e tutto clje al inondo è civile,
grande, augusto, egli è romano ancora.
Coiigiimto poi all'avanzamento della cultura sto-
rica è quello delP arte della sua prosa. È già un maturo
scrittore l'autore dei Discorsi sulla letteratura nazionale
(1 808-7 1); ma, a grado a grado, più varia e vigorosa si fa
la parola del prosatore : il quale, sul felice fondamento
idiomatico, la natività , com'ei diceva parlando della
sua prosa (lY, 45), sullo strato della miglior tradizione
classica creerà le pagine ora solenni, ora commosse, ma
agili e solide sempre, dei discorsi, delle dissertazioni,
delle polemiche, guadagnando allo stile storico, per dir
solo di questo, una ricchezza e una novità di linguaggio
imaginoso, che diventano subito un pericolo per i grami
imitatori, come sono state una conquista lodevole e
largamente diffusa di colore e calore, d'anima, insomma,
nelle trattazioni della materia erudita. E nulla di più
lontano e di più ripugnante dalla maniera accademica,
vecchia e nuova, che il lavoro e l'arte di questo grande
devoto della storia e allo studio della storia immuta-
bilmente fedele, tra il fluttuare dei sentimenti e l'aleg-
giare de' fantasmi che sommossero il cuor del poeta.
Così il Carducci storico è stato di quelli che fan progre-
dire la storia ed entrano trionfanti nel dominio dell'arte:
critico, che fa insieme opera di dottrina e di creazione.
Circa poi alle sintesi, ossia vedute e ricostruzioni
organiche, che abbondano nelF opera carducciana, dob-
biamo avvertire che esse hanno molti dei pregi onde è
singolare la critica letteraria del De Sanctis (cui il
Carducci non mostrò sempre tutta l'estimazione che
pur dovette averne) : e la somiglianza si potrebbe forse
spiegare, oltre che per la potenza dei due ingegni critici,
per la derivazione stessa che — per vie diverse —
(41USUE CARDUCCI 211
aA'e^'alK) dal Foscolo. In ogni modo, è avvenuto (come
fu ben osservato) che dal lievito artistico della critica
{Storica carducciana, che riesce per la fòrza suggestiva
dell'eloquenza e della fantasia a preparar la temperie
ove- meglio si contempla e si sente l'opera dell'arte, fosse
preparato e quasi creato il momento storico- nel quale
a noi, più che ai contemporanei veri del De 8anctis o
del Carducci, doveva rifulgere di tutta la sua luminosa
Atvrità la formula estetica desanctisiana.
La vigoria del lavoro costruttivo, sintetico, ani-
mato dall' affiato della poesia, si può additare in più
saggi storici e storico-letterari del Carducci, il quale, se
non ci ha dato un grande org^anico libro di prosa, o
di dottrina, o d'arte, da porre vicino al gran libro delle
sue Foesicy ci ha dati e più libri e più scritti stupe^idi.
Anzi delle diverse membra si crea un corpo vigoroso e
bello di opere sapienti e geniali, armonizzate nell'unità
dei sentimenti, degli intenti, de' modi o, come disse il
Carducci, degli spiriti e delle forme.
È il frutto della laboriosa vita di un uomo che
potè scrivere veracemente (Avvert. al V, Opere; segnato
f gennaio 1891): «affermo non essermi mai contrad-
« detto. In politica, l'Italia su tutto: in estetica, la
« poesia classica su tutto : in pratica, la schiettezza e
« la forza su tutto ».
Tale e tanto scrittore ci avvince e domina, perciò,
come per un fascino di armoniose parole e di altissimo
sapere : e poche volte come con lui sentiamo di essere
in contatto con un'anima superiore e sincera.
Senza dire di scritti a buon dritto celebri, che han
carattere letterario sì ma con felice mistura di notizie
e considerazioni e teorie storiche, quali il Proemio alle
Stance Orfeo e lìime del Poliziano (18()3), i discorsi Dello
212 NECROLOGIA
svolgimento della letteratura nazionale (1868-71), del lìin-
novamento letterario in Italia (1874), dei discorsi (e chi
non li ricorda, o, anche, ne sa qualche pagina?) sul
Petrarca (1874), sul Boccaccio (1875), su Virgilio (1884),
su L^ Oliera di Dante; più speciale ricordo vogliono, e
sono documento insigne d'arte e di dottrina nella storia
medievale e moderna, quelli Fer la morte di Giuseiìpe
Garibaldi (1882), Fer V ottavo centenario dello Studio di
Bologna (1888), Fer la lihertà perpetua di S. Marino
(1894); lo studio proemiale alle Letture del lUmrgimento
italiano, e la j^refazione (1900) alla nuova edizione dei
Rerum italicarum scrijdores, cui il Carducci accordò, ma
non potè poi dare nel fatto, la sua alta direzione : e
la raccolta restò affidata alle cure del prof. Vittorio
Fiorini.
Del mirabile discorso in morte di Garibaldi, che è
una delle prose più eloquenti della letteratura italiana,
si può dimandare : non è esso opera più che di storico,
di poeta, sicché, salvo il disegno delle strofe, nulla gii
manchi del ritmo dell' epos, o della lirica pindarica f
« Forse, tra il secolo vigesimo quinto e il vigesimo
sesto... ». Eicordate? Certo chi pensò e disse quella leg-
genda garibaldina è un grande poeta ; ma classica anima
di storico ebbe anche chi tratteggiò nelle prime j)agine
la figura storica ed eroica del Generale : onde il poeta
sentì subito fiorire vicino alla storia, così A^era e così
magnifica, il germe della canzone di gesta.
Ben degno oratore, in lìresensa del re, nella so-
lenne commemorazione ottocentenaria dello Studio di
Bologna, il Carducci, alla sua Università fino all'estremo
affezionatamente devoto. Gli piacque, anzi, con quel
discorso aprire la raccolta delle Opere, nel volume XI
delle quali sono altri scritti sulle vicende dell'Università
bolognese. L' orazione carducciana è tutta fondata sulla
notizia e comprensione sicura della cultura e della storia
italiana del secolo decimoprimo, quando « i nostri mag-
GIOSUÈ CARDUCCI 213
<^ o^iori furono degni di ritrovare nella conciliazione del
« sangue antico e del nuovo la vigoria italica ed il senso
<^ romano ». Anche dopo gli studi più recenti ed egregi
sulla storia letteraria e giuridica di quei secoli XI-XII,
è memorabile, (luel discorso, non solo per la prosa, ora
grandiosa, ora commossa, ma i)er la sintesi, tutta carduc-
ciana, della più antica storia dello Studio e della vita di
(luelP ultimo nostro medioevo con le sue forme e ten-
denze più significative. K si ricordi il belPaccenno finale
all'eredità di Roma giuridica, al fatai corso della storia
d' Italia verso il suo capo, Roma ; e vi tornino a leg-
ger bene ciò che ei vi scrisse, anzi confermò della so-
vranità regale, quanti voglian giudicare le cosiddette
mutazioni del pensiero politico del Carducci.
Da uno studio paziente ed assiduo di molti lìhri
(fraudi e iriecoli, vecclii e nuovi, che egli indica con la
consueta coscienza bibliografica {Opere, X, 325), gli
nacque il discorso per la libertà perpetua di San Ma-
rino : ma, più ancora, dalla visione di quel Titano che
domina il pian di Romagna e il mare, dal ricordo
<lelPoperosità sicura che vi avea trovato Bartolommeo
Borghesi, dall'aspirazione antica e repubblicana al con-
sorzio di libera gente, lassù « dove per sollecita coope-
« razione del genio di razza con le circostanze della na-
<^ tura e le condizioni dei tempi, minata la mole romana,
« Dio A'oUe si rifacesse da povera gente latina ciò che è
< anima e forma primordiale nel reggimento del popolo
« italiano, il aìco e il pago, il castello e il comune,
« liberi ». La fisionomia, diciam pure, e la significazione
di ((uesta comunità della nova piede italiana, credente
<' lavoratrice, dagli inizi al giorno che vi trovò pane
e riposo (xiuseppe Garibaldi, egli tratteggia, rileva con
stile possente. E a i tornino a leggere ciò che vi si dice
dell' idea dii'ina quanti lian A'oluto ricordare a prefe-
renzti — senza intendere ciò che siano la sincerità e la
cocM'enza d'un poeta e del Carducci — Vlnuo a Satana,
214 NECROLOGIA
L'ignoranza della storia del Risorgimento il Car-
<lueci rimproverava agli Italiani (cfr. Opere, XII, 484 sg.);
e pensando ai giovani, alle scuole, sua nobile cnra sem-
pre, apprestò le Letture del Risorgimento (1741)-1876),
le quali potrebbero, dovrebbero, essere anche più dif-
fuse e studiate per il tesoro di concetti storici e let-
terari, di esempi trascelti a lumeggiare il disegno che
lo storico e poeta s'era formato con tante meditazioni
e letture e indagini accuratissipie : quarant'anni di pace,
di riforme, di preparazione (174ì)-17(SJ)); quarant'anni
di contrasto, di confusione, di aspettazione (1781)- 18*^0);
quarant'anni di ravviamento, di svolgimento, di risol-
vimento (1830-1870). È onore della scuola italiana, che
il Carducci pensasse anche una volta a lei, lasciandole
così pratico libro e ricordo.
All'estate del 1899 rimonta la prefazione alla ri-
stampa del Muratori, iniziata animosamente dall'edi-
tore S. Lapi : e su quelle pagine cadde la stanca mano,
per non ritrovar più mai la potenza di secondare il
sempre pronto e vigile intelletto. Il Carducci attese
all'arduo lavoro — pietra angolare d'un edifìzio di regal
mole — con l'antico amore alla storia italiana, per la
quale Aoleva, augurava scrittori che la dessero più
compiuta e progredita d'arte e sapienza {Opere, VI, 195;
XII, 484). Vi racconta come dei Berum italicarum scri-
ptores nascesse il disegno fra lo Zeno e il Muratori ; come
questi ritrovasse il senso dell'importanza storica del
medioevo, che avevan posseduto primi i nostri nel Rina-
scimento, e più d' ogni altro Carlo Sigonio e Vincenzio
Borghini; vi discorre della preparazione e cooijerazione
che ebbe l'eroica fatica muratoriana, dopo aver toccato
della sorte degli studi sull'età medievale in Germania, in
Inghilterra, in Francia ; vi espone con lucida sintesi il
contenuto della grande raccolta dei Rerum, e narra delle
sue vicende e della sua fortuna^ con ricordevoli giudizi
sulla storiografia italiana cinquecentista e postiMÌore,
C4I0SUÈ CARDUCCI 215
sino alla provvida creazione dell'Istituto storico ita-
liano. Il nome augurale di Giosuè Carducci raccomanda
e protegge ancora l'impresa di questa nuova edizione del
tesoro scavato dall'infaticabile Vignolese, la quale è con-
tinuata e sarà compita con perseverante amore.
Se all'opera di tanto Maestro, si aggiunga il merito
incontrastato di aver nutrito lo spirito patriottico (pa-
rola e cosa che non potranno essere più mai moda che
passi, in Italia), e di aver voluto fortemente creare uno
stato di coscienza degno della nazione risorta ; se si
pensi che egli e con l'esempio d'una vita sana ed integra,
e insegnando e rampognando, sino all'invettiva di forte
(((ji'ume dantesco, donò tutte le migliori energie sue alla
Patria, e le donò il fiore dell'anima — la sua poesia — ;
segnando, reverenti, del suo nome le pagine di questo
AnMvio, sentiamo che quel nome glorioso è già scritto
nei fasti della storia d' Italia.
A Lui, dopo la virtuale suprema onoranza del
tempio italiano di Santa Croce, decretatagli dal AOto
unanime della Camera dei deputati, la tomba affi-
data all' amorosa custodia della sua seconda i^atria ; e
a Koma, aìcìuo alle grandi memorie e imagini che Ei
cantò degli antichi e nuovi eroi, il monumento. Fi-
renze sentì dignitosamente, e con affetto di sorella,
tutto il valore della nuova asserzione di italianità che
si compiva glorificando così un altro grande Toscano.
Firenze. Orazio Bacci.
Ci è sembrato opportuno dare il seguente elenco cronokjgico
degli scritti del Carducci sulla storia civile e politica, o ad essa
pii\ strettamente attinenti :
1. (1859): Prefazione al canto « La Croce di Savoia », in
Opere^ V. *
2. (1861 : pubblicata nel 1867) : Di alcune condizioni della
predente letteratura^ in Opere li. Questa i^rolusione riproduce parte
216 NECROLOGIA
di altro discorso introduttivo al Periodico tiorentino II Poìì-
siano^ 1859.
3. (1861) : Fra Girolamo Savonarola e Santa Caterina de^Ricci^
in Opere^ II.
4. (1864) : Sulla Storia di Grecia dello Smitìi ; sulla Storia di
Roma del Liddel; sulla Storia della decadenza e rovina delV impero
romano del Gibbon, compendiata dallo Smith, in Opere^ V.
5. (1865-1870) : Rendiconti per la Deputazione di storia pa-
tria per le provincie di Romagna, in Opere^ V.
6. (1866-1867): Della varia fortuna di Dante^ in Opere^ Vili.
7. (1866 a tutto il 1873) : Relazioni alla Deputazione di storia
patria per le provincie di Romagna, in Opere, I.
8. (1868-1871): pubblicati nel 1873: Dello svolrfimento della
letteratura nazionale, Discorsi, in Opere, I. [Alcune idee e germi si
trovano nel discorso d'introduzione al periodico II Poliziano, 1859:
un comi)endio di questi cincpie discorsi in Rivista italiana di
scienze, ec. 16 ottobre 1865. Parziali pubblicazioni in Nuova. An-
toloffia, aprile 1870, gennaio 1872].
9. (1868-1875) : Rendiconti per la Deputazione di storia i)atria
per le provincie di Romagna, in Opere, VII.
10. (1872) : Goffredo Mameli, in Opere, III.
11. (1872) : Un anno dopo (Digione), in Opere, VII.
12. (1872) : La r. deputazione di storia patria per le provincie
di Roma(fna, dal 1860 al 10 marzo 1872, in Opere, VII.
13. (1873) : Un anno dopo (Mazzini), in Opere, VII.
14. (1873) : Napoleone III, in Opere, VII.
15. (1873) : Re Gal ant nomi ni, in Opere, VII.
16. (1874) : Del rinnovamento letterario in Italia, in Opere, I.
17. (1876) : A commemorazione di Goffredo Mameli, in Opere, X.
18. (1876) : Per la poesia e per la libertà : discorso agli elet-
tori del collegio di Lugo, in Opere, TV.
19. (1876-1880) : Rendiconti alla Deputazione di storia patria
per le provincie di Romagna, in Opere, XI.
20. (1877) : Leone Gorelli, Cronache forlivesi pubblicate da
G. Carducci, L. Frati e F. Guakini, Bologna, Tip. Regia.
21. (1879-1882-1883): Giuseppe Garibaldi, in Opere. XII.
22. (1881): Levia Gravia (pref.), in Opere, IV.
23. (1881-1883-1884-1887-1889): Per Alberto Mario, in Opere, XII.
24. (1882): Giambi ed Epodi (pref.), in Opere, IV.
25. (1882 marzo): Decennale dalla morte di G. Mazzini, in
Opere, XI.
26. (1882 giugno) : Per la morte di G. Garibaldi, in Opere, I.
GIOSUÈ CARDUCCI 217
27. (1882-1883-188H) : (hKjlielmo Oberdau, in Opere, XII.
28. (1888): Caìididatnre Fììopauti - Cnvallotii - Veniurini, in
(fpere, XII.
29. (1888): Gli Alcramic'u nella Xuora Aììtolo(/ia, dicembre 1888.
80. (1884): Ca-ira, in Opere, IV.
81. (1886 maggio): Affli elettori del colle<iio di Pisa. Lettera e
<li.<i'orso, in Opere, IV.
82. (1888) : Giuseppe Pacchioni, in Opere, XII.
83. (1888) : Affostino Bertani, in Opere, XII.
81. (1888 gennaio) : IJopera di Dante, in Opere, I.
?>ò. (1888 giugno) : Lo Studio di Bologna, in Opere, I.
86. (1888-1897-1899) : Vicende dello Studio bolognese durante il
governo delle Romagne e il regno d'Italia, in Opere, XI.
87. (1890) : Aurelio *SV/.^', in 02?ere, XII.
'^^. (1891): In commemorazione di Cesare Albi ci ni, in Opere, X.
89. (1892 luglio) : .4 Fucecchio, in un banchetto per G. Monta-
nelli, in Opere, XII.
40. (1892-1896 e 1899) : Franeesco Crispi, in Opere, XII.
41. (1894 settembre): La libertà perpetua di S. Marino, in
Opere, X.
42. (1895) : Giuseppe Avezzana, in Opere, XII.
48. (1895) : XX Settembre, in Opere, X.
44. (1896) : Letture del Bisorgimento, in Opere, XII.
45. (1896) : Del Bisorgimento italiano, in Opere, XVI.
46. (1896) : Giacomo Leopardi deputato, in Opere, X.
47. (1897) : Ber il tricolore, in Opere, X.
48. (1897): Ludovico Berti, in Oj)er^, XII.
49. (1897): Programma ])er letture di argomento ]>atriottic<>. in
Opere. XI.
50. (1897) : Ber Candia, al Senato, in Opere, XI.
51. (1899) : Scritti politici di A. Mario a cura e con proemio
di G. Carducci, Bologna, Zanichelli.
52. (1900): Di Lodovico Antonio Muratori e della sua raccolta
di sforici italiani dal 500 al 1500, in Opere, XVI.
Può giovare anclie (e sia pur questo un segno di riverenza
alla grande memoria) la notizia dei volumi deW Archivio nei quali
è menzione di opere e cose carducciane :
Ser. IV, tomo 1. ])ag. 146: C. Cantù, Cenno bibliografico sulle Cro-
nache Forlivesi di Leone Cobelli, i)ub-
blicate da Carducci, Frati e Guarini
(Bologna, 1877).
218 NECROLOGIA
Ser. IV, tomo VII, pag. 292: Cenno snlle lettere del Guerrazzi, pubbli-
cate dal Carducci (Livorno. 1880).
Ser. V, tomo I, p.ag. 139: Menzione della nomina del Carducci a
Presid. della Dep. di St. Patria
per le prov. di Romagna.
Ser. V, tomo II, pag. 408: A. Del Vecchio, Cenno bibliogratìco
sul discorso del Carducci, Lo Stu-
dio Bolognese.
Ser. V. tomo XXVI, pag. 335: Cenno sull'7»/ror7y/c/o«e alla ristampa
dei Iterimi itaUcarum scripiores.
Ser. V, tomo XXVII, pag. 422: Ricordo delle onoranze rese al Car-
ducci pel 40." anniversario del suo
insegnamento universitario, e No-
tìzia del fascicolo a lui dedicato
dalla Tììrìsia (Vita Ha (maggio 1901).
NOTIZIE
Teodoro von Sickel.
Nella vita di Teodoro von Sickel, del (^iiale gli scolari e gli
scienziati di tutta la Germania, il 18 decenibre del 1906, festeggia-
rono l'ottantesimo anno (1), si distinguono in modo caratteristico i
periodi di tempo che egli passò a Berlino e a Parigi (1850-55), a
Vienna (1856-1890) e a Roma (1890-1902). Gli anni trascorsi in Austria
e in Italia furono fecondamente operosi : erano stati anni di studio
indefesso quelli trascorsi in Germania e in Francia. Il prolungato
ed intimo contatto che ebbe collo spirito latino, insieme colla severa
(1) Intorno alle feste che si fecero in questa occasione si può vedere
l'opuscolo intitolato: Festeggiamenti per V80'^ anno di Teodoro r. Sickel
(Stampato come manoscritto). In appendice vi si recano : V indirizzo degli
scolari presentato in Merano allo stesso Sickel dall' attuale presidente
deir « Istituto per le ricerche sulla storia austriaca» prof. E. v. Ottenthal ;
o^r indirizzi della Facoltà filosofica di Vienna, della Direzione centrale
dei Monumenta Germaniae e dell'Accademia di Vienna, nonché (piello,
splendido per la forma, della Commissione storica dell'Accademia Bava-
rese, di cui il Sickel ha la presidenza fin dal 1902. L'opuscolo è formato
non soltanto dal catalogo di tutte le lettere pervenute in (piella circo-
stanza, fra le quali si trova pure rappresentata F Accademia de' Lincei di
lìoma, ma anche dal discorso solenne con cui Oswald Redlich, il 18 di
decembre, rilevò l'importanza del Sickel come erudito e come maestro;
(? dalle parole che pronunziarono i rappres'Mitanti dei rami più svariati
delle scienze giuridiche, politiche ed -archivistiche, per rendere omaggio
air operosità feconda spiegata in tutti i campi dal Sickel.
Giuntaci troppo tardi notizia delle onoranze tributq,te al Sickel in
occasione dell' 80° suo anniversario, non potemmo inviare allo storico
insigne le espressioni del nostro ossequio. \j Archivio Storico Italiano,
interpretando anche i sentimenti della E. Deputazione Toscana di Storia
Patria, clie si gloria di annoverare il Sickel fra i suoi Soci, e della Scuola
di Paleografia e Diplomatica di Firenze, che prosegue con ogni cura la
via da Lui tracciata, si associa ora, con tutto il cuore, alle manifestazioni
di stima e di riconoscenza al grande Maestro, cni porge fervidissimi auguri.
Li DlREZIONK.
220 NOTIZIE
disciplina propria delle università tedesche, infiui proficuamente nel
formarne la educazione. La sua attività, che doveva svolgersi prin-
cipalmente a Vienna, tanto agli inizi quanto nella sua fine gloriosa,
si riannoda all'Italia.
Le sue prime grandi ricerche archivistiche, intraprese per conto
proprio, e poi per commissione del governo francese, intorno alle
relazioni tra la Francia e l'Italia, si estesero agli archivi dell'Italia
superiore. Tra i frutti di quelle ricerche ricorderemo qui solo il la-
voro sul Vicariato dei Visconti. Presso l'archivio di Milano il Sickel
frequenti) il corso di paleografìa che vi si faceva alla scuola di-
retta dal Cossa e dal Ferrarlo. Xè parola di maestro potè trovar
mai terreno più adatto.
Il Sickel cercò più tardi di mostrare la sua gratitudine, promo-
vendo ed aiutando anche colla propria attività la pubblicazione dei
facsimili (ile' Diplomi reali ed imperiali delle Cancellerie d'Italia,
opera grandiosa rimasta purtroppo incompiuta. Ciò fu al tempo del
suo nuovo ritorno in Italia; quando, dopo l'apertura degli Archivi
Vaticani, alla quale, com'è noto, ebbe pure la sua parte, cambiò la
direzione iìéìV Istituto fondato in Vienna p)er le ricerche sulla storia
austriaca con quella deìV Istituto austriaco di sttidi storici in Boma,
cooperando ai lavori grandiosi resi ormai possibili dall'apertura di
quell'insigne archivio, che è miniera inesauribile per la storia di tutte
le nazioni. Ma anche nel frattempo il Sickel era stato in continui
rapporti colla storia e cogli storici d'Italia, se non altro colla pub-
blicazione de' Diplomi degli Ottoni per i Monumenta Germaniae.
Non tenendo conto de' lavori minori (1), egli contribuì efficace-
mente alla storia del Papato con tre grandi pubblicazioni: l'edizione
del Liber diurnus, il Privilegio di Ottone I per la Chiesa romana e i
Documenti 2i€r la storia del Concilio di Trento. Su quest'ultimo campo
tornò poi a lavorare quando fu Direttore dell' Istituto romano.
Ma io non voglio qui diffondermi sulle relazioni del Sickel col-
r Italia; giacché per questa parte non potrei forse dir cose nuove ai
lettori deW Archivio storico italiano. Né darò un giudizio completo
su tutti i suoi lavori, analizzandoli partitamente, enumerando i
successi che riportò, le onorificenze che gli pervennero da parte
de' vari governi e corpi scientifici. Piuttosto mi proporrò (2) di ri-
Ci) Ad es., L'Itinerario di Ottone II nelVanno 9S2 (Estr. dnUArcli.
della Soc. Bom. di St. Patria, voi. XI). Roma, 1876.
(2) Mi servirò qui. per la maggior parte, delle ])arole che pronunziai
neir occasione della festa in onoro del Sickel fatta al Circolo degli Sto-
rici in Vienna.
NOTIZIE 221
spondere alla domanda : (love sta il segreto di questi successi? e in
che cosa consiste questa forte personalità?
Secondo il mio giudizio, in lui si riunirono due qualità singo-
lari, che, rare per sé stesse, tanto più raramente si trovano accop-
piate in uno stesso erudito. Il Sickel appartiene a quegli uomini
che non solo forniscono alla scienza nuove cognizioni e nuovi me-
todi, ma sanno anche, da creatori ed organizzatori che sono, in-
trodurre nella pratica scientifica le nuove conquiste ottenute.
È caratteristico, a mo' d'esempio, quello che egli fece iiel campo
della Paleografìa. La causa prima del progresso di questa disciplina
negli ultimi cinquant'anni si ebbe certo nella fotografia e* negli altri
processi di riproduzione che si basano su quella. Ora chi fu il primo
a trarre dalla fotografia tutto ciò che essa ci poteva dare in modo siste-
matico e in grande misurai Fu il Sickel coi suoi Monumenta graphica
meda aevi cominciati già nel 1859. Ma la cosa si rende anche più evi-
dente nel campo della Diplomatica. I criteri fondamentali su cui il
Sickel basò la dottrina moderna de' diplomi regi erano affatto nuovi,
come nuovo era pure tutto il suo modo di usare le scienze ausiliarie
della storia; ciò che fece dell'Istituto di Vienna una scuola speciale
ed unica nel suo genere per l'insegnamento di quelle discipline. Dal
tempo dei PP. Maurini in poi ben si conoscevano e si usavano in
Francia, in Italia e in Germania la Paleografia, la Cronologia e la
Diplomatica; ma la loro pratica si perdeva in generalità. Il Sickel
vi portò la massima della specializzazione. La sua vasta opera, gli
Acta Carolinorum, si restrinse ad una sola parte di quel campo
vastissimo che offre la Diplomatica; ma quella parte ei la esauri.
Per tal modo gli riusci di rintracciare i caratteri critici, già da
lungo tempo cercati, che ci permettono di proferire un vero e sicuro
giudizio sulla autenticità o falsità dei documenti imperiali. Cominciò
dal confrontare tutte le scritture originali che ci restano, mettendo
cosi in sodo la grafia individuale de' vari addetti, noti ed ignoti,
della Cancelleria, ed ottenendo un criterio sicuro per giudicare
l'originalità degli scritti medesimi. Perchè quando, ad es., si tro-
vano tre Diplomi di un re Carolingio, per tre monasteri, uno in
Aquitania, un altro in Italia, un altro in Baviera, che mostrano la
stessa mano, non possono essere stati compilati altro che nella Can-
celleria stessa; quindi non può cader dubbio sulla loro originalità.
Sarebbe un portar nottole ad Atene se volessimo mostrare come
dalla originalità dei diplomi, determinata in modo si esatto, potè
venir desunta tutta la dottrina de' caratteri estrinseci, tutto il proce-
dimento della documentazione e il modo con cui era organizzata la
Cancelleria; come dai medesimi documenti si ricavarono i formulari
222 NOTIZIE
usati nelle Cancellerie, le particolarità de' singoli notari, il loro stile,
il contesto de' foro atti; e come, finalmente, dal paragone de' testi
stessi fu possibile distinguere e separare i diplomi genuini dai falsi,
ed in caso di interpolazione, i brani autentici ed originali da quelli
che non lo sono, addentrarsi a studiare le relazioni coi diversi docu-
menti che servirono di modello: in una parola mostrar la genesi e
lo sviluppo degli atti medesimi.
Ma il Sickel non si limitò a scoprire nuovi fatti: fu anche un
organizzatore della scienza: non si contentò di gettare le basi della
nuova dottrina della Diplomatica, ma si accinse anche a costruirla.
Nell'edizione de' Diplomi dal 911 al 1003 pei Monumenta Ger-
maniae egli, insieme cogli scolari che aveva già educati, approfondì
e affinò il nuovo metodo; tantoché sono rimasti modelli perfetti per
la Diplomatica medievale il disegno del suo lavoro, pubblicato nel
Neues Arcliiv, il modo con cui raccolse ed elaborò il materiale,
la disposizione e la forma che seppe dare alla sua pubblicazione.
Ed anche l'opera dei « Diplomi imperiali in facsimili », pubblicata
col Sybel, è un'applicazione del metodo del Sickel in un campo più
vasto, ed è apparsa un aiuto eccellente, così per l'insegnamento,
come per le ricerche scientifiche.
Il Sickel, pertanto, può chiamarsi il fondatore della Diploma-
tica moderna. Tale onore egli condivide col Ficker, ma il primo
luogo è suo. Né qui termina la importanza dell'opera sua.
Due sono i modi coi quali i grandi uomini influiscono efficace-
mente sulle scienze storiche: l'uno concerne la narrazione e con-
siste nel creare nuove vedute intorno ai personaggi e alle vicende
storiche; l'altro fa capo al metodo, e concreta nuovi principi metodici
e nuovi sussidi alla storia. Un buon esempio per distinguere questi
due modi ce lo offre il Mommsen, se si confronta la sua Storia Romana
col Corpus Inscriptlonum Latinarum. La Storia Romana è certo opera
meravigliosa, ma è pur sempre un'opera scritta dopo il 1848. La Plebe,
il Patriziato, il Principato sono giudicati attraverso il prisma delle
opinioni politiche e personali dell'autore. Verranno certo altri tempi,
e la storia romana sarà veduta con occhi diversi. Invece \\C. I. L.
è un monumentum aere perennius. Tutta la molteplice quantità di
iscrizioni romane che ci restano vi è elaborata in modo uniforme
e completo. Chiunque oggi scriva di storia antica deve ben cono-
scere la materia e il metodo dell'Epigrafia. E la stretta connessione
che v'ha tra la Storia e l'Epigrafia è soltanto un anello di quella
reciproca catena di discipline affini, sì filologiche come storiche, da
cui scaturì l'Archeologia come scienza complessa della classica anti-
chità. La scienza medievale è ancor lungi dall' esser così avanzata,
NOTIZIE 22o
ma tende allo stesso seopo. Si tratta anche qui di rendere le singole
discipline indipendenti tra di loro e nello stesso tempo di riunirle
insieme con unità di lavoro. Anche qui dunque si deve distinguere
e integrare. E se si vuol rappresentare con un nome questa parti-
colare tendenza, nel mondo scientifico tedesco, non si troverà altro
che il nome del Sickel.
Le scienze storiche avanzano sempre di un nuovo grado nel loro
sviluppo quando si dischiude una nuova specie di fonti, o, per esser
più esatti, quando si trae sistematicamente tutto il profitto da una
fonte che fin qui era stata sfruttata in modo incompleto e senza me-
todo. Per ciò che si riferisce alla Germania, la prima metà del
secolo XIX ci rese padroni delle fonti narrative ; basta citare i
nomi del Niebuhr, del Pertz e del Waitz. Sotto la direzione dei due
ultimi, colla stampa degli Scriptores, si formò un nuovo metodo cri-
tico che viene caratterizzato dalle indagini intorno alla cosiddetta
« tradizione » dei testi, che non erano mai state eseguite in modo cosi
sistematico. E queste indagini si estendevano su due punti differenti.
Prima si cominciò a dare una raccolta completa de' manoscritti, che
contenevano le narrazioni stesse; e così si scopersero nuove fonti e
testi migliori per quelle già conosciute. In secondo luogo, per ciascuna
notizia tramandata si indagarono le fonti prime, salendo su su da
quelle derivate, e venendo in tal modo a scoprire tutta la rete di
dipendenza che esiste tra i vari autori. Questa analisi delle fonti
ci rese per la prima volta possibile il retto uso delle singole notizie,
ci permise di scoprire dietro alle singole fonti quell'unità di spirito
che ha la storiografia e ci die modo di tesserne anche una propria
storia, come ha fatto il Wattenbach.
Le altre fonti che non appartengono al genere letterario ebbero
uno svolgimento simile nell'ultimo trentennio del XIX secolo. I 3Io-
numenta Germaniae accolsero nel 1874 due nuove divisioni: i Di-
plomata e le Epistoìae. Del pari caratteristico è il numero sempre
crescente di Codici diplomatici e di Regesti, di Protocolli e di Im-
breviature, di registri, di fittuart e feudatari, di atti riguardanti le
diete dell'impero e delle Provincie o la pubblica amministrazione,
di Rapporti di Nunzi, di Corrispondenze, di Relazioni sugli Archivi,
d'Inventari, ec. Tutte queste fonti, se si paragonano con quelle
propriamente dette descrittive, formano una serie a parte; per la
loro origine risalgono sempre a due radici: cioè alla lettera e al
diploma; per il modo con cui furono a noi trasmesse si riconnet-
tono strettamente colle sorti degli Archivi, come le fonti descrittive
con (pielle delle Biblioteche, e finalmente per la loro uguaglianza
intrinseca, che viene determinata dai rapporti colla vita pratica gior-
224 NOTIZIE
naliera, devono essere trattate col medesimo metodo. Ma questo
sovente ci sfugge ; perchè quando la prima volta ci interessiamo di
un dato genere di fonti, quel che vale per noi è il contenuto; la forma
è nulla. Ora le fonti che abbiamo sopra nominate sono naturalmente
del tutto diverse per il loro contenuto. Chi voglia bensì imparare
come questa forma, che spesso ci permette dì far la critica del
contenuto, debba esser trattata con certe regole ìntimamente affini
tra loro, si addentri nello studio degli scritti del Sickel. Sia che
egli prenda a far la storia del Liher diurnus durante i secoli in
cui questo fu composto e adoperato ; sia che indaghi le raccolte
delle lettere di Alenino, o il privilegio da molti contestato di Ottone I
per la Chiesa romana, mettendolo in connessione con altri privilegi
di simil natura; sia che, volendo pubblicare alcuni diplomi degli
Ottoni in favore di un monastero, si faccia ad esaminare tutti i
precedenti diplomi imperiali per lo stesso monastero: il Sickel porta
sempre in ogni indagine Io stesso metodo acuto, per cui nulla è
troppo piccolo, e che, per mezzo dei caratteri esterni apparentemente
più insignificanti, sa penetrare fino al fondo della genesi di un
testo. Questo stesso metodo fu pure usato da Lui quando sì accinse
a raccogliere i materiali per la storia del Concilio di Trento. Nei
suoi « Rapporti Romani » analizza i volumi di atti conciliari nella
stessa guisa de' manoscritti medievali. Basandosi sulla scrittura
e su altri, caratteri estrinseci, ne determina l'origine; lumeggia
il modo con cui allora si conducevano gli affari, spiega come i
singoli atti si conservavano negli archivi, come si registravano, si
spedivano e si rimettevano ai destinatari, come funzionavano le
poste, ec. ec. Solo col mettere insieme tutte queste osservazioni,
che potevano sembrare dì tenue importanza, riusci a fare una rac-
colta razionale e ad elaborare in modo profondo tutta la materia.
Faccio appunto rilevare il valore di quest'ultime ricerche con-
cernenti la storia moderna, perchè non mi sembrano ancora abbastanza
riconosciute ed apprezzate. Esse ci insegnano che il metodo inau-
gurato dal Sickei non solamente giova alla Diplomatica, ma anche
a un numero più largo dì studi intorno fonti. Certo, l'essenza del me-
todo stesso si apprenderà nel modo migliore nel diploma medievale;
ma per similitudine si può usare nelle lettere, negli atti, nelle scrit-
ture d'affari dì ogni tempo; anzi vi deve essere usato. Anche per
questo genere di documenti bisognerà riconoscere che il testo, come si
trova, non è qualche cosa dì già fatto e compiuto in sé stesso: ma
divenuto tale a poco a poco; e che perciò si può crìticamente inten-
dere solo dal lato di questo suo divenire. A tale scopo, seguitando
l'esempio del Sickel, si prenderanno a esaminare tutti i caratteri
NOTIZIE 225
intrinseci ed estrinseci per penetrarne lo storico svolgimento : so-
prattutto non si considereranno separatamente le testimonianze of-
ferteci dalle fonti, ma ridurremo in gruppi quelle che sono consimili,
indagandone la loro specialità, prendendo per base la raccolta
completa, come si fa appunto per i documenti. Per tal modo anche
la storia moderna avrà le sue scienze ausiliarie, e, come non c'è
oggi nessuno storico che non abbia ben imparato e compreso la
critica metodica delle fonti narrative, cosi pure verrà il tempo in
cui il metodo critico fondato dal Sickel sulle fonti di carattere non
letterario formerà parte essenziale della cultura di questo genere
di studi. Sotto tale aspetto resta ancor molto da fare, e perciò il
nome del Sickel è in questo senso un intero programma. Ancora slam
molto lontani dalla sua attuazione: è bene, pertanto, che il Sickel abbia
fatto una scuola. Ma a questa non appartengono solo quelli che
collaborarono alle sue grandi imprese e gli scolari dell'Istituto di
Vienna. I resultati da lui ottenuti non sarebbero quel che sono, se il
nuovo indirizzo delle scienze ausiliarie non avesse trovato in ogni
luogo rappresentanti forniti anch'essi di rara intelligenza anche al di
fuori della cerchia dei suoi scolari. Già alcuni di questi onorano coi
loro nomi la scienza storica tedesca. Come poi gli impulsi dati dalle
opere del Sickel siano divenuti patrimonio comune di tutte le nazioni
e siano dappertutto messi in atto e sviluppati da studiosi di molto
talento, meglio di ogni altra cosa dimostra la magistrale edizione
de' Diplomi di Berengario, Guido e Lamberto curata da Luigi Schia-
parelli. Nessuna cosa poi serve a caratterizzarci l'importanza del
Sickel quanto il fatto che tutti questi diplomatisti — italiani e te-
deschi — si uniscono di cuore per venerarlo come il Grande Mae-
stro della loro scienza.
Vienna. Harold Steinacker.
Società e istituti Scientifici.
Congresso Internazionale di Scienze Storielle.
— È uscito ora, pe' tipi della R. Accademia de' Lincei (Roma,
Salviucci, 1907), ultimo in ordine di tempo, il volume I degli Atti
del Congresso Internazionale di Scienze Storiche, tenuto in Eoma
dal 1'' al 9 aprile 1903. U Archivio, come già promettemmo facendo
un cenno di questa grandiosa pubblicazione (ser. V, to, XXXIV,
pp. 508-509) appena iniziata, non mancherà di offrire ai suoi lettori
un ampio e particolareggiato ragguaglio del contenuto di tutti i
12 volumi ond' essa è composta. Ma riteniamo opportuno intanto
dar breve notizia di questo primo, che chiude la serie de'prece-
Arch. Stor. It., 5.* Serie. — XXXIX. 15
226 NOTIZIE
denti, e riassume con ordinata sintesi i resultati morali e materiali
del Congresso.
Precede una breve prefazione del Presidente sen. Pasquale Vii-
lari, il quale — dopo aver reso il meritato tributo d'encomio ai vo-'
lenterosi che Io coadiuvarono nell'ardua e lunga fatica dell'organiz-
zazione (primo fra questi il Segretario generale, comm. Giacomo
Gorrini, che curò anche tutta l'edizione degli Atti) - rileva oppor-
tunamente come il Congresso abbia, anche subito, avuto efficacia
d'effetti, tantoché alcune delle proposte in esso fatte già ebbero
principio di attuazione. Fa poi un rapido riassunto de' risultati
economici del Congresso, il 0[uale, malgrado la spesa enorme ri-
chiesta dalla stampa degli Atti, si chiude {mirahile dictu!) con un
avanzo netto di più che 3200 lire.
Con questa somma e cogli accrescimenti ulteriori che prover-
ranno dalla vendita de' volumi degli Atti, la Presidenza intende
proporre al Ministero che si costituisca un fondo speciale per l'isti-
tuzione d' un premio a vantaggio degli studi storici, al quale do-
vrebbero poter concorrere gli studiosi di tutte le Nazioni : e con
questa felice e geniale proposta, cui veramente nuUum par eìogiuvi
può farsi, il Yillari dichiara giunta al suo termine l'opera del Con-
gresso.
Il cap. 1 del presente volume dà conto dell'origine e organiz-
zazione del Congresso, e porta gli elenchi completi di tutti i Dele-
gati, aderenti ed iscritti, nazionali ed esteri. Il cap. II espone il
programma de' lavori e i titoli di tutti i temi di discussione e gli
argomenti delle molte e interessantissime Comunicazioni. Nel III
son riportati i verbali delle adunanze generali e alcuni de' più no-
tevoli discorsi pronunziati in quell'occasione; vi si fa quindi cenno
della inaugurazione della Forma Urbis, di cui la pianta nitidamente
incisa è allegata al volume. I capp. IV e V ricordano brevemente la
Giostra di topografìa romana, V Esposizione di manoscritti e libri a
stampa, e i festeggiamenti che l'ospitalità tradizionale della gente
nostra offrì agli storici convenuti nella capitale d'Italia.
Il capitolo V è consacrato alle belle e interessanti gite fatte
da' Congressisti, e nitide incisioni intercalate nel testo avvivano il
ricordo di quelle simpatiche e geniali escursioni. Gli ultimi quattro
capitoli son dedicati agli omaggi di pubblicazioni al Congresso, ai
voti in quello espressi, ad alcune giunte e rettifiche agli Atti, e al
rendiconto finanziario.
Segue un'appendice che porta tre brevi monografie sugli Ar-
chivi degli Stati Uniti, sulla stampa de' fonti storici in Svezia, e
sulle pubblicazioni svedesi interessanti la storia d'Italia.
NOTIZIE 227
Cogl' indici generali e particolari si chiude questo primo ed
ultimo volume della splendida raccolta, che rimarrà degno e dure-
vole monumento del grande e solenne avvenimento scientifico com-
piutosi per la prima volta nel 1903 in Roma Italiana : ed è da far
voti che il secondo Congresso internazionale, che avrà luogo in
Berlino nell'agosto del 1908, riesca come questo fecondo di effetti,
e — a vantaggio della scienza e a decoro della dotta Germania —
lasci luminosa traccia di se in una pubblicazione, come questa di
cui ci occupiamo, preziosa e veramente monumentale.
G. D. A.
Conerresso Storico del Risoreriineiito Italiano.
— Nei giorni 6-9 del novembre u. s. si tenne in Milano, al Ca-
stello Sforzesco, il primo Congresso storico del Risorgimento Italiano,
coir intervento del generale Majnoni, rappresentante di S. M. il Re,
che ne aveva accettato 1' alto patronato. Nella seduta d' inaugura-
zione parlarono il Sindaco di Milano, sen. Ponti e l'assessore per la
P. L, on. Bassano Gabba. Quest'ultimo, che già aveva diretto i la-
vori preparatori del Congresso, fu dall' Assemblea chiamato con voto
unanime a presidente effettivo. Per la costituzione poi dell' Ufficio
di Presidenza, furono nominati per acclamazione: Presidente ono-
rario il barone Antonio Manno, Commissario del Re per la Consulta
Araldica ; vicepresidenti il cav. Alessandro Luzio, Direttore del
R. Archivio di Stato di Mantova, il prof. Costanzo Rinaudo, Direttore
della Rivista Storica Italiana, il conte Nani Mocenigo e il prof. Gae-
tano Capasso ; segretari il prof. Giuseppe Lfsio, il dott. Ettore Verga,
Direttore dell'Archivio storico civico di Milano, il dott. Giustiniano
Degli Azzi-Vitelleschi e il conte Uberto Govone.
Tra i più importanti temi di discussione svolti al Congresso
ricordiamo i seguenti :
prof. V. Fiorini : Della convenienza che sia fondata una So-
cietà Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano, e una Ri-
vista Storica del Risorg. Ital., organo della Società stessa ;
prof. F. QuiNTAVALLE : Della convenienza e dei mezzi di for-
mare dei regesti degli opuscoli e degli articoli di giornali, periodici
e riviste nazionali ed estere, che riguardino la Storia italiana fra
il 1796 e il 1871:
prof. A. MicHiELi : Della necessità di accordi fra gli studiosi
sui criteri e metodi da seguirsi nella compilazione e pubblicazione
di una Bibliografia generale del Risorgimento :
prof. Fr. Bertolini : Della formula cavouriana « Libera Chiesa
in libero Stato » ;
228 NOTIZIE
dott. G. Gallavresi ed A. Bertarelli: Intorno all'ordinamento
scientifico e metodico dei Musei del Risorgimento:
prof. E. Michel : Dei modi di promuovere l' istituzione di un
Museo del Risorgimento in ogni capoluogo di provincia per evitare
la dispersione di preziosi cimeli e documenti;
dott. L. CoEio : Dei mezzi coi quali il Governo può favorire,
con acconcie e savie precauzioni, le ricerche negli Archivi di Stato
atte al necessario integramento di talune serie di documenti che si
conservano negli archivi dei Musei del Risorgimento;
dott. C. Clerici: Dei criteri da seguirsi nell'ordinamento dei
Medaglieri del Risorgimento ;
proff. A. MiCHiELi e G. Lisio: Dei modi opportuni per rendere
r insegnamento della Storia del Risorgimento, nelle Scuole primarie
e secondarie, in tutto rispondente all'alto fine educativo e nazionale
che in esse scuole dovrebbe proporsi ;
prof. G. Lisio: Se per lo sviluppo degli studi scientifici intorno
alla Storia del Risorgimento non sia necessario promuovere presso
le Università nostre un insegnamento speciale di Storia Contempo-
ranea Italiana ;
proff. E. Michel ed A. Michieli : Della opportunità di racco-
gliere, mediante appositi questionari, le testimonianze orali dei Re-
duci e Veterani del Risorgimento, invitandoli a precisare tutti quei
particolari che potessero essere ignorati o mal noti.
Molte furono le comunicazioni e memorie storiche lette al Con-
gresso, di cui accenniamo le più notevoli : La medaglia nella Sto-
ria del Risorgimento (S. Ricci): Il tricolore italiano dal 1796 al 1814
(E. Ghisi); Cavour e Bismarck (W. R. Thayer); Les vues du Dire-
ctoire sur l'Italie en 1796 (R. Guyot); La prima parola di resistenza
all'Austria pronunciata in Piemonte nel 1846 eolla Società d'espor-
tazione dei vini nazionali (A. Arno); Un quaderno di Tito Sperì
(A. Michieli); L'entreprise de Murat (Weil); Edgard Quinet et l'Italie
(I. Gay); I tentativi per far evadere L. Settembrini dall'ergastolo
di S.Stefano negli anni 1855-56 (G. Capasso); Relazioni fra l'Italia
e gli Stati Uniti (H. Nelson Gay); La ritirata di Garibaldi e dei
volontari per Monza nell'agosto 1848 (G. Riva).
Tra i risultati pratici più notevoli del Congresso è da ricordare
quello della costituzione, su proposta del Fiorini, della Società Na-
zionale per la Storia del Risorgimento Italiano^ che conta già un
ragguardevole numero di soci e, a norma dello Statuto approvato
dal Congresso, ha energicamente iniziata l'opera sua per favorire
la conoscenza e la divulgazione della Storia del nostro Risorgi-
mento. A quest'intento la Società, oltre al ricercare e procurar che
NOTIZIE 229
siano opportuiiamento tutelati e conservati i documenti e i ricordi
del patrio riscatto, promuoverà l'istituzione di appositi musei e
biblioteche popolari, curerà o favorirà la stampa di pubblicazioni
patriottiche, organizzerà conferenze, commemorazioni, letture pub-
bliche e corsi popolari di Storia del Risorgimento, raccoglierà si-
stematicamente il Bepertorio bibliografico, cronologico, iopografico,
politico, ecc. della Storia del Risorgimento, e pubblicherà un pe-
riodico, colla collaborazione di tutti i più autorevoli studiosi ita-
liani e stranieri. La Società è costituita da Comitati regionali, ed
è retta da un Consiglio Centrale avente sede in Milano, del quale
furono chiamati a far parte pel primo quadriennio i sigg. barone
Antonio Manno, presidente onorario ; on. Bassano Gabba, presidente
etfettivo ; cav. Alessandro Luzio, conte Nani-Mocenigo, prof. Co-
stanzo Rinaudo, vicepresidenti ; prof. Vittorio Ferrari, dott. G. Gal-
lavresi, prof. Ferruccio Quintavalle, prof. Giovanni Oberziner, prof.
Francesco Novati e prof. Michele Scherillo. segretari : e a Dele-
gati regionali i signori: conte Uberto Govone {Piemonte), dott. Et-
tore Verga e prof. G. C. Abba (Lombardia), prof. Francesco Berto-
lini e cav. Giovanni Livi [Bomagna), prof, Alessandro D'Ancona
(Toscana), dott. Giustiniano Degli Azzi (Umbria), prof. Vittorio
Fiorini (Lazio) e prof. Benedetto Croce (Italia meridionale).
In occasione del Congresso fu pure aperta nelle Sale del Ca-
stello Sforzesco una Mostra storica del Risorgimento, con prezioso
materiale iconografico ed archivistico, ordinata dal Comitato pro-
motore, ed integrata da ricche collezioni speciali, tra cui notevoli
quelle delle città di Perugia, Ancona, Terni, Città di Castello, ecc.,
e da alcune di privati, come quelle del conte Camozzi e dell' ing.
Clerici. G. D. A.
Must'o di Etnografìa italiana.
— Salutiamo con viva simpatia il nuovo Museo di etnografìa ita-
liana, da pochi mesi sorto in Firenze, con lo scopo di raccogliere
tutto quanto si riferisce agli usi e costumi tradizionali e caratte-
ristici delle varie nostre regioni, le quali ancor oggi presentano
profonde differenze di vita e di abitudini.
Il Museo si propone di raccogliere i vestiari e gli ornamenti
personali, gli utensili di uso domestico, i mobili più rozzi e singo-
lari, i modelli delle abitazioni di foggia caratteristica, i focolari e i
camini di forma locale, gli strumenti della caccia e della pesca,
i mezzi di trasporto e di locomozione, i modi popolari di fissare e
di esprimere graficamente le idee, le usanze tradizionali relative ai
rapporti economici e sociali, i giuochi dei fanciulli e degli adulti,
230 NOTIZIE
tutto ciò che si riferisce alle feste e alle danze del popolo, alle sue
superstizioni e a' suoi pregiudizi. Né trascurerà la letteratura popo-
lare; anzi, già possiede di canti e poemetti del popolo una insigne
raccolta. Accanto a queste collezioni di oggetti e di documenti, non
manca una biblioteca, che va accrescendosi ogni giorno di più.
Non occorre insistere sui vantaggi che da questa nuova istitu-
zione deriveranno agli studi etnografici e a quelli antropologici,
alla sociologia e alla demopsicologia dell' Italia. A noi preme so-
prattutto di rilevare che anche pei cultori di storia questo Museo
potrà subito offrire un notevole aiuto, dacché gli oggetti che esso
accoglierà sveleranno spesso rapporti e somiglianze con quelli già
in uso in tempi remoti (ricordiamo, p. es., la forma della lampada
trasmessaci immutata dai tempi etruschi) e dimostreranno secolari
sopravvivenze di usi e di costumi ; le leggende e le tradizioni, che
corrono anch' oggi sulla bocca del popolo, diranno talvolta come
questo popolo giudichi uomini ed avvenimenti, come alteri i fatti
della storia antica e, più spesso, quelli della recente, quali di que-
sti fatti colpiscano con maggiore efiicacia la sua fantasia e più te-
naci si imprimano nella sua mente; quale sia, infine, il senso storico
della maggioranza del popolo.
In questo breve cenno non ci é concesso di insistere più oltre
sui molteplici aiuti che il Museo potrà dare agli studi storici: certo
è che i cultori delle nostre discipline sentono ogni giorno più la
necessità di ricorrere a scienze e discipline ausiliarie, e tanto più
essi riescono a comprendere il passato nella sua interezza, quanto
meno disdegnano le fonti più disparate e più varie.
Per questo V Archivio Storico Italiano fa auguri di lunga e pro-
sperosa vita al nuovo Istituto. Gli scopi del quale sono egregiamente
esposti in un breve opuscolo edito a cura dei suoi due Direttori.
Storia generale e studi sussidiari.
— Avemmo già occasione di rilevare la rapidità e la precisione,
con cui si susseguono i volumi del Meyers Grosses Konversations-
Lexikon, edito dal benemerito Bibliographisches Institut di Lipsia ;
e di questo e degli altri pregi dell'importante pubblicazione già da
noi segnalati anche recentemente (disp. 2* del 1906) sono nuova con-
ferma i due tomi XIV e XV testé usciti, che comprendono le voci
da Mitteicald a Plakatschriften.
Anche in questi, molti sono i nominativi, quasi sempre egregia-
mente svolti e tenuti al corrente colla produzione scientifica odierna,
che interessano la storia e la cultura italiana. Così per la storia
politica e geografica del nostro paese sono notevoli le voci : Mo-
NOTIZIE
231
klena, Montanelli Giuseppe^ Montecuccoli Baimondo, Montefeltro,
Morelli Giovanni, Muratori Lodovico Antonio, Napoli, Negri Cri-
stoforo, Nicotera Giovanili, Nigra Costantino, Ochino Bernardino,
Orsini Felice, Ostia, Otranto, Palermo, Parma, Pavia, Pepe Gu-
glielmo, Pepoli Gioacchino Napoleone, Perugia, Pesaro, Piacenza,
Pisa, e la serie de' pontefici di nome Pio, ecc. Per la storia lette-
raria, artistica e della cultura nazionale vanno ricordate le voci :
Molza Francesco Maria, Montagna Bartolomeo, Monteverde Giulio,
Monti Vincenzo, Morelli Domenico, Moretto da Brescia, Mosso An-
gelo, Negri Ada, Niccolò di Liberatore, Orcagna, 7)' Ovidio Fran-
cesco, Paisiello Giovanni, Paganini Niccolò, Palestrina, Palladio An-
drea, Palma Iacopo (Il Vecchio ed il Giovane), Panzacchi Enrico,
Pellico J^ilvio, Pergolesi Gio. Battista, Perugino, Petrarca, Piccini
Niccolò, Pindemonte Ippolito, Pisano Andrea, Nicola e Vittore, ecc.
Una lieve menda, che dobbiamo anche in questi volumi onesta-
mente rilevare, è la considerazione data talvolta a biografie d'uomini
che forse non meriterebbero tanto onore, in confronto del silenzio
itssoluto o dello scarso sviluppo concesso alle biografie d'altri in-
signi nostri, cui spetterebbe un più ampio e completo ricordo; cosi,
mentre avremmo volentieri veduto un cenno su quel forte artista
drammatico e patriota e scrittore che fu Gustavo Modena, e una più
ricca notizia sullo statista Antonio Mordini, che tanta e si cospicua
parte ebbe nella storia del nostro riscatto politico, avremmo fatto
d'altro canto molto volentieri a meno della biografia di qualche
uomo politico del giorno, cui non spetta altro merito se non d'aver
atterrato un portafoglio ministeriale, quando pure, come nel caso
di Nunzio Nasi, il cenno biografico non vada a terminare col poco
edificante ricordo del processo e della relativa condanna per reati
di natura.... non politica.
Difetto questo, d'altronde, comune ad opere consimili, e che ge-
neralmente dipende dai poco sicuri o non sempre sinceri ragguagli
che della vita e delle cose nostre giungono a quelli d'oltr'Alpe.
— Ottima sarebbe stata l'idea del sig. Pietro Taddei di dare
un Manuale teorico-pratico delV Archivista (Milano, Hoepli, 1906),
ma è stata troppo infelicemente attuata perchè possa ritenersi col-
mata la lacuna già da gran tempo avvertita da quanti s' interes-
sano delle discipline archivistiche.
E basterebbe vedere l'elenco delle opere da cui il T. ha attinto
le notizie che riassume nella prima parte, per convincersi come ne-
cessariamente manchevole e difettosa debba esser riuscita la sua trat-
tazione. Generalmente non sa seguire altra traccia per le sue divaga-
zioni erudite che quella della Storia Diplomatica del 3Iaffei e delle
232 NOTIZIE
Istituzioni Diplomatiche del Fumagalli: ottimi libri }De' loro tempi,
s' intende, ma che la crìtica odierna, specialmente dopo le magnifi-
che pubblicazioni tedesche in materia, ha ornai relegato tra le opere
di mera consultazione.
Opportuno consiglio poi sarebbe stato per l'A. non tentar nep-
pure le difficoltà sempre gravi d'una sintesi storica in argomenti
che costituiscono ornai una scienza a parte e che esigono una cul-
tura molto superiore a quella di cui egli si dimostra fornito quando
costantemente scambia scrivia per scrinia, ritenendolo un singolare
femminile {sic!) anziché un plurale neutro; e quando sull'autorità
dell'Enciclopedia Italiana (!) scrive cura tahuìarium puhlicaruìn, o
prelude ad un ameno pistolotto apologetico per gli archivi bolognesi
con un Bonomia docet^ commentato da una volata retorica- in lode
di quella Repubblica perchè concedeva la libera consultazione dei
pubblici documenti, come precisamente facevano tutti gli altri Co-
muni dell'età di mezzo."
E questi umoristici rilievi grammaticali ci dispensano dal farne
altri pili seri circa alla parte sostanziale e di concetto, per cui ci
limitiamo ad augurare che in una seconda edizione del suo lavoro
il T. lasci addirittura questa prima parte, tutta d'erudizione e di
contenuto storico che non fa per lui, e riveda ed amplii e cor-
regga, soprattutto corregga, la parte seconda, che per l'indole sua più
pratica che teorica potrà meglio riuscirgli ; ed a lui nell'attuazione
del più modesto disegno saremo grati d' aver compiuta una fatica
veramente utile a coloro che si accingono al riordinamento d' un
archivio o v' intraprendan ricerche. Ed anche in questo compito
più limitato non si fermi a semplici ed assai vaghe, e non sempre
opportune, notizie sui pubblici uffici e sulle amministrazioni dello
Stato, ma dia norme ed esempi pratici e concreti per la sistema-
zione de' vari archivi, ministeriali, provinciali, comunali, ecc., rias-
sumendo organicamente le disposizioni legislative e regolamentari,
e dimostrandone l'applicabilità alle esigenze della pratica, anziché
appagarsi di riferir nudi e crudi gli articoli de' regolamenti, come
fa a proposito degli Archivi delle Provincie, per cui riproduce le
Istruzioni ministeriali del i° giugno '66, o per gli Archivi degli uf-
fici di P. S. cui dedica tutto il capitolo VI, corredato per giunta da
gran lusso di tabelle illustrative, dove non è dimenticato neppure
il tipo dello scaffale d' archivio !... G. D. A.
— Ad un bisogno da lungo tempo ed universalmente sentito
dagli studiosi risponde il Manuale di Cronologia e Calendario per-
petuo (Hoepli, Milano, 1906) compilato da A. Cappelli e che, con-
forme al desiderio delTA., riuscirà utilissimo in particolar modo agli
NOTIZIE 233
archivisti e ai frequentatori d'archivi. Premesse brevi ed assai op-
l)ortune notizie sui vari modi di computar gli anni e de' sistemi che
al riguardo adottarono i principali Stati d'Italia e d'Europa, ed al-
cuni cenni storici sul Calendario, l'A. ci presenta con ottimo me-
todo e grande diligenza la serie cronologica dei Consoli Romani, quelle
degl'imperatori romani d'Oriente e d'Occidente, degl'imperatori di
Germania e dei re d'Italia sino ai di nostri, cui fanno riscontro
quelle de' Papi ed Antipapi da S. Pietro a Pio X.
Dà quindi, in altrettante tavole egregiamente disposte e di fa-
cilissima consultazione, il Calendario romano antico, il Calendario
lìerpetuo Giuliano e Gregoriano e un ricco glossario di date^ inteso
a far risparmiare agli studiosi i calcoli che rendonsi necessari in-
contrando documenti datati con nomi di feste religiose. Nelle tavole
cronografìche poi son posti a riscontro gli anni dell'Era Cristiana
con quelli dell'Era Bizantina, di Spagna, dell'Egira, della Repub-
blica Francese e colle indizioni. Segue un elenco alfabetico dei prin-
cipali Santi e Beati, e chiudono il volume le tavole cronologiche
de' Sovrani de' principali Stati d'Europa. In appendice a queste
avremmo volentieri vedute le serie cronologiche de' Podestà e Capi-
tani del popolo delle più importanti città italiane nel periodo co-
munale, che sarebbero infinitamente preziose per la datazione di
molti documenti di quell'epoca; mentre invece lo scarso e incom-
pleto tentativo che l'A, ce ne offre, scegliendo ad arbitrio solo al-
cune città e non sempre delle più importanti, e amalgamando no-
cessariamente i magistrati delle libere democrazie co'tirannelli e
signori de' singoli luoghi, non fa che accrescere il nostro desiderio
d' un lavoro organico e veramente completo in proposito. E ben po-
trebbe farlo il C, il quale in questo eccellente saggio ha dimostrato,
cosi per la vasta conoscenza del materiale bibliografico come per
l'esattezza del metodo di compilazione, una speciale attitudine a la-
vori siffatti. G. D. A.
— Già altra volta in questo periodico (ser. V, to. XXX, pp. 401-
404 1 demmo notizia degli Archivi della Storia d'Italia, utile ed in-
teressante pubblicazione degl'inventari de' depositi archivistici più
ragguardevoli dello Stato, degli enti minori e de' particolari, che il
compianto prof. Giuseppe Mazzatinti aveva iniziato e condotto sino
al IV volume. Siamo lieti ora di apprendere che l'opera, rimasta
interrotta per la morte del benemerito erudito e studioso umbro,
sarà ripresa e continuata a cura del dr. Giustiniano Degli Azzi-
ViTELLEscHi del uostro Archivio di Stato, e (sempre pe' tipi del-
l'editore Licinio Cappelli di Rocca S. Casciano) ne uscirà in breve
il voi. V, che conterrà, oltre l'indice generale della prima serie.
284 NOTIZIE
inventari di Archivi di Stato(Lucca) e di Archivi comunali e par-
ticolari (Arezzo, Salò, Perugia, Firenze, Faenza, Colle Val d'Elsa,
Gubbio, Grosseto, ec).
— L'importanza delle cronache, ingiustamente valutata da so-
lenni letterati, è fatta rilevare dal prof. Albano Sorbelli in un
suo lodevole studio {Le Croniche^ estr. dalla Romagna, an. II,
fase. XI e XII. Iesi, tip. coop. edit., 1905; 8^ p. 19); nel quale
con molta dottrina dimostra qual tesoro di verità, di notizie e
di sentimenti sia contenuto nella cronaca, per quanto rozza e di-
sadorna ne sia la forma. Nello svolgimento di questo genere egli
ravvisa due periodi: uno, anteriore, che chiama romanico, l'altro,
posteriore, da lui denominato nazionale; il primo dei quali si ri-
connette al concetto romano, sogna l'antica gloria, vuole l'impero;
il secondo non rammenta più il passato, segue da vicino gli avve-
nimenti del giorno e sembra mirare dinanzi a sé ad un avvenire
di felicità e di progresso. Il primo, pieno dei due principi univer-
sali allora esistenti, il romanesimo e il cristianesimo, ci permette
di assistere alla lotta memoranda tra il passato romano, preva-
lente, e la condizione nuova delle cose, e cessa intorno a quel leg-
gendario anno mille, in cui l'anima italiana comincia a scuotersi,
a riconoscersi, a rivendicare sé stessa coll'affermazione del suo di-
ritto, della sua potenza economica, col reggimento autonomo. Al-
lora comincia il vero dominio della cronaca, rozza e modesta, ma
piena di vita, d'interesse, di verità, non offuscata dalla tabe retto-
rica, e quindi fonte preziosa ed importantissima per la storia, degna
di essere altamente apprezzata e studiata, checché dicano i mo-
derni esteti. La cronaca italiana é essenzialmente popolare, a dif-
ferenza della francese che è erudita, della spagnuola che è di-
nastica, della russa che é religiosa ; e da tale carattere acquista
maggior pregio ancora agli occhi nostri e di quanti vogliono se-
guire lo svolgimento della vera storia dell'umanità nelle sue varie
manifestazioni. E. C.
— In un volumetto intitolato : Studj e Discorsi (Milano, tii3. so-
ciale Opizzi, Corno e C, 1906; 16", p. 123) il sig. Giuseppe Bram-
billa si occupa, accanto ad argomenti prettamente economici o so-
ciali, del modo col quale era tenuta la contabilità commerciale e
di Stato nei tempi antichi e di mezzo e a principio dell'epoca mo-
derna. Tratta cosi della contabilità comunale dì Pisa nel secolo XIV;
di Aristotile e della contabilità di Stato in Atene; di A^'ilentin
Mennher de Kempten, forse il più antico scrittore di cose di ragioneria
nei Paesi Bassi ; dei libri di conti dei fratelli Bonis di Montauban
in Guascogna (sec. XIV); del Banco di S. Ambrogio; della Conta-
NOTIZIE 235
ulità di Stato presso i Longobardi. Nulla di nuovo vien da lui
jposto, poiché spigola le sue notizie nelle opere altrui. Si limita ad
jporre quello che gli danno le sue letture, senza aggiungervi con-
ùderazioni né conclusioni, che valgano agli studiosi di tale disci-
dina. E. C.
P. Kehr, Regesta Pontificiim Romanorum. Italia Pontifìcia. Voi. I,
Roma, (Berolini, 1906). — Da ben dieci anni il prof. Kehr attende con
lavoro indefesso alla raccolta e allo studio delle bolle pontificie an-
teriori al 1198, per l'edizione critica affidatagli dalla R. Accademia
delle Scienze di Gottinga. Delle ricerche compiute in Italia e dì
quelle iniziate in Germania, in Svizzera e in Francia egli è venuto
man mano pubblicando varii rendiconti, i quali contengono nume-
rosi documenti pontificii inediti e preziose notizie archivistiche, che
fanno ora di questi rendiconti un'ottima guida per lo studioso che
si accinga a ricerche su documenti medioevali negli archivi e nelle
biblioteche visitate dal K. o da' suoi collaboratori,- inoltre colle Di-
plomatische Miszellen {Nachrichten der le. Gesellschaft der Wiss. zu
Gòttingen. Phil. Klasse, 1898, 1900) e collo studio Scrinium und Pa-
latium {Mittlieilungen des Instituts fùr òsterr. Geschichtsforschung,
Ergilnzungsband VI) ha portato notevolissimi contributi alla diplo-
matica pontificia del secolo XI ; e cogli Otia diplomatica {Nachri-
chten der k. Gesellschaft der Wiss. zu Gòttingen, Phil. Klasse, 1903)
e con altre pubblicazioni comunicò parecchi diplomi inediti rintrac-
ciati casualmente nelle sue ricerche, mostrando cosi quale mèsse di
materiale si possa pur raccogliere, con ricerche ampie e sistema-
tiche, anche in questo campo, sebbene il più esplorato di tutti. Dopo
tanto lavoro e dopo sì numerose pubblicazioni non pochi si saranno
aspettati come prossima la comparsa del primo volume dell'opera.
Ecco invece un volume di Regesta., ancora un'altra pubblicazione
di materiale preparatorio. per l'edizione crìtica. Si inizia con esso
una nuova pubblicazione di Regesta Pontificum Romanorum., la quale,
mentre mira allo scopo precipuo di affrettare l'edizione critica delle
più antiche bolle pontificie, sarà alla sua volta, come l'opera grande
del Jaffé, di base e dì fonte a studi e a pubblicazioni varie.
Dell'intento della sua opera e del metodo seguito il K. tratta
ampiamente nelle Gòttingische gelehrte Anzeigen, 1906, N. 8. I re-
gesti furono distribuiti per gruppi, a seconda dei destinatari, come
vescovati, chiese, monasteri, istituzioni varie, città e singole per-
sone; precede ad ogni titolo o gruppo l'elenco delle pubblicazioni
che servirono per il lavoro, e questo elenco é cosi ricco ed accu-
rato, da formare una vera bibliografia dell'argomento; segue poi un
sommario storico della chiesa o del monastero, ecc., per modo che
236 NOTIZIE
lo studioso ha in un (juadro storico il regesto o i regesti di ogni
gruppo; tengono dietro le notizie archivistiche coir elenco generale
delle fonti manoscritte, e in questo lavoro è raccolto il frutto delle
ampie e lunghe ricerche fatte negli archivi e nelle biblioteche; in
ultimo sono dati i regesti con indicazione sommaria delle singole
fonti manoscritte e delle edizioni. Si tiene conto anche dei nume-
rosi documenti di cui non ci è pervenuto il testo, ma soltanto un
estratto, o anche solo notizia in conferme posteriori, in documenti
e atti varii, in cataloghi o spogli d'archivio, in pubblicazioni.
Il lavoro del K., pur completando l'opera del Jaffé, sta a sé e
l)uò dirsi del tutto nuovo. Coi Refjesta del Jaffé ha di comune ben
poco più del soggetto e del titolo; diverso è il metodo seguito,
vario il materiale e quale il Jaffé non pensò certo di poter ac-
cogliere nella sua opera; il K. pone a base de' suoi regesti le fonti
dirette e sicure, originali e copie, già in gran parte vagliate, sicché
il suo è un regesto critico. Inoltre i Jlegesti del K. si scostano dal
tipo finora seguito in pubblicazioni simili, non solo per la distri-
buzione dei singoli regesti secondo i destinatari, anziché in ordine
cronologico per pontefice o sovrano, m^ ben anche per la raccolta
di materiale vario e disparato, che alcuni potranno forse trovare
superfluo o non a suo posto in una pubblicazione di regesti. Dal me-
todo seguito deriva all'opera del K. una importanza tutta partico-
lare per la storia regionale. Questa nuova opera, poderosa davveVo,
non soltanto contiene regesti, ma é una miniera di notizie storiche,
bibliografiche e archivistiche, raccolte ed esposte con metodo esem-
plare ; potrebbe intitolarsi Orbis christìamis. L. S.
— A. Hessel und H. Wibel, A'm Turiner Urkundenfdhcher clef<
11. Jahrhnndertf^. (Sonder-Abdruck aus dem Neuen Archir der Ge-
sellschaft f'ilr altere deiitsche Gescliichtsl;unde, 1906, pp. 321-376). —
Gli AA. prendono in esame quattro diplomi, due dell'imperatore Cor-
rado II (1038 marzo 15 per il vescovato di Torino, Stumpf Reg. 2119
e 1038 marzo 16 per il vescovato di Modena, Stumpf Reg. 2120) e
due dell'imperatore P^nrico III (1041 aprile 5 per il vescovato di
Bergamo, Stumpf Reg. 2208 e 1047 (?) marzo 15 per i monasteri di
S. Salvatore di Tolla, nel vescovato di Piacenza, e di S. Costanzo
(Villar S. Costanzo) nella diocesi di Torino, Stumpf Reg. 2315). I
tre ultimi ci giunsero in originale, il primo soltanto in copia. In
base ai loro caratteri intrinseci ed estrinseci risulta ch'essi furono
composti e scritti dalla medesima persona. Gli AA. dopo un'accu-
ratissima analisi giungono alla conclusione che sono tutti e quattro
falsi, e identificano la persona del falsificatore nel prete torinese
Adamo.
NOTIZIE 237
L'importanza di questo lavoro è notevole, non tanto per la di-
mostrata specifica falsità dei quattro diplomi, quanto per le conse-
j»uenze generali, interessanti la diplomatica, che ne derivano. Viene
infatti ad ammettersi la possibilità di eccezioni alla regola recen-
temente formulata dal Bresslau, secondo la quale quando due o più
diplomi originali dello stesso autore per diversi destinatari sieno
scritti dalla stessa mano, debbono ritenersi autentici.
(;. C. B.
— H. JSiMONSFELD, Uì'kunden Friedrich Rotbarts in Italien {Sit-
zungshricìite der philos.-philol. iind der histor. Klasse der kgl. Bayer.
Akademie der Wissenschaften, 1905, Heft V). — Weitere Urlcunden
Friedrich Rotbarts in Italien (ibidem, 1906, Heft III). - Sono rendi-
conti di ricerche fatte negli archivi e nelle biblioteche di città del-
l' Italia settentrionale e di Toscana, coll'intento di prendere in esame
diretto originali e copie dei diplomi di Federico I e poter giudicare
con cognizione della loro autenticità o falsità, non a fine di prepa-
rare un' edizione di questi diplomi ne per uno studio diplomatico,
ma per la storia di Federico I, che il prof. Simonsfeld pubblicherà
nei Jahrbiicher der deiitschen Geschichte. Per quanto cosi determinato
lo scopo della ricerca, tuttavia le notizie che egli offre, colle va-
rianti principali dei testi collazionati, portano un contributo alla
futura edizione dei diplomi nei Mon. Germ. hist., e per certi archivi
V per alcune provenienze completano i rendiconti anteriori ; presen-
tano quindi un interesse generale, e possono giovare anche allo
studioso dei diplomi e della storia di Federico 1. In appendice l'A.
illustra e pubblica alcuni nuovi documenti, notevoli per la storia
(li (ifMiovn. di Imola, di ^Milano e di Pavia nel XII secolo.
L. S.
— Già noto favorevolmente anche ai lettori di questo Perio-
dico, il dott. Dino Muratore ha accresciuto le sue benemerenze
verso gli studi storici colla pubblicazione di un notevole lavoro
sopra Una principessa sabauda sul trono di Bisanzio : Giovanna
di Savoia, imperatrice Anna Paleologitia (Chambéry, Imprimerle
generale savoisienne, 1906; 8^ pp. 254, con 1 tav. geneal.). Le pa-
zienti ed accurate indagini da lui istituite negfi Archivi di Stato
torinesi e segnatamente in quelli Camerali, la conoscenza, se non
perfetta, abbastanza larga, delle fonti della storia bizantina, la cri-
tica sapiente delle narrazioni di Giovanni Cantacuzeno, di Niceforo
Gregòra e dell'opera del Parisot sul primo dei due, gli hanno som-
ministrato la materia di questo diligentissimo studio; nel quale ha
ritessuto la vita della forte e disgraziata figlia di Amedeo V, conte
di Savoia, dalla nascita (1306) e dai placidi e fortunati anni tra-
238 NOTIZIE
scorsi alla Corte del fratello Edoardo, alle nozze di lei (1325-26)
con Andronico III Paleologo, associato all' Impero del nonno An-
dronico II e (quindi imperatore (1332-1341), alla reggenza dolorosa
che tenne pel figlio Giovanni, durante la quale le lotte intestine,
l'ambizione dei ministri e l'usurpazione di Giovanni Cantacuzeno
la posero più volte al rischio di perdere il trono ed ogni bene,
che pure seppe difendere contro la mala fede che la circondava.
Quando suo figlio, Giovanni V, trionfò dell' usurpatore e degli
-ambiziosi, che lo insidiavano, e fu in grado di respingere l'altrui
ofi'ese e di regnare, ella, afl:'ranta dall' angoscie sofferte, chiuse pla-
cidamente gli occhi (1359), che mai non rimirarono le scene di san-
gue, di crudeltà e di perfidia, che l'animosità del Parisot volle af-
fibbiarle. Questa verità vien dimostrata dal Muratore; il quale, nella
scarsità degli studiosi di storia bizantina ha saputo compiere (a parte
alcune inesattezze) opera lodevole ed onorevole per la scuola ita-
liana. E. C.
— Henry Charles Lea, A history of the Inquisition of Spaìn, in
four volumes. — New Jork - London, Macmillan, 1906. - L'autore,
ormai celebre, della storia dell'Inquisizione nel Medio Evo, pubblica
un nuovo e poderoso lavoro, nel quale entra in pieno evo moderno.
Poiché l'inquisizione nella Spagna si stabilisce e si rassoda quando
in gran parte d' Europa era sul declinare, vale a dire nel mezzo
del secolo XV. Le ragioni di questo fatto strano, che nel fervore
della rinascenza sorga un tribunale, i cui metodi e le cui pene sono
più atroci delle medioevali, l'autore cerca di scoprire. Ed in base
ad un ricchissimo materiale, in gran parte inedito, scrive un' opera
che, per arditezza e vastità di disegno e per scrupolosità d' indu-
zioni, non la cede alla precedente. Finora non sono pubblicati se
non tre volumi; aspettiamo con viva impazienza il quarto per par-
lare diifusamente e come si conviene dell'opera intera. Alla storia
dell'inquisizione Spagnola aveva già accennato l'illustre storico in
due precedenti lavori : Capitoli della storia religiosa di Spagna ;
I Moriscos di Spagna^ loro conversione ed espulsione. Ora entra nel
vivo dell'argomento, e nessun angolo, per riposto che sia, ne lascia
inesplorato. F. T.
— Pierre Champion, Cronique Martiniane, Paris, Honoré Cham-
pion, 1907 ; 8^, pp. LXXix-126. — Fra le cronache universali che più
ebbero voga nel medio evo occupa uno dei primi posti la com-
pilazione di Martino di Troppau. Il suo ristretto nucleo primitivo
fu ben tosto ampliato e le continuazioni vi si moltiplicarono attorno.
Verso il 1503 Antonio Vérard ne pubblicò col nome di Cronique
Martiniane una traduzione francese in due volumi. Il primo di
NOTIZIE 239
questi contiene intatti la Cronaca di Martino di Troppau nella ver-
sione di Sebastiano Mamerot. Il secondo invece usurpa il titolo di
3[a)'tiniane. non essendo che una raccolta di brani relativi quasi
tutti alla storia di Francia, scritti con ogni probabilità originaria-
mente in francese. Fra essi trovasi un racconto del regno di Carlo VII
sotto forma di interpolazione delle cronache di Monstrelet e di Char-
tier, redatto evidentemente nell'interesse della casa di Chabannes.
È questa interpolazione che il Champion dà oggi alla luce, attri-
buendola a Jean Le Clerc, e corredandone il testo di abbondanti
note e di un'ampia e lucida introduzione. Il racconto del Le Clerc
non solo ha grande importanza per la conoscenza del sec. XV in
Francia, ma interessa altresì la storia di Casa Savoia sotto il ducato
di Ludovico. Per questa pubblicazione non va quindi risparmiata
la lode al giovane A., già conosciuto per i suoi studi su Guillaume
de Flavy, contributo preziosissimo alla storia di Giovanna d'Arco.
La Cronique Martiniane forma il secondo volume della Bibltothèque
du XV' siede; e all'intrinseco valore dell'opera accresce pregio
l'eleganza dell'edizione, dovuta alle cure del padre dell'A., il noto
editore parigino, cui il lavoro è dedicato. G. C. B.
— P. Ferdinand-Marie D'Araules, Vie de saint Bernardin de
Sienne. Texte latin inédit du XV siede. Rome, 1906. — Questa bio-
grafia inedita di S. Bernardino è trascritta in un cod. miscellaneo
del sec. XV, esistente nella biblioteca nazionale di Parigi. Le altre
scritture contenute nel libro, descritte e brevemente illustrate dal
nostro A., si attengono tutte a questioni, che agitavano l'animo dei
frati minori, specialmente di quelli dell'Osservanza, verso la fine
del sec. XV. Si può perciò supporre che il ms. fosse un manuale di
qualche francescano.
La vita è opera anonima di un frate contemporaneo ed amico
di Bernardino, probabilmente di famiglia senese. Fra gli episodi più
interessanti il D'Araules menziona il noviziato di S. Bernardino a
Fiesole, la predicazione di Bergamo, l'incontro coi Viterbesi, l'ab-
boccamento con Martino V, l' inchiesta del duca di Milano, l'origine
del santuario della Madonna delle Grazie ad Arezzo, la conversione
di due usurai. In confronto delle altre biografie del santo, questa
è storicamente più esatta, e contiene la narrazione di fatti impor-
tantissimi, cui gli altri storici appena accennano o non conoscono.
Uno di questi è il cominciaraento dell'Osservanza francescana, della
quale Bernardino fu Vicario generale. Hanno grande valore il rac-
conto del soggiorno, affatto sconosciuto, del santo frate a Bergamo,
e le vicende della lunga e dolorosa lotta che S. Bernardino dovette
affrontare per la causa del S. Nome di Gesù. L'adorazione del tri-
240 NOTIZIE
gamma di Gesù, da lui predicata alle moltitudini, gli procurò la
taccia di ignorante, idolatra ed eretico. Tanto fu l'accanimento dei
suoi denunciatori, che chiesero persino fosse condannato alla pena
del rogo. Chiamato a comparire a Roma, obbedì : ma per sua for-
tuna Martino V lo ammise in sua presenza ; e udite le difese del
frate, lo scagionò d'ogni colpa, anzi ne ammirò la salda fede. Eu-
genio IV annullò un nuovo processo, imbastito a sua insaputa contro
Bernardino. Ma i suoi nemici non si dettero per vinti, e lo accusa-
rono dinanzi ai Padri, raccolti a concilio in Basilea. Questi intima-
rono a Filippo Maria Visconti l'atto di comparizione, lanciato contro
Bernardino, che era allora negli stati viscontei. Il duca di Milano
riconobbe la innocenza del frate e ne prese apertamente le difese.
Il biografo, dopo aver parlato dello sventato intrigo di Basilea,
tace del seguito degli avvenimenti. È però noto che gli oppositori
del santo, per la questione della devozione del nome di Gesù, con-
tinuarono a combatterlo, non solo iìnchè visse, ma anche dopo la sua
morte, tentando di impedirne la canonizzazione. P. S.
— Il fondo gesuitico della Vittorio Emanuele di Roma contiene
poche carte che abbiano qualche interesse storico: tuttavia il loro
numero non è cosi scarso da rendere superflua la fatica di esaminarle.
Ben dimostra questa verità il sig. Giokgio Bourgin (Inventaire ana-
lytique et extraits des maniiscrits du Fondo gesuitico de la Biblioteca
nazionale Vittorio Emanuele de Home concernant Vìiistoire de France
(XVP-XIX« siede). Paris, Champoin, 1906; 8", pp. 77); il quale ne
indica ed estrae tutto quanto si riferisce alla storia di Francia
in senso lato. Parecchie sono le citazioni relative al giansenismo,
alla soppressione dei Gesuiti, ai frammassoni, al clero francese del
XVIII secolo, al principe Eugenio di Savoia, alle relazioni della
S. Sede colla Francia dal 1793 in poi, ec. Onde può dirsi interes-
sante anche per la storia italiana la consultazione di questo inven-
tario ; nel quale però avremmo desiderato più accurata la trascri-
zione di tutti i brani riportati in lingua nostra. E. C.
— Gino Bandixi, Carboneria e Gueìfìsmo nei costituti dei Car-
bonari del Polesine (estratto dalla Bivista d'Italia, fascicolo di set-
tembre 1906). Il processo contro i Carbonari del Polesine, che dopo
il diligente studio dì A. Luzio è ben noto in tutte le sue fasi, si
fonda principalmente sulle deposizioni di quattro degli accusati :
Antonio Villa, Felice Foresti, Costantino Munari e Antonio Solerà.
Nei loro costituti, ora nuovamente esaminati, si trovano le più
importanti notizie sulle società segrete.
Il Munari ed il Foresti, assolutamente spregevoli, fanno tali e
tante rivelazioni, che rendono chiaramente delineate la trasforma-
NOTIZIE 241
zioiie della Carboneria nel Guelfismo e la tentata e poi abbando-
nata riforma che è conosciuta col nome di Latinismo.
I costituti del Solerà sono degni di nota, specialmente per la
luce che recano sul progetto di Federazione ideato da lui, e intorno
al quale ha dato ampie notizie il padre Rinieri, che ritenne note-
vole per la filosofia della storia quel progetto, in cui al Pontefice
si dava la presidenza di una. Federazione di Stati italiani.
Merita poi di essere rilevato che, mentre il Cantù asserisce che
l'azione dei Carbonari m/raz;a solo alla indipendenza non alVunità
o repuhhUcana o regia, dai costituti resulta chiaramente che si vo-
leva non soltanto indipendenza, ma anche unità, e che esistevano
già ben distinte la tendenza federativa di fronte a quella unitaria,
e la democratica di fronte a quella aristocratica. E. M.
— Brevi ed efficaci parole, rese simpatiche da un dolce ricordo
domestico, disse il prof. Giorgio Bolognini (il 14 maggio 1905) Per
il LVII anniversario della battaglia di Santa ii<cm (Verona, Fran-
chini, 1906, pp. 9) davanti al monumento dei caduti in quella bat-
taglia. Con ottimo intendimento il Bolognini non ripetè i particolari
della memoranda giornata, ma preferì insistere sul ravvivarsi della
fiamma del patriottismo, che al soffio della critica storica si è come
purificata. Ora non. più le iperboli generose degli uni, ne l'opera
demolitrice degli altri, per la quale la storia del Risorgimento ap-
pariva tutto un tessuto di errori, ma indagini più serene e più
equi giudizi.
Ci piace di riconoscere che in queste idee e' è molto di vero :-
ma d'altra parte dobbiam rilevare che ancora troppo pochi sono i
libri e le pubblicazioni che trattino scientificamente, con rigore di
metodo e con profondità di ricerche, la nostra storia più recente e
più cara all'animo di ogni italiano. F. B.
— Ferdinando Gregorovius, Passeggiate per V Italia. Versione
dal tedesco. - Roma, Carboni, 1906; 8", pp. vi-363. — Ferdinando
Gregorovius fu uno dei tanti stranieri che provarono vivo il fascino
delle bellezze naturali e delle memorie storiche del nostro paese.
Egli trascorse in tempi diversi una buona parte dell'Italia cen-
trale, dai monti Volsci agli Ernici, da Subiaco alle sponde del Liri,
da Bracciano al Circeo, e raccolse in diverse relazioni il frutto delle
sue peregrinazioni e dei suoi studi nelle varie terre e città ... Wander-
jahre in Italien, come suona il titolo della edizione tedesca, ma
anche vere Passeggiate per V Italia, come dice il titolo della recente
edizione italiana, finalmente comparsa a sostituire la primitiva e
monca raccolta del senatore Cossilla.
Arch. 8tor. It.. Serie .5.». — XXXIX. 1(3
242 NOTIZIE
Il Gregorovius viaggiando non muta la sua natura di storico;
anche in un'opera di personali impressioni non si spoglia del suo
abito di ricercatore e ricostruttore di epoche trascorse: e in queste
pagine, infatti, è tutto il Gregorovius della Storia di Roma nel Medio
Evo ; è il Gregorovius che fruga tra le rovine e tra i vecchi mano-
scritti. Ma non per questo la sua narrazione è seria e pesante : che
anzi spesso egli si lascia commuovere dalle maravigliose visioni,
che si presentano ai suoi occhi e alla sua mente, e si abbandona
volentieri a vivaci riflessioni e a descrizioni dolcemente poetiche.
Cosi quando descrive le infiorate rovine di Ninfa, e quando trat-
teggia mirabilmente le selvagge solitudini dei monti Ernici e Yolsci
e il pauroso squallore di Astura dinanzi al limpido Tirreno.
Qua e là poi il Gregorovius, sempre franco e liberale, si mostra
sincerò amico der nostro paese, nutre la più viva ammirazione per
Garibaldi, il nostro « eroe popolare » (p. 290), e riconosce agli ita-
liani il diritto di conquistare la propria indipendenza (p. 335).
E. M.
— Intorno a I nuovi orizzonti del Foick-ìore (Estr. dalla Rivista
di Psicologia, anno II, n. 4, Bologna, 1906, pp. 31) Dino Peovenzal
discorre con acutezza di indagine e novità di osservazioni. Eilevato
dapprima il rapido progredire degli studi folck-loristici tra noi, il
P. osserva che fino ad oggi al popolo della città è stata preferita
dagli studiosi la gente di campagna : se si faccia eccezione di un
solo ramo tra i vari e molteplici che ofì"re lo studio di questo po-
polo cittadino, quello cioè offerto dai delinquenti, pochissimo di
quanto riguarda il folck-lore delle città è stato oggetto di indagine
« e quel poco è stato scelto fra i costumi e le tradizioni dell'ele-
« mento infimo della popolazione, il quale per natura sua ha molta
« affinità col volgo campagnuolo ». Eppure vi è tutta un'altra folla
di persone, che non è analfabeta, che legge, e scrive talvolta, e ac-
coglie, sempre a modo suo, i concetti e le parole del tempo in cui
vive, senza tuttavia modificare se non lievemente le idee e i pre-
giudizi del suo patrimonio tradizionale ; e le nuove teoriche, gli
ultimi ritrovati della scienza, gli avvenimenti quotidiani apprende
senza essere abbastanza preparata ad accoglierli, sicché le si accal-
cano nella mente e vi si confondono e vi si sovrappongono, in sin-
golare miscela, ai pregiudizi e alle credenze antiche. Questo feno-
meno dato dall'urbanismo bisogna studiare, fidenti di comprendere
per esso e con esso la coscienza collettiva di tutto un popolo. Anche
gli studi storici — osserva molto giustamente il Provenzal — trar-
ranno incremento da queste indagini : « noi non troveremo certa-
« mente fra la gente vissuta per generazioni e generazioni in città
NOTIZIE 243
« quelle tradizioni vetustissime che formano la delizia dei folk-lo-
« risti, ma scopriremo in compenso una memoria assai più lucida
« deirli avvenimenti storici non molto antichi e ci sana nota una
« suppellettile di leggende, alle quali la storia ha fornito il cane-
« vaccio e la fantasia ha donato, in maggiore o minor misura, i
« fili e il colore ». E per di più, osservando la vita, il linguaggio,
i costumi della semi-plebe cittadina (cosi la chiama l'A., pur non na-
scondendosi la inesattezza della espressione) « prepareremo un anello
« della catena che gli storici futuri continueranno a intrecciare ».
Detto cosi delle nuove vie, alle quali può aprirsi il folk-lore,
il P. parla di quelli, che, secondo lui, dovrebbero essere i princi-
pali elementi della ricerca. Che cosa legge tutta questa gente? E
che cos^ leggeva venti o trenta anni addietro ? Quali sono le ra-
gioni per cui i gusti sono mutati ? Le recenti conquiste della scienza
come sono apprese e assimilate e modificate dalla gran massa del
pubblico? E qual'è il senso storico della semi-plebe, il modo cioè
con cui essa intende e considera i fenomeni storici? «In città....
« gli autori dei rivolgimenti d'ogni genere hanno vissuto e dormono
«oggi l'ultimo sonno: in città i monumenti d'arte, i nomi delle
« strade, le numerose epigrafi tengono vivo il ricordo del passato.
« E la marea delle cozzanti vite che passa all'ombra dei monumenti
« secolari ha conservato, a suo modo, le tradizioni storiche ». Per
gli avvenimenti remoti i ricordi sono più rari e più vaghi ; più
numerose e più vive le memorie recenti, ma alterate cosi come non
è facile immaginare : più numerosi ancora e derivati sempre dalla
imperfetta conoscenza della storia, i pregiudizi intorno al movi-
mento politico e sociale contemporaneo.
Altri elementi indispensabili di ricerca sono: il patrimonio
novellistico, ricchissimo tra la semi-plebe, e il gergo, in quanto è
« patrimonio di un'intera classe di persone e più e meglio dei vo-
« caboli tecnici scolpisce la fisonomia di questa classe » (marinai,
soldati, sartine ec).
L'opuscolo del Provenzal dovrebbe esser letto anche dai cultori
di storia, ai quali non può sfuggire l'opportunità di raccogliere pa-
gine della vita contemporanea, che saranno documenti storici di
straordinario valore. F. B.
Storia Regionale.
Toscana. — Q. Sàntoli, « Il Liber Censuum » del Comune di Pi-
stoia. Regesti di documenti inediti sulla storia della Toscana nei sec. XI-
XIV. - Fascicolo I (dal 1097 al 1224), Pistoia 1906. - Non è il caso
di segnalare l' importanza di ([uesta pubblicazione intrapresa dalla
244 NOTIZIE
Società Pistoiese di Storia patria; il 1" fascicolo fa desiderare che
la continuazione sia sollecita, che presto sia dato allo studioso dì
poter consultar l'opera intiera. Il dr. Sàntoli si è accinto al lavoro
con grande amore e diligenza, e in questo Archivio (serie V, XXXVI)
pubblicò un breve studio preparatorio per l'edizione dei regesti del
Liber Censuum. Questo 1" fascicolo non è preceduto da alcuna av-
vertenza che rischiari il lettore sul metodo seguito. Il regesto ap-
pare alle volte troppo lungo e affaticato : ricorrono vocaboli e for-
mule per un regesto talora superflue; non sempre l'uso delle virgolette
sembra opportuno. Ma, poiché i regesti possono essere compilati con
metodi e intenti vari, queste osservazioni nulla tolgono alla bontà
e tanto meno all'utilità del lavoro. L. S.
— Conte Antonio Mastai-Ferretti, I fatti e le persone piìt
illustri della famiglia Falconieri. Roma, Tip. Coop. Operaia Eomana,
1906; 8°, pp. 24. — La famiglia Falconieri trasse origine da Fiesole
Falconiera proles
A Fesulis deduxit avos antiqua propago.
Si trapiantò nel secolo XII in Firenze; più tardi un ramo passò
a Roma e in Sicilia, un altro, di parte guelfa, rimase in Firenze e
si estinse nel 1812 colla morte dei due fratelli Francesco e Roberto
Falconieri, che perirono miseramente nella sciagurata campagna na-
poleonica nella Russia.
I più illustri personaggi di questa nobile famiglia sono : Chia-
rissimo, rimasto celebre per aver fatto costruire a sue spese in Fi-
renze la Chiesa della SS. Annunziata, Cambio, figlio di Guido, che
nel 1354, come uno degli Anziani, prese parte alla conclusione della
lega fra Firenze e i Guelfi di Arezzo, Paolo, figlio di Francesco, che
nel 1498 sali alla carica suprema del gonfalonierato.
La famiglia Falconieri ebbe anche tre cardinali illustri e due
santi insigni: S. Alessio e S. Giuliana, fondatori dei Servi di Maria.
E. M.
Liguria. — Ambrogio Pesce, Un episodio del costume in Genova.
Il ratto d'una fanciulla (1451). Genova, Carlini, 1906. — La fanciulla
rapita, o lasciatasi rapire, era la figlia di Nicolò di Negro; il rapitore
Martinetto Fregoso, cugino del doge Pietro Fregoso, il quale, ad
impedire che l'offesa privata riaccendesse le lotte intestine, avrebbe
accomodato volentieri la faccenda con un matrimonio. Ma Martinetto
non volle saperne, e noi ignoriamo come terminasse l'aifare, giacche
i tre documenti, che l'A. pubblica in appendice, non ce lo dicono.
F. L.
NOTIZIE 245
L()Mi5AKDiA. — Un lavoro, che non serve soltanto come guida al
forestiere, ma può essere consultato con profitto da ogni persona colta,
t' la Carta topografica di Milano e dintorni, con Profilo storico delle
età preromana, romana, medievale e moderna, edita da Giuseppe
Crivellari, dell'Istituto geografico militare, già ben noto per con-
simili pubblicazioni.
La Carta è stata costruita alla scala da 1 a 15000, e ridotta
in fotozincografia alla scala di 1 a 18000. Il disegno, riprodotto
nitidamente in molteplici colori, mostra a colpo d'occhio le varie
cerchie della città e i successivi ingrandimenti dai tempi remoti
ai nostri giorni.
Quanto ai dintorni, si ha il circuito compreso fra l'Ippodromo
di S. Siro ad 0., Salvanesco e Chiaravalle al S., Rogoredo e Lam-
brase ad E., Gorla, Segnano e Villapizzone al N. Tanto nella città
(|uanto nel contado risaltano benissimo i monumenti antichi e mo-
derni, che sono descritti ad uno ad uno nelle varie epoche. L'A. ha
consultato un numero considerevole di carte, rilievi e piante, ma-
noscritte Q a stampa, del tempo che corre dalla seconda metà del
!>ec. XVI fino ad oggi ; e dal confronto di tutte ha ricavato la pla-
nimetria. Le mappe, rilevate dal 1720 in poi, gli hanno servito per
comporre la toponomastica. È doveroso avvertire che nella parte
storica sono incorse alcune mende, derivate principalmente dalla
fretta con cui l'opuscolo è stato composto, volendo l'A. farne coin-
cidere la pubblicazione con l'apertura della Esposizione milanese.
La lontananza da Milano ha impedito al Crivellari di fare gli ul-
timi riscontri e di correggere alcune sviste od errori; ne per la
stessa ragione ha potuto curare con esattezza la revisione delle
bozze di stampa. Ma sono sicuro che l'egregio A., in una ristampa
del libretto, che gli auguro prossima, vorrà tener conto di tutte le
osservazioni e correzioni, che gli eruditi cultori della storia mila-
nese si compiaceranno di fargli e suggerirgli. P. S.
Veneto. — Interessantissimo l'argomento di uno studio di B. Pit-
ZORNO, pubblicato nel Nuovo Archivio Veneto (Nuova serie, Voi. XI,
p. I, estr. Venezia, Fontana, 1906) sui Consoli Veneziani di Sardegna
e di Maiorca : diramazione, per così dire, di un soggetto d' impor-
tanza capitale già studiato dal Belgrano, dal Manfroni, dal Salles,
dal Morel e dallo Schaube : le istituzioni consolari medioevali.
Nella sua « Proxénie au moyen-dge » lo Schaube distinse i « con-
sules missi » i « consules electi » e i « consules hospites », i quali
ultimi, sudditi dello Stato straniero in cui s'insediavano mercanti
da essi protetti, si avvicinavano giuridicamente oltre che formal-
mente ai prosseni dell'antichità classica. A quest'ultima categoria
246 NOTIZIE
sembrano meglio riferirsi i consoli veneti in terre catalane, dei
quali appunto si occupa ora il P. Le funzioni del console veneto
in Cagliari ricevono lume dalle notizie raccolte intorno al Conso-
lato di Venezia in Maiorca; e la istituzione del consolato veneto
in Sardegna sembra a sua volta accennare maggiore di quel che
finora si sia creduto il concorso e l'importanza degli elementi Ve-
neti nella storia della Sardegna. A. A. B,
Emilia. — Il dr. Giulio Jung, professore di storia antica nel-
l'Università imperiale tedesca di Praga, stampò nel voi. XX delle
Mittheilungen des Institnts filr òsterreichische Geschichtsforschiing
l'interessante scritto : Bobbio, Veleia e Bardi, escursione topografica
e storica. Questo scritto è stato voltato in italiano dal generale
Antonio Boselli ed inserito a pp. 57-91 del voi. IV, nuova serie,
(\q\V Archivio storico per le Provincie Parmensi, che si pubblica a cura
di quella R. Deputazione di Storia Patria. G. S.
Napoli. — Il dr. Fausto Nicolini raccoglie in un volume in-
teressanti studi su quella parte di Napoli che dalla Porta reale
giunge fino al Palazzo degli studi {Memorie storiche di strade e
edifici di Napoli dalla Porta reale al Palazzo degli studi. — Na-
poli, R. Ricciardi, 1907 ; 16^ pp. vi-172). Non si contenta però di
chiarire la parte topografica di quel rione, ma si ferma a narrare la
storia di ogni largo, di ogni chiesa, di ogni palazzo o costruzione
che veda sorgere in quel tratto della città, e ad illustrarla ancora
col ricordo degli avvenimenti, degli aneddoti che vi ebbero luogo.
Comincia collo spiegare che cosa fosse il Limpiano, sul quale si
svolse poi una buona parte della via Toledo, e si estendeva dal-
l'attuale Piazza Dante almeno fino ad Antignano. Ricorda quindi
la costruzione della Porta Reale per opera di don Pietro di Toledo:
illustra il largo del Mercatello, oggi Piazza Dante, la chiesa di
S. Michele, Port'Alba ; le chiese e conventi di S. Domenico Soriano,
di Caravaggio, dell'Avvocata, le Fosse del Grano, il Teatro Bellini,
la Galleria Principe di Napoli, la chiesa e convento di S. Potito,
quella di S. Giovanni de' Nudi, ec. E. C.
Puglie. — H. Niese, Normannische und staufische Urkunden ans
Apulien. Erster Teil. ( Quellen und Forschungen aus italianischen Ar-
chiven und Bibliothelcen, IX, Heft 2). Roma, 1906. — Il dr. Niese, che
nell'autunno del 1905 lavorò negli archivi di Puglia per la raccolta,
intrapresa dal R. Istituto storico Prussiano in Roma, dei Diplomi dei
re Normanni-Svevi, inizia ora la pubblicazione del materiale inedito, o
che si può considerar tale, da lui rintracciato. In questa prima parte
presenta il frutto delle ricerche negli archivi dì Troia e di Foggia.
NOTIZIE 247
cioè nove docunienti nuovi; vi aggiunge due documenti di Fede-
rico II ricavati da una pergamena, di cui ebbe riproduzione foto-
grafica, presso l'archivio civico di Altamura. Precede al testo un'ampia
e buona illustrazione. L. S.
Sardegna. — Rannodando con geniale evocazione alla storia delle
antiche corporazioni d'arti e mestieri della Sardegna i fatti della So-
cietà Operaia di Cagliari per il 50" anniversario della fondazione di
questo più evoluto e moderno sodalizio, Silvio Lippi (Cagliari, Tip.
Unione Sarda, 1906) ha raccolto brevi e preziose notizie sugli Statuti
delle Corporazioni artigiane sarde, alcuni de' quali rimasero in vigore
sino alla legge generale di soppressione del 29 maggio 1864. Gli
scopi, i sistemi d'amministrazione e di reclutamento di queste as-
sociazioni operaie, che in Sardegna ebber nome di gremi, sono per
lo più simili a quelli delle istituzioni congeneri che fiorirono in
tutta Italia nel medio evo ; ma le peculiarità caratteristiche che vi
si rilevano, in confronto degli altri che vigevano nel continente, e
la redazione di alcuni di essi nell'antico dialetto isolano, rendono
assai interessante la lettura di quei testi statutari die il L. ha
pubblicato, e che appartengono ai gremì de' Muratori (147o), dei Bar-
caiuoli (1547), degli Argentari ed Orefici (16B1), dei Conciatori (1673),
dei Falegnami (1676) e dei Pescatori (1747).
Se, come l'A. si augura, l'esempio egregiamente da lui dato
fosse seguito e potesse aversi un'edizione critica e ben condotta al
pari di cfuesta (che lascia solo a desiderare per la esattezza tipo-
grafica) di tutti gli statuti delle maestranze sarde, ne resulterebbe
un notevole vantaggio agli studi storico-sociali dell'isola, e ne sa-
rebbe di molto agevolata la compilazione di una storia artigiana che
ci riveli la vita operaia de' secoli scorsi ne' riguardi economici e ci-
vili, ed anche in quelli politici, poiché le maestranze sarde, siccome
associazioni politiche riconosciute, raccoglievano e coordinavano le
moltitudini, ed avevano considerevole parte negli avvenimenti.
G. D. A.
Storia giuridica.
— Nei Rendiconti del R. Ist. Lombardo di Scienze e Lettere, ser. II,
voi. XXXIX, 1906, è una monografia del prof. Del Giudice, Sulla
questione della unità o dualità del diritto in Italia sotto la domi-
nazione ostrogota. L'A., prendendo come punto di partenza il noto
lavoro dell' Halban {Das ròmische Rechi in den gerrnanischen Vollìs-
staaten, Breslau, 1899), cerca di determinare i limiti, entro i quali
deve accettarsi l'opinione intermedia tra quella che ammette l'unità
del diritto, cioè l'assoluto ed esclusivo dominio della legge romana
248 NOTIZIE
anche sui Goti, e l'.altra che ne sostiene la dualità, meno che sulle
materie contenute negli editti regi, i quali avevan piena autorità sui
vincitori e sui vinti. Nella general tendenza iniziata da Teodorico
ad assicurare al romanesimo un incontrastato potere, il diritto na-
zionale barbarico si applicò ancora in alcuni rapporti privati fra
Goti, specialmente in quelli non controversi, ma non per intenzione
che ne avessero avuto Teodorico ed i suoi successori, bensì per ne-
cessità di fatti e di tradizioni, che ancora si opponevano alla per-
fetta unificazione del diritto, la quale fu sempre, e il Del Giudice
lo dimostra assai chiaramente, l'ultimo ed il solo scopo della legis-
lazione dei re Goti in Italia. Q. Se.
— L' ellenismo nei documenti napolitani del medio evo è argo-
mento di una nota, che il prof. N. Tamassia ha pubblicato negli Atti
del Beale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, 1906-7, to. LXIV,
par. 2^ L'A. ha voluto rimettere in onore la dottrina che considera
l'ellenismo medievale del mezzogiorno d'Italia un pallido riflesso
dell'antichissima civiltà greca, piuttosto che un effetto della più
recente conquista bizantina; egli limita il suo studio ai documenti
paternopei, fermandosi particolarmente sopra alcune parole di ori-
gine greca che in essi s'incontrano e che hanno particolare atti-
nenza col diritto; e sostiene validamente l'opinione che lo speciale
linguaggio curialistico non tragga la sua origine dai rapporti col-
r impero orientale e dal dominio bizantino, il quale d'altra parte
non si affermò mai su Napoli con un eccessivo potere assorbente,
ma sia una vera sopravvivenza dell'ellenismo antico, che forse sol-
tanto in quelle formule tradizionali si mantenne attraverso i secoli.
Q. Se.
— Il prof. A. Solmi ha recentemente esposto in una nota uscita
negli Studi in onore di C. Fadda alcune notizie Sulla carta de logu
cagliaritana (Napoli, 1905), ch'egli ha tratto da documenti sardi ine-
diti, interessanti perchè danno nuova luce sopra il breve pisano dei
vicarii regni Kallari, il quale dopo la conquista aragonese restò
ancora in vigore come legge territoriale, carta de logu, riconosciuta
dal nuovo governo, essendo quella che meglio rispondeva ai bisogni
delle popolazioni rurali, che non avevano una costituzione propria.
La carta de logu cagliaritana è andata perduta, principalmente
perchè, redatta in latino, non potè reggere contro la fortuna che
in Sardegna ebbe nel secolo XV quella di Arborea; e, se di questa
non può dirsi con sicurezza la fonte, mancando il testo, certo ha
con essa, almeno nella parte indirettamente conosciuta, tanti punti
di contatto, che l'A. è tratto a pensare che ambe<lue siano un pro-
dotto della legislazione pisana in Sardegna. Q. Se.
NOTIZIE 249.
— Ottimi contributi e graditissimi sempre agli studiosi di storia
giuridica e di diplomatica son quelli che intendono a gettar luce
sulla non ancor ben conosciuta materia del documento e del notariato
italiano nell'epoca medievale. Tale è il breve studio di Melchiorre
Roberti intorno ai frnmmenti di un formulario notarile del principio
del sec. XIV appartenuto alla Curia del Vescovo di Padova (Padova,
Randi, 1906).
Il tenue manoscritto consta di due frammenti : il primo contiene
sei formule complete di documenti giuridici con una brevissima
notula doctrinalis; il secondo porta invece formule di documenti di
carattere letterario; taluno di questi si riferisce all'Università pa-
dovana, ed uno ricorda il famoso consultore della Repubblica veneta,
Riccardo Malombra, già dottamente illustrato da Enrico Besta.
È da deplorare che del prezioso codice ci sien rimasti cosi
scarsi frammenti, perchè la conoscenza del testo intero ci avrebbe
molto agevolato lo studio sulla giurisdizione assai larga che al prin-
cipio del sec. XIII avea ancora conservata il Vescovo di Padova in
molti rami del diritto i)rivato e pubblico e nell'amministrazione
stessa del Comune. G. D. A.
Storia letteraria e artistica.
— Coir intento di fornire a tutti gli studiosi di cose vinciane
una raccolta completa del materiale che si riferisce al grande ita-
liano, di cui fra pochi anni si celebrerà degnamente il quarto
centenario della morte, si è iniziata in Milano, ad iniziativa del
sen. Luca Beltrami, presso l'Archivio Storico del Comune, una Rac-
colta Vinciana, la quale si propone di riunire:
le pubblicazioni che illustrano la vita di Leonardo, l'opera
artistica di lui e della sua scuola, le molteplici manifestazioni del
suo ingegno in tutti i campi dello scibile, i suoi rapporti con con-
temporanei, la sua influenza sulle arti e sulle scienze, la fortuna
della sua fama nei vari tempi, la vita e le opere di artisti e di
pensatori che a Leonardo siansi comunque inspirati ;
le pubblicazioni d' indole stòrica che, pur trattando in gene-
rale le diverse manifestazioni dell' arte o del pensiero nel Rinasci-
mento, a Leonardo in qualche parte si riferiscano; e quelle d'in-
dole artistica che da lui abbiano tratto argomento o ispirazione ;
le opere di contemporanei che accennino a Leonardo o che,
pur non facendo menzione di lui, risultino di utile consultazione
agli studiosi offrendo materia per deduzióni e raffronti;
le pubblicazioni antiche e moderne, che riproducono integral-
mente e illustrano i manoscritti vinciani ;
250 NOTIZIE
le incisioni, anche antiche, le fotografie ed eliotipie riprodu-
centi disegni e dipinti di Leonardo, i documenti che direttamente
0 indirettamente a lui si riferiscano, le medaglie, ecc.
Per comodo degli studiosi poi, a cura del Direttore dell'Archi-
vio Civico di Milano, dott. Ettore Verga, si pubblica annualmente
un bullettino, che s'intitola appunto Raccolta Vinciana (Milano,
Allegretti, 1905 e 1906), in cui, oltre un' accurata bibliografia vin-
ciana e una cospicua serie di regesti di tutti i documenti relativi
a Leonardo fin qui editi, si contengono anche articoli originali, il-
lustrati da splendide incisioni. Nel 1° fascicolo ricordiamo quello
del Verga su « la donazione dei codici di Leonardo fatta dall' Ar-
conati all'Ambrosiana di Milano », e del Beltrami su « le espres-
sioni e vocaboli lombardi nel Codice Atlantico » ; e nel 2" fascicolo
i contributi di Corrado Ricci, A. Favaro, E. De Marinis, G. Bonelli
e de' ricordati Verga e Beltrami. La Baccolta si propone anche di
pubblicare separatamente, non appena l'intero lavoro sarà compiuto,
il materiale bibliografico dal sec. XVI al 1900.
Quest'istituzione, che ofi're tutti i vantaggi d'una vera associa-
zione scientifica e clie ha reso già grandi servigi agli studiosi di
cose leonardesche funzionando come un utile ufificio d' informazioni
vinciane, non impone ai suoi aderenti alcun peso, ma solo ne at-
tende tutti quei contributi di studi e di ricerche, che permettano
di illustrare e lumeggiar degnamente la nobile e simpatica figura
del grande da Vinci. " G. D. A.
— Gustavo Uzielli, Lodovico Ariosto e i suoi amori in Firenze
(per nozze Uzielli-Franchetti ). - Firenze, Lapi, 1905 : p. 25. — Il
chiaro Autore in questo opuscolo ripubblica con qualche aggiunta
alcune pagine della illustrazione con cui accompagnò nel 1898 la
sua edizione della Vita di Amerigo Vespucci del Bandini ; ed è stato
ottimo consiglio, perchè non troppo facilmente si sarebbe pensato
che ci fossero notizie sull'Ariosto nelle note ad una vita del Ve-
spucci; mentre d'altra parte Fargomento è di quelli che offrono uno
speciale interesse, perchè si tratta di questioni irresolute: quella
degli amori dell'Ariosto e, quindi, dell'ordinamento delle sue rime
amorose. L'U. dà anzitutto alquante notìzie su Nicolò Vespucci (nella
casa del quale a Firenze Lodovico s'innamorò di Alessandra Be-
nucci), nato nel 1474 da Simone Vespucci e da Lucrezia di Niccolò
Gualtierotti, e morto verso il 1535. Riportate indi le parole del noto
biografo dell'Ariosto, Simone Fornari da Reggio Calabria, sugli amori
fiorentini del cantor dell'Orlando, senza però darne la dimostrazione,
ne trae la conclusione che la donna, cognata del Vespucci, da cui
l'Ariosto ebbe i figli Giambattista e Virginio, non è l'Alessandra Be-
NOTIZIE 251
micci; chi sia questa cognata TU. non sa dire per ora, e promette
di chiarire questo oscuro punto in un prossimo studio. E ben venga
questo studio ; ma intanto ci affrettiamo a notare, che, chiunque sia
questa cognata, non potranno essere figli avuti da Lodovico con lei,
conosciuta da lui nel 1513, né Virginio, né Giambattista, dei quali
si hanno notizie rispettivamente del 1509 e del 1503. Importante
assai è invece quello che TU. ci fa sapere a pp. 21-22 del suo opu-
scolo, che cioè l'Ariosto fu a Firenze non soltanto, com'era noto, nel
giugno 1513, quando fu ospite del Vespucci, ma anche il 12 febbraio,
avanti, dunque, che i D'Este pensassero a mandarlo Roma per l'in-
coronazione di Leone X (11 marzo 1513). In questo primo soggiorno
fiorentino noi troviamo Lodovico incaricato di fare pignoramenti ed
altre operazioni consimili, insieme a Giovanni di Guidantonio Ve-
spucci, in nome del suo cugino Rinaldo degli Ariosti, per denari da
questo prestati al banco di Pier Francesco de'Medici. Notizia, questa,
tanto importante, anche come prova positiva delle sue relazioni coi
Vespucci, che avremmo desiderato che l'IT, pubblicasse il documento,
e non si contentasse di darcene un breve cenno. L'opuscolo si
chiude col dar notizia delle due case abitate in Firenze dall'Ariosto,
e del costui ritratto dipinto dal Tiziano, assicurato or non è molto
alla Galleria Nazionale di Londra. A. D. T.
— Il BuUettino Senese di Storia Patria (XII, 2-3, pp. 308-317)
pubblica una piacevole ed erudita illustrazione del dr. Ludovico Frati
sur una curiosa Novella amorosa Senese del Cinquecento, autografa ed
anonima, dedicata a Messer Barbiano Arrighi nel 1553, esistente con
altre scritture nel voi. 39 dei mss. di Ulisse Aldobraudi, conservati
nella Universitaria di Bologna. È preceduta da un Proemio agli acca-
demici bolognesi, ed é divisa in sette parti, o Trattati, ciascuno dei
quali ha in fine un capitolo in terza rima. Il Frati ne scuopre l'au-
tore, un Tiberio dell'Aquila, fiorentino, il cui nome é fatto in altro
cod. Aldobrandino, in una Satira autografa, scritta dalla stessa
mano della Novella. Il nostro scrittore pone il quesito se v'ha nel
contenuto di essa un substrato di vero. Da accenni storici, non
privi di importanza, che si trovano nel Proemio, si desume che alcuni
personaggi nominati in essa sono veramente esistiti. Inoltre sono ben
noti il monastero delle monache di S. Stefano, ove si sarebbero svolti
gli episodi raccontati dal novelliere, e l'altro di S. Maria Maddalena,
pure ricordato nella Novella. P. S.
— Adolfo Simonetti, Bartolomeo Beverini storico e poeta luc-
chese del secolo XVII. Foligno, Campi, 1906. — L'A. vuol rendere
giustizia a un suo concittadino, che crede a torto dimenticato, o
quasi, dal Morsolin e dal Belloni e mal giudicato dal Carducci. Ne
252 NOTIZIE
narra quindi la vita e ne ricorda le opere edite ed inedite, soffer-
mandosi specialmente sulle due principali: gli annali di Lucca,
scritti in buon latino, ma di scarso valore storico, e la traduzione
in ottave della Eneide, che ebbe sei edizioni sino al 1829 e fu lar-
gamente ammirata dai contemporanei. Il lavoro, che ci è sembrato
assai superficiale, avrebbe potuto essere considerevolmente più breve.
F. L.
— In una monografia intitolata Paol Francesco Carli e la Poesia
ditirambica (Venezia, Tip. Emiliana, 1906), il prof. Torello Fanciul-
LACCi studia da un punto di vista puramente letterario l'opera tra
rediana e satirica del Carli, poeta valdinievolese del XVII-XVIII se-
colo, la Svinatura, con digressioni e richiami ad altri poeti ditiram-
bici del tempo, accennando anche a certa sua, sebben lontana, afiinità
con quella che fu poi la maniera del Giusti. A. A. B.
Concorsi.
— A festeggiar degnamente il 50*^ anniversario della sua fon-
dazione la Società Ligure di Storia Patria ha bandito un concorso,
col premio di lire mille, per un libro che, in forma di sobrio com-
pendio, destinato alle scuole e condotto sulle fonti criticamente più
accreditate, esponga la Storia di Genova dalle origini fino all' an-
nessione al Piemonte.
I lavori, anonimi e contraddistinti solo da un motto o da un
numero, dovranno essere consegnati alla Segreteria della Società non
più tardi del 31 gennaio 1908. La Commissione esaminatrice riferirà
nel termine di tre mesi dal giorno della chiusura del concorso.
L'opera prescelta sarà stampata a spese della Società, la quale
se ne riserva la proprietà letteraria, salvo a corrispondere all'au-
tore una percentuale non inferiore al 30 "/,, sugi' introiti netti da
ogni spesa.
— Con vivo compiacimento annunziamo che il dr. Giustiniano
Degli Azzi Vitelleschi, aiuto del Direttore di questa Rivista, è stato
proclamato vincitore del premio Tenore nel concorso indetto dall'Ac-
cademia Pontaniana per una monografia documentati? sul tema: La
dimora di Carlo f,glio di Boherto di Napoli a Firenze nel 1326-27.
All'egregio collaboratore giungano le congratulazioni (\e\V Archi-
vio Storico, insieme con l'augurio di un avvenire sempre più operoso
e sempre migliore.
(ì. 1*. Vieusseux responsabile.
/'
ATTI DELLA E. DEPUTAZIONE
(1907)
Adunanza generale del 13 aprile. — L' adunanza è con-
vocata, a forma degli articoli '25 e 2(i del Regolamento,
col seguente ordine del giorno :
1. Kiuiiovamento del Consiglio Direttivo.
2, Elezione del Delegato della Regia Deputazione presso 1" Istituto
Storico Italiano.
ó. Nomina di un socio ordinario.
4. Nomine di soci corrispondenti italiani e straniei'i.
5. Comunicazioni della Presidenza.
Presiede il senatore Villari. Sono presenti i soci
ordinari Berti. Corsini, Del Badia^ Del Lungo, F a-
loci-Pulignani. Cxlierardi, Giorgetti, Lupi, Ma-
gherini-Graziani. Mancini, Santini, Sforza. Hanno
scusato la loro assenza i soci D'Ancona, Del Vecchio,
Fumi. G-iannini, Sardi e Sardini.
— Dopo aver data lettura del verbale della prece-
dente adunanza, che viene approvato, si procede al rin-
novamento degli uffici. Si forma, per votazione a schede
segrete, una terna da proporsi al Ministero per la nomina
del Presidente, a norma dell'articolo 17 del Regolamento,
e rimane composta del senatore Pasquale Villari, già
Presidente, del senatore Isidoro Del Lungo e del sena-
tore Tommaso Corsini.
Parimente a schede segrete vengono confermati il
senatore Isidoro Del Lungo nell'ufficio di Vicepresi-
dente; il profes.sore Alberto Del Vecchio in quello di
Segretario; e il cav. uff. Alessandro Grherardi in quello
di Economo.
II
Per il Vicepresidente della Sezione Lncchese, ne viene
demandata la designazione alla R. Accademia di Lucca (1).
— Circa la elezione del Delegato della Deputazione
presso r Istituto Storico Italiano, il Presidente osserva
che il Segretario prof. Del Vecchio, attualmente Dele-
gato, ha messo questo oggetto all'ordine del giorno nel-
1' i]3otesi che si dovesse procedere alla rinnovazione anche
di questa carica : ma a lui e agli altri membri del Con-
siglio Direttivo sembra che questo incarico non sia sog-
getto a rinnovazione, in quanto non dipende da quello di
Segretario, ma è un incarico ad personam e quindi a vita.
Concordemente si delibera che il socio Del Vecchio con-
tinui neir ufficio suddetto.
— Si procede alla votazione per la nomina di un socio
ordinario da succedere al defunto cav. prof. Augusto Fran-
chetti. Viene proposto da più di tre soci, come richiede
l'art. 7 del Regolamento, il socio corrispondente prof.
Giuseppe Rondoni (Firenze). Riesce eletto all'unanimità.
Il socio Giovanni Sforza coglie l'occasione per ricordare
con affettuose parole il compianto collega Franchetti,
rilevando specialmente la grave perdita che con lui ha
fatto la scienza storica ; e propone che in nome di tutta
la Deputazione si rinnovino alla famiglia Franchetti le
più vive condoglianze. La proposta viene approvata, e
si affida alla Presidenza 1' incarico di esprimere il voto
della Deputazione.
— Si apre la votazione per la nomina di IH soci
corrispondenti, dei quali 12 italiani e 4 stranieri.
La votazione si fa sui candidati, il cui nome sia stato
presentato da tre proponenti o più ; e resultano eletti, per
votazione segreta a scrutinio di lista, i signori :
(1) Questa confermò nella carica il marcii, comm. (tiacom<^> Sardi xi.
— Ili —
Italiani: Bonolis prof. Guido (Pisa). — Canestrelli
prof. aroh. Antonio (Firenze). — Cipolla conte prof.
Carlo (Firenze). — Degli Azzi dott. Griustiniano
(Firenze). — Marchesini prof. Umberto (Firenze). —
Rajna prof. Pio (Firenze). — Eodolico prof. Niccolò
(Firenze). — Eostagno prof. Enrico (Firenze). — Scliia-
parelli prof. Luigi (Firenze). — Solaini avv. Ezio
(Volterra). — Solmi prof. Arrigo ("Siena). — Tocco
prof. Felice (Firenze).
Stranieri: Brockhaus prof. Enrico (Firenze). —
(xaiithiez Pietro (Parigi). — Kehr prof. Paolo (Roma).
— Luchaire prof. Achille ("Parigi).
— Il Presidente dà notizia dei lavori che si pubbli-
cano nella nostra collezione di Documenti di Storiti Ita-
liana. Parla del Codice diplomatico Angioino, che si vien
pubblicando a cura del prof. Sergio Terlizzi, deplorando
che le condizioni del bilancio e altre circostanze inerenti
al carattere dell' opera ne ritardino il com})iniento. An-
nunzia che il Consiglio Direttivo ha intanto deliberato
di iniziare la pubblicazione del II volume del Codice di-
plomatico Aretino, edito a cura del sig. Ubaldo Pasqui.
Riferendosi ad un'antica proposta del socio Lupi, il
Presidente parla della raccolta delle iscrizioni toscane, co-
municando che a questa impresa ha rivolto il pensiero la
Facoltà Letteraria del r. Istituto di Studi Superiori.
— Gli adunati deliberano infine d' inviare al Segre-
tario prof. Del Vecchio, assente per gravi motivi di
famiglia, un telegramma di saluto e d' augurio.
>0'''B^^'<^'
SOCI DELLA E. DEPUTAZIONE
(1907)
SOCI ORDINARI
1. Berti comm. Pietro, già Direttore deirArchivio di Stato.
Segretario della Commissione Toscana della r. Consulta
Araldica (1878J. — Firenze.
2. Corazzici cav. avv. GtIUSEPPE Odoardo, Membro della Com-
missione Toscana della r. Consulta Araldica (1896). —
Firenze.
3. Cor8i:ni S. E. principe Tommaso. Senatore del Regno. Pre-
sidente della Società Colombaria fl898). — Firenze.
4. D'Ancona comm. Alessandro, Senatore del Regno, profes-
sore di lettere italiane nella r. Università di Pisa. Socio na-
zionale dei Lincei, Accademico corrispondente della Crusca,
Membro dell' Istituto di Francia (1889). — Pisa.
5. Del Badia cav. Iodoco, già Archivista di Stato (1892). —
Firenze,
6. Del Lungo comm. prof. Isidoro, Senatore del Regno, Ac-
cademico residente della Crusca, Socio nazionale dei Lincei,
Membro della Commissione Toscana della r. Consulta Aral-
dica (1878). — Firenze.
7. Del Vecchio cav. Alberto, Professore d' istituzioni medie-
vali nel r. Istituto di Studi Superiori e di Storia del Di-
ritto nel r. Istituto di Scienze Sociali « Cesare Allieri ».
Membro dell' Istituto storico italiano (1896). — Firenze.
8. Paloci-Pulkinani mons. Michele (1885). — Foligno.
9. Fumi comm. Luigi, Prefetto onorario dell'Archivio storico
comunale d' Orvieto, Membro della Commissione Araldica
romana. Direttore dell'Archivio di Stato di Lucca (1875).
— Lucca.
10. CtAMURRINI comm. Gio. Francesco, Socio nazionale dei
Lincei (1888j. — Arezzo.
1 1 . Gherardi cav. uff. Alessandro, Accademico residente della
Crusca, Direttore del r. Archivio di Stato di Firenze (1884).
— Firenze.
12. Giannini cav. prof. Crescentino (1864j. — Roma.
13. GioKCiETTi cav. Alceste, Archivista di Stato (1902). —
Firenze.
14. Lupi cav. prof. Clemente, Archivista di Stato, incaricato
dell' insegnamento della Paleografìa nella r. Università di
Pisa (1896). — Pisa.
15. Ma(4herini-Graziani cav. uff. Giovanni, Presidente della
r. Deputazione di Storia Patria per 1' Umbria (1892). —
Città di Castello.
16. Mancini cav. Girolamo (1898j. — Cortona.
17. PiccOLOMiNi cav. uff. Enea, già Professore di lettere greche
nella r. Università di Roma, Socio corrispondente dei Lincei
(1898). — Eoma.
18. RiDOLFi cav. uff. prof. Enrico, già Direttore delle rr. Gal-
lerie e del Museo Nazionale di Firenze (1878). — Firenze.
19. Rondoni prof. Giuseppe (1907). — Firenze.
20. Santini prof. Pietro (1902). — Firenze.
21. Sardi conte cav. Cesare, Segretario della r. Accademia luc-
chese (1888). — Lucca.
22. Sardini march, comm. Giacomo, Presidente della r. Acca-
demia lucchese (1900). — Lucca.
23. Sforza comm. Giovanni, Direttore del r. Archivio di Stato
di Torino (1875). — Inorino.
24. ViLLARi comm. prof. Pasquale, Vicepresidente del Senato,
Presidente della Facoltà di lettere nel r. Istituto di Studi
Superiori di Firenze, dell' Istituto storico italiano, del Con-
siglio degli Archivi, Accademico residente della Crusca,
Socio nazionale dei Lincei (1863). — Firenze.
I
SOCI CORRISPONDENTI
ITALIANI.
1. Ansidei conte cav. dott. Vincenzo (1H\)2ì. — Pfirngia.
•2. Bacci cav. prof. Orazio (1898j. — Firenze.
3. Balzani conte comm. Ugo (1892). — Roma.
4. Barbi prof. Michele Y1902). — Messina.
5. Bellucci prof. Alessandro (1892). — Perugia.
H. Bertolini comm. prof. Francesco (1870). — Bologna.
7. Biagi comm. dott. Guido (1888). — Firenze.
8. Bicchierai avv. Iacopo (1902 j. — Bucine.
9. Bonolis prof. Guido (1907). -— Pisa.
10. Calisse comm. prof. Carlo (1902). — Roma.
11. Canestrelli arch. prof. Antonio (1907). — Firenze.
12. Carnesecchi cav. Carlo (1898). — Firenze.
13. Carutti di Cantogno barone Domenico (1885). — Torino.
14. Casanova cav. prof. avv. Eugenio (1892). — Torino.
15. Castagna avv. Niccola (1870). — Sani' Angelo degli Ahrnzzi.
16. Cecconi cav. prof. Giosuè (1864). — Osimo.
17. Chiappelli cav. avv. Luigi fl888). — Pistoia.
18. Cipolla conte cav. prof. Carlo (1907). — Firenze.
19. Crivellucci cav. prof. Amedeo (1902). — Pisa.
20. De Blasiis cav. prof. Giuseppe (1883). — Xapoli:
21. Degli Azzi dott. Giustiniano (1907). — Fir^^nze.
22. Dominici conte Girolamo (1863). — Todi.
23. Donati dott. Fortunato (1878). — Siena.
24. Falletti cav. prof. Pio Carlo (1878). — Bologna.
25. Favaro comm. prof. Antonio (1885). — Padova.
26. Gorrini comm. prof. Giacomo (1902). — Roma.
27. Hortis prof Attilio (1902;. — Trieste.
28. Lisini cav. Alessandro (1878 1. — Siena.
29. Livi cav. Giovanni (1892). — Bologna.
30. Marchesini cav. prof. Umberto (1907). — Firenze.
31. Manassei conte cav. Paolano (1863). — Terni.
VII —
32. Manno barone coniiii, Antonio (1883 j. — Torino.
33. Marietti comm. sen. Filippo fl863). — Jionut.
34. Marzi dott. Demetrio (1902 1. — Firenze.
35. Masi comm. prof. Ernesto ('1902). — Firenze.
3(j. Mazzi dott. Curzio (1888;. — Firenze:
37. Morpurgo cav. dott. Salomone (1892). — Firenze.
38. Papaleoni prof. Griuseppe (1892). — Xcipoli.
39. Pasolini conte sen. Pier Desiderio ( 1875). — Roma.
40. Pasqui Ubaldo (1892). — Firenze.
41. Podestà barone cav. Bartolommeo ('1888;. — Firenze.
42. Rajna cav. prof. Pio (1907 . — Fir;>n.ze.
43. Ristori can. dott. Gio. Battista (1902;. — Fin'nzt^.
44. Rodolico prof. Niccolò C1907). — Firenze.
45. Rossi cav. prof. CTÌrolamo (1870;. — Ventimiglia.
46. Rossi cav. prof. Pietro (1898). — Siena.
47. Rossi-Scotti conte comm. Crio. Battista ( 1863;. — Tolo.sa.
48. Rostagno cav. prof. Enrico (1897;. — Firenze.
49. Salvemini prof. Gaetano (1902). — Messina.
50. Santoni cav. can. Milziade il883). — (Jaìnerino.
51. Schiaparelli prof. Luigi (1907). — Firenzi'.
52. Solaini avv. Ezio (1907). — Volterra.
53. Solmi prof. Arrigo (1907). — Sirnu.
54. Tocco cav. prof. Felice (1907;. — Fir:'nze.
55. Tommasini comm. Oreste (1883 . — l'orna.
56. Vigo cav. prof. Pietro (1902). — l.irni-n.o.
57. Virgili cav. prof. Antonio (1885;. — Firenze.
58. Zdekauer prof. Lodovico (1888). — Macerata.
59. Zenatti prof. Albino (1892). — Me.s-.nna.
vili -—
STRANIERI.
1. Bryce Giacomo (1898). — ■ Londra.
•2. Brockhaus prof. Enrico (1907). — Firenze.
3. Davidsohn dott. Roberto (1898). — Firenze.
4. Duchesne ab. L. (1898). — Roma.
5. Fricken (v.) Alessio (1885). — Firenze.
6. Gauthiez Pietro (1907). — Parigi.
7. Kehr prof. Paolo (1907). — Roma.
8. Luchaire prof. Achille (1907). — Parigi.
9. Monod prof. Gabriele (1898). — Parigi.
10. Ottenthal (v.) prof. Emilio (1892). — Innshruck.
11. Pélissier prof. Leone G. (1892). — Montpellier.
12. Rodocanachi Emanuele (1892). — Parigi.
13. Sabatier prof. Paolo (1902). — Parigi.
14. Semper prof. Hans (1898). — Innshruck.
15. Sickel (v.) prof. Teodoro (1898). — Merano.
o4m^^<-
CONSIGLIO DIRETTIVO DELLA R. DEPUTAZIONE
(1906-1911)
Presidente.
F*asqiiale Villari.
Vicepresidente.
IsidLoro I>el Luiig-o.
Vicepresidente per Lucca.
Oiacomo Sar dilli.
Economo.
Aless^saiiclro Grlxerardi,
Segretario.
Gilberto Del Vecchio.
REDAZIONE ì)ELJ.'AHCHIVIO STORICO ITALIANO,
Direttore. - Alberto Del Vecchio
>><Kc
PUBBLICAZIONI
DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA
dX^c
Dociiiiieiiti (lì stoi-ia italiana.
Voi. I-III. Commissioni di Rinaldo degli Albizzi
per il Comune di Firenze dal 1399 al
1433, pubblicate e illustrate da Cesare Guasti
[an. 1399-1433], Firenze, Galileiana, 1867-73. . L. 45.—
» IV. Cronache della città di Fermo, pubblicate
e illustrate da Gaetano De Minicis; con la giun-
ta di un Sommario cronologico di carte fermane
anteriori al secolo XIV, con molti documenti in-
tercalati, a cura di Marco Tabarrini, 1870 . » 15. —
» V. Cronache e Statuti della città di Vi-
terbo, pubblicati e illustrati da Ignazio Ciam-
pi, 1872 » 15.—
» VI. Cronache dei secoli XIII e XIV. - Anna-
les Ptolemaei Lucensis (a cura di Carlo Minu-
TOLi). - Saiizanome iudicis Gesta Florentinorum
(a cura di Gaetano Milanesi), - Diario di ser
Giovanni di Lemmo da Comugnori (a cura di
Luigi Passerini). - Diario di Anonimo Fioren-
tino, 1358-1388 (a cura di Alessandro Ghe-
RARDi). - Chronicon Tolosani canonici faventini
(a cura di Marco Tabarrini), 1876 » 15—
» VII. Statuti della Università e Studio Fio-
rentino dell'anno 1387, seguiti da un'Ap-
pendice di Documenti dal 1320 al 1472, pubbli-
cati da Alessandro Gherardi. Con un Discorso
del prof. Carlo Morelli, 1881 » 1 5. —
, — XI —
Voi. vili. Codice diplomatico della città d'Or-
vieto, documenti e regesti dal secolo XI al XV;
e la Carta del popolo, codice statutario del Co-
mune d'Orvieto, con illustrazioni e note di Luigi
Fumi, 1884 L. 15.
» IX. Il Libro di Montaperti [an. 1260], pubblicato
per cura di Cesare Paoli, 1889 » 15.
» X. Documenti dell'antica costituzione del
comune di Firenze, pubblicati per cura di
Pietro Santini, 1895 » 15.
» XL Documenti per la storia della città di
Arezzo nel medio evo, a cura di Ubaldo
Pasqui. - Voi. primo: Codice diplomatico aretino
(6509-118O), 1899 » 15.
Sono in corso di stcìmpa due volumi:
Codice diplomatico delle relazioni di Carlo I D'Angiò
con la Toscana (1265-1285), per cura di Seegio
Teelizzi.
Documenti per la storia della città di Arezzo nel medio
evo, a cura di Ubaldo Pasqui. - Voi. secondo :
Codice diplomatico aretino.
CHARTA AUGUSTANA
NOTE DIPLOMATICHE
L' aggiunta di « Note diplomatiche » al titolo dice chia-
ramente in quale campo si svolga il presente studio. Di
proposito trascuro la parte giuridica che non è strettamente
in rapporto con quella diplomatica, perchè altri possa trat-
tarne colla necessaria competenza.
Alcuni caratteri di questa carta furono da tempo messi
in rilievo. L. Gibrario, che pubblicò parecchie carte di Aosta
negli Historiae patriae Monumenta, Chartariint I e II, av-
vertiva in una nota, che « i notai o cancellieri d'Aosta so-
« levano porre appiè dell' atto, e più spesso sul dorso del
« medesimo, un breve sunto delle sostanziali sue disposi-
« zioni » (1), ed in altra indicava una formula di inscriptio
come propria di detti cancellieri o notai (2). Un altro edi-
tore di carte di Aosta nei citati Monumenta, il canonico di
S. Orso in Aosta A. Gal, parla di « sommaire qui est sur
« le dos de l'acte, selon l' ancien usage des chanceliers
«d'Aoste» (3). L. Bethmann, visitando gli archivi e le bi-
blioteche di Aosta, fermò la sua attenzione su questa carta,
della quale ci diede la seguente descrizione: « Die Urkunden
« sind alle in Rollen ; die àlteste, die mir vorgekommen, war
(1) Historiae patriae Momimenta edita iiissa regis Caroli Alberti,
(liartarum I {Augustae Taarlnoruni, 1836), 498 nota 2. Lo storico di
Aosta, .1. B. De Tillier, ha un solo accenno, confuso ed errato, del notaio
in genere di Aosta, che considera come notaio imperiale, « Lieutenant du
^ Chancelier de l'Empire ». {Hiatoriqae de la Vallèe d'Aoste. Mamiscrit
inédit de l'an 1742, I (Aoste, 1887), 114.
(2) Op. cit., I, 789 nota 1.
(3) Op. cit., II {Augustae Taurinorum. 1853), 311 nota 1.
Akch. Stor. It., Serie 5.*, — XXXIX. 17
254 LUIGI SCHIAPARELLl f«jj
« vom Anfang des Xfl Jahrh. Die Form derselbeii ist sebi*
« eigenthiimlich und bei alien ziemlich dieselbe, so dass man
« einen eignen Typus furs Thal von Aosta annelimen miiss.
« Der Notar notirte sicli namlich in loco publico, meist
« Yor der Kirclie oder im Kloster derselben, rogatus corani
« più ri bus, auf kleine Pergamentstiicke, die er dazu bei sicli
« fiihrte, die Hauptpunkte des Inhalts in dieser Weise: Ven-
« ditionem facit.... Precium est.... Pena.... Tesies....
« Fideiussores.... Hoc laudat.... Zu Hause schrieb er dami
« aus diesen Notaten die Urkunde selbst in der gewòhnli-
« chen Form gleich auf die andere Seite desselben Stiickes,
« so dass man immer Protokoll und Akte ziisammen hat » (1).
Un discreto numero di carte aostane fu pubblicato
nei due volumi Chartarum dei citati Hist. patriae Monti-
menta; il materiale si accrebbe in seguito coli' edizione fatta
nel 1884 da mons. Due, cosi benemerito della storia della
sua diocesi, del cartolario del vescovato di Aosta (2), e più
(1) Archic der Gesellsc/taff fVir difere denfsche Geschicldsìnoide.
Jierausg. con Pertz, XII (Hannover, 1872-74),- 591 ; cfr. H. Bresslau,
Handhiiclì der Vrh-underdehre plr Deutscldand und Italie h. I (Leipzig?,
1889), 742.
(2) JosEPH-AutiUST Due, Cartulaire de l'Écècìfé d'Aoste {XIII' sie-
de), nella Miseellanea di Storia Italiana, XXIII (Torino, 1884), 183 segg.
Un altro cartolario (cart. in fo. del principio del XV sec, di 128 ce. : ctV.
Pertz, ArcJrii-, IX, 630) si conserva nell'Archivio della Collegiata di
S, Orso. Sul fo. di risguardo leggesi una grande R, forse l'iniziale di
Registrum o Regestum, che mano moderna interpretò e completò
K(alendarium); e il cartolario passò sotto questo titolo. Più di 450 carte
aostane sono ivi registrate, ma in modo incompleto e trascurato. La data
raramente è riferita per intiero, si omettono di regola la feria e il mese.
Così, fatte poche eccezioni, non si trascrivono i nomi dei testes e dei
laudatores . Di alcune carte si leggono poche parole coll'aggiunta «parum
«valet». Questo cartolario venne opportunamente utilizzato dal Due nei
suoi lavori : Le hienheureiix Boni face de Valperyne évéqiie d'Aoste (Aoste,
1883) ed Esquisses liistoriqiies des évèques d'Aoste appartenant aii XTI' et
au XIII" siècles (I, Aoste, 1885; II, Aoste, 1886) (extrait du XI, XII et XIII
Bidletin de la Société Acadéinique religieuse et scientifique dn Diiché
d'Aoste). Ignoro se esista tuttora il cartolario della cattedrale del 1554,
citato dal De Tillier, op. cit., I, 63. Una bella raccolta di documenti
(dal 1302 al 1312) mons. Due ha pure pubblicato in Docìinients relatifs
à Vépiscopat du bienheurenx Émeric I de Otiart évèqne d'Aoste (Aoste,
1879), e in Nonroaii.r dofìfn>ei/fs relatifs à l'èpiseojnd dii tt. Einer/f 1
[7] CHARTA AUGUSTANA 255
ancora nel 1903 colla Miscellanea Valdostana edita dalla
Società storica Snbal])ina (1). In questo volume S. Pivano
pubblicò le più antiche carte del Grande e Piccolo S. Ber-
nardo (i2), premettendovi osservazioni generali che possono
considerarsi come primo tentativo di uno studio giuridico
su questa carta, e G. Battaglino alcune carte dell'Ospe-
dale Mauriziano di Aosta (3). Utilizzarono opportunamente
queste ultime pubblicazioni A. Gaudenzi (4) e F. Kerx (5)
per le loro erudite considerazioni sulla notizia dorsale nelle
carte medioevali. Il Kerx dedica un intiero capitolo a questa
carta, di cui espone alcuni caratteri e mostra il valore delle
due redazioni, sul verso e sul recto. Riassume con queste
parole il procedimento che si teneva per l'estensione del-
l' atto : « Vor der Aostaner Marienkirche versammeln sich
« die Parteien und Zeugen. Auf Verlangen des Ausstellers
« (rogatus) schreibt der cancellarius den Inhalt des ini
« Gang betindlichen Rechtsgeschàftes auf die àussere Seite
« des zur Urkunde bestimmten Pergaments. Den Kaufpreis
« und die Pònsumme begniigt er sich im gegebenen Fall
/le (ìHfirf écéqiie d'Aoste: ma tra questi figurano solo quattro carte
aostane ( Dociunents ec. n. 70, Appetidìce nn. 15-17). Si cfr. anche F. G.
Frutaz. Uecueil de c/iarfes Valdofalnes du XIII'- siede (Aoste, 1891)
(Extrait du XV^ Bnlletin Soc. Acad. d' Aoste), con una sola carta aostana
(p. 53, n. XVIII). .J. Gremaud, Dociiments relatifs àVliistoire du Vcdlais
{\n Méuioires et docniuenfs ptibllés par la Socìété d'hìsfoire de la Stiissc
iìomande, XXIX, Lausanne, 1875), riprodusse parecctiie carte aostane dagli
Hìsf. patriae Mon.. una sola ricavò àsLÌVArcìi. del Gran S. Beniardo
<p. 121. n. 175).
(l) Miscellanea Valdostana, nella Biblioteca della Società storica
Sultalpina, diretta da Ferdinando Gabotto, XVII (Pinerolo, 1903).
(:2) S. PivAXO, Le carte delle case del Grande e del Piccolo San
Bernardo esistenti nell'Arci il rio dell'Ordine Mauriziano, pp. 57 segg.
(3) G. Battaglino, Le carte dell' Ardii rio dell'Ospedale Manriziano
fli Aosta fino al ISOO, pp. 239 segg.
(4) A. Gaudenzi, Le notizie dorsali delle antiche carte bolognesi
e la formula * post tradita ni compie ri et dedi » in rapporto alla re-
dazione degli atti e alla tradizione degli immobili, negli Atti del Con-
gresso internazionale di scienze storiche {lioma, 1-9 aprile 190H), IX
(Roma, 1904), 419 segg.
(5) Fritz Kern, Dorsaalkonzept und Imbreriatur. Zur desdiichte
der Xotariatsnrhnnde in Italien (Stuttgart, 1906).
25G LUIGI SCHIAPARELLI [8|
« mit kiirzen Stichworten zu notieren, ebenso beschrànkt
« er sich ini Datum auf die Angabe cles Tages. Dagegen
« nimmt er die anwesenden Zeugen iind die Einzelbestim-
« miingen des Vertrags (Grenzbeschreibung u. s. w.) in
«extenso zu Protokoll. Indem der cancellarius aus
« diesen Dorsualnotizen spàter die Reinschrift auf der in-
« nern Pergamentseite lierstellt, Aerzichtet er auf die Wie-
« derholung aller materiellen Angaben, so namentlich der
« Grenzbeschreibung, der Zeugenliste, auf deren Existenz
« nur durch das corani pluribus verAviesen wird, und be-
« gniigt sich mit einer allgemeinen Bezeichnung des ma-
« teriellen Inhalts. Dagegen wird das in den Dorsuahio-
« tizen vernachlàssigte Formular hier gieichsam nachgeholt.
« Schliesslich erhàlt die Urkunde auch Rechtskraft durch die
« dazu erforderliche Unterschrift des cancellarius, durch
« Nennung des Herrschers und Datierung iiach dem Kalender-
« jahr » (1). Secondo il K. lo scrittore della nostra carta sarebbe
uno scrittore vescovile : « Dagegen eigiiet dem bischòflichen
« cancellarius, der sich stàndig mit der Herstellung voii
« Privaturkunden befasst, die Sitte der Doppelredaktion
« durchgàngig voni Ende des 11 bis zum Ende des 13 Jalir-
« hunderts; wie weit sie sich nodi in das 14 erstreckt hat,
« lasst sich an der Hand der veròffentlichten Urkunden nicht
« feststellen » (2).
Le carte aostane finora edite sono ben poche in confronto
delle parecchie migliaia che si conservano negli archivi di
Stato e dell'Ospedale Mauriziano in Torino e segnatamente
negli archivi Vescovile, Capitolare, della Collegiata di S. Orso.
dell'Ospedale in Aosta e in piccoli archivi della Valle (3).
(1) Op. cit., pp. 5-6.
(2) Op. cit., p. 3. La stessa opinione ebbe già a Jiianifestare. ma
fuor di proposito (cfr. Bresslau, Urkundenìelire, I, 462 nota 2), M. Hand-
LOiKE, nel suo studio: Die ìonibardlsclten Stddte unter der Hcrrschaft
der Bischòfe iind die EufsteJturu/ der Coinmunen (Berlin, 1883), p. 45,
nota 5.
(3) Nell'archivio della parrocchia di Fénis si conserva una gran parte
dei documenti del convento di S. Egidio di Verrès; l'altra parte fu da
poco linvenuta dal piof. canonico F, G. Frutaz in un solaio delFUtiicio
del Registro di Donnas. Secondo gejitile comunicazione dello stessa
[isi lai'gaiuente anche a queste fonti inedite ; ma, debl)o
aggiungere, non come avrei desiderato e sarebbe stato op-
portuno, e per mancanza di tempo e perchè l'ordinamento
degli archivi Vescovile e Capitolare, i quali conservano il
migliore e il più copioso materiale, non è ancora condotto
al i)inito da permettere un esame sicuro e completo dei do-
cumenti tutti. Il presente studio è quindi necessariamente
lacunoso e incompleto; pur tuttavia, voglio sperare, potrà
dare qualche contributo alla pubblicazione che delle carte
di Aosta si sta preparando a cura della R. Deputazione di
storia patria di Torino (1). Ebbe origine, questo studio, da
una visita agli archivi Vescovile e Capitolare, consigliatami
dal benemerito segretario di detta Deputazione di storia pa-
tria, barone Antonio Manno.
Nelle mie ricerche in Aosta mi fu di guida e di grande
aiuto il prof. can. F. G. Frutaz.
Charta augustana e charta notarli.
Nei documenti di Aosta e territorio charta non si con-
trappone, in senso giuridico e diplomatico, a notitia; desi-
gna generalmente, come scriptum e anche instrumentum.
Fatto scritto di qualsiasi genere {^), Con « carta augustana ».
« carta augustensis » (3), vien denominato e distinto il docu-
Frltaz si trovano pure alcune carte aostane nel paesello di Douvks.
n vescovo di Aosta mons. J. A. Due tiene presso di sé vari documenti e
manoscritti raccolti da archìvi della città e della diocesi. L'archivio della
curia vescovile non è ancora accessibile agli studiosi.
(1) Attende a questo lavoro il prof, canonico F. G. Frutaz.
(H) Ha questo significato generale l' espressione : « et facio secundum
« strumenta chartaruni » della carta del 1035; cfr. Appendice. I, n. I: cfr.
anche Due, Docniìients relatifs ù Vépiscopat dti b. Énteric I, p. 84.
(3) Si ha * carta auguste » in una carta edita dal Pivano, op. cit.,
p. 83, n. II, se non che sorge il dubbio che l'orig. abbia la l'orma abbreviata
*aug. »: così il Battaglino, op. cit., p. 265, n. XXVII, stampa, «carta
* augusta » dove Torig. ha « calta aug. *.
258 LUIGI SCHIAPARELLI flOJ
mento uscito da ima speciale cancelleria, quella della città
di Aosta, il quale si differenzia dalla carta notarli, cioè
dalla carta di uno scrittore qualsiasi che non funga da uffi-
ciale di detta cancelleria. Le denominazioni di « carta augu-
« stana » o « augustensis » si incontrano nei documenti stessi ;
il titolo di « carta notarli », dato ad ogni atto scritto che
non sia carta augustana, leggesi nel cartolario del XIII
secolo del vescovato di Aosta (1). Carta augustana non si
confonde con carta o scriptum de Augusta, designando
quest'ultima espressione il contenuto della carta non il ge-
nere (2). La carta notarli prende poi nomi speciali: così il
citato cartolario distingue ristrumento notarile con « instru-
« mentum publicum » o « scriptum publicum » o anche soltanto
con « instrumentum ». Per designare l'atto notarile o pub-
blico si usa anche « carta publica » (3), o semplicemente
« carta » ; « instrumentum illud publicum quod carta dicitur »,
leggesi in un documento del giugno 1242(4). Spesso nei do-
I
(1) Cfr. p. 254, nota i2. Mons. Due, dice a p. 188: « Il est legiettable
* qiie le compilateiir ne se soit soiicié ni de l'ordre chronologique ni
« de l'ordre des matières >. Eppure si seguì un certo criterio nella
raccolta del materiale. Infatti in calce alla carta n. LXIX sta scritto:
« Omnes carte suprascripte sunt augustane » (op. cit., p. 265) e prima
del documento n. LXXl : « Carte inferius scripte sunt notarli » (op. cit..
.p. 266). La parte prima del cartolario contiene appunto le cade aostane
con poche eccezioni (il n. I è una composi! io, i nn. II-IV sono docu-
menti pontifìct, il n. LV è un breve recordationis colla rubrica:
« scriptum de augusta ») e nella seconda parte abbiamo soltanto le
carte notarli, fatta eccezione dei privilegia e di due carte aostane
(i nn. LXXXII, LXXXIII), le quali però sono designate come tali nella
rubrica.
(2) Nelle rubriche del citato cartolario questa distinzione si man-
tiene sempre, . quindi leggesi ad es. : «Carta augustana de Augusta»
(n. LIV) ; la designazione carta o scriptum de Augusta va sempre
riferita al contenuto. Il rubricatore si serve spesso anche solo di carta
per designare la carta augustana ; ma non usa mai in questo caso
scriptum. Carta per carta augustana nort si incontra nei docu-
menti.
(3) Esempio in F. Gajjotto, Est raffi dai ^ Confi ^ deW Archivio
(Vimerale di Torino relafivi (dia Vaffc djosfa fl2(ì7-lSòO). nella citata
Miscellanea Valdosfana, p. 327.
(4) Nel cartolario citato, p. 323, n. CXVIIl; cfr. sopra nota 1. Nella
sottoscrizione notarile degli istiomenti Tatto viene designato d'ordinario
1
CHARTA AUGUSTANA
ciiinenti, accanto alle carte augustane, si ricordano gli
« in strumenta », le « attestationes », gli « scripta », cioè tutti
gli scritti che non sono carte augustane (1) ; più di rado
si distingue anche con instrumentum lombardum o
carta lombarda il vero documento notarile italiano (i^).
In base ai caratteri intrinseci ed estrinseci, quali emer-
geranno durante la trattazione seguente, e per opportunità
e chiarezza di studio, distinguo le carte aostane in tre periodi.
Del primo periodo conosco soltanto sette carte, che vanno
dall'anno 10124 al 1045; una ventina del secondo, dal 1053
al 1147; numerosissime sono le carte del terzo, e quelle da
me esaminate vanno dal 1149 al 1408 (3).
11.^
La cancelleria di Aosta.
La carta augustana è il prodotto di una speciale or-
ganizzazione di scrittori; è l'atto scritto uscito da una can-
celleria con propri ufficiali e retta da determinate norme.
Quale cancelleria sia questa, come debba chiamarsi, ce lo
come cJiarta : « hanc caitam scripsi *. In un istromento del 7 ott. 1309,
rogato in Aosta : « Ego Vuillelmus de Christa dictiis de Dovia sacri pa-
* latii notariiis publicus instrumentum et hanc chaiiam rogatus scripsi *
(Due, Docuììients relafifs à Vépiscopat da h. Énieric I, n. 54).
(1) Esempi : « Hoc vendidit eis donavit et finivit cum omnibus in-
* stiumentis tam cartis augustensibus quam atestationibus cantantibus
* de dieta pecia vince » ( 1280, maggio 18, orig. Archivio Capitolare) ;
* hoc ...dedit cum cartis aug. et omnibus instrumentis inde confectis »
(1:288. gennaio 23, orig. Arch. Gapit.). Quest'ultima espressione ricorre di
frequente nei documenti di Aosta ; cfr. anche la carta del febbraio 1288
in Battaglino, op. cit., p. 276, n. XXXVIII e Due, Docuniputa reìafifft:
ò /'épiscopat dtt h. Énteric I, pp. 84, 170.
(2) Ad es. : « cartis augustanis et lombardicis », in cai ta del 1° aprile
1291, cfr. Due, Esqulsses hisforìques, II, 395. — « Hoc donavit ei cum om-
* nibus cartis aug. et omnibus aliis instrumentis lonbardis et aliis de
* dictis rebus confectis * (1288. ottobre feria 2, orig. Arch. Capii.).
(3) Cfr. Apix'HdìCi'. II.
260 LUIGI SCHIAPARELLI [12J
dicono due ufficiali di essa, « Stephanus » e « Petrus », i
quali si sottoscrivono aggiungendo al loro nome : « dictus
« Auguste cancellarius ». Dunque cancelleria di Aosta, della
città di Aosta, non del conte, non del vescovo (1).
Vediamo brevemente come fosse organizzata e come fun-
2:ionasse.
A capo della cancelleria sta il cancellarius e da lui
dipendono gli scriptores o \ icecancellarii (2). Il cancel-
liere non sottoscrive i documenti, né prende parte alcuna alla
loro fattura. Fanno però eccezione il cancelliere « Thom[as] »
e i ricordati « Stephanus » e « Petrus », i quali sottoscrivono
direttamente le carte, e quindi fimgono da scrittori e da
cancellieri (3). Nella subscript io delle carte aostane del
primo e del secondo periodo troviamo in alcuni casi, aggiunte
al nome del cancelliere, designazioni che ci attestano della
carica e delP importanza del personaggio. Il primo cancelliere
era « prepositus » ; fu cancelliere, il quarto della nostra serie,
il vescovo Anselmo di Aosta (4) ; poi scompare ogni designa-
zione in aggiunta al titolo ufficiale di cancelliere, fino a quando
questa carica non fu occupata dai conti di Savoia, i quali
premisero al titolo di « cancellarius » quello di « comes Sa-
« baudie » (5). La serie dei conti di Savoia cancellieri di Aosta
(1) Tutta la seguente esposizione mostrerà chiaramente come non
si tratti, per questi cancellieri di Aosta, di scrittori vescovili, i quali ab-
biano anche atteso a redigere atti privati. Ritengo quindi errato il
giudizio del Kern, di cui cfr. p. 256. Di un vero scrittore vescovile si ha
ricordo in un documento del 13 marzo 1311, ed è ivi denominato script or,
non cancellarius: «In capitulo Beate Marie Augustensis corani test i-
« bus domino Petro rectore hospitalis citra Montem lovis. Humberteto
* de Porta et magistro Roberto de Anglia scriptore domini episcopi Au-
« gustensis et pluribus aiiis » (Due, DocHmcttfs reìafif.s à ì'épiscopaf (in
h. Éineric I. p. 127, n. 60). Non è il caso di indugiarsi a dimostrare ei-
ronea V opinione di J. B. De Tillier, di cui cfr. p. 253, nota 1.
(2) Dì questi ufficiali si veda la serie in Appendice, II; i loro nomi
si leggono nella formula di subscript io delle singole carte.
(3) La sub script io delle carte di * Stephanus * e di * Petrus » ba
la formula: * N. dictus Auguste cancellarius scripsit et subscripsìt ».
(4) Cfr. p. 34(), nota 3.
(5) La subscriptio prende allora la formula: * N. gerens vicem (o
* vices) N. comitis Sabaudie cancellarii scripsit et subscripsìt >.
[13J CHARTA AUGUSTANA 2(51
principia con Amedeo V, precisamente coiranno 1318, e cessa
solo collo scomparire della carta aostana (1). Ad Amedeo V
seguono Edoardo, Aimone, Amedeo VI, Amedeo VII e Ame-
deo VITI. Uno solo per volta fu il cancelliere in carica. Il la-
voro della cancelleria era affidato agli ufficiali inferiori, a quelli
che sottoscrivono il documento a nome, a vece del cancelliere.
La loro non era una carica puramente onorifica, poiché sono
essi che scrivono la carta. Il confronto della scrittura non
lascia duhhio alcuno che questa si debha attribuire allo scrit-
tore nominato nella subscriptio. Non aggiungono di regola
alcun titolo ufficiale al loro nome : soltanto « Armannus » e
« Cono » si dicono « scriptor ». Nelle carte non aostane lo
scrittore di queste viene detto « vicecancellarius » (2), e
questo titolo compare poi, collo stesso significato, nella sub-
scriptio delle carte durante il cancellierato dei conti di
Savoia. Titoli o designazioni non ufficiali che denotino la
qualità dello scrittore si trovano solo nelle carte aostane dei
primi due periodi, ed apprendiamo che « Dodo », « Ejtìcus »
e « Petrus » erano presbiteri, «Armannus» clericus.
La carta del ricordato « Armannus » ci dà l' unica ecce-
zione di carta aostana non scritta dal cancelliere o a vece
del cancelliere. Non sappiamo con precisione se dalla carica
di scrittore si potesse salire a quella di capo della cancel-
leria: ma ciò è probabile, da quanto lascia supporre l'iden-
tità di alcuni nomi (3). Nel periodo in cui sono cancellieri
(1) Questa data 1318 ha probabilmente qualche relazione cogli av-
venimenti storici della città o coi numerosi acquisti fatti intorno a quel-
r epoca dal conte di Savoia nella Valle. Per questa ricerca daranno forse
materiale i Confi delle castellante conservati neir Archivio Camerale di
Torino, e dei quali il Gabotto ha pubblicato degli estratti (cfr. p. 2.58,
nota 3). Recatomi appositamente a Torino nei primi dell'ottobre 1906 per
esaminare questi Coììti ho trovato TArchivio chiuso, per mancanza di
personale ! E grazie soltanto alla cortesia del prof. Casanova ho po-
tuto esaminare, in via eccezionale, pochissimi rotoli trasportati, per lo
studio, nella prima sezione dell'Archivio di Stato.
(^) Cfr. pp. 267, nota 3; ai3, nota 7; 344, nota 22, e 3.5().
(3) È probabile, ad es., che 1' « Aimo * cancelliere nel 1211 sia lo
scrittore dello stesso nome dal 1205 al 1209; che 1' * Aimo > cancelliere
negli anni 128:^1292 sia lo scrittore di carte dal 1276 al 1279.
262 lA'IGI SCHIAPAKELLI [14 1
i conti di SaAoia non solo si accresce l' antorità del vice-
cancelliere, a nome del quale vengono sottoscritte alcune
carte ; ma talora viene a lui dato pertìno il titolo di « can-
« cellarius » (1). Più scrittori furono contemporaneamente a
servigio della cancelleria; tuttavia il loro ninnerò non do-
vette essere grande, e limitata ci appare la loro serie quale
si ricava dalle carte a noi pervenute (2). Quegli nel cui nome
si sottoscriv ono alcune carte, e che porta ufficialmente nella
subscriptio il titolo di « vicecancellarius », godeva certo
sugli altri scrittori maggiore tìducia e autorità, ne era come
il capo e talora rappresentava e sostituiva il « cancellariiis ».
Questi scrittori venivano nominati o designati molto proba-
bilmente dal cancelliere o capo della cancelleria. Dovevano
essere scelti non solo tra le persone pratiche nell' arte dello
scrivere, ma pur tra quelle che erano di buona condizione
sociale e godevano grande tìducia, che il loro ufficio era
molto importante. Non erano però ad esclusivo servizio della
cancelleria, potevano cioè esercitare liberamente l'arte loro di
scrittori. Così ho notato nell'Archivio Capitolare una precaria
del 1158 scritta da « Stephanus » ; di sua mano, e di altri
scrittori della cancelleria ho riconosciuto alcuni brevi presso
gli Archivi Vescovile e Capitolare. Taluni di questi. scrittori
furono anche notai pubblici; ad es., « Turumbertus », « Dio-
« nisius » e « Aymo (Boneti) »; ma, naturalmente, quando scri-
vevano altre carte, come brevi o istromenti, non fungevano
da ufficiali della cancelleria (3). Di altri ufficiali, oltre ai de-
ll) CtV. p. 344, note 17, 21. Nella subscriptio dì alcune carte ligu-
la no il vicecancelliere ed il cancelliere ; cfr. p. 342.
(2) Cfr. Appendice, IL
(3) Il breve del novembre 1161, edito in Ilisf. patr. Mon.. (Ikdì..
I. 827, n. DXIX, fu scritto da * Stephanus cancellarius.... iussu episcopi
« Guillelnii ». Non ho visto l'originale di questo breve, ma pare che si tratti
del nostro « Stephanus ». Il titolo che qui prende è quello che aveva
come scrittore della cancelleria, non come scrittore privato del vescovo.
11 medesimo caso si ha nel documento del 1177 edito dal Pivaxo, op. cit.,
p. 1(K). n. XX. È pure probabile che sia il nostro, lo « Stephanus » che scrisse
il breve pubblicato in llist. pair. Mori.. Cltarf., II, 1025, n. MDXXXV. La
precaria ricordata si conserva nell'Archivio Capitolare: in essa non
lìgura il nome del notaio, ma si riconosce dalla scrittiiia la mano di Ste-
fano. (Cfr. Appriìdico. 1. n. iS).
[15]
CHARTA AUGUSTAXA
263
jignati, non rinvenni notizia. Solo in nna carta, quella
del 1040, si ricorda il dictator; ma di tale carica non si
sentì certo il bisogno quando la carta aostana raggiunse il
suo sviluppo e fissò il suo formulario, poiché allora per la
fatlin*a di essa ben poteva bastare lo scrittore.
Gli scrittori della cancelleria tenevano la loro sta t io in
Aosta, in luogo pubblico, « ante ecclesiam S. Marie et S. lo-
« hannis » (1), e « rogati corani pluribus » ricevevano le dispo-
sizioni di quanti volevano far stendere un atto contrattuale.
Non risulta che per il loro ufficio fossero fissati giorni
speciali della settimana, e infatti abbiamo carte datate con
tutte le ferie, dalla prima alla settima ; così non sappiamo se
nei primi tempi fossero stabiliti i giorni del mese o la setti-
mana : è forse probabile, ma certo non risulta dalle carte di
epoca più tarda, allorquando si usò indicare nella datazione
teria e settimana o giorno del mese {^). Erano presenti all'atto
i « testes » (3), i « fideiussores » (4) e talora anche i « land a-
(1) Cfr. per questa località, Due, Cariulaire, p. :213, nota 1.
(:2) Per i notai pubblici, leggesi nelle CoùHimes générales chi Ducile
(l'Aoste {"2 ecliz., Aoste, 1684), p. 123, JJes nofalres, article LV, questa
disposizione : * Est inhibé aux notaires recevoir à jour de Dimanche, ou
< autre fete solemnelle, méme pendant la celebration du divin Office, et
* audition du Sermon, contracts aucuns de vente, permutation, échange,
* bail à ferme, et autres actes quels qui soient, qui peuvent etre passés à
* autre temps ; si non qu'il y aìt nécessité urgente de ce taire, et telle
* que pour dilayer de passer les dits contracts le droict des paities en
* soit rendu détérieur *.
(3) In numero di cinque; cfr. p. 280, nota 1.
(4) In numero di due; cfr. p. 28(), nota 1. Servendoci di una frase
di un istrumento del 18 marzo 1278 (cfr. p. 345) potremo dire che si fa-
ceva garantire la carta acciò 1" acquirente « decipi non possit nec eciam
« defraudari». Figurano, senza eccezione, in tutti i generi di atto. Erano
mallevadori per l'evizione; servivano certamente ad impedire possibili
contestazioni. Gli acquirenti erano così assicurati, garantiti dai fideius-
sori di fronte ai terzi. La frase che ricorre nelle nostre carte per indi-
care la fideiussione o garanzia e il corrispondente suo valore, trova
speciale riscontro con simili espressioni in carte del territorio franco.
Nel territorio del regno longobardo, è notevole l'uso che si trova nei
documenti di Ivrea, così vicina ad Aovsta, della formula « dedit.... gua-
* diam guarentandi * (cfr. Durando, Le carte dell' Ardi tv io capitolare
d'Irrca fino al 12S0. nella liiblioteca della Società storica Sidìal-
264 LUIGI SCHIAPARELLI [16]
« tores » (1). Questi potevano farsi rappresentare, la moglie dal
marito e gli altri dai loro avvocati, ed è probabile che atte-
stassero il consenso ponendo la loro mano in quella dell' alie-
nante (2). Il consenso, che pure figura in ogni genere di
atto, non era sempre necessario e spesso si ottenne dopo che
la carta era compiuta, trascorso anche un certo tempo, come
ci dicono alcuni documenti e attestano i caratteri estrinseci
della stessa carta aostana (3). La carta augustana ammet-
teva il contradittorio ; leggesi infatti sul verso di alcune
di esse: « contradixit » o « contradixerunt ». È probabile
plìU(, Pinerolo, 1902, pp. 27, 33, ec), la quale ricorda e serve a spie-
gare la forma gerundiva « garendi » o * guarendi cartam » della nostra
carta; cfr. p. 295. Non credo che i fideiussori in Aosta formassero allora
una vera istituzione. Il loro intervento non è limitato alla carta aostana
e non scompare con questa. In un breve del sec. XII {Hist. patr. Moit,.
Charf., II, 211, n. GLXVI), sono detti « fideiussores de legali guarentia ».
Diedero origine più tardi all'istituzione dei garends o della (jareìit'te.
Cfr. Coùtìtnies générales dii (ìiiché d'Aoste (2.* ediz.), pp. 458 segg., Des
fìde'utsseuì's. e pp. 527 segg., D'insfance de garenfìe ; G. Nani, Gli Sfa-
fiffi dì Pietro II conte di Savoia, nelle Memorie della li. Accadetnia
delle Scienze di Torino, ser. II, to. XXXIII, Scienze mor.. stor. e plos.
(Torino, 1881), p. 74, nota 4; Pivaxo, op. cit., p. 67; A. Lattes. // diritto
consiietadinario delle città Lombarde (Milano, 1899), pp. 213 segg. ;
V. Gampogrande, Trattato della fideiussione nel diritto odierno (Torino,
1902), p. 24. Si veda quanto sui fideiussori nelle carte Bavaresi scrive
J. Merkel, iJas firmare des bairischen Volksrecldes. nella Zeìtsclirift
far lìecidsgesclìichte, II (Weimar, 1863), pp. 146 segg.
(1) Sul verso della carta del 1291 febbraio feria 6 (orig. Ardi.
Capitolare) si legge la nota : * debet un den. prò laudacione cuiusdam
« carte aug. * ; la carta 1283 gennaio feria 2, di vendita fatta da * Beatrix
* f. condam Peroneti de Foschia.... in Vioninum Felisie clericum civem
« Aug. >, ha la nota (sul verso): « debet de laudatione et extra sedem »
(orig. Arch. Gapit.); 1348 febb. 16 (orig. Arch. Vesc), pure sul verso:
* debet prò laudacione x den.». Questo lascerebbe supporre che, in al-
cuni casi almeno, per il consenso si pagasse una tassa alla cancelleria.
Re ci pere laudacionem costituiva un atto a sé (cfr. p. 347). I * lauda-
« tores » appartengono per lo piìi alla famiglia dell'alienante ; è notevole
il largo uso che se ne fa per i vari generi di carta; diverso è il loro nu-
mero e il grado di parentela. Figurano anche gli infanti. Cfr. Pivaxo,
op. cit., pp. 67-68, e Kerx, op. cit., pp. 9-10.
(2) Tale, ad es., era l'uso bavarese; cfr, Merkel, op. cit.. p. 138.
(3) Cfr. PI). ^307-308, 347.
!17J CHARTA AUGUSTANA 265
che in Aosta si praticasse qualche cosa di simile all'uso
del diritto popolare Bavarese (1), che lo scrittore della can-
celleria, ricevuta la volontà dell'attore o degli attori, gri-
dasse per tre volte se alcuno dei presenti avesse opposizione
da tare. Se opposizione si taceva, non si procedeva al com-
pimento della carta (i2); se poi non vi era opposizione, se
alla domanda dell' utfìciale rispondeva il silenzio dei pre-
senti, allora l'atto si intendeva come eseguito. Allo scrittore
della cancelleria non restava che dare compimento materiale
alla carta, assicurarle la fides publica. Nelle carte aostane
nessuna formula accenna all'investitura ; ma è probabile che,
se pure non bastava il tacito consenso dei presenti, venisse
latta ordinariamente « corporaliter per pollicem», come era
r uso comune del luogo e come troviamo ricordato in altri
documenti (3) ; conosco un solo esempio, con riferimento
ad atto compiuto mediante carta aostana, di possessio
e or p orali s fatta « per traditionem capucii » (4). Nessun
(1) Cfr. Merkel, op. cit,, p. 14tì,
{•2) Cfr. a p. 271, che cosa si intenda per compimento della carta
aostana.
(3) In un istromento di vendita del 1294 giugno 3, fatta da * laco-
* beta filia condam Petri mistralis civis Aug. uxor lohannis Thiebaldi
* de Prato Sancii Dederii de consemsu volumtate et mandato expressis
* predicti viri sui et Mathelda dieta Bertoleta soror predicte lacobete *
a * lohanni de Fonte de Villa super Nunx » : « .... et dictum dominum
« lohannem de ipsa (pecia) corporaliter per policem, ut moris est, in-
* vestìerunt, dantes et concedentes eidem licenciam et mandatum ut
« possesionem corporalem ipsius rei, quandocumque sibi placuerit, intrare
* et apprehendere possit sua auctoritate, et apprehemsam possidere, con-
« stituenites se prò eo precario possidere donec ipsius rei possesionem
< apprehemderit corporalem * (orig. Arch. Capit.). Gli esempi sono nu-
merosi ; cfr. Due, Documents relafifs à réplscopat citi b. Énieric 1,
nn. 1, 2, 7, 8 ec.
(4) * Anno Domini W GCC' XLIP, ind. X% pridie kal. aprilis, ante
« ecclesiam S. Marie Aug., coram testibus.... Notum sit omnibus, quod
« cum lohannodus asinarius civis Aug. vendiderit per chertam aug.
* iuratam per ipsum in Nicholetum Felisie civem Aug. et cui dare vo-
« hierit sub anno predicto die xxvii mens. marcii unam peciam terre, que
* iacet Puen^'o {s-e(/iiono ì c'onfììiì), hinc est quod dictus lohannodus po-
* suit dictum Mcholetum Felisie in corporalem possessioneni diete pecie
« per traditionem capucii sui, renuncians omni exceptione.... Ego Aymo
* Honeti not. publicus * ec. (orig. Arch. Capit.).
2(56 JXIUI SCHIAPAKELLI fl8J
accenno alla tradii io e art a e (1). Ritengo che lo scrittore non
giudicasse sul merito delF opposizione che veniva sollevata,
ma dovesse unicamente prenderne atto e non passare a dar
compimento alla carta. Non ho trovato esempio in cui al
« contradixit » si aggiunga una motivazione qualsiasi. Occor-
rendo, spettava alle parti interessate far sentire le loro n\-
gioni e ricorrere al giudizio, secondo le leggi e le consuetu-
dini del. paese. Così spiego il conservarsi di carte aostane
non compiute e colla nota cancelleresca « contradixit » o
« contradixerunt » (2) ; non per questo l'atto si riteneva nullo,
ne il documento veniva a perdere ogni suo valore, ma do-
veva conservare ancora il valore della notitia o del breve,
salvi restando i diritti dell'opposizione già manifestata (3).
Tutto questo procedimento si sarà seguito probabilmente sol-
tanto nei primi tempi e non in tutti i casi ; in seguito nella
pratica si sarà fatto a meno di alcune formalità, per adot-
(1) Cfr. Kern, op. cit., p. 65.
(2) Sul verso di una carta aostana del 1344 febbraio 7 (orig. Ardi.
Capit.) si legge questa nota : « Bonefacius fìlius condam Roleti de
« Villa, Bernardus fìlius condam lohannis de Villa et domnus episcopus
* Aug. ad lequisitionein Gapituli Aug. contradixerunt. Passata est de
* precepto dictorum contradicentium ». Malgrado l'opposizione la carta
* passata est » ; le venne cioè dato compimento, perchè gli oppositori ac-
consentirono. Un altro esempio troviamo in una carta del 1363 mag-
gio % con questa nota in calce, sul verso: * domnus episcopus Auguste
« contradixit presentem chertam ad requisitionem Gapituli Auguste; pas-
* sala est de precepto dictorum episcopi et Gapituli ». Il recto è com-
pleto ed è sottoscritto da « Aymo gerens vices domni Amedei com. Sab.
« cancell. > (orig. Arch. Gapit.). L'ufficiale della cancelleria non è giu-
dice e non giudica ; soltanto se non vi sono oppositori o se questi
non insistono, egli passa a dare compimento alla caiia, ad assicurarle
piena fede.
(3) Infatti una carta dell" Arch. Gapit.. di vendita di una casa in
Aosta nel luogo detto « Malum Gonsilium », fatta da * lacobus dictus
* Raschays de Ginno.... in Petrum Gotrous », ha sul verso , in calce, questa
nota : « Dumnus Guido de Ginno contradixit. Reddatur venditori, non
-« solvit ». 11 «contradixit» non rendeva inutile l'altra nota che avverte
come la carta si debl)a restituire all'autore. Questa seconda nota annulla
effettivamente l'atto. La pergamena è scritta soltanto sulla faccia verso,
e la scrittura rivela la mano di * Dionisius ». l dati cronologici sono:
-* feria iF, mens. may ».
|19J CHARTA AUGUST.VXA 2«)7
tare un procedimento più sbrigativo, che avrà dato tacile
il passo a commettere alcune irregolarità (1).
Nel primo periodo della carta aoslana probabilmente lo
scrittore della cancelleria riceveva la disposizione dei con-
traenti scrivendola subito direttamente nella faccia verso
della pergamena, sul cui recto poi doveva stendere una
seconda redazione, quella che per ora potremo dire reda-
zione solenne dell'atto o copia a buono. Ma negli altri pe-
riodi di questa carta, quando essa raggiunse il suo sviluppo,
la notitia sul verso è dovuta ad un atto posteriore (^) ;
Tufficiale riceveva le disposizioni su una scheda o imbrevia-
tura. Sappiamo che nel XIV secolo questi ufficiali della can-
celleria tenevano veri protocolli, detti registri, come quelli
dei notai pubblici (3) : ma è probabile che già prima la can-
(1) Abbiamo esempi di carte la cui azione giuridica non ebbe effetto,
e la cancelleria fu tenuta ad apporre sul verso speciali note dichiarative.
Una carta dell'Archivio Capit.. di donazione fatta da « Guido de Gigno
« domicelhis.... in ecclesiam S. Marie Aug. ad opus prebende quam dedit
* diete ecclesie Reymondus de Estra ». ha sul verso: «non solvit, do-
* natori reddatur » e sotto si aggiunge: « Domnus P. rector ecclesie de
« Gigno vocetur, lohannes de Gigno prò eo ». L'altra faccia della pergamena
è in bianco, sicché la carta non venne compiuta. Porta i dati cronologici
« feria ini», mens. decembr. », e la scrittura si riconosce per quella delle
carte di «lohannes gerens vicem Gonterii cane». Si ha esempio di carta
completa di vendita in cui si dichiara che il prezzo non è stato pagato
(cfr. p. 289, nota 3). Così una carta completa del 1289. feria ii, ha sul
verso: * R(eddatui) permutatori, non solvit » (orig. Arch. Capit.). Cfr.
ancora p. 266, nota 3 e gli esempi in Due, Carfulalre. p. 227, n. XXV,
p. 229. n. XXVII e p. 24(), n. XL. Le due prime carte (nn. XXV, XXVII)
hanno nell" ed. del Due la nota « non est f. » ; ma ritengo si debba coi-
reggere «non est f. ». '< non est s(olutum precium)». Una carta di do-
nazione, del 1217 ott. (orig. Arch. Osp. Maur., Torino; Aosta. Territori
<1'EHtroHljìes e Stipule, mazzo I, n. 8), ha sul verso: «p(recium) e(st) so-
« l(utum) ». Non crederei che « precium » si riferisca alla tassa della cane.
(2) Questo si ricava da quanto segue, e vedansi in particolare gli esempi
alla nota 3. Ne sono di conferma anche 1 caratteri estrinseci, poiché ora
la scrittura sul verso non presenta più i caratteri propri di una minuta,
è meno affrettata e trascurata, ha meno forti e numerose le abbreviature.
(3) NeVi "autenticazione di copia, eseguita nel sec. XV, di una carta
aostana del 20 aprile 1345, il pubblico notaio « Bonifatius de Villa civis Au-
« gust. » dichiara: « hanc chertram de prothocollis condam Aymonis Boneti
« tunc vicecancellarii prò illustri principe donino Amedeo comite Sabaudie
« inichi commissis manu propria levavi et in hanc formam, prout in
268 1X1(41 SCHIAPARELLI |20J
cellerìa avesse sentito il bisogno di conservare in appositi
registri notizia o copia degli atti che venivano scritti da'siioi
ufficiali (1). La scheda, che veniva probabilmente letta agli au-
tori dell'atto e alle persone interessate (2), doveva contenere
* ipsis inveni, redegi » (Arch. Osp. Maur., Torino : Aosta, Territori
d' Estronbles e Stipnle, mazzo I, n. 80). Esempi ci offrono le stesse carte
aostane : a. 1337 maggio 2, donazione fatta da «Richardus de Mer de Gigno»
ad * Anthonie eiiis uxori » colla sottoscrizione « Aymo gerens vices
« domni Aymonis comitis Sabaudie scripsit et subscripsit ac levavit de
« registris Bonefacii vicecancellarii, qui eam registravi! in Angusta
« ci vitate » ec. (orig. Arch. Capit.); a. 1366 luglio 21, vendita fatta da
« lohannes clericus f. condam Bonifatii Picolerii.... in Anthonium de
* Terico de Lucana ci veni Aug. et in Alesiam eius uxorem.... Petrus
•« gerens vices domni Amedei comitis Sabaudie cancellarli scripsit et
* subscripsit in Augusta civitate rogatus coram pluribus loco publico
« ante ecclesiam S. Marie et S. lohannis, de registris condam Aymonis
« vicecancellarii et secundum est usitatum, die xxi mensis iulii, regnante
« Karolo imperatore, anno Domini moccclxvp » (orig. Arch, Capit.). I regi-
stri di questo Aimone vice cancelliere li trovo ricordati nelle sottoscri-
zioni di altre due carte aostane, 1366 novembre 28 e 1372 novembre 22,
dell'Archivio Capitolare, ricavate da quelli da « Petrus gerens vices domni
«Amedei com. Sab. cancell. ». NeirArch. Capitolare ho notato due
carte, una del 7 aprile 1326 e altra del 30 aprile 1326, di contenuto di-
verso, scritte sulla stessa pergamena ; non furono staccate, e vien fatto
di supporre che sieno state ricavate dal registro del notaio. I documenti
imbreviati in questi registri dovevano essere del tenore della redazione
che ora leggiamo sulla faccia verso della carta aostana ; in altre parole,
questa redazione sul verso sarebbe stata copiata letteralmente dal re-
gistro o imbreviatura (cfr. p. 308). La datava riferita all'azione (cfr. p. 305),
e l'anno di Cristo, ogni qual volta manca sul verso, è supponibile che
venisse ricavato dal registro, naturalmente quando si fece uso di questo ;
e quivi non doveva trovarsi in calce ad ogni documento, poiché allora
figurerebbe sul verso di tutte le carte riprodotte dal registro. Il fatto è
evidente per le carte che hanno le due redazioni compilate a distanza
di tempo e soiio dovute a diversi ufficiali della cancelleria. Per queste
carte l'anno doveva pure essere registrato in qualche parte. Forse nei
registri l'anno di Cristo era notato soltanto in alcuni casi, quando mu-
tava: in altri termini, probabilmente questi registri erano compilati e
distribuiti per anni.
(1) Ad es.. Fanno della carta del dicembre 1290 (di cui alla p. 270,
nota 1), colla redazione sul recto scritta a distanza di qualche anno
dalla redazione sul verso, non venne ricavato dal verso, dove manca,
ma da un registro o protocollo, nel quale doveva figurarvi.
(2) Gli Statuti di Pietro li di Savoia (1263-1268) ordinano questo
procedimento per gli istromenti nel comitato di Savoia: * Item statuimus
« quod omnes notarli seu tabelliones qui sunt vel erunt in Comitatu
|21J CHARTA AUGUSTANA [269]
quanto riproducono le carte sul verso della pergamena (1).
Stendere la scheda o imbreviatura si disse « recipere » (2), anche
« registrare » (3) ; passare da quella alla redazione dell'atto
sulla pergamena « levare » (cartam) (4), e si distinse il lavoro
■» Sabaudie qui voliierint tacere cartas vel instrumenta, ea primo iniue-
* vient in cartalariis suis et omnia ponant in breviatura que postea erunt
* in cartis vel instrumentis, et hec faciant dicti tabelliones antequam
* recitent vel narrent partibus ea de quibus erunt facturi instrumenta
* vel cartas, corani testibus vocatis et rogatis et corani partibus, et, post
* abreviaturam lectam corani testibus et partibus et approbatam, nichil
* addatiir vel minuatiir postea per tabelliones de Consilio jurisperiti vel
« sine eius Consilio; de siistancia taraen contractus pertìciatur », C. Nani,
op. cit., p. 121, art. 13. cfr. p. 109; cfr. Bresslau, Urkumlenlehre, I, 765.
Si cfr. gli Statuti di Amedeo VI (C. Nani, Gli Statuti dell'anno 1379
di Amedeo VI conte di Savoia, nelle Meni, della B. Acc. delle Sciente
di Torino, serie II, to. XXXIV, Sciente mor., stor. e fìlos.. Torino,
1881, p. 156, art. 42 e Xuova edizione degli Statuti del 1379 di Ame-
deo VI di Savoia, nella Miscellanea di Storia Itcdiana, XXII, To-
rino, 1884, 276, ali. 41); e l'art. De tabellionibus et notariis negli
Statuti di Amedeo VIII (E. Durando, Il tabellionato o notariato To-
rino. 1897, pp. 159 segg). Nelle Coùtumes générales du diiché d'Aoste,
op. cit., p. 115, Des notaires, article XIV: * Dresseront aussi d'ores-
< en avant la minute, ou à tout le moins, retiendront memoires par écrit
« de tonte la substance des contrats, avant que prendre lamain, etserment
« des parties, pour la reception d' iceux, et en feront lecture tout au long,
* intelligible et claire, en la presence des dites parties, et des témoins qui
< y seront appellés ».
(1) Questo valga come ipotesi e si intenda in senso generale. Delle
carte aostane di cui a p. 267, nota 3, estratte dai protocolli di Aimone
e di Bonifacio, si riproduce appunto il verso. Non mi risulta che si
conservino tuttora protocolli di questi scrittori della cancelleria.
(2) 1322 marzo 28 (orig. Arch. Capii.): * Hugo gerens vices domni
* Amedei com. Saubaudie cane, recepii in Augusta civitate, die xxviii",
« mens. martii, vacante sede imperiali, anno Domini M^CGC^XXIP. Fran-
« ciscus gerens vices Eduardi com. Saub. cane, levavit scripsit et sub-
« scripsit et in publicam formam reddegit ». La carta è scritta sulle due
facce da * Franciscus ». La data si riferisce all'azione, e già doveva
trovarsi sulla scheda o protocollo.
(3) Cfr. p. 267, nota 3.
(4) Cfr. nota 2 e p. 267, nota 3. Il medesimo si verifica negli istro-
menti della Valle di Aosta, dove troviamo le frasi « recipere instrumen-
* tum », * ita est receptum per me.... notarium » che si riferiscono al
lavoro di imbreviatura. Quando si distinse la scheda dalla imbreviatura
le citate frasi si usarono con riferimento alla prima, e si disse « imbre-
< viare » la seconda operazione, e * levare » estrarre la copia dal proto-
collo; quindi abbiamo nei protocolli e negli istrumenti indicazioni come
Arch. 8tor. It., 5." Serie. — XXXIX. 18
270 LUIGI SCHIAPARELLI |22J
di redazione sul verso con « scribere », e con « subscribeie »
quello sul recto (1). Invece di « subscribere » si adopera
queste: « Ita est receptum per me.... notariuin et imbreviatum manu....
* notarii publici»; «Ego.... aiictoritate imperiali et domini comitis Sa-
* baudie notaiius publicus hanc cartam rogatus recepi, scribi feci per....
* notarium piiblicum coadiutorem meum, me quoque manu propria sub-
« scripsi et signo meo signavi consueto»; «Ego.... imperiali auct. not.
« publicus hanc cartam per me receptam scribi et levari feci manu....
«notarli publici ex commissione et potestate mihi concessa per dominum
« ballivum Vallis Aug., et inde me subscripsi et fideliter signavi». Si
cfr. l'art. De tabellionibus et notariis, negli Statuti di Amedeo VILI
conte di Savoia (Durando, op. cit.. pp. 161 segg.).
(1) Esempi: 1290 dicembre, feria vi (orig. Arch. Capit.): « Guilleiimis
« gerens vicem lacobi cancellarli scripsit et subscripsit in Augusta civ....
« feria vr, mens. dee, vacante sede imperatorum, anno Domini M'^GCXC".
« Et licet Dionisius de Sala olim vicecancellariì prima scripsisset. predici us
« Guillelmus auctoritate et mandato domni Comitis complevit * : sul verso:
« fer. VI, m. decemb. ». La data si riferisce indubbiamente all'azione o
alla prima redazione sul verso, di mano di « Dionisius». Tra questa e la
seconda redazione sul recto trascorsero almeno due anni (questo « Guìl-
« lelmus » è lo scrittore che lìgura, secondo la lista a p. 342, tra il 1292 e
il 1310 sotto il cane. « lacobus »). — 1299 luglio (27), ter. ii i\ ebd. (orig. Ardi.
Ga^it.): « Guillelmus scripsit. Villentus gerens vicem lacobi cancellarii sul)-
« scripsit in civitate Auguste..., feria ii, mens. iulii, a. Domini MGGLXXIX '»
(segue a GG rasura di altro G). Il verso, che fu scritto da «Guillelmus»
ha la data: «feria ii, mens. iulii, iv ebd., IX» ». L'a. 1279 del recto è
certamente errato, e va corretto 1299. Questo scrittore « Guillelmus »
suole abl)reviare 1299 con IX''. — 1300 ian. (9), feria vii ii ebd. (orig. Arch.
Gapit.). Sul verso l'anno è indicato in forma abbreviata con « IX"», e si
dovrebbe sciogliere 1299, secondo l'uso che adotta anche in altre carte
lo scrittore di questa « Guillelmus ». Sul recto però sta 13(X), mentre
le indicazioni del giorno del mese sono uguali a quelle del verso. Sì
potrebbe supporre che l'a. 1300 si riferisca alla redazione sul recto, ma
è forse più probabile che sia errato il «IX"» sul verso, trattandosi dei
primi giorni dell'anno nuovo, ed essendo quindi facile che sia stata
ripetuta per inavvertenza la data dell'anno trascorso. — 1302 agosto (10).
feria vi ii ebd. (orig. Arch. di Stato in Torino, Ducato d'Aosta, mazzo 1.
8, n. 43) : « Guillelmus scripsit. W. Moschet gerens vicem lacobi cancel-
« larii subscripsit »; «ii ebd. » leggesi solo sul verso. — 1304 gennaio (25),
feria vii iv ebd. (orig. Arch. Gapit.): « Brunus gerens vices lacobi cancel-
« larii scripsit, et Aymo gerens vices Amedei comitis Sabaudie subscripsit ».
Tra le due redazioni trascorsero circa 40 anni ; cfr. la serie degli uf-
ficiali della cancelleria, p. 342. — 1304 ottobre (28), feria iv iv ebd. (orig.
Arch. Vesc.) : « Guillelmus gerens vicem lacobi cane, scripsit. W. Moschet
« subscripsit ». — 1305 (?) apr. (26), ter. ii iv ebd. (orig. Arch. Gapit.) : « Wil-
\2'S\ CHARTA AUGUSTANA 271
anche, di preferenza nelle carte non aostane, ma con rife-
rimento ad esse, « compiere » (1). Tra lo « scribere » e il
« subscribere », cioè tra la redazione sul verso e quella
sul recto, poteva trascorrere un tempo più o meno lungo (^).
Non sempre si poteva o si voleva « compiere » la carta, con-
diu'la cioè a compimento tutta di seguito, senza una pausa,
e infatti non sono rare le carte aostane giunte a noi in-
compiute, vale a dire colla sola scrittura o redazione sulla
faccia verso (3). Si potev^ano dell'atto stendere più copie,
delle quali il protocollo presentava la redazione prima e ne
era, considerato sotto un certo aspetto, la minuta. Sul verso
delle carte aostane si leggono talvolta alcune indicazioni,
come: « levata est ad opus... », « reddatur » o « datur » (« ven-
« ditori », « donatori », « acquisitori », o anche a persone di-
verse dai contraenti, anche a persone non nominate nel testo),
le quali si riferiscono al possessore della carta, a chi ne
* lentiis gerens viceni lacobi cancellaiii subscripsit.... Guillehnus scripsìt.
* Willentus subscripsit ». — 1309 apr.-ag. (orig. Arch. Gapit.) : * Guil-
* lelmiis gerens viceni lacobi cancellarii scripxit, feria i, raens. aprii., et
* lohannes gerens vicem ipsius lacobi subscripxit in Augusta ci vitate...,
* feria ima, mens. aug.. vacante sede imperatorum, a. Domini APCCCIX'' » :
sul verso * feria f, apr. *.— 1309 marzo-nov. (orig. Arch. Osp. Maur.,
Torino: Aosta, Terrifori d'Esfrotibles e Sfipiile, mazzo I, n. 56): « Da-
« nisetus gerens vicem lacobi cane, scripxit, feria iii», mens. martii, et
* lohannes ger. vie. ipsius lacobi subscripxit..., feria vi^, raens. nov., va-
« caute sede imperatorum, anno Domini M^CGCIX » ; sul verso : « feria iiP,
« mens. marcii ». — Inoltre si cfr. gli esempi riferiti a p. 267, nota 3, e
p. 269, nota ±
(1) Cfr. gli esempi a p. 270 nota 1, e pp. 345, 346. Compiere insfrtf-
ìnentum o charfam significa redigere dall' imbreviatura* l'istromento in •
forma pubblica (= compiere imbreviaturam); es: * Pateat universis presens
* instrumentum inspecturis, quod ego infrascriptus notarius vidi tenui et
* de verbo ad verbum legi in protocollo condam Dionisii de Sala prebendari!
* Sancii Ursi inbreviaturam cuiusdam instrumenti », e nella compiei io :
* Et ego Petrus, qui dicor Guido, clericus publicus not. sacri palatii....
* predictam inbreviaturam in hanc publicam formam redegi, cum dictus
« Dionisius morte preventus non potuisset instrumentum cumplere: et
* hanc cartam scripsi fideliter et signavi » a. 1294, ottobre 23 (orig. Arch.
della Collegiata di Sant'Orso). Cfr. Kern, op. cit., p. 5(), nota 5.
(2) Cfr. gli esempi di cui a p. 270, nota 1.
(3) CfV. p. 267. nota 1. e p. 3(VS.
272 LUIGI SCHIAPARELLI [24]
fece eseguire, estrane copia (1). Per avere una carta ao-
stana si pagava una tassa (^). Nei secoli XIII e XIV, ma
nel XIV meno regolarmente, si aggiunse al nome dell'autore
« iuratus », quindi ne derivò l'espressione « iurare » o « iurare
« tacere cartam augustanam » per indicare l'autore della mede-
sima, ossia per designare chi ricorse alla carta stessa per un
atto contrattuale (3). Sull'azione di questa cancelleria eser-
(1) In ima carta del 5 ottobre 1339 (orig. Ardi, di Sant'Orso), sul
verso : * De hlis fiant due cherte augustane unius tenoris, quarum ista
* erit ad opus dicti donatoris ». In parecchie carte del sec. XIV, nel-
1' Arch. Capit., leggesi sulla faccia verso, in calce : * Levata est ad opus
« ecclesie de mandato domni comitis SaJ)audie » o « Levata est ad opus
«ecclesie prò helemosina de mandato domni nostri comitis Sabaudie ».
N'elle carte aostane della seconda metà del XIV secolo, quasi di regola,
si legge sul verso, tra il giorno del mese e l'anno: * Reddatur acqui-
*sitori » o « Reddatur.... » col nome della persona cui dovrà consegnarsi
la carta. Lo stesso procedimento si teneva per gli istromenti. Nelle im-
laeviature si leggono note come queste: «levavi unum >, •« levavi duo »
e spesso con una determinazione, come : * levavi unum (o duo) pio acquisi-
* tori », oppure * levavi unum (o duo) ad opus dicti... ». Eil testo del do-
cumento, sia nell'imbreviatura, sia nel vero i n s t r u m e n t u m p u b 1 i e u m,
termina spesso con indicazioni, come: « inde quoque duo et plura pu-
* blica instrumenta ». * inde quoque unum et plura publica instrumenta »,
* inde tìant tot publica instrumenta quot fuerint necessaria », * et de
* predictis flant duo et plura publica instrumenta ut melius dictari et
* emendar! potuerint sustancia observata », * et de predictis mihi no-
* tarlo infrascripto iussum fuit fieri quoque tradi unum et plura pu-
* blica instrumenta ad opus dictorum domnorum ». Talora si aggiungono
indicazioni relative al prezzo della copia o delle copie ; quindi nelle
imbreviature si legge in line del testo: * de quibus idem acquisitor dixit
« solvere duo, videlicet unum prò se aliud prò donatore » (o « prò domno... »
o * prò dicto.... ») e simili, e negli istromenti troviamo esempi come
questi : * de quibus primis instrumentis predicti acquisitores dixerunt
« solvere unum prò dicto donatore», « michi not. infrascripto precepit duo
* et plura publica instrumenta, quorum duo prima sunt expensis ac-
« quisitoris », ■« duo et plura instrumenta expensis dicti acquisitoris ».
(2) In calce (faccia verso) della carta 1340 luglio :2, di vendita fatta
da < laquemetus Marro.... indoranura Petrum Botona », si legge : « Debet
* de presenti cherta xviii den. et xviii den. de quadam alia precedenti
* cherta » (orig. Arch. Capit.). Questa tassa o emolumento dovuto alla
cancelleria probabilmente era in rapporto col valore del contenuto dei-
Fatto.
(3) Cfr. p. seg., nota 1.
f25j CHARTA AUCtUSTAXA 273
citarono autorità e sorveglianza, nei primi tempi, come pare,
il vescovo, indi il conte di Savoia e in sua ^ece il visconte e
poi il bailivo di Aosta (1).
Come si spiega questa istituzione cancelleresca in Aosta e
quale fu la sua origine'? Il pensiero ricorre subito, come
confronto, ad altre simili istituzioni, ai label liones in Roma
ed a Ravenna, ai curiales in Napoli, agli scribae a Gaeta ed
Amalfi. Se quella di Aosta avesse comune l'origine con queste.
(1) Ct'r. gli esempi di cui a p. :27:2, nota 1. Sul verso, in calce, di una
calta del 15 gennaio 1342 (orig. Arch. Gapit.): « Predictam chertam refeci
* de mandato domni ballivi Aug. * — 1329 maggio 1 (orig. Arch. Vesc):
« Nos Tliomas de Puanis ballivus Vallis Aug. prò illustri principe domno
« Eduardo comite Sabaudie, notum facimus.... quod veniens ad nos lo-
* hannes de Valle Enchalant dictus de Palen civis Aug. nobis supplicavit
-« humiliter, quod nos duo instrumenta facta manu Dyonisii de Sala pu-
« blici notarli et unam chertram augustanam deberemus videre et exa-
« minare per modum de vidimus ad perpetuam rei memoriam.... Tenoi-
« diete chertre talis est.... In quorum omnium premissorum robur et
« testimonium presentibus literis sigillum Curie dicti domini nostri comi-
* tis. quo utimur in Valle Aug., duximus apponendum » ; cfr. p. 351.
I Conti del bailivo della Valle d' Aosta, nelT Archivio Camerale di
Torino, danno numerose testimonianze in riguardo. Dagli Estratti
pubblicati dal prof. Gabotto, op. cit., ricavo questi notevoli esempi :
p. 328, 21. Reati hi Val d'Aosta negli anni 1304-1306 : * De viii libr.
« receptis prò facto laqueraeti de C[r]est, qui dicebatur turasse quamdam
* falsam cartam, et periurasse, et eciam quia famuli Peroneti Gontardi
« dicuntur impedisse quominus castellanus Castri Argenti dictum laque-
« metum caperei » ; pp. 357-58, 80. Reati in Val d' Aosta fra 28 nor.
1328 e 1 sett. 1.330. (Recepii) : « A Cecilia Porte Sancii Ursi, que in se
« iurare fecerat chartam augustanam indebite, xl sol. », « A laquemeto
« Gontardi, prò Theobaldo de Genevrines, quia inculpabatur fecisse fieri
* falsam chartam. xxv sol. »; p; 361, 88. Reati in Val d'Aosta fra 1 seti.
1330 e ò maggio 1332. (Recepii): « A Bosoneto de la Ciriaci et eius con-
« sorti bus, quia se iuraverant de quodam instromento falso contra Alariam.
« VI libr, » : p. 372, 109. Reati in Val d'Aosta fra 1 aprile 1337 e 24 giu-
gno 1338. (Recepii): « A Villelmo de Quarro de Stipulis notarlo, morante
* apud Augustam, quia inculpabatur falsum scripsisse in prothocollo pa-
« piri sui, XL libr. vien. * ; pp. 380-81, 127. Reati in Val d'Aosta fra
7 luglio 1340 e 2.0 agosto 1341. (Recepii): « A dicto Marenchon de Ar-
* puUes, quia iuravit quamdam chartam augustanam in Martinum de
« Triceno, non reservatis sex sol. de helemosina ecclesie S. Stephani,
* LX sol. vien. *.
274 LUIGI SCHIAPARELLI f26J
dovremmo farla derivare direttamente dalla Curia romana
cittadina; il suo comparire proverebbe il perdurare anche in
Aosta di antichi usi giuridici romani. Aosta apparteneva al
territorio franco-burgundio, ed è noto che in Francia la Curia
diu'ò più a lungo che non nell'Italia longobarda; l'uso della
insinuazione dei documenti nei Gesta ninnici pali a, nei pro-
tocolli della Curia, scompare prima in Italia, dove le ultime
tracce sono del VII secolo, mentre in Francia si conserva vivo
ancora tutto il secolo, ed alcuni esempi si spingono fino alla
metà circa dell' Vili (1). La stessa posizione geografica di
Aosta avrebbe contribuito al conservarsi di certi usi e carat-
teri antichi. Se non che tale ipotesi non spiega alcuni fatti.
La carta augustana quale ci appare nell' XI secolo none
che all'inizio del suo sviluppo; l'istituzione cancelleresca
che vorremmo far derivare dalla Curia è al principio del
suo costituirsi, mentre la Curia romana era certo scomparsa
da secoli dal territòrio franco, e nulla ci attesta che in Aosta
sia perdurata tanto tempo dopo; di essa si sarà conservata
solo una certa tradizione. Nessun documento ci permette di
vedere una continuità dallo scrittore ufficiale che insinuava
gli atti nei Gesta municipalia allo scrittore, al cancel-
larius della nostra cancelleria. E perchè il titolo di e a ne ci-
tar ius? Non credo che si possa trattare di una imitazione
delle cancellerie reali o imperiali o di quella pontifìcia.
0 non avrà piuttosto questo scrittore relazione col notaio
dei giudizi, che si trova nel regno franco fin dalla metà del
VII secolo, che i Carolingi estesero nei paesi della loro do-
minazione, e che andò presto scomparendo collo sfasciarsi
del loro impero, lasciando in generale poche tracce, salvo in
(1) Cfr. H. Bruxxer, Zar lìechtsgescìiichte dor roniisc/icn nnd
(jcnnanischen U rkmide {Berlm, 1880), pp. 139 segg. ; Bruno Hirschfeld,
Die Gesta ìitmilclpalia in romischer imd frdhgerniauischer Zeit (Mar-
hurg, 1904), pp. 66 segg. e pp. 79 segg.; H. Steinacker, Die Lelire von den
nicJit konigliclien {Privai-) JJ vkiinden vovnelimlich des deiifscJten Mitfel-
(lìfers, in A. Meister, Griindriss der GeschicJdswissen.scltaff sur
Einfuhrung in das SimUiim der detvtsclien Geschichte des Miffeìalters
und der Xeuzeit, I (Leipzig, 1906), !M3, 245. Lo Steinacker estende 1" uso
dell' insinuazione, in Italia fino al secolo Vili, e in Francia fino al secolo IX;
ma è da tenersi conto delle osservazioni fatte dallo Hirschfeld. op. cit.
[27J CHARTA AUGUSTANA 275
Italia"? Nei documenti del regno franco occidentale e di Bor-
gogna si hanno gli ultimi esempi nell'XI secolo (1); nel ter-
ritorio tedesco scompaiono prima, nel X secolo ; nella Rezia
Romana perdurano fino al principio del XII; ma solo in
Italia lo scrittore dei giudizi, sotto l' impulso delle leggi
Carolingie, ebbe vita e valore speciale, tanto da divenire
una causa diretta dello SAolgimento del notariato italiano (i2).
La derivazione che si vuol vedere- del notarius publicus
dall'exceptor publicus e dal tabularius non è stata
sempre e dovunque diretta (3) ; uno dei passaggi intermedi
ci è dato talora da Cfuesto scrittore di giudizio, che è un vero
scrittore ufficiale e, sotto un certo aspetto, pubblico (non
ancora però nel senso, del notarius publicus italiano, poiché
il diritto franco non riconosceva maggiore fides public a al
suo atto che a quello di uno scrittore privato). Sappiamo che
tali scrittori erano stabili e che formavano una vera orga-
nizzazione. Prendevano il nome di notarli o di cancellarli ;
il primo è usato di preferenza nel territorio salico, il secondo
nel ribuarico e alamannico. Dovevano essere in maggioranza
ecclesiastici e la loro giurisdizione era per lo più limitata
al distretto del comitato, sebbene in alcuni casi scrivessero
documenti anche fuori di questo. Nel lavoro di scrittura po-
tevano farsi aiutare da altri (4). E ad essi si soleva ricorrere
per stendere un atto contrattuale qualsiasi, ancorché non
aA'esse alcuna relazione con un giudizio o placito.
(1) Forse si ha ancora un esempio in una carta di Gluny, 1109-1118:
* Ebrardus presbiter rogatus ad vicem cancellarli scripsit » {lieo nei! des
Cìlurtes (le l'ahhaye de Chtny, nei Docnincììts hìédits sur l'hlstoìre de
France, V, n. 3881).
(2) Cfr. R. SoHM, Die f'rdnhisclie Reiclis-ìind (ierichtsverfassìmg
(AVeimar, 1871), pp. 525 e segg. ; L. Beauchet, Hìsto'ne de rorgaiiisatìoif
jitdkialre en France (Paris, 1886). pp. 49:2 e segg. ; H. Bresslau, Frlntn-
flenbeweis und Urkiindenschreiber hit diferen detdsclten Rechi, nelle
For.se/ningen sur dentsclien GeschicJite, XXVI (Gòttingen, 1886), 64;
l'rhundenlehre, I, 444 e segg.; H. Bruìì^er, Detitsche lìecJdsgeschìchte,
II (Leipzig, 1892), 185 e segg., Griindsnge der deutscJien lìecJdsgescJt/cJde
(Leipzig, 19()1), p. 58: Steixacker, op. cit., p. 245.
(3) Cfr. Gaudenzi, op. cit., pp. 433, 434; Steinacker, op.cit.,pp. 241, 245.
(4) Gir. Bresslau, Frkiiiidenhen'ela ec, pp. ^30, 49-51; Frìnoìdeu-
lehre, I, 444, 445. Bruxxer, Deutsche lìechfsgeschichfe. II, 186.
27() LUIGI SCHIAPARELLI [28J
Detto scrittore, che nei documenti di Borgogna figiu'a
ancora nell'XI secolo, col titolo prevalente di cancella-
rius, dovette penetrare anche nella Valle di Aosta. È
probabile che qui siasi fermato a lungo, e che, a contatto
cogli usi giuridici locali, e favorito in particolar modo dalla
tradizione ancor viva della Curia e de' suoi Gesta (1), abbia
determinato lo svolgimento della istituzione cancelleresca di
di cui ci occupiamo. L'anello più vicino al cancellarius
di Aosta non sarebbe lo scrittore pubblico della città, il
quale teneva il protocollo della Curia ed insinuava gli
atti nei Gesta, ma il cancellarius, scrittore pubblico di
giudizi nel comitato; dall'istituto di questi scrittori di giu-
dizi si passerebbe alla cancelleria di Aosta. I registri o pro-
tocolli di questi cancellieri, mentre fanno pensare, per la loro
origine, agli acta della Curia, ai Gesta municipalia, ricor-
dano nel loro svolgimento le imbreviature notarili, alle quali
(l) Una testiinonianza di questa tradizione, come dell" applicazione
del diritto Giustinianeo in Aosta, panni si possa ricavare dal conser-
varsi ancora in alcuni stromenti del XIV sec, priva naturalmente di qual-
siasi valore giuridico, la formula di rinunzia ricordante la nullità della
donazione, eccedente i 500 solidi (aurei), non insinuata nei Gesta:
* Renunciando per pactum expressum specialiter in hoc factum actioni
■* et exceptioni doli, metus. et in factum conditioni sine causa et ob
* causam et ex iniusta causa, beneticio restitutionis in Matheum fratrem
* minoris etatis. l^eneficio et auxilio iurium quibus cavetur donationem
* perfectam posse ex causa vel causis ingratitudinis revocari. et si excedat
* quingentos aureos nisi fuerit insinuata minime valituram, omnique fraudi
* simulationideceptioni et geneialiter omni auxilio quocunque modo excogi-
* tando per quod omnino possit infringi vel anniiUari aliquid predictorum »
a. 13(H febbraio 8 in Due. Dociuìients relatìfs à l'épiscopat chi h. Émerìc T,
n. 1. — « Renunciando.... beneficio iuris dicentis donationem que excedit
* quingentos aureos absque insinuatione non tenere.... » a. 1302, sett.
29, a. 1308, febbraio 8 (* absque insinuatione minime valituram »), a. 1312,
marzo 7, in Due, ibid., nn. 9, 40, 69. — «Renunciando ex certa scientia iuri
* dicenti donationem non valere que excedit quingentos aureos nisi per
* principalem insynuationem.... » a. 1305 marzo 26, Due, ibid., n. 29. —
«Renunciando... iuri dicenti donacionem que excedit quingentos aureos
« absque insinuatione non valere » a. 1305, aprile 29, Due, ibid., n. 32.
U HiRseHFELD (op. cit., p. 89, nota 1) ricorda due simili esempi del XIU sec.
nel Cartulalre de V abbaj/e de St. Victor d-c Marseille (in Doctiìuoifs
ùìédifs), II. nn. 905, 998.
[29J CHARTA AUGUSTAXA 277
vengono a collegarsi direttamente. Questa cancelleria si fìssa
solidamente tra 1' XI e il XII secolo, proprio nel periodo
di viva e generale rinascenza del diritto romano. L' im-
portanza sua sta essenzialmente nel carattere pubblico, per
Aosta e territorio, che ebbe il documento da essa emanato (1) ;
lo scrittore è cancellarius Auguste, non del vescovo
o di una chiesa o di un monastero. Fu dipendente dal-
l' autorità politica locale, prima, come pare, dal vescovo
e poi dai conti di Savoia. Nella sua organizzazione, nel
modo di funzionare, e più ancora nella carta emanata,
come tosto vedremo, mostra caratteri propri, che la distin-
guono da altre cancellerie aventi al pari di essa facoltà di
ricevere atti privati {^).
III.
I caratteri della carta aostana.
Le due redazioni sul verso e sul recto.
La carta aostana è scritta sulle due facce della perga-
mena, sul verso, o prima facies, e sul recto. Non si tratta
di un testo unico che continui sul verso, ma di due reda-
zioni di uno stesso atto, la prima scritta sulla faccia verso,
la seconda sulla faccia recto. La redazione sul verso corri-
sponde alla notizia dorsale che è comune a moltissime carte
di vari territori (3). Vediamo quali sieno i principali caratteri
distintivi delle due redazioni nei singoli periodi in cui ab-
biamo diviso la nostra carta.
Verso. Tutte le carte aostane del primo periodo, con-
servateci in originale e da me esaminate (4), hanno notizia
(1) Sul valore giuridico della carta aostana cfr. pp. 306 segg.
(:2) Riuscirebbe molto istruttivo uno studio su un'altra cancelleria
dello stesso territorio giuridico, la quale presenta caratteri simili alla
nostra, cioè la cancelleria di Sion nel Vallese. tenuta dal Capitolo.
(3) Cfr. p. 317, nota 2.
(4) Cfr. p. 3.34.
L78 LUIGI SCHIAPARELLI [SO]
dorsale (1). Come tipo o esempio possiamo prendere quella
della carta di « Eyriciis presbiter » dell'a. 1035 (2). Non si
discosta dalla notizia dorsale usata in carte di altro terri-
torio. È redatta in forma oggettiva (3) ; principia col ti-
tolo dell'atto, cui tien dietro il verbo « facit » (4) ; il dispo-
sitivo viene riferito in forma brevissima. L'escatocollo
manca nella notitia della carta del 1024. Tutti gli esempi
poi sono privi di dati cronologici. La scrittura è più trascu-
rata è più ricca di abbreviature di quella della redazione
sulla taccia recto, sebbene sia dovuta alla stessa mano.
Passando al secondo periodo, ricordiamo anzitutto la
carta del cancelliere « Thom[as] » con la sola redazione sul
verso, cioè senza scrittura sul recto, che è lasciato in
bianco (5). In questa carta la notitia dorsale principia come
quella del primo periodo, il testo comincia però ad essere
espresso con maggiori particolari, in forma meno abbre-
viata ; e' è più abbondanza di parole, vi sono maggiori de-
terminazioni. E maggiore è la cura nei caratteri estrinseci;
la scrittura è più regolare; meno forti sono le abbrevia-
ture; con « signum » e « testes » si va a capo di linea. In
complesso, non ci lascia, come la notitia del primo periodo,
r impressione di un abbozzo o di una minuta, ma di un vero
documento destinato a conservarsi e a leggersi da tutti. So-
prattutto la distinguono da quella del primo periodo non solo,
ma in genere dalla notitia delle altre carte, la datazione,
che è riferita in una forma ampia, e la sottoscrizione can-
celleresca. La carta di « Gosfredus » (1075 o 1090) e quella di
«Cono» dell'aprile lli25 hanno sul verso una redazione
dello stesso tenore, la quale manca però dei dati cronologici e
(1) È anche riprodotta nella copia della carta 17 febbraio 1032 edita
in Ilist. pafr. Man., Charf.. I. 497, n. CCLXXXVI.
(3) Cfr. Appendice, I, n. 1, e L. Schiaparelli, Il conte L'inherto
BiancauKino fu contestabile del regno di Borgogna y. neìV Archìvio Sto-
rico Italiano, Serie V, XXXVI (Firenze, 1905), 337, nota 6.
(3) Soltanto quella della carta 17 febbraio 10^^!2 usa le due foinie
ojrfiettiva e soggettiva.
(4) Quindi si ha : « donacioneni * o * venditioneni * o * coni imi ta-
* cionem facit ».
(5) Cfr. Appendice. 1. n. 2.
\3Ì\ CHARTA AUGUSTANA 279
(Iella sottoscrizione cancelleresca (1). Nelle carte del ricordato
scrittore « Cono » si notano incertezze, oscillazioni e varietà
di forme, indici di nn periodo di transizione nel quale si
[)iepara la selezione del tipo che poi verrà adottato (2). In
generale la notitia dorsale segue lo schema sopra ricordato,
con una datazione in forma abbreviata e coli' indicazione del
luogo, ma senza sottoscrizione cancelleresca. Va notato che
le sottoscrizioni si ripetono sul recto, il cui escatocollo
differisce perciò da quello della redazione sul verso sol-
tanto per avere una datazione in forma piìi estesa e più
solenne (3) e per la sottoscrizione dell' ufficiale della cancel-
lei'ia. Caratteristiche sono due carte, del giugno 1102 e del
gennaio 1127 - 1129 (4), con una sola redazione, la quale
però presenta caratteri comuni alle due redazioni sul verso
e sul recto. Principiano come la notitia sul verso: « ven-
« ditionem facit», poi il testo prende lo svolgimento della
parte sul recto e contiene persino le tbrmule di pertinenza
e di sanzione. L' escatocollo ha tutte le sottoscrizioni, e
l'actum colla data in forma solenne e colla subscriptio
deir ufficiale della cancelleria.
E si giunge cosi al terzo periodo, cioè alle carte del can-
celliere Stefano, le quali ci presentano un altro passo nello
svolgimento della notitia dorsale. Questa è nel complesso
conforme a quella del periodo precedente (5), ma ne differisce
in quanto dà stabilità alla forma di datazione, che viene
abbreviata e posta in calce, staccata cioè dalle altre parti
dell' escatocollo. Ora scompare dal verso l'indicazione
del luogo. Resta fissato il formulario della redazione sul
verso in questo modo: principia col titolo dell'atto, seguito da
« facit »; ad es., « donationem (« venditionem » ec.) facit N. »
(« faciunt », più di rado « fecit » o « fecerunt »); al dispositivo
(1) Cfr. anche Appendice, I, nn. 4, 5, dove però la notitia è scritta
sulla faccia recto (cfr. p. 3()9, nota 3).
(:2) Questo affermo in base soltanto agli originali che ho potuto esa-
minare; cfr. p. 340.
(3) La data sul verso manca nella carta del febbraio 1131.
(4) Cfr. p. U\. note 6, 10.
(.5) Le prime carte del 1149 riproducono ancoia caratteri precedenti
(cfr. p. -299).
280 LUIGI SCHIAPARELLI [32J
seguono i nomi dei « testes », in numero di cinque, e dei
« fìdeiussores », in numero di due (1) ; talora dopo di questi
o prima di questi o tra gli uni e gli altri si trovano i « lau-
« datores », in calce poi della pergamena sta la data in forma
molto abbreviata {^). Mentre le sottoscrizioni dei testi e dei
fideiussori si trovano unicamente sul verso, quelle dei « lau-
« datores » figurano, ma non simultaneamente (3), ora sul
verso ora sul recto soltanto. Le clausole al testo, come
le notizie varie che la cancelleria apponeva alla carta, pare
venissero scritte solo sulla faccia verso (4). Una leggiera
modificazione subisce detto formulario a partire dai primi
anni del secolo XIII: il nome dell'autore o degli autori
trova posto non dopo il verbo, ma avanti il titolo dell'atto,
quindi si ha : « N. (iuratus) donationem (« vendicionem » ec.)
« facit ». Già sulla fine del XII secolo si nota che la redazione
sul verso va prendendo un maggiore sviluppo nella parte
dispositiva del contenuto dell'atto, tantoché i confini si
trovano talora espressi soltanto sul verso, e nella reda-
zione sul recto si rimanda per quelli a quanto sta scritto
(1) Questo numero di cinque testes e due fìdeiussores si ha già
in carte del primo periodo (nella permuta del 1045, nelle donazioni 103-2
febbraio 17, 1035 e 1040) ; ma si fissa soltanto nel terzo periodo. Nelle
carte del secondo periodo si notano ancora alcune incertezze: così nella
carta di * Thomas * figurano sette testi, in quella dì * Gosfredus » tre
fideiussori. Non è esatto quanto scrìve il Pi vano. op. cit., p. 66, che
* i testimoni sono vari di numero, non altrimenti che i fideiussori ». Sì
notano poche eccezioni nel numero dei testi. Così in Pivano, op. cit.,
p. 124, n. 9, si hanno sei testi (l'orig. dirà proprio tre volte « alter Petrus »?),
quattro a p. 132, n. 34, p. 154, n. LXVI, ec, ma è anche possibile, dato
il ripetersi frequente degli stessi nomi, qualche errore materiale ; ad es.
in Battaglino, op. cit., p. 244, n. Ili, appaiono quattro testi, ma nell'orig.
se ne leggono cinque. I fideiussori, in tutte le carte del terzo periodo da
me esaminate, sono sempre due; ma pare, da un istromento del 1278
marzo 18 (cfr. p. 345), che in alcuni casi potessero essere in numero mag-
giore, quanti sì credessero « opportuni ».
(2) Cfr. p. ;V)4.
(3) Un'eccezione sola ho notato, nella carta edita dal Pi vano, op. cit..
p. 139, n. L (cfr. Kern, op. cit., p. 9), nella quale sono distribuiti paite
sul verso e parte sul recto.
(4) Cfr. p. 271 ; Pi vano, op. cit., p. 166, n. LXXXVII. p. 206, n. CXXXIX ;
Battaglino, op. cit.. p. 274. n. XXXV: Kern, op. cit., p. 10.
[8.3J ORARIA AUGUSTANA 281
nell'altra faccia della pergamena (1). Questo sviluppo aumenta
nel XIII e nel XIV secolo. La proporzione quindi tra la
lunghezza dello scritto nelle due parti o facce si capovòlge :
alla fine del XIII secolo e poi nel XIV appare più estesa la
redazione sul verso di quella sul recto (i2). E vi corrisponde
anche uno spostamento di carattere estrinseco, cioè la reda-
zione che si scriveva sulla faccia meno levigata della perga-
mena, sul dorso, passa nel recto, e viceversa quella che
stava sul recto prende posto nel verso (3). La redazione
dorsale si andò svolgendo a danno della redazione sul diritto
della pergamena, adottò parti od elementi che prima si tro-
vavano in questa e fini per occuparne anche il posto.
Recto. Dirò in seguito delle tbrmule dell'atto che si trova
sulla faccia recto della pergamena ; ora mi limito a rilevare
alcuni principali caratteri che differenziano questa reda-
zione dall'altra sul verso. Precisamente nel secondo periodo
vediamo la notitia dorsale svilupparsi prendendo formule
della redazione sul recto. In questo periodo, come si notò.
(1) Ad esempio, la carta del gennaio 1178, Hist. patr. Mori., CJiart.,
11. 1062, n. MDLXV, ha i confini solo sul verso. In una carta del can-
celliere * Petrus » del 1195 gennaio feria iv : * Notum sit omnibus, quod
* Ricalmus canonicus donat in perpetuum per manum Petri advocati sui
* Petro Alio suo totum illud quod ex alia parte carte determinatum est,
« hoc salvo quod retinuit in carta determinato » (orig. Arch. Vescovile).
(i) Cito, come esempio, una carta del 1354 aprile 4, che ha il recto
di pochi righi, mentre il verso occupa tre pergamene unite. « Notum sit
* omnibus, quod domnus Yballus de Chalant miles domnus de Vyssellis
* iuratus donavit in perpetuum due francesie de prato eius uxori et cui
* dare voluerit mille trecentas libras capitalis monete super res ex alia
* parte contentas in tribus pellibus simul consutis, et Inter quamlibet
* iuncturam ipsarum pellium scriptum est 0.""^^ je quibus rebus ipsa
« habeat a modo potestatem et dominium faciendi quitquid voluerit do-
* nare vendere commutare et retinere. Itaque hec donatio firma et sta-
* bilis » ec. (orig., Arch. di Stato in Torino, Dticttto d'Aosta, mazzo 2,
n. 9). J^a carta è sottoscritta nel recto da * Guillelmus gerens vices domni
* AintHlei comitis Sabaudie cancellarli.... *. Nell'unione delle tre pergamene
sta scritto il nome * G.""*' » (= Guillelmus) in tre punti, cioè alle due
estremità e nel mezzo. Si cfr. le osservazioni, sebbene troppo generali,
che sul contenuto delle due redazioni fa il Kern, op. cit., pp. 6 e 9.
(3) Già prima si hanno rari esempi in cui la notitia è scritta sul
recto, ma solo ([uando manca la seconda redazione; cfr. p. :309, nota 3.
282 1X1(41 SCHIAPARELLI |34J
le sottoscrizioni (non quella dell'alienante che cessa dall'uso
colle carte di «Thomas » e di « Gosfredus ») si trqvano d'ordi-
nario con eguale formula sul recto e sul verso.
E si viene al terzo periodo, quando le sottoscrizioni
dei testi e dei fideiussori trovano posto sempre e unicamente
sul verso. Ora, cioè nell'ultimo svolgimento della carta,
l'escatocollo della redazione sul recto è ridotto alla sot-
toscrizione cancelleresca e alla datazione in forma solenne.
Soltanto le sottoscrizioni dei laudai ores trovano qualche
volta posto sul recto, prima o dopo o tra le due formule
di subscriptio e di datatio.
Come la redazione sul verso prese da quella sul recto
le sottoscrizioni, così quest' ultima ricavò dalla prima la
forma oggettiva. E colla forma oggettiva si modifica la
disposi t io nelle due redazioni. Mentre nel primo periodo
era completa solamente sul recto e di contenuto uguale sul
verso e sul recto nel secondo, nel terzo invece, essendosi
estesa l'uguaglianza anche alla forma comune oggettiA^a,
scompariva ogni carattere distintivo, vale a dire la disposi! io
sul recto ripeteva quella sul verso; l'una era copia del-
l' altra. Cosi si rinunziò a poco a poco a trascrivere due
volte il dispositivo nella sua forma intiera ; questa divenne
prerogativa della notitia dorsale, e la redazione sul recto
si limitò a riprodurre del dispositivo la parte necessaria in
torma breve, conservando tuttavia colle formule il suo ca-
rattere solenne.
La pergamena adoperata per la carta augu stana e in
generale sottile e molto floscia (1). Non ricordo di averne tro-
vata di simile in altre parti d'Italia. Abbiamo evidentemente
una pergamena di fattura locale (2). Non venne però usata
esclusivamente dalla cancelleria ; anche altri documenti di
Aosta e della Valle, non esclusi gli istromenti, sono scritti su
pergamena simile. Il verso o dorso, che doveva contenere
(1) Mi comunica il prof. Frutaz, che per la carta aostana si adope-
rava spesso la pergamena fatta con pelle di capretto.
(2) In una causa matrimoniale del 1334 figura tra i testi: «Johannes
* pargaminator de Salanchia commorans Aug. * (Arch. Vesc).
[o5J CHARTA AUGUSTANA 288
una redtizione dell'atto, veniva pure preparato per ricevere la
scrittura, e questo lavoro si fece via via più accurato se-
condo lo sviluppo che andò prendendo la notiti a dorsale.
La carta aostana si distingue anche per il taglio regolare e
costante della sua pergamena. Nelle carte del primo ])eriodo
la scrittura è nel senso della maggiore dimensione, sicché
si presentano più larghe che alte, di forma rettangolare ; ma
nel secondo e nel terzo periodo, da quando principiò lo
sviluppo della redazione sul verso, si scrisse nel lato più
stretto della pergamena e la carta appare molto alta e
stretta. In generale, poiché il testo è per lo più breve, la
pergamena è piccola, rettangolare; ma quando il testo è
ampio, allora prende la forma di una vera striscia, di un
piccolo rotolo.
La scrittura è la minuscola delle carte della Francia
orientale, del territorio di Borgogna. Dalle prime carte aostane
alle ultime, la scrittura passa dal bel minuscolo rotondeg-
giante grosso e regolare al minuscolo angoloso e duro della
scrittura così detta gotica nei documenti. La bellezza di
scrittura delle prime carte fa certo supporre un periodo pj»e-
cedente di scrittura già molto perfezionata. E ritengo che
della scuola calligrafica fiorita in Aosta si conservino ancora
alcune tracce. Pur troppo dell'antica biblioteca del Capitolo
rimangono pochi frammenti, ma di questi alcuni debbono
essere stati scritti in Aosta e nella scrittura mi pare di scor-
gere certe somiglianze di forme con quella delle più antiche
carte di Aosta a noi pervenute. La raccolta di canoni del
sec. IX (1), di cui rinvenni frammenti presso l'Arch. Gapit.,
(1) La Chiesa di Aosta dovette avere la sua raccolta di canoni, e
credo che appartengano a questa raccolta alcuni fogli che ho ritrovato,
dispersi fra le altre carte, nell'Archivio Capitolare. Dev'essere questo
il manoscritto così descritto dal Bethmanx: « nibr. fol. max. sec. X med.
«Epistolae Pontificum Romanorum antiquissimae, pulcliie
«exaratae; initio et fine mancae » (Pertz, Arcliiv, IX, 629; cfr. anche
ibid., XII, 591). Conteneva, come credo di poter rilevare dai frammenti
esaminati e se bene mi appongo, i concili e le decretali nella redazione
Dioìiysio-Hmlrìami . La scrittura è del IX secolo ; il testo su due co-
lonne. Il nostro frammento principia [e. 1] con « credo sicut superius... »,
284 LriOI SCHIAPARELLI [86J
un frammento di lezionario del X sec, adoperato come co-
pertina, il pontificale dell' XI secolo ec. (1), presentano nel
loro complesso, come pare a me, cosi nella configurazione
delle lettere come nei caratteri estrinseci, alcune particolarità
comuni, che sono indizi di una medesima scuola.
cioè colle ultime parole dei Canoni di Nicea: * [Expliciunt Ganones. Et
« siibscripserunt CCGXVIII qui in eodem concilio convenerimt. Osius
* episcopus civitatis Cordubensis provinciae Spaniae dixit ita] credo sicut
* superius scriptum est. Victor et Vincentius orbis Romae suscripserunt ».
[e. 64' « Explicit Africani Concilii. Incipit epistola decretalìs papae Sirici ».
Il nostro frammento termina [e. 64'] colle parole della lettera di Siricio :
« quatenus apostolica illa impleatur praeceptio ut ex purgato fermento
« veteri nova incipiat esse », le quali sono del Capitolo o Titolo II del
decreto di papa Siricio (J.-K. n. 255): II Ut praeter Pascha et Pen-
tecosten baptismum non celebretur. Di questa raccolta, nello
stesso ms., doveva far parte un altro frammento di sette carte, scritto
dalla stessa mano e coi medesimi caratteri estrinseci: come la distribu-
zione del testo su due colonne, lo stesso numero di linee e il formato
uguale. Principia [e. 1] : * XLII. Quod debeant faeminae quae captis
«'viris nupserant aliis regressis de captìvitate viris priotibus copu-
*: lari ». Si tratta cioè della lettera di Leone I (J.-K. n. 536) al vescovo
* lanuarius » di Aquileia (XLII-XLVIII). Segue [e. 26] la lettera di Leone I
a tutti i vescovi della Mayrifcmìa Caesariensìs (J.-K. n. 410): poi viene
[e. 5] la lettera di Gelasio I (J.-K. n. 636) coir inscriptio: * Papae Gelasi
« generale decretum ad omnes episcopos de institutis ecclesiasticis mo-
* derate prò temporis qualitate dispositis», propria delVHadriana (cfr.
F. Maassen, Gescliichte der Ouellen und der Literatur des canonischeìi
/ieclffs in/ Ahendlande bis ^um Ausgange des Miffelalfers (Graìz, 1871),
I, p. 281). Il frammento termina [e. 7'] : * secundum apostolum precavendum
* est ne fides et disciplina Domini blasphemetur » ; si arresta cioè pioprio
alle ultime parole del Tìfidus XIV. Detto codice doveva inoltre conte-
nere un glossario ciceroniano, di cui rinvenni solo un foglio. La scrit-
tura e i caratteri estrinseci corrispondono a quelli dei frammenti sopra
ricordati. Questo foglio ci dà del glossario le lettere A, M, P. La prima
carta incomincia: * Ixcipiunt Glosae Ciceronis. Adaepiscitur. conse-
* quitur », e termina nella pagina verso: «Adcitus, vocatus adiungtus».
L'altra carta del fo. principia: «Monumentum, memoria», e termina
nel verso: *Propter, comminus, fere».
(1) Presso mons. Due. Cfr. Pertz, Archiv, IX, 627 e Misceììanpa di
Storia Italiana, XXIV, 335 segg.
f:i7| CHARTA AunrsTAXA 285
Formule.
Con l'esame delle tbrmiile apparirà ancora più giusti-
ficata la divisione in tre periodi della charta augustana.
Notiamo nel primo periodo un maggiore carattere di solen-
nità, i generi dei documenti si distinguono per formule proprie.
Il secondo è caratterizzato dalla inscriptio; le carte,
di qualsiasi genere, hanno la forma dell'epistola e prin-
cipiano (gli originali sono preceduti da invocazione simbo-
lica, rappresentata dalla croce) con « Magnifico » o « Magni-
« tìcamus te (vos) », « Magnificamus in Domino», « Amabilis
« michi atque valde karissima nomine... », « Amabilis michi
« atque valde karissima sponsa mea nomine... » (1).
Nel terzo periodo le carte sono tutte redatte in forma ogget-
tiva e condotte su uno schema unico; i vari generi di atti
si distinguono dal verbo o dai verbi dispositivi. Principiano
coir invocazione simbolica, segnata da croce, e colla tbr-
mula di promulgatio: « Notum sit omnibus quod » (più
raramente « quia ») (2) ; segue il nome dell'autore, cui si suole
(1) Simili formule di inscriptio nelle carte private dopo il mille non
sono frequenti. Nelle carte del Piemonte e della Lombardia, per citare
le più vicine ad Aosta del territorio del regno longobardo, ma non solo
in queste, è usata normalmente l' inscriptio fino al momento in cui
r atto notarile prende la forma narrativa; d'ordinario però consiste nel
semplice nome della chiesa o del monastero o della persona ; amplificazioni
di detta formula così come nella nostra carta sono rare e, in generale,
più antiche. In queste, a difterenza della nostra carta, l' inscriptio vien
dopo la datazione, che sta in principio del documento. Esempi uguali o
simili della nostra formula ci oflrono gli antichi formulari; cfr. ad es. in
Zeumer, Formuìae Merowingicl et Karolinì aevi {Mon. Gemi, liist.,
Legiim, Sectìo V, Hannoverae, 1886): Carta e Senonicae, n. 23; For-
muìae salicae Bignonianae, n. 17; Formuìae salicae Linden-
brogianae, nn. 7, 8, 15, 16; e Thévexix, Textes relatifs mix Iristitii-
tions privées et publiques nux époqucs }ff'ror/)/rj/pnne et CarnJhn/fPHìje
(Paris, 1887), nn. 42, 176, 178, 179.
(2) Con questa formula principiano generalmente i documenti del
territorio in cui, scomparsa la carta, non si ebbe subito l' istromento
notarile, ma la notitia o il breve (cfr. Redlich, Die Tranitionstnlclìer
den Ilorhf>t/fts Jirixen. in Acfa Tiroleìiaia. I, Innsbruck, 1886, XLl).
Detta formula non va messa in relazione con quella simile dei diplomi,
come vorrebbe il Pivano, op, cit., pp. 66. 69.
Aech. Stok. It., 5." iierìe. — XXXIX. Hi
280 LUKtI SCHIAPAKELLI [SS\
aggiungere, a partire dal XIII secolo. « iiiratus », poi ven-
gono i verbi dispositivi, come: « comniiitavil », « donavit »
o « dedit » (talora con aggiunta di « in perpetuum »), « do-
« navit et fìnivit », « dedit et fìnem fecit », « vendidit » ec.
secondo il genere dell'atto contrattuale. Questi verbi sono
anche usati, ma più di rado, al presente indicativo ; l'oppo-
sto di quanto succede nella redazione sul verso, dove il
verbo è d'ordinario al tempo presente (1).
Riguardo alle formule dobbiamo distinguere quelle speciali
ai singoli generi di atto contrattuale nelle carte dei primi due
periodi, e quelle comuni a tutte le carte dei tre periodi, le
quali sono indipendenti dal contenuto giuridico delle singole
carte.
Tra le carte finora note del primo periodo si hanno sol-
tanto delle coni muta t ione s e delle donationes; nel se-
condo già appaiono parecchie venditiones, e sono in numero
superiore alle donationes; il terzo periodo ci offre tutta la
varietà di generi, quindi oltre alle citate carte si trovano quelle
di « finis », di «donatio et finis», di «finis et refutatio» ec,
ma pare che prevalga su tutte l'atto di vendita.
Gommutationes. Sono in numero di quattro e tutte
del primo periodo. Principiano coli' invocazione verbale « In
« Ghrisli nomine », che negli originali è preceduta da invo-
cazione simbolica espressa colla croce. Segue, nelle dije carte
dello scrittore « Dodo » e in quella del novembre 1045 : « Pla-
« cult adque convenit de commutandis terris inter... et...»;
nella carta di « Eyricus » del 1032 (!2) : « Quod bonum pacis et
« studium karitatis utriusque id conplacuit adque convenit
«de conmutandis terris inter... et... »; poi il formulario si
svolge uguale in tutte: « ...ut inter se terras aliquas com-
« mutari deberent. Quod ita et fecerunt. In primis donat... Si-
« militer donat... ».
(1) Cfr. Kerx, op. cìt., p. 5.
(2) Il medesimo formulario si trova in una cajta del maggio i()5() data
da Ivrea (Pivaxo, op. cit., p. 81): ma, come attesta anche il contenuto, è
ricavato dalla nostra, la quale servì di fonte e modello.
[39\ CHARTA AUGUSTAXA 287
È r antico formulario della permuta (1). Figura la du-
plice azione, l'atto cioè dei due contraenti, quanto ciascuno
dà e quanto riceve. Nel terzo periodo della carta aostana
la permuta si uniforma all'atto di vendita e di donazione, e
in non rari esempi contiene solo quanto uno dei due contraenti
commuta (2). Nelle nostre carte non appare mai la formula
che accenni a duplice redazione dell'atto (3).
Riguardo all'escatocollo delle nostre carte, notiamo
che le prime due sono munite della sottoscrizione dei due
autori di ogni singola permuta e sono firmate da tre persone
nella prima e da sei nella seconda ; la seconda ha in piìi quattro
« laudatores et extimatores » ; le rimanenti due mancano della
sottoscrizione di uno dei contraenti, e mentre la terza ha
ancora i « laudatores et extimatores », ma ridotti in numero
di due soltanto, la quarta ha, in luogo di questi, i testes
in numero di cinque ed i fideiussores in numero di due.
Nelle permute successive non figurano più gli estimatori. Ora
Tescatocollo è uguale per tutti i generi di carta.
Donationes. Nel primo periodo hanno tutte un'ar enga :
« Quicquid in hoc seculo prò Dei amore bonis operibus in-
(i) Simile formula venne usata nel territorio franco; cfr. (in Zeumer,
op. cit.) Formulae Andecavenses, n. 8 ; Cartae senonicae, n. 5;
Formulae salicae Bignonlanae, n. 15. Nelle carte del Piemonte e
della Lombardia, e in generale nel territorio del regno longobardo, detta
formula suona più comunemente : * Commutati© bone fidei noscitur esse
<^ contractum ut vice emptionis obtineat ftrmitatem eodejnque nexu ol)ligat
* contraentes. Placuit itaque et bona convenit voluntate Inter..., et.... ».
Cfr. per detto formulario nelle carte di Frisinga, Redlich, Ueber bairi-
sclte TradifionsbncJier und Tradiflonpn. nelle MiWieiUiìKjeri des lutitì-
fiils far osfcrr. GescJiichtsfor.scIntng. V (Innsbruck, 1884), 14 segg., e in
generale su quest'argomento, H. v. Voltelini, Bie siìdfiroler Xofaricffs-
lììibreckitui'en des dreizelinteii JahrJnindsrts {in Acta Tirolensia. Ur-
kìiìidliclie Quellensur Geschichte Tirols, II), I (Innsbruck, 1899), LXXXIV.
(2) La carta dell' a. 1202 marzo feria iii, edita dal Pivano, op. cit.,
p. 139. n. L, è quindi una permuta, non una donatio, come ritiene il
Pivano perchè non vi è in essa accenno a cosa data in cambio. Secondo
i! diritto romano eia sufficiente che figurasse il dispositivo di una delle
paiti contraenti.
(3) Nelle carte settentrionali e del territorio longobardo-toscano, si
ha di regola la formula : * Unde due cartule commutationis uno tenore
* scrii)te sunt», o simile.
288 LUIGI SCHIAPARELLI [40]
« tulerit, mercedem recepturus et in futuro seculo liber et
« vacat arbitrio de res proprietatis sue tacere quidquid vo-
« luerit » (a. 1032 febbraip 17) ; « Quicquid in hoc seculo
« prò Dei amore bonis operibus intulerit, mercedem se re-
« cepturus erit hab ipso et in futuro seculo » (a. 1035) ; « Licet
« imicuique homini bene lacere si sui iuris est suaeque pote-
« statis dum in presenti et proclivo seculo libero viget ar-
<< bitrio » (a. 1040) (1). L'arenga è soltanto preceduta dal-
l' invocazione simbolica, espressa negli originali colla croce ;
e si congiunge alla intitulatio con « quapropter » : « qua-
« propter ego in Dei (Ghristi) nomine... dono », o semplice-
mente: «quapropter ego... dono... ».
Nel secondo periodo lo svolgimento è diverso. Scompare
la vera arenga e all'invocazione simbolica segue 1" in-
script io, cui tien dietro Tinti tu! alio accompagnata da
motivazione dell'atto, la quale prende lo sviluppo e il signi-
ticato di un' arenga. Quest'ultima formula nelle nostre tre
carte di donazione (2), tutte di donazione dotale che fa il
marito alla moglie, è del seguente tenore : « Ego enim in
« Dei nomine... adtrahit me amor et benivolentia et dul-
« citudo et propter bonum servicium tuum (oppure « et prò
« honesto servicio ») quod circa me inpendis atque Deo
« iubente in antea meliorare promittis, propterea dono libi
« in tuo antefactu » ec. (3). Nel terzo periodo scompare anche
questa formula in un colla forma soggettiva.
Vendi tiones. Come già avvertii, non abbiamo esempi
del primo periodo. Nel secondo sono in numero molto su-
periore alle donazioni, e pare che anche nel terzo si man-
tengano prevalenti sebbene in proporzioni minori. AH* in-
serì ptio, colla quale principiano le carte del secondo periodo,
segue la formula: «Ego enim in Dei nomine... vendo Aobis
« venditum quod in perpetuum esse volo, hoc est (sunt) » ec.
La formula del prezzo è del tenore : « et accepi a vobis pre-
(1) La medesima arenga nel diploma del vescovo Anselmo, di cui a
p. :«4, nota ±
(2) Due altre carte (cfr. Appo mi ice, \, nn. 4, .'>). pure di donazione
dotale, sono rimaste incompiute, hanno cioè la sola redazione sul verso.
(3) Cfr. Thkvenix. nn. 4-2. 17(5. 179.
|41J CHARTA AUC4USTAXA 289
« ciiiiu, sicut inter nos (« inter me et vos » o « inter me et te»)
« bene complacuit atqiie convenit (o « bene con venit atqiie eom-
« plaeuit »), libras » (« solidos » o « libr. et sol. ») (1). Nel terzo
periodo abbiamo : « vendit (vendunt) in perpetuum », e « huius
« aiitem (vero) \ endicionis est precium (oppure « huius autem
« venditionis est precium... precium adpreciatum») sicut (si-
« cuti) bene convenit atque complacuit inter [ipsos] venditores
« et emptores » (« inter vendentem et ementem » o « inter
« vendentes et ementes »).
Dei due generi di carte di vendita, che si possono di-
stinguere dalla formula « constat me vendidisse » e « con-
« stat me accepisse », la nostra appartiene al primo, in quanto
non principia colla ricevuta o quietanza (i2).
Quando non veniva ett'ettuata la datio rei vendite, la
solutio pretii, allora la cancelleria apponeva una nota
sul verso, come « non est sol. », « non solvit », per dichia-
rare che il prezzo non era stato pagato : anzi in alcuni casi
non si passava al compimento della carta (3). È probabile
che queste note fossero apposte anche nelF imbreviatura o
protocollo del cancelliere per evitare ogni contestazione.
Formule generali. Oltre alle formule introduttive (o
del protocollo), delle quali già abbiamo incidentalmente par-
lato, sono da ricordarsi altre formule comuni a tutti i generi
di carta, cioè le formule del testo, come quelle di pertinenza
€ di sanzione o minaccia di pena, e le formule delFescato-
collo, quali le sottoscrizioni e la datazione.
(1) Poche eccezioni: la carta del marzo 1146 (cfr. p. 341, nota 9) ha
più l)revemente: «et accepi a vobis precium..,, libr. et sol. »; quelle del-
raprilell47 (cfr. p. 341, nota 9) : « et est precium sicut inter me et te * ec.
Una carta del noveml)re 1146 (cfr. p. 341, nota 9) di vendita e di elemosina :
* venditionem et elemosinam facimus.... quara in perpetuum esse volumus,
« hoc est.... Kt accepimus precium libr.... et sol.... *. Cfr. Fornìnlnc Mdr-
cnlp, ed. Zkumer, n. 22; Thévenin, n. 19.
(2) Nelle carte piemontesi e lombarde si segue costantemente il se-
condo tipo. Cfr. in genere Voltelini, op. cit., n. LXVIII.
(3) Cfr. p. 266, nota 3, e Due, Carfulaire ec, p. 24(), n. XL. K com-
pleta invece una carta dell'ottobre feria i. 1217, colla nota sul verso:
* non est sol. », che intendo * non est sol(utum precium) » (orig. Arch.
Vesc): cfr. p. 267, nota 1,
290 LUIGI se HI APARE LLI [42J
Formula di pertinenza. Dalla formula: « in sua pote-
« state habeat («et habeatis potestatem » o «et de isto... ha-
« beas potestatem ») fa cere (faciendi) [inde] quicquid voluerit
« (volueritis) habendi vendendi donandi sive commutandi [una]
« cum exitibus (exiis) et perviis et aquarum (aquis) eursibus »
del primo e del secondo periodo (1) si passa a quella del
terzo con leggiere modificazioni. Già nelle carte del cancel-
liere Stefano si va fissando il tipo che poi si conserverà
per tutta la durata della carta aostana. Accanto a questa
formula: « concedit (o « concedunt... », o « de quibus con-
« cessit » o « concesserunt ») habere (« habeat » o «habeant
« a modo ») potestatem et dominium (2) faciendi quicquid
« voluerit (voluerint) retinere donare vendere sive (seu) com-
« mutare (3) si opus et necesse fuerit (4) una cum perviis (5)
« et exitibus et aquariciis et aliis usibus » [«ipsius (istius,
« hiiius) terre » o « alodii » o « haium rerum » ec] (6) ne
usa due altre, le quali vengono poi adoperate con pochis-
sime e insignificanti variazioni dagli altri scrittori della
cancelleria: I, « ...habeat (habeant) a modo potestatem et
« dominium faciendi quicquid voluerit (voluerint) (7) donare
« vendere commutare et retinere » (8) ; il, « ...habeat (habeant)
« a modo (o « concessit » o « concesserunt habere ») pote-
« statem et dominium (9) faciendi (10) quidquid voluerit (vo-
« luerint) [rationabiliter] (11) una cum perviis et exitibus et
(1) Racchiudo tra ( ) le varianti e tra [] le a^^^iiinte della tbniuila
nel secondo periodo.
{■i) Talora manca * et dominium *.
(3) I verbi non sono sempre in questa disposizione e manta non di
rado il verbo * retinere ».
(4) La frase * si opus et necesse fuerit » manca in alcune carte.
(5) La carta genn. 1178 {Hist.patì'. Mou., Charf.. 11. 1063, n. MDLXVl)
ha * pascuis », ma si deve trattare di errore di lettura o di stampa.
(6) Racchiudo tra parentesi ( ) le varianti e tra [1 le aggiunte.
(7) Spesso si chiarisce con l'aggiunta, talora posta dopo * faciendi *,
di * de hac re », * de hiis rebus », * de hac terra », * de hac venditione
* (donatione) », ec.
(8) Cfr. sopra, nota 3.
(9) Cfr. sopra, nota 2.
(10) * Vellet facere » in Jli.sf.pafr. Mon., rinirl.. 11. 1114. n. .MDCXUl:
* v(duerit facere » ibid., II, 1115, n. MDCXIV.
(11) Cfr. sopra, nota 7.
|4::{| C MARTA AUGUSTA X A 291
« cUjuai'iciis et aliis [bonis] usibiis » [« ipsiiis » o « huius »
() « istiiis terre » o « rei » o « allodii »] (1).
La formula di pertinenza è per lo più introdotta da
un'espressione come: « huius aiitem doni », «prò hoc itaque
« precio », « prò liac itaque venditione (donatione) » e simili.
Nelle carte del terzo ])eriodo segue ad essa una specie di
conclusio: «itaque hec donatio (« venditio » o « commu-
« tatto » o « hoc donum ») (2) firma (firmimi) et stabilis
« (stabile) et absque ulto (« et sine » o « et sine aliquo »)
« impedimento (3) in perpetuum valeat permanere », la quale
d'ordinario si abbrevia omettendo « et sine impedimento ».
Questa conclusio si trova anche nelle carte che omettono la
formula di pertinenza. Il suo uso si nota già nelle carte dei
primi due periodi, ma in queste segue alla mi natio, ed è
del tenore: « et donatio (« venditio » o « commutacio ») ista
« omni tempore firma et stabilis permaneat (valeat perdu-
« rare) cum stipulatione prò omni firmitate subnixa » (4).
(I) Cfr. p. ^9(). nota 6. Si notano poche varianti a questi tipi di foniiula :
ne citei'ò alcuni esempi : * .... et aquaiùciis et arboiibiis qiie in ea siint et
* aliis usibus ipsius terre *{Hisf. p(ttr. Mou., Chart.. I, 90:2, n. DLXXVIII);
* aquai'iciis » manca nella carta in Hist. patr. Man., CJtart., I, 846,
n. DXXXIV; * et aliis usibus » manca nelle carte: Hist. patr. Man.. Chart.,
11, :37(i, nn. GCCCXV e GCCCXVI, 502, n. DCXXIII; * .... concessit.... habere
* I)otestatem et dominium de omnibus rebus quas.... donaverunt.... quic-
« (juid sit et ubicumque sit pratum terra vinea faciendi quicquid vo-
* luerint una cum perviis et exitibus et aquariciis et aliis usibus ipsius
« terre » (ibid., I, 942, n. DCXII); « .... concesserunt.... habere potenciam
* et dominium faciendi quidquìd voluerit facere rationabiliter » (ibid.,
I. 929. n. DCI) ; «....concessit.... habere potestatem de hac vendicione
* faciendi ([uidquid voluerint » (ibid.. 11. 267, n. CCXXVI); * ....concessit....
* habere potestatem et dominium faciendi quidquid voluerint » (ibid., I,
981. n. DCLII). Carte le quali per il genere del contenuto od altro omettano
(juesta formula sono relativamente poche: noto: ibid., I, 944, n. DCXV; II:
-284. n. CCXXXIX : :316, n. CGLXXXVII ; 377, n. GGGXCVII. Pivaxo, op. cit.,
p. 105, n. XXX: p. 108, n. XXXIII. Battaglino, op. cit., p. 259. n. XXI. ec.
(2) Due carte del 1:^12 (Due:, DocKinents relatifs à l'épiscopaf dn
h. Hìnerlc I, n. 70 e App. n. 17, hanno «ad hoc ut dieta venditio
■> fuma» ec. Questa formula dev'essere di uso più raro.
(3) * et sine inquietacione * nella carta del gennaio 11.55 in liìsf.
},<ttr. Mf>n.. Chart.. II, 284. n. GGXXXIX.
(4) La formula della stipulai io manca nella carta del marzo 1146
(cfr. p. :UI. nota 9).
292 LUIGI SCHIAPARELLI [44J
La stipulatio, che scompare dall'uso nella seconda
metà del Xll secolo, si legge ancora in alcune carte dei primi
cancellieri del terzo periodo; gli ultimi esempì che notai
sono dello scrittore Michele (1).. Nei casi in cui ricorre è
espressa colla formula: « itaque hec venditio («donatio» o
« hoc donum ») cum stipulacione prò omni firmitate suh-
« nixa (subnixum) et corroborata (corroboratum) firma (tir-
« mum) et stabilis (et stabile) [et absque ullo (« et sine » o
« et sine aliquo ») impedimento] in perpetuum valeat per-
« manere » (^).
Sa ne ti o o mi natio. Nelle carte del primo periodo ab-
biamo queste formule: « Quod si post hunc diem si.... vel
« succéssores sui sive.... aut ullus homo uUoque tempore qui
« liane commutacionem infringere aut inquietare voluerit.
« dupla bona melioratis in consimilis locis rebus componat
«et in argento libras.... » (nelle due carte di « Dodo ») ;
« Quod si post hunc diem si ullus homo est uUoque tem-
« pore qui conmutacione (donacio) ista infringere aut inquie-
« tare vel removere voluerit, conponat pena in argentimi
«(de aurum choctum) libras....» (1032; 1035;: «Quod si
« de post hunc diem si ego ipse.... aut aliquis meoruiii he-
« redum sive ullus homo in aliquo tempore (si ullus homo
« est iilloque tempore) qui donationem (conmutationem) istam
« infrangere aut inquietare vel dampnare (removere) voluerit,
« non valeat vindicare quod repetit, set insuper sit culpabilis
« et impleturus dupla bona melioratis rebus (atque meliorata)
« in consimilibus locis (locis rebus) conponat et in argento
«libras (solidos).... » (1040; 1045) (3). La pena spirituale
(1) L'ultimo esempio che ho notato figura in una carta (ielT otto-
bre 1197 {Hist. patì'. Man., Charf.. II, 1181, n. MDCLXXXV).
(-2) Gfr. p. 290, nota 6. Nella carta del noveml)re 1165 {Wsf. patr.
Muìi.. C/tarf., I, 846, n. DXXXIV) è collocata prima della formula di
pertinenza. Nella carta 1166 ott., in Pivano, op. cit., p. 89, n. XI: « et vult
* quod in perpetuum fìrmum et sta])ile et omni stipulatione suhnixum
* permaneat *.
(3) Poco diversa da questa è quella del diploma del vescovo An-
selmo di cui a p. 334, nota 2. La redazione di questa formula è simile
a quella che di preferenza troviamo nelle carte del territorio franco. Ri-
f45J CHARTA ALItUSTAXA 2f»:>
si trova in una sola carta: « Quòd si post hunc diem si ego
« ipse aiit parentibus meis aut iilhis homo iiUoqiie tempore
« qui istam donaeionem infringere aut inquietare vel remo-
« vere voluerit, sit exeomunieatus de Deo patre et filio et
« S])ii*itu Sancto et de omnibus Sanctis eius maledictus et
« anatematizatus in hoc seeulo et in futuro insuper eciam
« componat pena de auro.... libr. » (1032 febbraio 17).
Nel secondo periodo si ha una formula simile, che nelle
carte di « Cono » si fìssa in questo tenore: « Quod si post
« hunc diem ullus homo est (homo est aut femina) qui hanc
« (istam) donationem (venditionem) infringere aut inquie-
« tare vel removere voluerit, non valeat vindicare quod re-
« petit, sed insuper sit culpabilis et impleturus dupla bona
« (duplo bono) (1) atque meliorata (melioratis) (2) in consi-
« milibus locis (in consimili loco) et in argento libras.... ».
E da questa si passa alla formula tipica del terzo pe-
riodo, già completamente tìssata nelle carte del cancelliere
Stefano: « Et (3) si forte contingat (contigerit) quod aliquis
« a modo (4) sive homo sive (seu) temina (5) donationem
« istam (« hoc donum », « hanc venditionem » ec....) in-
« fringat (o «aliqua fraude removeat» o « aliqua traude re-
« moveat vel (aut) infringat » o semplicemente « infringat
cordo, tra i niiinerosi, un solo esempio, ricavato da una carta del gen-
naio 928 di Cluny. Thkvenix, n. 179: * et si qiiis vero, quod futuruni esse
* minime credo, et si ego ipse, aut ullus omo, aut ullus ex heredibus
« meis, aut ulta aliqua persona qui contra anc dotalicio isto inquietale
« presumserit, non valeat evindicare quod repetit, set insuper sit culpa-
* bilis, et impleturus una cum fisco auri libera i componat, et in antea
« donacio ista omnique tempore firma permaneat, cum stipulacione
* supnixa ».
(1) La carta del marzo 1146 (cfr. p. 341, nota 9) aggiunge * alodium ».
{"2) Ques'ta clausola manca nelle carte 1127 nov. 3, 1131 febb., 1146 marzo
(cfr. p. :i41, nota 9); la carta del giugno 1102 (cfr. p. 341, nota 6) abbrevia
la formula : * ....sed componat alodium in consimili loco in duplum et....
v libras de argento ».
(3) * Quod » nella carta dell" ottobre 1176 in Pivaxo, op. cit., p. 98,
ri. XVI 11.
(4) « a modo » è talora omesso.
(5) La frase * sive homo sive femina» è omessa nella carta feria ii
novembre 115.5 in Pivano, op. cit., p. 88, n. X, e in altra del marzo 1156
in IJisf. pafr. Man.. Chart.. [I, 316, n. GGLXXXVII.
294 LUIGI SCHIAPARELLI [46J
« cuit removeat ») (1), prò pena remotionis (!^).... libr. puri
« [et examinati] argenti reus sit et culpabilis » (3). Va sog-
getta a poche e lievi varianti. Di rado si aggiunge ancora
il risarcimento del doppio, di cui notai pochi esempì e solo
in carte del cancelliere Stefano, colla formula: «et in du-
« plum (dupliciter) et in consimilibus locis (consimili loco)
«[de suo] componat » (4), che in alcuni casi si abbrevia:
« et.... in duplum restituat » (5). Sta a sé la mi natio di una
carta dell'aprile 1149: « Sed si contigerit a modo quod aut
« liomo aut temina liane venditionem iniringere vel removere
« velit, quod male petit nullo modo adimplere possit, sed prò
«pena centum solidos iustitie reddat, et emptoribus islam
« venditionem dupliciter et in consimili loco et meliori de
« suo componat » (6).
Sottoscrizioni. La forma di sottoscrizione soggettiva,
limitata quasi esclusivamente alla sottoscrizione cancelleresca,
scompare dall'uso colle carte del secondo periodo. Negli origi-
nali da me esaminati non si hanno sottoscrizioni, né segni di
sottoscrizioni, autografe, all'infuori di quelle degli scrittori
della cancelleria (7). Le espressioni « marni sua fìrmavit » o
(1) Nella carta in ///.s7. patr. Mott.. riiarf.. 11, 316. n. CCLXXXVII,
si Ila: «a modo aliqiia traiide Inquietet et suhmoveat»,
{ì) « lemoti doni » nella carta del gennaio 1155 {Jli.sf. pafr. Moìi.,
Churt.. II, 284, n. CCXXXIX) e 1156 nov. (Pivano, op. cit., p. 88. n. X).
(3) Cfr. p. 290, nota 6. Si usano anche altre simili espressioni, come :
* culpabilis existat », * reus sit *, « reus et culpabilis existat » o « perma-
^ neat *, « culpabilis sit », * reus sit et condenlpnabilis ».
(4) «... in consimili loco vel in meliori de suo componat » ha la carta
del febbraio 1184 {Hìst. pafr. Moìl, CJiarf.. I, 929, n. DCI).
(5) Così nelle carte: Ifisf.patr. Mori., Chart., II, 316. n. CCT.XXXVII:
376. n. GGGXV: 377, n. GCCXCVII; 502, n. DGXXIII.
(6) llist. pafr. Moì?., Chart., II, 267, n. GGXXVl. venne licavata
da un caitolario, arch. della chiesa di Fénis.
(7) A proposito della carta del 1040, cfr. p. :3:38, nota 8. Nella edi-
zione in llist. patr. Mon.. Chart.. alcune carte aostane del terzo pe-
riodo portano il segno di •i^ avanti i singoli nomi, o hanno in prin-
cipio una serie di >-I-< rispondente al numero dei testi e dei fideiussori
(ad es. Chart., I, 844. n. DXXXII; 8a5, n. DLXV;i)02, n. DLXXVIII: 905,
n. DLXXXl: 954. n. DGXXVIll): ma si tratta di aggiunte delleditore,.
[47 I CHAKTA AUtìU STANA 295
plioemente « tìinuivi » o « tìimavit » non designano affatto
sottoscrizioni autografe. Queste, nei documenti privati di tale
epoca, sono piuttosto rare in tutto il territorio franco. Si disse
firmare cartam nel senso e col valore di manum (ma-
nus) ponere in (super) cartam, cartam tangere ; que-
st'atto costituiva la firma t io. Colla carta di « Gosfredus »
(1075 o 1090) abbiamo l'ultimo esempio di un'antica formula
di sottoscrizione ragionata : « signum.... qui vendicioném
« istam fecerunt et firmare rogaverunt et eis relictum est ».
Come già si è notato, nel periodo in cui la carta aostana
raggiiuise il suo maggiore sviluppo e fissò i suoi caratteri,
le sottoscrizioni dei testes e dei fideiussores presero po-
sto sempre e soltanto sulla faccia verso della pergamena.
Ora, la formula clie introduce i nomi di questi è molto
breve, conforme a tutta la redazione sul dorso (1). Con
« Testes sunt » o anche semplicemente « Testes » si introdu-
cono i nomi dei cinque testimoni. La formula « Signum te-
« stium » è scomparsa nelle carte del secondo periodo. 1 nomi
dei due fideiussores, che tengono subito dietro a quelli
dei testimoni, sono seguiti e contraddistinti da: « tìdeius-
« sores (fìdeiuxores) (o « sunt fideiussores ») de carta gua-
« rendi (garendi) », o « garendi (guarendi) cartam » (2), for-
mula che si sostituisce a quella dei due primi periodi : « fìdem
« feceriuit de carta vuarendi » (3). Per i laudai ores si
poiché confrontando, ad. es., le carte citate edite negli lUst. patr. Moif..
C/tftrf.. I. VK>2, n. DLXXVIII e 954, n. DCXXYIII coi rispettivi originali
neir Arch. della Collegiata di S. Ojso, si nota che in questi man-
cano le 't^.
(I) (Ih-, quanto avvertii a pp. :278 segg. sulle sottoscrizioni nei due
primi periodi.
{ì) Quest' ultima formula senza * de » diventa di uso generale a
partire dalle carte di « Aymo * (1:205-1:2(X)).
(3) Le due formule non sono sempre separate da punteggiatura, e
quindi facilmente si possono confondere i nomi dei testi con quelli dei
tldeiussori. Ad es.: «Testes sunt Girardus Petrus Aymo Petrus Guido
*\Villelmus Guido sunt fideiussores garendi cartam >>. Il secondo nome
«lei tldeiussori nelle carte di * Stephanus » è sempre preceduto dalla
congiunzione * et » ; questa è premessa a tutti e due i nomi o soltanto
ad uno di essi nelle carte del cane. * Petrus *, scompare dall'uso colle
carte di * Michael * (cfr. anche Lattks, op. cit., p. 214. nota 89). Avver-
296 LUIGI SCHIAPARELLI |48]
usano formule, come : « Hoc laudai (laudani) » o « laudavit
« (lauda veruni) », « Hanc commuta tionem (donationem, ec.)
« laudai (laudani) » o « laudarli (laudaverunl) », e quando si
ha il nome del rappresenlanle, queslo è introdollo da « per
« manum » ; di rado, nel lerzo periodo, e pare sollanlo nelle
carie dei primi scrillori, si Irova « laudavit (laudaverunl) et
« lìrmavil (firmaverunt) » o « et confirmavil (confìrmaverunl) »
con o senza aggiunta di « per manum».
Della sottoscrizione cancelleresca Irallerò in seguilo,
quando parlerò della formula di datazione, colla quale è
strettamente collegata. Basterà ora notare, che, come risulla
dall'esame e dal confronto degli originali, l'ufficiale della
cancelleria di cui figura il nome su ogni carta come scrillore,
è propriamente lo scrittore di essa, delle due redazioni;
quindi le carte sono autografe dei singoli scrillori nominati, e
le espressioni « scripsit » o « subscripsil » non sono una fin-
zione giuridica. Quando furono due gli scrittori, uno della
redazione sul verso, l'altro di quella sul recto, ciò fu
espressamente avvertito (1). Soltanto nelle carte originali del
primo periodo, e non in tutte, si trova usato, a destra della
sottoscrizione cancelleresca, un signum speciale o di ri-
cognizione (2).
Datazione. La carta aug asiana, nel periodo del suo
maggiore sviluppo, ha la sottoscrizione cancelleresca e la da-
tazione coir aduni tanto collegale da formare come un'unica
formula. Nei primi due periodi si nota una certa varietà di
usi, un'oscillazione nella forma e nella posizione di questi
elementi, che poi nel terzo periodo si fissano definitivamente.
tasi ancora che in alcune carte lo scrittore omise, forse per dimenticanza,
la formula dei fideiussori, sicché dopo « Testes sunt » vengono sette nomi,
che converrà distinguere, essendo « testes » solo i primi cinque, e i
due rimanenti «fìdeiussores ». L'edizione di carte aostane nei citati
Hist. patr. Man.. Chart., e nella Miscellanea Valdostana, col metodo
di riprodurre la punteggiatura dell' originale, in questo caso genera con-
fusione e non aiuta affatto il lettore a intendere il documento.
(1) Vedansi gli esempi a p. ,270, nota 1.
(2) Questo signum si trova nelle carte 1024, ottobie 19, 1035, e pare
anche, a giudicare dalla riproduzione eliotipica nel citato lavoro del
Due, Carttilaire ec, nella carta del 1032 (cfr. L. Sckiaparelli, o\). cit.,
p. 3.37, nota 6); manca nella carta del 1040.
|49J CHARTA AUdUSTANA 297
Osserveremo, anzitutto, che ractum nelle carte del primo
e del secondo periodo tien dietro immediatamente al testo,
precede quindi alle sottoscrizioni e alla datazione. Le formule
usate sono: «Hactum in Augusta civitate loco pubblico» (nelle
carte di « Dodo » e di « Eyricus ») ; « Hactum est hoc donum
« in Augusta civitate et in ecclesia S. Mariae loco publico »
(nella carta di « Petrus presb. »); « Actum in Augusta civitate
« loco publico in claustra S. Marie » (carta dell' a. 1045) ;
« Actum est hoc in Augusta civitate in publico loco et in
« claustra S. lohannis » (in quella di « [Arjmannus»); « Actum
« est hoc in Augusta civitate in loco publico in claustro
« S. Marie vel S. Ioannis » lineila carta di « Gosfredus »), e
« Actum in Augusta civitate loco publico in claustro S. Marie
« et S. lohannis » (nella carta di « A. » e in quelle di « Cono »).
La formula di datazione è, nelle più antiche carte, col-
legata colla subscriptio cancelleresca, della quale si pre-
senta come una continuazione. Così nelle carte di « Dodo »
e nelle due di « Eyricus » degli anni 103^ e 1035. Nella terza
carta di « Eyricus », del 1032 febbraio 17, le due formule
si intrecciano, si compenetrano in questo modo : « Facta do-
« natio XIII kal. marcii, ego Eyricus presbiter a vice Bovoni
« cancelarii in die iovis rogitus, regnante Rodulfo rege anno
« XLI, indicione XII, feliciter ». La formula « facta donatio
« ( venditio ec.) », e più spesso « facta carta », è usata nelle ri-
manenti carte del primo e del secondo periodo per introdurre la
datazione, la quale ora si distaccadalla subscriptio cancelle-
resca e prende posizione propria; per mezzo delle sottoscrizioni
è separata e dall' actum e dalla sottoscrizione dell'ufficiale
della cancelleria. Soltanto lo scrittore « Cono » ritorna all'uso
di prima colle carte 1146 novembre e 1147 aprile, nelle quali
la subscriptio è seguita dalla datazione (però nella prima
carta, di cui potei esaminare l'orig., la formula « facta carta »
si trova sul verso ad introdurre la datazione in forma ab-
breviata), e colla carta del sett. 1103, dove pone la sua sot-
toscrizione tra gli anni dell' incarnazione e la formula « re-
« gnante Henri co rege».
La notiti a dorsale del primo periodo non registra dati
cronologici. Questi sono usati soltanto per il recto, sempre
iieir escatoco Ilo, ma in modo vario a seconda degli scrittori.
298 Ll'Itìl SCHIAPAKELIJ |.3l>ì
Così «Dodo» usa il giorno della settimana e del mese (secondo
il calendario romano), gli anni di Rodolfo III di Borgogna
e V indizione ; « Eyricus » pratica lo stesso uso nella carta
del 17 febbraio 1032, in un'altra del 1032 omette il giorno del
mese, e in quella del 1035 adopera soltanto il giorno della
settimana e l' indizione ; « Petrus presbiter » fa uso degli anni
«ab incarnatione » e dell'indizione; nella carta del 1045 si
hanno il mese, il giorno della settimana, l'indizione e gli
anni di Enrico III.
Nel secondo periodo incominciano a comparire elementi
cronologici anche sul verso, cioè nella notitia dorsale :
quindi si distingue ora una datazione abbreviata sul verso
ed altra" più completa o solenne nella faccia recto. La carta
di « Thomas », colla datazione ampia snl verso, sta a se, ci
segna mi momento nello sviluppo della carta aostana. «Cono»
usa scrivere nella notitia la feria e il mese.
Anche in questo periodo si nota varietà di uso nei
dati cronologici sul recto. « [Ar]mannus » usa il mese, il
giorno della settimana, l' indizione, gli anni « ab incarna-
« tione » e del regno di Enrico III (1) ; « Gosfredus » invece
tralascia il giorno della settimana, e gli anni di Cristo; « A. »
alla sua volta trascura giorno e mese, ci dà l' a. « ab incarn. »,
e non registra gli anni del sovrano, pur usando la formula.
Così « Cono » adopera ancora la formula « regnante Henrico
« rege», «regnante Gunrado rege», ma senza aggiungervi il
dato cronologico; indica una sola volta il giorno del mese
secondo il calendario romano; nota sempre il giorno della
settimana, ad eccezione della carta 1125, ma due volte sol-
tanto col nome proprio del giorno, negli altri casi ricorre al
ritus ecclesiasticus, cioè alle ferie; usa sempre l'indi-
zione e gli anni di Cristo. E a proposito dell' indizione va
notato, che nelle prime tre carte essa è minore di un' unità
rispetto all' indizione romana corrispondente all' anno di
Cristo, e sarebbe quindi corretta solo se fosse usato il com-
puto pisano; nelle tre carte successive corrisponde all' anno
{è romana nella carta del 3 novembre 1127), ma poi cessa
(1) Come « [Aijinannus » pare datasse anche « Thomas », a giudicare
dal frammento (cfr. A|)|)endice, 1, n. 2): aj?gi unge però la festa del calen-
dario ecclesiastico.
[51) CHAHTA AUGUSTAXA 299
questa loucoidauza, in tal modo: nella carta iWl l'indi-
zione è di nuovo minore di un' unità di quella corrispondente
all'anno, si ha cioè IV invece di V, e nelle quattro carte suc-
cessive, in tutte, l'indizione si mantiene minore di due
unità (si ha rispettivamente VI, V^II, Vili invece di Vili,
IX, X) ; pare insomma che si tratti di errore iniziale nel com-
puto dell'indizione, del quale il cancelliere non si avvide.
Gli anni di Cristo sono introdotti nelle prime quattro carte
di « Cono » dalla formula « anno ab incarnacione Domini »,
in tutte le altre da « anno Domini ».
Se veniamo al terzo periodo, le carte di « Stephanus » ci
mostreranno subito il formulario che venne adottato regolar-
mente da tutti gli scrittori successivi della cancelleria. Due
carte, dell'aprile feria ii e del maggio feria iv, 1149 (1),
servono a mostrarci il passaggio alla forma definitiva : scom-
pare la formula « facta carta » del periodo precedentje, si
collega Factum colla datazione, cui segue, separata dalle
sottoscrizioni dei testi e dei fideiussori, la subscriptio:
« Actum in Augusta Civita te in claustro S. Marie et S. lo-
« hannis anno.... ab incarnatione Domini, in mense..., feria...,
« Gonrado imperatore regnante.... (vengono i « testes » e i
« fìdeiussores »).... Stephanus dictus cancellarius scripsit
« et subscripsit rogatus ». Ed eccoci ora alla formula ti-
pica, la quale consiste nel premettere la sottoscrizione can-
celleresca e nel far seguire il luogo e poi i dati cronologici :
« Stephanus dictus Auguste cancellarius scripsit et subscrip-
« sit in Augusta ci vitate rogatus corani pluribus ante eccle-
« sia S. Marie et S. lohannis, feria mi, mense mar. Fre-
« derico imperatore regnante, anno Domini M^'CL^VP » {^).
La tbrmula che viene così fissata e dura per tutto il periodo
di vita della carta aostana si riduce a questo schema : « N. ge-
« rens vicem N. cancellarli scripsit et subscripsit in Augu-
« sta civitate rogatus corani pluribus loco publico ante eccle-
« Siam S. Mariae et S. lohannis, feria... (« feria... ebd. » o
« die... ») (1) mense..., regnante... imperatore (o « vacante sede
(1) La pròna è edita in ll/sf. pafr. Mon.. Cliarl.. Il, 267, n. CCXXVl.
Della seconda, orig. nell'Arch. di S. Orso; il verso è privo di dati ci-o-
nologicl.
(2) Originale nell'Arch . Vesc.
800 i.uKtI schiaparelli |52J
« imperatorum »), anno Domini (o « ab incarnatione Domini »
o « dominicae incarnationis »)... » (2). Le varianti a questo
schema, come le eccezioni, sono poche. Noterò, come esempio,
che il cancelliere «Stephanus» omette d'ordinario «locopii-
« blico », che il cancelliere «Petrus » pone per lo più, quando
ne faccia uso, « loco publico » dopo « civitate». Una carta di
Stefano, del gennaio 1155, ha : « ....in loco publico, videlicet
« ante ecclesiam S. Marie et S. lohannis corani pluribus te-
« stibus... » ec. (3). In due carte, pure del cancelliere Stefano,
dell'ottobre feria ii 1182 e novembre feria vii 1187, la data-
zione è inserta nel testo prima della minati o (4). Così in una
carta di « Petrus » del gennaio 1193 ed in altra di « Michael »
del gennaio 1196 abbiamo un ritorno all'uso dei periodi prece-
denti, cioè la sottoscrizione cancelleresca è separata dai dati
cronologici per mezzo delle sottoscrizioni dei testes e dei
fideiussores (5).
Ciò detto in riguardo specialmente alle tormide, aggiun-
giamo qualche cenno sui singoli dati cronologici della carta
augustana nel terzo periodo.
Anno di Cristo. Mons. Due scrive: «La plupart des
« Charles de cette epoque sont datées d'après le style de
(l) SiilFiiso della settimana e del giorno cfr. p. ^303.
{"!) Le due formule, della subscript io e della datatio, non ven-
gono separate nella scrittura. Soltanto nelle carte di « Michael » si va a
capo di linea per la formula di datazione. Per la formula e posizione
del datum la nostra si distacca dalla carta usata in Italia (cfr. Bresslau,
rylandenlelwe, I, 852).
(3) Cfr. lUst. patì'. Mon.. CJiarf.. II, 284, n. CCXXXIX, dove invece
di * lohannis» è stampato «iotus*.
(4) Nella prima carta la datazione si ripete, ma in forma abbreviata,
neir e scafo collo: * Stephanus dictus Auguste cancellarius scripsit et
* subscripsit rogatus coram pluribus eodem die quo hec commutatio
« fuit facta ». (Orig. Arch. Vesc). La formula di datazione della seconda
si distacca dalle altre: * Hoc totum autem et de line et de pace in Augusta
« civitate loco publico ante ecclesiam S. Marie et S. lohannis factum fuit
* videntibus et audientibus multìs et clericis, anno ab incarnatione Do-
* mini... » ec. {Hisf.patr. Mon., Charf.. I, 946, n. DCXVIII).
(5) Cfr. HLst. patr. Mon.. CharL. II, 1158, n. MDCLX e 1173,
n. MDCLXXV.
|5;f| CHARTA AUGUSTAXA 301
« rineaniatioii, qui commence le ^5 niars » (1), e dagli esempi
die ricorda si deduce che egli sia d'avviso che fosse in uso
il computo fiorentino (2). Per le carte aostane che hanno
soltanto l'a. di Cristo, la feria e il mese, e non il giorno
del mese né l' indizione, viene a mancare i,l mezzo per giu-
dicare con sicurezza dello stile o principio d'anno usato ; ma
se esaminiamo le carte in cui è registrato anche il giorno
del mese o l' indizione, apprenderemo che l'anno non muta
col 25 marzo, ma col 25 dicembre o col l'' gennaio (3).
Non raccolsi né conosco carte aostane datate tra il 25 di-
cembre e il 1" gennaio, con dati cronologici sicuri che per-
mettano di giudicare suU' uso dell' uno o dell' altro dei due
stili (della Natività o della Circoncisione). Se allarghiamo
l'esame agli altri documenti di Aosta e della Valle, trove-
remo in questi adoperati i due stili della Natività e della
Circoncisione (4).
(1) Due, (fui aia he. p. :214, notai; cfr. anche Due, Lo h. liouiface
ile Valpergite. p. 16, nota ^2; HO, nota 1; 121, notai2;e Due, Esqiiìsses
hi.sforiques. II, 66, nota 1; 9-2. nota 2: 161, nota 1; 197, nota 1; 251,
nota l; 259, nota 1; 382, nota 1.
(2) Pare che egli sia venuto in questo giudizio intendendo troppo
letteralmente la lorniula « anno dominicae incarnationis » e dando una
falsa interpretazione a feri a (interpretò « feria i * come * dies prima » ec);
cfr. Cartidaire, p. 215, nota 1. Dalla formula «anno Domini* di una
carta del cancelliere Stefano dell'aprile 1178, suppone che questi abbia
usato, almeno in detto caso, lo stile della natività; cfr. Esqiiisses Msf..
r. 114, nota 2 e II, 197, nota 1, dove ammette un più largo uso dello
stile a nati vitate; cfr. anche Le b. Uonìface de Valpergue, p. 152,
nota 1; 15.3, nota 1; altrove {Esqnissea Jti.sf., II, 382, nota 1) suppone
che il vicecancelliere * Dionisius * abbia, in due carte del febbraio e
del marzo 1290, usato lo stile moderno. Questi esempi non provano nulla
liguardo al principio d'anno.
(3) Le carte citate a p. .304, nota 1, le quali hanno la feria e il giorno
(lei mesi di febbraio e marzo rispondenti agli anni di Cristo secondo lo
stile moderno, attestano che non si fece uso del computo fiorentino.
(4) * Libravit [Guillelmus de Castelliono baillivus Vallis Auguste a
* die XIV augusti MCGGXLVI usque ad diera viii septembris MCCGXLVII],
* heredibus Nicholeti Felisie, civis Auguste, prò prima solutione termini
* lesti nativitatis Domini ({uo inceperunt ciirrere anni eiusdem MGGGXLVI »
Gabotto, op. cit., p. :ì89. Nei Conti dellv Cauteli ((uie ricorre non tanto
di ijido l'espressione: « die testo nativitatis Domini > o * in testo nativi-
Arch. Ktor. It., 5." Serie. — XXXIX. -"
802 LUIGI SCHIAPARELLI |54J
La formula « anno domiiiice iiicarnationis » o simile è
spesso adoperata nei documenti medievali per indicare sem-
plicemente « anno Domini », anno dell'era cristiana; inoltre
« incarnatio Domini » nel Medioevo prese non di rado il
doppio significato di « annunciatio » e di « nativitas » (1).
Anno di regno e di impero. Non figurano gli anni,
ma perdura la formula : « regnante.... rege » o « imperatore »,
la cfuale viene usata durante i regni di Corrado III, Fede-
rico 1, Enrico VI, Filippo di Svevia, Ottone IV, Federico II e
Carlo IV. L' imperatore Federico II viene designato coi suoi
due nomi di battesimo, e quindi si legge : « regnante Federico
« Rogerio imperatore » (^). A « regnante... » si contrappone la
formula : « vacante sede imperatoris » o « im])eratoruni », o
« sede imperatoria » o « imperiali ». L' uso delle due foiniule
* tatis Domini ([uo die incipiunt ciiriere anni eiiisdem a nativitate.... ».
Negli tStatuti di Amedeo VI (ed. G. N\xr, op. cit., p. 160). art. 64: * Item qiiod
* singiili Secretarii teneantur singulis annìs in festo nativitatis Domini
* tradeie registium omnium instiumentorum que in anno retro receperint
* prò domino nostro eomite custodi crote Domini existentis in Ghamhe-
* riaco ». Nelle poche e frammentarie imbreviature che ho potuto esajiii-
nare nelF Archivio Capit. di Aosta 1" anno cambia col 1 gennaio. L" uso
dei due stili era probabilmente promiscuo nella Valle d" Aosta, come
negli altri Stati della Monarchia di Savoia; cfr. Datta, Legioni di p<i-
leoyyafin e critica (ìipìotnafica (Torino, 1834), pp. 378-379, e nel ducato
di Borgogna, cfr. Giry, Manuel de diploìnafiqtte (Paris. 1894). p. 1:21.
L' istromento edito dal Pi vano, op. cit., p. 177, n. GV, datato presso
Ghatiilon « Anno Domini MGGXXX. lercia ind., pridie kal. ianuarii ». è
probabilmente del 31 die. 1229, collo stile della natività e coir ind. del
sett. o romana del 25 die. Neil' istromento del 24 die. 1253. ed. Bat-
taglino, op. cit,, p. 265, n. XXVII, è usata Tind. del settembre: «anno
* Domini MGG"LIII^ ind. XII% mense decembris in vigilia nativitatis
* Domìni » : venne scritto in Aosta, ed è probabilmente dell* ultimo gioino
del 1253, stile della natività. La formula * anno dominicae Nativitatis ^
o simile dovette essere usata raramente nel territorio di Aosta. Tn
esempio si ha in Due, Cartìdaire, p. 273.
(1) Nelle carte aostane (redazione sul recto) è laro il caso che si
ometta l'a. di Cristo; notai due esempi in carte di «Michael», I" una
dell'ottobre feria vi e l'altra del marzo feria i (orig. Arch. Vesc).
(2) Questa formula nelle carte aostane venne avvertita già dal Beth-
MANN (cfr. Pertz. Jrclfir. XFI. 591), e dal Kehx. o]). cit.. p. 4, nota 1.
[55; CHAKTA AUCiUSTAXA :^03
varia secondo gli scrittori, dei quali alcuni ora se ne servono
ed Ola no ; non di rado poi sono usate irregolarmente, sicché
per la datazione delle carte non sempre o ben poco giovano.
Indizione. L'uso dell'indizione è raiissimo nelle carte
aostane del terzo periodo (1). Nei documenti della Valle di
Aosta si adopera in generale l'indizione romana del 25 di-
cembre o del l'' gennaio, la quale cambia coiranno; raro
dev'essere stato Fuso dell* indizione del settemlire (*^).
Giorno della settimana e del mese. Nelle prime
calte del terzo periodo prevale il sistema di indicare soltanto
la teria e il mese. Nelle carte aostane non trovasi mai « dies
« dominica » ma « teria i », non mai « dies sabbati » ma
« feria vii » (3). Con questo metodo si indicava il gioi-no di
una settimana del mese senza aggiungere di quale settimana,
e ne derivava quindi un' indeterminatezza, non potendosi
fissare con precisione il giorno del mese. Nel XIII e XIV se-,
colo si provvide a grado a grado a tale inconveniente col-
r aggiunta di altri dati cronologici.
Nella data sulla redazione del recto compare nel XI \'
secolo r « ebdomada ». poi il « die.... », cioè l'uso che dura
(1) Registrai <iue soli casi, in una carta di Stefano del IKW iiiaizo
feria ii (Pivano, op. cit., p. VM, n. 41), ed in altia dello scrittole L'go
del 13:23 aprile feria vi (orig. Ardi. Capit.).
{•2) Clr. p. 301, nota 4. Nei documenti di Aosta pubblicati dal Due e dal
Fkutaz, di cui a p. 254, nota 2, è usata costantemente Tind. romana.
(3) L'uso del ritus ecclesias ficus si trova esteso in Aosta a
tutti i generi di documenti, anche agli istromenti notarili. In questi, per
designare il giorno del mese e della settimana, si ricone spesso alle feste
del calendario ecclesiastico, indicandole col nome del santo o colle prime
parole deir Introito della Messa; di tale uso avvertii un solo esempio in
carta aostana, precisamente nella carta di * Thomas * {Appendice. 1, n. 2).
L'uso del rito ecclesiastico è raro nelle carte italiane, ed anche in quelle
di Ivrea, molto vicina ad Aosta, appare in caso eccezionale. Ricordo un
esempio in diploma del vescovo Guido (Gabotto, Le carte dell'Archivio
Vescovile d' Ivrea fino al 1S13, I, Pinerolo, 1900, 14, n. IV, nella liiblio-
feca della Società storica Subalpina): «Anno ab incarnacione Domini
* M^CXXII". feria iiP, indictione vif, Lotario imperatore regnante, luna
« septima *. In quesf uso del rito ecclesiastico la carta aostana è piut-
tosto analoga alla carta del territorio franco.
304 LUIGI SCHIAPARELU [5(3]
tuttora di numerare i giorni dal primo all' ultimo del mese.
Del computo secondo il calendario romano, per calende, none
e idi, ho notato pochi esempi nel terzo periodo, e tutti in
carte del cancelliere «Stephanus» (1).
Nella notiti a dorsale in questo periodo ahbiamo, come
già rilevammo, una datazione abbreviata, la quale riferisce,
in calce, la feria e il mese (2). Alla line del XIII secolo entra
in uso anche 1' « ebdomada » (3) e col XIV secolo si adopera
il sistema di numerare i giorni del mese con « die » in or-
dine diretto (4). Il quale sistema si allarga e ben presto sot-
tentra alla feria e alla settimana. Nel XIII secolo compaiono
anche sul verso gli anni di Cristo (5); pare che quest'uso si
(1) Ad es., nelle carte 1161 kal. mar. feria v (copia 1770 dicembre 4,
Arch. di Sant'Orso; la feria v sarebbe corretta col 1 marzo 1162). 1176
kal. mar. feria ii (orig. Arch. di Sant'Orso), e nelle carte 1188 kal. febr.
feria ii e 1172 kal. febr. feria in (Pivano, op. cit.. p. 126, n. 14, e p. 132,
n. 35). Le carte del 1311 e 1312, edite dal Due, in Docnìnents roìafìfs n
iépincopat chi h. Émeric I, n. 70, e Appendice, nn. 16-17, hanno, nella
citata edizione, la prima * feria vi, mi eddibns mensis aprilis», la seconda
« feria vii. mensis augusti, un" ed. », la terza « feria vi*, mi" edd. mensis
* iulii *; il Due interpretò klihiis, ma io ritengo che gli oiiglnali ab])iano
* ebd. »• e che si debba leggere * ebdomada ».
(2) Spesso, per trovarsi questi dati cronologici troppo in basso, sono
molto corrosi e guasti, e in alcuni casi in cui majicano si rimane incerti
se non siano stati asportati da taglio della pergamena. Feria si abbrevia
in F o Flì e mense in M. La carta del marzo feria iii 1232, edita dal
Battaglino, op. cit.. p. 258, n, XX, aggiunge dopo feria e mese: * in ci-
« vitate Augusta ».
(3) I primi esempi eh' io notai sono del 1298. Se le mie osservazioni
furono esatte, la settimana si usò prima per la datazione sul verso, poi
passò sul recto.
(4) Ho notato il primo esempio in una carta del 1319.
(5) Ho notato il primo esempio in- una carta dell'Archivio Vescovile
del 1217 (dove però Fanno è molto corroso), il secondo in una carta del
1299. 11 (Jartiilaire, edito da mons. Due. ci darebbe moltissimi esempi :
a. 1217. p. 28Ò. n. LXXXIII; a. 1232, p. 253, n. LVII ec, se non che resta
il dubbio che l'aggiunta dell'anno sia dovuta talora al compilatore del
Cartolario e che egli l'abbia ricavata dal recto della carta. E clie in
([ualche caso così si sìa fatto, che cioè siano stati aggiunti arbitrariamente
alla notitia del verso dati cronologici che erano soltanto sul recto,
non è dubbio; cfr. ad es., p. 211, n. MII, dove la formula «regnante» ec. è
certo ricavata dalla datazione del recto. Un esempio ci offre pure una carta
dell'aprile 1197, Hi.st. patr. Moti., dtart., IL 1177, n. MDCLXXXI, masi
avverta che è stata estratta da un cartolario, arch. della chiesa di Fénis. Sul
|57| CHARTA AUUUSTANA :M5
possa fai" pj'iiK-ipiare piuttosto verso la fine del secolo, però
non si mantenne eostante.
Risulta da queste poche osservazioni, come nel XIV se-
colo la datazione, nella carta aostana, sia andata facendosi
più completa e precisa coli' indicazione del giorno del mese ;
anche sul verso penetrarono i dati cronologici che prima
si avevano solo sul recto e si finì per avere tutti i mede-
simi dati nelle due redazioni. La data della redazione sul
recto venne così a differire da quella sul verso unicamente
per avere in più l'elemento formale.
Sul riferimento in genere dei dati cronologici e del luogo
ad uno stesso periodo o momento, e precisamente all' azione,
non vi può essere dubbio, tanto parlano in modo chiaro e la
fornnila stessa di datazione e gli esempi di carte aostane fatte
complete dopo un certo tempo e colla data che appartiene
alla prima redazione (1). Molto di rado si, trova espressa una
data diversa per le due redazioni {^). La formula « facta
« donatio », « facta carta » dei primi due periodi si riferisce,
stando all'espressione, alla fattura o compilazione del docu-
mento, ma in realtà questa viene a confondersi coli' azione,
cui dovette seguire senza intervallo o a breve distanza (3Ì.
Apprecatio. La formula usata è « feliciter », che leg-
gesi nelle carte del primo periodo e del secondo fino al 1091.
Segue immediatamente alla datazione; soltanto nelle carte
del 1053 marzo e del 1091 è collocata tra i dati crono-
verso. Tanno si abbrevia spesso omettendo b2tìO: così IX» = (MCC)IX'^ ;
CI = (MCC)CI. Sul recto le abbreviature nellanno sono molto rare e
senza norma costante: ho notato un caso coir omissione di M, altri di
ce (vedansi due esempi in Frutaz, op. cit., n. 1 e Pivano, op. cit., p. 8:2,
n. Il; cfr. p. 310, nota :2 e p. 343, nota 12). Si possono incontrare usi
speciali di singoli scrittori; ad es., « (juillelmus » abbrevia con IX Va.
MGCXCIX, cfr. p. 270, nota i. A proposito rilevo l'uso nelle carte aostane
di esprimere 49 con IL, quindi si trova ad e*i. : MCCCIL = MCCCXLIX.
(1) Cfr. p. 267, nota 3; p. 269, nota 2; p. 270, nota 1.
(2) Ho notato due soli esempi in carte del 1309 ; cfr. p. 270. nota 1 .
(3) In una carta del novembre feria vii, 1187: « Notum sit omniims
♦ quod.... finem et pacem fecerunt.... de omni querinronia et querela que
* erat Inter ipsos usque ad hanc diem quo hec carta facta fuit » Hisf.
pdf)-. Mon.. diart.. 1. 946. n. DCXVIII: Puano. op. cit.. p. 127. n. 17.
806 LUIGI SCHIAPARELLI |58J
logici (1). Colle carte di «Cono», cioè col XII secolo, J'appre-
catlo scompare dall'uso nella nostra carta.
Riassumendo, diremo che la carta aostana presenta ca-
ratteri estrinseci ed intrinseci che la differenziano dalla carta,
finora conosciuta, usata in altri territori. Vien fatto di do-
mandarci con quali altri gruppi di carte abbia maggiore af-
finità, e se si debba classificare tra la carta italiana longobarda
() tra quella del regno franco. Aosta colla sua Valle, prima
(li essere Piemontese, fece parte del reame di Borgogna, e la
sua carta, che si andò formando in detto periodo, appar-
tiene in tidto a questo territorio giuridico; ha però propri
caratteri distintivi, che della carta augustana fanno un
lirupjx) speciale di carta franco-burgunda. Le maggiori affi-
nità le troveiemo adunque coi documenti di detta regione;
al di qua delle Alpi, nella confinante Ivrea, siamo in altro
territorio giuridico, dove è usata la carta longobarda (2). La
carta aostana, come prodotto di una cancelleria, ha speciali
caratteri di solennità, propri in genere del documento pub-
l)lico, ed è condotta con regolarità grande; le sue formule
si ii])et()n() (* durano a lungo come stereotipate.
IV.
Valore giuridico della carta aostana.
Vediamo anzitutto quale valore abbiano le due redazioni,
considerate l'una rispetto all'altra; poi cercheremo di co-
noscere il valore generico della nostra carta di fronte agli
.•litri atti scritti.
(1) \a\ calta 1053 niaizo usa anche «valeat», ma staccato da «feliciterà.
(-1) Le osservazioni fatte, come ([nelle che seguiranno, riguardano la
calta aostana, considerata sotto l'aspetto diplomatico, non le leggi e non le
consuetudini: sicché non entro nella ({uestione quale sia stato il diritto
privato in Aosta, ([uali influenze si siano esercitate ed abbiano piedoni i-
nato in (|iiesto territorio. Uno studio sui documenti eporediesi mostrerà
torse (jualcJie intiìtrazione o ricordo dell'uso che si praticava nella con-
finante Aosta e nel territorio franco: ma la carta usata nel Canavese sta
colle altre del Piemonte, appartiene cioè al gruppo della cai-ta del regno
longobardo, e non ha riscontro colla nostra. 1/ influenza del documento
usato nella vicina Ivrea si fece, se mai, sentire in Aosta coll'istiomento
notarile, che da Ivrea risalì probabilmente la Valle d'Aosta.
|5!»i CHARTA AUGUSTANA 807
È chiaro, da quanto esposi, che la notitia dorsale non
j>u() dirsi né considerarsi soltanto minuta o abbozzo della
re(U\zione sul recto. Dovette servire come tale nel primo
periodo, non certamente dopo, quando, ad es., si fece uso
dell' imbreviatura, che allora questa fu fonte e base alla reda-
zione solenne o copia a buono dell'atto. È pure chiaro, che
le due redazioni verso e recto non si confondono, non si
ripetono. Quella sul recto non contiene tutto il verso, e
non esclude il verso. Chi pubblicasse quindi della carta
augustana soltanto il testo del recto non riprodurrebbe
ratto per intiero con tutti i suoi elementi. La notitia dorsale,
nel periodo del maggiore svolgimento, ha, come abbiamo
veduto, la di sposi fio talora più estesa di quella sulla faccia
recto, non mai più breve; ha i testes e i fideiussores,
che mancano sempre alla redazione sul recto; non ha, come
questa, la sottoscrizione cancelleresca; i laudatores possono
trovarsi ora sul verso ora sul recto ; la datazione è comune
alle due redazioni, ma è completa nellaì formula e nei dati
cronologici solo nella parte recto; le formule sono svilup-
pate soltanto in questa parte o faccia. Avremo invece tutti. gli
elementi, salvo i formali, della carta, se di essa pubbliche-
remo il verso e l'escatocollo del recto. E questo è il me-
todo in generale adottato nelle trascrizioni che di detta carta
si fecero in Aosta da ui!ìciali della Curia e da notai pubblici ;
è il metodo pure seguito nel cartulario del XIII secolo, che
si conserva frammentario presso l'Archivio dell'Ospedale
Maiuiziano in Torino (1).
Il protocollo o r imbreviatura, qiiando principiò ad es-
sere in uso, accoglieva la prima redazione scritta deiratto.
La notitia dorsale viene dopo questa e da questa dipende ;
è quindi una seconda redazione dell'atto, è notizia, memoria,
narrazione di un fatto la cui azione giuridica è stata com-
piuta prima. Questa seconda redazione è documento di prova.
Da ini esame degli originali si ricava, che i nomi dei lau-
datores furono spesso aggiunti dopo un certo tempo, a
(1) Kdito da !S. PiVANO,()p. cit.,p|). I ISsegg. Cfr. Kkhn. op. cit.. pp.ti-S, 71.
La datazione, ricavata dal recto, viene per lo più inserta prima di « pre-
^ cium * o di * pena *. anziché in fine dell'atto.
308 LUIGI SCHIAPARELLI |60]
una certa distanza o pausa dalle altre parti della carta, le
quali, salvo poche eccezioni, appaiono scritte senza inter-
ruzione dal principio alla fine. Questo fatto ci permette di
dedurre, che spesso i nomi dei laudatores non si trovas-
sero nell'imhreviatura, o ivi pure venissero aggliniti dopo (1).
Non dovevano invece mancare i testi e i fideiussori. Questi
sono testes e fideiussores non della notitia, ma del-
l'azione del documento, dell'atto giuridico, di cui il verso
della pergamena contiene la narrazione e serba la memoria.
Manca a questa notitia dorsale il carattere del documento
dispositivo ; ha giuridicamente e diplomaticamente il valore
di un breve. Lo scritto che abbiamo sul recto ci dà una
terza redazione del medesimo atto, ed è anzitutto pur esso do-
cumento di prova. E si comprende come essendo tale, ripro-
ducendo cioè quel testo che dall' imbreviatura era passato
sul verso della pergamena, a poco a poco si sia fatto a
meno di ripetere tutto quanto già si trovava sull'altra faccia
della pergamena. Però questa terza redazione non scomparve,
non venne soppressa, perchè il suo carattere non era, come
la forma e il contenuto, solamente uguale a quello della
notitia dorsale; essa non era solamente documento dì prova,
come la notitia, ma era anche documento dispositivo. Di-
spositivo, non nel senso che l'azione giuridica cominciasse
ora, poiché questo valore l'ebbe prima l' imbreviatura ; ma
nel senso che colla sottoscrizione dell'ufficiale pubblico della
cancelleria, colla solennità di redazione scritta si veniva
a dare pubblica forma dispositiva all'atto. Questa terza re-
dazione non era necessaria quando le persone interessate
non credessero opportuno di dare maggiore sicurezza o fede
al loro atto, precisamente come non era sempre necessario
di ogni imbreviatura notarile stendere 1' instrumentum
publicum(^). Siccome però ci sono pervenute non poche
carte aostane colla sola notitia dorsale, ed alcune con
note cancelleresche che le tolgono ogni valore, siamo in-
dotti a supporre che fosse obbligo di redigere questa scrit-
(J) Cfr. pp. ^64-, :U7. e Kkkn. op. rit,, |)p. IMO.
(2) Cfr. Kkhx, op. cit.. p. m.
|(UJ CHARTA AUGUSTAXA 309
tura () notiti a sul verso, e forse entro un dato tempo (1),
salvo poi a completare la carta quando le persone interessate
lo richiedessero {;2). In questo caso, naturalmente, la sclieda
o la pergamena colla sola notizia dorsale veniva consegnata
alle parti (3). Forse alcuni avranno evitato di passare al com-
pimento della carta per risparmio di spesa. L' intervallo che
talora si constata tra le due redazioni sul verso e sul recto,
si spiega appunto supponendo che la carta sia stata com-
piuta solo quando si sentì il bisogno di assicurare piena fides
publica all'atto (4). E ditatti in alcuni casi, quando si vuole
assicurare vieppiù l'esecuzione dell'atto di cui si redigerà
ima carta augustana, si dice espressamente che questa
dovrà essere completa (5).
La notitia dorsale della carta aostana sta al breve come
la redazione sul recto all' istromento pubblico. A differenza
di questo, la nostra carta ci dà in più, sul verso della per-
gamena, copia della prima redazione dell'atto, quella re-
dazione che r ufficiale della cancelleria raccolse, e fermò
neirimbreviatura o protocollo, direttamente dalla voce degli
autori dell'atto e alla presenza dei testi e dei fideiussori (6).
La redazione sul verso è una vera imbreviatura dorsale.
(1) Gli Statuti di Pietro II di Savoia stabiliscono un termine per gli
istionienti : * Item statuinius quod omnes taljelliones qui eiiint in Goini-
* tatù SaJjaudie, postquam instruinenta vel carte fuerint abreviata. te-
* neantui- tacere cartas seu instrumenta infra mensem quo per ipsos fue-
* runt abreviata.... ». Gir. G. Nani. op. cit.. p. 1-21, art. 15.
(^) In alcuni casi non si passava al compimento della carta perchè
l'azione giuridica non aveva avuto intero effetto: cfr. p. 267, nota 1.
(3) E nessuna meraviglia se troviamo di queste notitie scritte sulla
l'accia più levigata o recto; cfr. Appendice, I, nn. 4, 5.
(4) 11 Kern, op. cit., p. 65, è d'avviso che tutta la carta, colla re-
dazione sul recto, venisse compilata alla presenza dei testimoni. * wiih-
* rend des Rechtsaktes » : quanto abbiamo esposto |)rova il diverso |)i()-
cedimento e valore delle due redazioni.
(5) Gfr. pp. 345. 346. L'esempio ricordato più sopì a (p. 267, nota 3)
di due carte complete scritte sulla stessa pergamena sarebbe contrario a
questo procedimento: ma forse trattasi di un'eccezione.
(6) Dice il Kern: * Die Aostaner Urkunde liisst sich nur verstehen,
* wenn man Vorder - und Ruckseite als ein untrennbares Ganzes. etwa
* wie die zwei Seiten einer Miinze, auff'asst. wobei die materiellen He-
* standteile der Dorsualfassung durch die Rechtskraft des inneren Textes
« gedeckt werden » (op. cit.. p. 6).
:>10 Li: Idi SCHIAPAKELLI \()2\
La carta augustana non fu l'unico atto scritto usato
in Aosta. La serie delle carte private, cui la nostra appar-
tiene, comprende anche in Aosta brevi o notizie e istro-
menti. Di carta propriamente detta, che non presenti i
caratteri peculiari flell'aostana, conosco mi solo esempio (1),
avanzo di un genere di documento che anche in Aosta fu
certo in uso e che il tempo non ci ha tramandato in maggior
numero. Questo documento, per noi di speciale interesse,
a])partiene per il formulario alla carta, ma ha la forma
oggettiva della notitia o del breve; occupa un posto
intermedio tra la carta soggettiva e la carta oggettiva, quale
si ha nella redazione sul recto della carta aostana. L'istro-
mento penetra tardi in Aosta, dove i primi esempi sono
della prima metà del XIII secolo (i2) ; l'uso suo si allarga
quando diminuisce quello della carta aostana, siccliè con-
verrà per il nostro studio mettere da prima in confronto
questa coi brevi. Gli altri documenti di Aosta, quelli che
vanno classificati tra i pubblici, come i diplomi ^escovili
degli abbati, del capitolo ec, di rado prendono la torma della
carta aostana e quindi non si confondono con questa : oi'dina-
riamente hanno forma propria, la quale, in genere, da prima
è quella della carta o del breve, poi quella dell' istromento
pubblico (3).
La carta aostana del primo e dei secondo periodo è,
si può dire, l'unico documento privato aostano a noi giunto
di quell'epoca, cioè tìn quasi alla metà del XII secolo (4).
(l) Ctr. AppeìKÌivc. I. n. (>.
{;2) L" istromento che piibblicò F. G. Frutaz, op. eit.. n. I, colla data
l(H)5 è certamente molto posteriore : è forse del 1^5, al qual anno cor-
risponderebbe l'indizione vili; la. sarebbe stato abbieviato omettendo ce
(ctr. p. 304, nota 5).
(3) Anche atti dei conti di Savoia sono nella forma tiella caita auji:. :
cfr. ]). 815, nota 1. Quando è usato in Aosta Tatto notaiile. troviamo di-
plomi vescovili scritti da notai pubblici, e si dilferenziano dall" istiomento
per r autenticazione e per il sigillo del vescovo.
(4) È ritenuto spurio il diploma del vescovo Giso dell" a. iHi() circa.
Il foi-mulario e il contenuto storico sollevano gravi dubbi sulla sua au-
tenticità. Edizioni : Besson, Móntolres pour ì'/nsfoh;e ecciési((Htì(jìie (fes
(lioa'ses de Genere. Tct ninfa ise, .iosfe et Maurien ne (Nanay, 1759). p. 479,
l'rciires n. Ili: (Uilli<( ('hrÌHtiaua, XII, hiaty. 485, n. II; Savio. (Ui
(inficili rescori d' Haìia. Il Piemonte (Torino. 1899). p. 85: LAmuzzi. L(i
[(j:j\ CHAKTA AUGUSTA X A -Ul
Nel terzo periodo della carta aostana, quando questa rag-
giunse il maggiore sviluppo e prima che penetrasse in Aosta
r istromento notarile, troviamo in uso accanto ad essa nu-
merose carte private, le quali però, fatte poche eccezioni,
non appartengono, in istretto senso diplomatico e giuridico,
alle carte ma alle notitie(l). Diremo che Tunica carta è
Ola la carta augustana: gli altri documenti privati in
uso sono notitie.
Nella seconda metà del secolo XU il numero dei hre vi
è molto considerevole e forse si avvicina a quello delle carte
aostane ; queste al contrario sono in grandissima prevalenza
nel XIII secolo (^). Il breve ha, rispetto alla carta augu-
stana come a tutti i generi di documenti contrattuali, un
rampo molto più vasto, serve per qualsiasi atto di cui si
voglia serbare memoria. Nessun atto che non si possa ricor-
dare nella forma libera del breve, come nessun impedimento,
nessun vincolo presenta il breve a chi voglia serbare notizia
di un fatto, di un'azione giuridica qualsiasi già compiuta. Non
nn)iK(rrìti<i <ìi Savoia dalle origini all'anno IIOS (Roma. 19(X)), p. 358,
n. XXXV; Due, llistoire de l'Église d'Aoste, 1 (Aoste, 1901), ^3;Tibaldi,
Storia della Valle d'Aosta. II (Torino-Roma, 1902), 101, nota 1; Patrucco,
Aitsta dalle inrasioiii barbariche alla sigìioria Sabauda, neUd Miscel-
laneff Valdostana, p. ux, nota 5. Cfr. Pertz, Archic, IX, 6^; XII. 590;
K. Albert, La Vallèe d'Aoste (Paris, 1860), p. "269: Du.mmler, Kaiser Otto
dor <i rosse, in JahrbacJter des deidsclien lleicJts (Leipzig, 1876), pp. 186,
nota 2, 286-287. e 287, nota 1. Lo dichiarano spurio il Gabqtto (cfr. Ti-
BALDi. op. cit., II, 102 in nota, che riporta pure la risposta di mons.
Due alle ohbiezioni del Gabotto) e il Patrucco. Su un preteso testamento
di un vescovo Anselmo dell" a. 960, cfr. Savio, op. cit., p. 84, e Patrucco,
op. cit.. p. iaiu, nota 1. Leggesi in Aubert, op. cit., p. 269: «< Anseric. On
- flou ve le nom de cet évèque sur des Charles de 920, au dire des Frères
* (le Sainte-Marthe, et aussì sur quelques parchemins de 910, d'après un
* Muinuscrit valdòtain. Anseoie P', en 921. Il ligure sur une charte de
r (ette mèine année... » (Cfr. Savio, op. cit., p. 84, nota 1).
(1) Di charte ho notat ) soltanto la citata precania {^lpj)endice. I,
n. 6). Krioneamente il Kekx (op. cit., pp. 3, 11) considera la carta aostana
<tiiasi come eccezione, come una caita meno bella e meno pregiata delle
altie.
(2) Xel secolo Xill i brevi sono assai meno numerosi: ma alloia
entrano nelU uso jrli istromenti notarili. Faccio questo calcolo basandomi
sui documenti dell' Ai-ch. Vescovile.
312 LUIGI SCHIAPARELLI [64J
esclude la carta, come questa non rende inutile l'uso del
breve per il medesimo atto. Abbiamo quindi fra i documenti
di Aosta il « breve recordationis de quodam convadio », il
« breve recordationis de quadam helemosina », e brevi di do-
nazione, di vendita, di permuta, di pace e di concordia. Per
alcuni atti si adoperava prevalentemente, se pur non anche in
modo unico od esclusivo, il breve ; così non ricordo di aver
visto una carta de convadio. I brevi non sono documenti
usciti da una speciale cancelleria, né scritti necessariamente
da notai pubblici. Alcuni brevi aostani furono certamente
scritti da ufficiali della nostra cancelleria ; ma evidentemente
non fungevano allora da ufficiali di questa ; si ricorreva a loro
perchè erano i più indicati e i più capaci di eseguire un tale
lavoro, ma non era necessario, né richiesto che ad essi si ri-
corresse.
Aggiungiamo qualche parola sulla composizione di questi
brevi. Noto che in alcuni di essi compaiono la stessa pro-
mulgai io della carta aostana, e formule simili di pertinenza
e di sanzione, talora perfino in forma più ampia (1). Non
mancano i testi, spesso designati colla formula « audientes et
« videntes » (2), di numero vario e registrati sempre in fine
del documento. Si trovano i laudai or es (3), talora perfino i
« tìdeiussores de guarentia» (4). Non manca qualche volta la
datazione, in forma abbreviata e che ricorda quella della nostra
carta (5). Voglio anche notare un carattere estrinseco. Il breve
è di regola scritto su una sola faccia della pergamena, ma
non sempre, e si hanno esempi in cui il testo continua sul
(1) Cfr. Axìpemlicv. 1. n. 8. La minatio del breve in Appendice. 1,
n. 10, è tanto lunga che certo non avrebbe trovato posto in ima carta
aostana, dove lo spazio era in certa guisa limitato, non potendo il testo
che si trova su una faccia continuare suir altra.
(2) Come, ad es., in Hist. patr. Man.. Chart.. I, 827, n. DXIX ; II,
211, n. CLXVl: 219, n. CLXXllI; 221. n. GLXXVI. Battaglino, op. cit.,
p. 244, n. II, e Appeudìce, 1, nn. 7-10.
(3) Come, ad. es., in lUst. patr. Man.. Cìiart.. I, 9r)7, n. DCXIJ : II.
182, n. CXLII ; 1201, n. MDCCI e Appendice. I. nn. 7-9.
,(4) Cfr. Appendice. I, n. 9, e Hist. pati: Mon.. CJ/arf.. Il, 211,
n. CLXVI : «tìdeiussores de legali guarentia».
(.')) Cfr. Appendice. 1, n. 7 e Uisf. pcdr. Man., ('//art.. 1, 827, n. DXIX.
[<J5J CHARTA AUGUSTANA 'U8
verso; in alcuni di questi esempi la parte sul verso, pur
continuando e completando quella sul recto, è come distinta
e potrebbe stare a sé come formula o speciale parte del do-
(U mento, e fa ricordare in particolar modo la redazione sul
verso della carta aostana (1).
Ora da tutto questo emerge chiaramente come tra carta
augii stana e breve esistano certi rapporti e certe identità,
tanto nei caratteri intrinseci quanto negli estrinseci. I due ge-
neri di atto scritto non sono un prodotto del tutto isolato l'uno
dall' altro ; hanno invece relazioni e punti di contatto. Ma in
che consiste la loro differenza? Nel diverso valore giuridico.
La carta augustana presentava di fronte al breve dei van-
taggi: assicurava all'atto maggior fede. Il verso della carta,
come rilevammo, nella forma e per il valore è nient' altro
che un breve; ma la redazione sul recto ha sempre in più
ciò che manca nel breve aostano, la sottoscrizione cancelle-
resca (2). A differenza del breve, la carta augustana è ri-
conoscinta da uno scrittore ufficiale. Questi non è ufficiale
dell'autorità sovrana, ma della cancelleria propria di Aosta; è
r ufficiale delegato da quella istituzione locale cittadina che è
incaricata di ricevere e dare valore agli atti contrattuali. L'atto
uscito da questa cancelleria si può ben dire, per Aosta, atto
pubblico, in quanto ha tutta la fede che gli veniva dall'isti-
tuzione pubblica per iVosta e territorio (3). Chi adunque fa-
ceva stendere un atto da questa cancelleria, ricorreva al
mezzo migliore per assicurare pieno valore al contratto ; con
questo procedimento dava piena prova della sua disposizione
contrattuale di fronte ai terzi. Ma era necessario che tutti
gli atti privati, per avere valore, fossero redatti da questa
(1) Cfr. Appendice, 1, nn. 7, 8, 10. Il breve edito in Hist. pdf r. Mon..
c/ntrt.. II, ^41, n. GXCIII, ha 1 * testes » sul verso: * Testes: Bernardiis
^ archidiaconiis, ma^ister Girardiis, Ebrardiis de Grange, Dus de Villa,
* Bernai-dus Arisi*. È un chirografo. Orig. nell'Aich. Vescovile. 11 do-
cumento in PivAXO, op. cit., p. 1(X), n. XX, è precisamente un breve,
coi testi anche sul veiso ; non può essere annoverato tra le carte aostane,
»' (filanto avverte il Kern (op. cit., p. 8) non torna opportuno circa l'ar-
gomento che tratta.
(:2) Per alcune a^arenti eccezioni cfr, p. 26i2.
(3) Cfr, PiVANO. op. cit.. p. (36.
;Ul IXIUI SCHIAPARELU HjiiJ
€ancelleria? Non credo. Troviamo infatti, che in alcuni casi,
per dare anche al breve questa tede, si ricorse al chiro-
grafo e al sigillo. Questi mezzi però non potevano offrire
quella sicurezza che dava la carta augnstana. Percliè il
chirografo avesse valore in caso di contestazioni, occorreva
che almeno due copie dell'atto fossero conservate e venis-
sero presentate dalle parti, il che è presumibile che non
sempre si avverasse. Nulla poi lascia supporre che in Aosta
si sia ricorso al sistema adottato in Inghilterra e piìj
raramente in Germania di conservar negli archivi una
copia, colla quale, occorrendo, si potessero confrontare gli
esemplari ])osseduti dagli interessati (1). Maggior valore e
maggiore sicurezza dava il sigillo, che venne anche appli-
cato ai chirografi (2) ; ma Fuso del sigillo era limitato a
poche persone e a poche istituzioni, a quelle precisamente
che come autorità pubbliche usavano d'ordinario un pro-
prio, speciale genere di documento (3). È probabile che le
persone e le istituzioni che usavano sigillo per i propri do-
cumenti potessero farne uso anche per documenti di altii
autori, e ciò avranno fatto specialmente quando gli atti in-
teressavano loro in qualche modo; tuttavia l'uso del sigillo
non poteva non essere molto ristretto. Precisamente il pub-
blico ricorreva alla carta augnstana, mentre le autorità,
come il vescovo, il conte, il capitolo ec, preferivano redigere
(1) I chiiogiati eh" io esaminai constano soltanto di due carte. Ta-
lora sono designati nel testo stesso colla formula: «duo scripta divisa
« per alfabetum ». Ma le lettere che si scrivevano nella parte da tagliarsi
non erano soltanto quelle dell" alfabeto ; vidi parecclii brevi colle lettere:
Breve recordationis; uno col nome del vescovo « Arnulfus ». Gfr. : Jp-
pemlice. J, n. 8; Jlist. pafr. Mon.. Chart.. II. 13:58, n. MDGGXGIV:
Due, Cartidaire ec, p. 3()9, n. GVI. Giustamente osserva lo Steixacker
(op. cit.. p. 249): « So ist die Ghirographierung melir ein vSymptom des
■« Bediirtnisses nach einer Wiederherstellung des verfallenen Urkunden-
* Wesens, als ein Mittel zur Befriedigung dieses Bediirtnisses ».
(2) Uso frequente ; cfr. : Hisf.pafr. Moìì.. Chart.. TI. 1338. n. MOCCXCn' ;
Due, Carfnkure ec, 309, n. GVI.
(3) Usarono il sigillo: il conte, il vicedomino, il vescovo, i capitoli
della cattedrale e della collegiata di S. Orso, Farcidiacono, il priore di
S. Orso, la Guria.
\{ji\ CHARTA AUGUSTAXA ;'>l'>
atti propri, cui assicuravano valore coi propri sigilli (1). Pei-
accrescere valore ad un atto si applicavano anche più si-
gilli di autorità varie. E dall'importanza maggiore dell'au-
torità doveva derivare maggiore efficacia al documento die
portava il suo sigillo. Dati questi vantaggi che presentavfi
la carta augusta na. si comprende il suo uso grande e il
suo rapido sviluppo.
\'ediamo ora la carta augu stana nel periodo in cui
si trova di fronte all' istromento notarile. Questo penetra in
Aosta, come dissi, nella prima metà del XIII secolo, e gli
esempi si fanno numerosi solo dopo il 1^50. Col suo allar-
garsi diminuisce l'uso della carta aostana: prevale l'istromento
notarile nel XtV secolo, e nei primi anni del XV la carta
aostana scompare ; l' istromento finisce per occu})are tutto
il campo di questa. Però tra i due generi di documenti non
vi fu lotta. Vediamo notai pubblici, cioè scrittori di istro-
menti pubblici, fungere da scrittori della cancelleria. I notai
pubblici in Aosta sono in quest'epoca nominati dai conti di Sa-
voia, e i conti sono i capi della cancelleria. E non risulta
che tra le due istituzioni, la cancelleria e i iabellioni o notai
publ)lici, vi fosse una differenza di giurisdizione o una li-
mitazione nei loro diritti, che, ad es., gli ufficiali della can-
celleria dovessero ricevere gli atti di valore perpetuo e i
notai pubblici i contratti tempoi-anei, della durata di un
certo numero di anni. Dipendendo poi gli uni e gli altri notai
dal conte di Savoia, possiamo ritenere che non dovessero
sorgere frequenti contrasti o gare per diritti vari ed emo-
lumenti. Le due istituzioni adunque non si escludcmo e nep-
pure sono in contrasto; gli atti che emanano hanno proprio
significato e valore; istromento e carta augu stana sono
contemporaneamente usati come documenti dispositivi. Ta-
lora si ricoì'se all'istromento per preparare e assicurare Patto
(1) Anche i conti di Savoia, come i vescovi, si servirono delia calta
aostana per i loio atti. Cfr. ad es., Due, Carfidaire ec, p. 21)8, n. V
(atto del conte Toniinaso I); 233, n. XXXIII (del vescovo Oberto d'Ivrea);
238, n. XXXVIIl (del conte Tommaso l); 248, n. LI (del vescovo Giial-
l)erto (li Aotìta).
81d LUKtI SCHIAPARELLI [G8J
che doveva rivestire la forma della carta aostana, come con
quello si venne a corroborare questa, a completarla nelle
sue disposizioni. Non si può affermare che l'uno avesse più
valore giuridico dell' altra, ma emerge che da prima si dava
maggiore importanza alla carta aostana, e forse non unica-
mente perchè guarentigiata, che l'istromento, come si adattava,
e più della carta aostana, a tutti i generi di atti, così poteva
contenere tutte le clausole di essa carta; ma perchè doveva
sembrare la più indicata e la più sicura « ad evidenciam bo-
« norum hominum ». Si preferiva all'istromento l'antica carta
perchè emanava da cancelleria locale; alla forma di documento
da poco entrata nell'uso si preferiva l'antica, cui davano tanta
forza di vita gli usi e le tradizioni del luogo. La carta aostana
non poteva però reggersi a lungo di fronte all'istromento.
[ntanto si noti, che per quelli che non risiedevano in Aosta
non poteva tornare sempre agevole ottenere prontamente
una carta; e per rimediare a questo, per assicurare subito
effetto e valore giuridico all'atto si ricorreva ai notai pub-
blici, che erano certamente più numerosi degli scrittori della
cancelleria e che potevano recarsi da un luogo all'altro per
esercitare la loro professione.
Tutto ciò non poteva non essere una debolezza per la
carta aostana e una forza per Tistromento, che andava
estendendosi nell' uso. L' istromento si prestava a varietà
intìnita di contenuto ; si muoveva con libertà maggiore di
quella concessa alla carta aostana. L' istromento aveva poi in
sé un' altra forza che doveva condurlo a sicura vittoria :
il suo valore giuridico era più ampio di quello della carta.
L' istromento era scritto dal « notarius sacri palatii et comitis
« Sabaudie», la carta aostana da uno scrittore della cancelleria
di Aosta. Si aveva quindi da una parte l'atto pubblico in
senso esteso, dall'altra l'atto pubblico in senso molto ri-
stretto; la publica fides, l'evidencia honorum homi-
num della carta aostana era limitata al territorio politico di
Aosta. Doveva naturalmente prevalere l' istromento sulla
carta. Alla carta augu stana, formatasi in territorio franco-
burgundio e rispondente a questo diritto, sottentra l'istro-
mento notarile italiano; la carta locale cede il posto al
genere di documento che risponde al nuovo diritto della
regione cui Aosta viene ad appartenere.
[69 1 CHARTA AUGUSTAXA 817
Per meglio comprendere alcuni caratteri o momenti nello
sviluppo della nostra carta, occorre ricordare alcuni periodi
della storia generale del documento privato, a fine di non
ritenere come carattere particolare dell'atto aostano quello
che è comune al documento privato in genere o a documenti
di altri territorii giuridici.
La redazione sul verso della nostra carta ha punti di
contatto e colla notitia dorsale delle altre cade e col-
r imbreviatura notarile; serve, in certa guisa, a spiegarci
il passaggio dall'una all' altra (1). La notizia dorsale, con-
siderata diplomaticamente, è anzitutto, in generale, una mi-
nuta, in qvianto ha servito o poteva servire di base per
l'estensione in mundum dell'atto; non solo, ma è anche
una scritta, cioè un atto che ha dato o poteva dare origine
al vero documento notarile, al quale viene a fornire ele-
menti sostanziali (^2). Tale atto preparatorio della carta o del-
(1) Il Kerx, op. cit., p. H5, dice, sebbene con esitazione, il documento
aostano precursore del]iml)reviatura ; il che parmi un po' troppo, e non
rispondente a quanto attestano i documenti. Cfr, Ordo iudicìarius. % 3
(ed. Gross, pp. :217-218), che bene si adatta alla carta aostana (cfr. Vol-
TKLixi. op. cit.. p. XXVII, nota 3 ; Kern, op. cit., p. 62).
(2) Parlo di notitia dorsale in senso ampio. La maggior parte di
queste notitie sono veramente dorsali, ma non tutte; alcune sono scritte
sul recto della pergamena, sulla faccia che contiene Tatto in ìihiìkIiuh,
nei margini superiore o inferiore, in principio o in calce del documento.
(Si cfr. la glossa Protocollnm alla Xov., 44, cap. I; Voltelini, op. cit.,
p. XXVII, nota 3). Un caso ebbe già ad avvertirlo A. Gloria, in una carta Pa-
dovana del 1131 maggio ^{Codice dlpìomcdico Padoirtno dall'anno 1101
alla pace di Costaìisa, I, Venezia 1879, 176, n. 223, nei Moniunenti .sto-
rici pubbliccdi dalla li. Deputasione Veneta di Storia patria, voi. IV,
serie prima. Doctinienti, voi. IV. Cfr. Kern, op. cit., p. 22). Tra le perga-
mene di alcuni fondi dell'archivio di Stato in Firenze trovansi notitie
sul recto in un angolo estremo della pergamena, il quale pare dovesse
venir tagliato per uguagliare il foimato della membrana ; cito alcuni
esempi: Canialdoli, 1008 nov., 1010 febbr.; Luco, 1038 giugno 24, 1061 gen-
naio 5, 1089 giugno 1 ; Ikidia di Firenze. 1072 nov., 1073 mar. 27, 1083 ott.
CoUibiwno, 1010 giugno 8 (in note tachigraflche). Talora questa notitia
è scritta in senso opposto a quello del testo, sicché per leggerla bisogna
capovolgere la pergamena. Parreb!)e che tali notitie dovessero essere
tagliate. L'acuta ipotesi del Gaudknzi (op. cit., pp. 424, 428) sarebbe così
avvalorata da esempi. È molto probabile che si scrivessero notitie su
Akch. Stor. It., 5." Serie. — XXXIX. Jl
818 luKtI schiafarelli |70j
ristromento propriamente detto ebl)e, e semj)re, il valore giu-
ridico che abbiamo attribuito alla redazione sul verso della
carta aostana, e dovremo perciò considerarlo come un vero
documento a sé? Dalle pubblicazioni finora fatte di docu-
menti, per essersi tenuto conto solo eccezionalmente delle
notizie dorsali, non è possibile affrontare l'argomento colla
speranza di giungere ad una conclusione generale e defini-
tiva. L' acuta tesi sostenuta dal prof. A. Gaudexzi (1), che
considera la notizia dorsale come vero atto giuridico, come
« una prima e diversa redazione del documento », trova ap-
poggio e conferma nella carta aostana; ma è stata com-
battuta dal dr. Kerx (^2) per le notizie dorsali delle altre
carte, e la questione, pare a me, è più viva che mai, occor-
rendo ancora e anzitutto fare nuove ricerche e nuovi esami
delle pergamene medievali col precipuo intento di studiale
scheda a parte, su propria perjjaniena. staccata da ([uellache doveva conte-
nere l'atto in iiumiltiiiK ed è prol)al)ile che nuovi esami e studi ne dimo-
strino l'esistenza tra il materiale archivistico a noi giunto: tali sono forse i
documenti editi dal Belgraxo, Cartario (jonovese. in Affi (iella Società
Ligure di storia patria, II, parte I (Genova, 1870). 72 n. XLVII e 193
n. GLVII. Secondo il Gaudenzi (op. cit., pp. 420. 438) non mancherehheio
esempi, e * In Borgogna era uso costante di scrivere notizia e carta su
% due membrane diverse. E di questo uso troviamo infiniti esempi nelle
* carte del X ed XI secolo dell'abbazia di Gluny. Ed è da osservare che
■« nell'Archivio di questa ci furono generalmente conservate in originale
* le notizie, mentre nei cartulari dell'abbazia abbiamo le copie delie
* carte » (op. cit.. p. 428). Peccato che egli non citi meglio e non esa-
mini questi esempi (cfr. Kerx, op. cit., p. 30).
(1) Op. cit. Si cfr. le recensioni dello Schupfer {La jurbhlicità nei
trapassi della projirietà secondo il diritto roìnano del basso impero
specie in reiasione alle vendite, in Rirista italiana per le Sciente
giuridiche. XXXIX, 1, segg.) e àe\ ^o\.^ìi {Archivio giuridico * F. Sera-
fini», LXXIV, 511 segg.); cfr. anche Bresslau nel Xeues Archir. XXXI,
276, n. 127. e Bruxxer, Deutsche liechtsgeschichte. l. 2^' Aufl. (Leipzijz.
1906), 571. nota 30.
(2) Kerx, op. cit.: cfr. in particolare le pp. 30-34. Non entro nel
merito della questione. Il Gaudexzi, che ha raccolto nuovi materiali,
l'isponderà fra poco alle critiche del Kerx. Questi, va notato, viene del
jesto ad ammettere una doppia redazione del documento al tempo del-
l' imbreviatura (oj). cit.. p. 64). Cfr. E. Besta, Xuori appunti di storia
giuridica sui documenti Lucchesi, in Archìvio giuridico * F. Serafini ».
LXXV. 357.
[/Il CHARTA AlurSTAXA '^19
queste notizie. Intanto da quel poeo elle finora eonoseiamo
si può (liie, in relazione eoi nostro argomento, clie non ri-
sulta ehe vi siano altri gruppi di carte con una redazione
sul verso, la quale abbia e lo sviluppo uniforme e i ca-
ratteri di quella aostana : cbe l' uso della notizia dorsale
fu esteso, ma non generale; che essa prende caratteri vaii
e assume speciale valore a seconda dei territori, talora
a seconda dei casi singoli. Di alcuni caratteri, da noi già
rilevati, che nella notizia dorsale aostana hanno ampio svi-
luppo ed uso regolare, si trovano accenni ed usi singoli
anche in altri gruppi di carte. Così non parmi si possa du-
bitare che, come avvertimmo per la redazione sul verso
della carta aostana, alcune notizie dorsali formino un vero
documento a se con speciale valore giuridico; basterà ri-
cordare l'esempio offertoci da una pergamena genovese del
gennaio 10i25, la quale contiene sul verso un atto di ven-
dita e sul recto la relativa cartula promissionis (1).
È frequente il caso di vendita e di promissio, di dona-
zione e di promissio con due atti su due pergamene — e
spesso nella carta promissionis, proprio come nella carta
genovese, è specificatamente ricordato l'atto di vendita o
di donazione già compiuto — ; nel citato esempio invece i due
atti sono scritti sulla stessa pergamena e vengono a for-
mare come una carta unica. Lo svolgimento maggiore che
va prendendo la notizia dorsale sul verso nella carta ao-
stana del terzo periodo si riscontra anche in alcune notizie
dorsali, le quali allargano il loro testo che va facendosi
uguale a quello della parte recto (^). Pure alcuni gruppi
di notizie dorsali prendono il carattere narrativo del breve ;
hanno la forma oggettiva, mentre il recto è redatto in
(1) Edita da L. T. Bklgraxo, su copia di H. Poch, nel citato (V/y-
tario Genovese, p. 128, n. XC. Presuppongo che la notitia dorsale sia
della mano che scrisse il recto : il Poch notò soltanto : * di mano egual-
« mente, come parmi. antica *. L' esempio è ricordato anche dal Kkrn
<op. cit., p, 27), ma in sostegno della tesi opposta. Egli ritiene la jjro-
missio come atto anteriore alla vendita, sebbene nel testo si ricordi
quesfultima (« cartulam vindicionis etmiximus »). Un esempio di dona-
zione e di promissio si ha nello stesso Carta rio Genovese, p. 101, n-LXX.
(2) Gfr. Kkrx, op. cit., pp. 16, 23, W.
320 LUIGI SCHIAPARELLI [72]
forma diretta o soggettiAa (1). Forse nuove ricerche e ulte-
riori studi sulle pergamene medievali metteranno in evi-
denza altri riscontri : è probabile che, come si notò per la
carta aostana, si usassero e si conservino tuttora notizie
dorsali staccate (2), che non di tutte le notizie venisse stesa
la carta e che esse fossero consegnate alle parti (3).
Quelle relazioni che rilevammo in Aosta tra breve e
carta si sono verificate, quasi nello stesso tempo, in Italia,
dove si svolse l' istromento notarile. Il breve ebbe in Italia
il suo maggiore svolgimento verso la fine dell' XI e nel XII
secolo a seconda dei territori ; e questo svolgimento avviene
appunto nel periodo in cui si prepara una grande modifica-
zione nell'atto scritto medioevale, cioè il passaggio dalla
carta ali ' i n s t r u m e n t u m propriamente detto (4) . In seguito
ad un naturale svolgimento, che diremo storico, dell'atto
scritto, attraverso il quale si ebbe come una selezione tra
le forme antiche, di cui alcune vennero accettate ed altre
modificate in modo da rispondere ai nuovi concetti giuridici,
e sotto l'influenza dei glossatori e dei canonisti, si fissò
r istromento, che differisce dalla carta in quanto lo scrit-
tore è ufficiale pubblico e l'atto suo gode publica fides.
Come si sia arrivati a questo concetto, non tocca a noi di
indagare (5). Basti per il nostro scopo ricordare, che i glos-
(1) Cfr. Kerx, op. cit., pp.: 16, 64.
(2) Cfr. p. 317, nota 2.
(3) Di tutto questo va tenuto conto per spiegare i casi di più no-
tizie dorsali su una stessa pergamena, o di notizia che non ha relazione
col testo sul recto. Il Gaudenzi, mentre a p. 4;20 del suo studio ritiene
che « nelle mani delle parti rimanessero di alcuni atti solo queste note,
« in bella copia », a p. 424 è d'avviso che le notizie dorsali, * che rappre-
* sentano vere schede » (egli parla veramente delle notizie dorsali raven-
nati, ma come esempio), rimanessero presso il notaio. Cfr. KeRxN, op. cit..
p. !26. Quando il notaio conserva la scheda siamo nel periodo del mag-
giore svolgimento del notariato, quando l' ìnsfrunienftwi è p»òIicinH.
siamo all'epoca dell' ijnbreviatura o protocollo a libro.
(4) Cfr. Bresslau, rrkinideììlehre. I, 495, nota 4; Voltelint. op. cit.,
pp. XVII, xviii, e Kern, op. cit. p. 51.
(5) Cfr. Bresslau, Urkamlenlelire, I, 493 segg. ; C. Paoli, Progroìinna
scolastico (il P(ileo(jrafìa htfina e di diplomatica. Ili, Diplomatica (Fi-
renze 1898), pp. 74 segg.; Voltelixi, op. cit., pp. xiii segg.; Kern, op. cit.,
pp. 49 segg.
CHARTA AUGUSTANA ^^^P '^^^
i quali videro riposta nell'antico documento tabellio-
nale quella fede pubblica che dava all'atto l'insinuazione nei
Gesta municipali a e nel tabellio un ufìiciale pubblico,
concorsero ad allargare il valore dell'atto notarile, quel valore
che l'atto scritto si era venuto acquistando nel suo svolgi-
mento naturale. Così ogni fede si concentrò in quest'istro-
mento, ogni fiducia venne riposta nella testimonianza, nella
dichiarazione scritta del notaio. Questi figura come interve-
niente all'atto di cui si fa relatore, della cui veridicità è teste ;
Tatto suo è pubblico, instrumentum publicum (1). Il
breve ci spiega appunto in alcuni casi e in dati luoghi questo
svolgimento o passaggio, che da esso parrebbe in parte prepa-
rato o favorito. In alcuni territorii della carta longobarda
troviamo ora numerosi brevi di un atto qualsiasi, di vendita,
di donazione ec, perfino di permuta (2) ; e vediamo, al più
tardi verso la fìne del XII secolo, diminuire questo numero
e sottentrarvi un atto che del breve non ha il nome, ma con-
serva alcune formule e soprattutto ha la redazione in forma
oggettiva: allora cessa dall'uso la carta anteriore in pre-
valente forma soggettiva (3). Siamo anche a un dipresso nel
(I) VOLTELINT, Op. cit., pp. XX, XXIV.
(^) L'antico formulaiio della pennuta, per lo meno nelle carte del
Piemonte e della Lombardia, dura più a lun^o, ancora quando ^ià pre-
vale r istromento.
(3) Un esempio servirà meglio a dilucidare quanto ho asserito in-
torno al breve : scegliamolo tra le carte del Piemonte e precisamente
di Asti. Le carte astensi seguono in genere il tipo della carta del ter-
ritorio long.-toscano : sono tutte redatte, salvo le permute, in forma
soggettiva. Esaminando il gruppo delle carte astesi edite in Ilìsf. patr.
Moli.. C/iart., I, si trova a col. 752, n. CCCCLVI, sotto la data 1123
luglio 23, una prima vendita in forma di breve. Il documento prin-
cipia, come la carta, colla data e coli' invocazione verbale, ma poi a
questa segue: * Breve recordationis securitatis ac fiiinitatis ad perpetuam
« memoriam retinendam. Presentia bonorum hominum, quorum nomina
* describuntur inferius, investituram et vendicionem sub dupla defen-
« sione et sub pena argenti libras viginti fecerunt » ec. ; è sottoscritto da:
* Ego Guido Astensis causidicus interfui propriisque manibus denotavi».
La carta che segue è dello stesso Guido e redatta nel medesimo tenore.
Le carte a coli. 763 e 770 sono di nuovo redatte in forma soggettiva ;
alla col. 780. n. CCCCLXXIX, a. 1138, 9 agosto, si legge una carta che
principia coi * testes », indi prosegue: * Carta vendicionis nomine pi-
322 LUIGI SCHIAPAKELLI [74]
momento in cui si va perdendo traccia della notizia dorsale^
e si entra nel pieno e regolare uso dell' imbreviatnra o pro-
tocollo ; la forma oggettiva penetra tosto anche nei registri
e formulari notarili (1), per passare nella redazione in mun-
dum dell'atto (2). Ora è la forma della relazione, la forma
oggettiva, che in generale prevale in tutti gli atti privati (3).
Sotto un certo aspetto, potremo quindi dire che come
in alcuni luoghi attraverso il breve si passa, tra la fine del-
« gnoiis » ec. ; la datazione è in fine, e la sottoscrizione not. si riduce
alle parole: * Ego Vili do scribsi»; ha forma breve, concisa, ha tutto
Taspetto di una scheda notarile e fa ricordare il tipo di imbreviatura
del notaio Giovanni Scriba (in questa però la redazione è in foinia
soggettiva). Ed eccoci, a col. 809, n. DUI, alla carta del :26 maggio 1156,
che principia colla .datazione, cui segue: « Gartulam vendicionis sub
* dupla defensione fecerunt * ec. e termina: * Et ego Vuilielmus interfui
* et scripsi ». Qui manca il titolo di l)reve. ma il formulario è simile
a (juello del documento sopra ricordato a col. 752; e i due atti dovet-
tero avere eguale valore giuridico. Seguono due carte del 12 gennaio
1157 (col. 809, n. DIV) e 5 marzo 1159 (col. 818, n. DX) collo stesso for-
mulario; la prima è del notaio astigiano « Guilielraus » (che dev'essere
il medesimo della carta a col. 809, n. DUI) e la seconda del notaio, pure
di Asti, *Estachius». Una carta in forma soggettiva si ha ancora a
a col. 825, n. DXVII, a. 1161, 14 sett., scritta dal notaio «Vuilielmus»,
che dev'essere il medesimo sopra ricordato; ma dello stesso notaio segue
subito un'altra carta, 8 ottobre 1161 (col. 826, n. DXVIII), in forma og-
gettiva: « Mainfredus et Rainerius de Casasco germani fecerunt finem
« et refutacionem et transactionem » ec. Il tipo è ormai fissato e le carte
seguenti sono tutte dello stesso tenore. Perdura più a lungo V antica
formula della permuta, ma poi si uniforma anch'essa, e si ha: * Cartulam
■« permutacionis fecerunt ».
(1) È in forma soggettiva la più antica imbreviatura a noi perve-
nuta, quella di Giovanni Scriba (Tlist. patr. Mon.. Cliart.. II. 285 segg.).
L'Ars notoria di Ratnerio da Perugia, il Foriììularìuin Uihcìliouìuii
attribuito a Irnerio e la Stinnna ìwf ariete Arefii composita (in liittìio-
tìieca inridica Mcdii Aeri) hanno le rogatioues in forma ogg. : cfi-. Gai-
denzi, op. cit., p. 422 e Kern, op. cit., p. 54, nota 2.
(2) Cfr. Gaudenzi, op. cit., p. 423; Kern, op. cit., pp. 51 segg.
(3) La forma soggettiva perdura più a lungo, ad es., in Romagna : cfr.
VoLTELiNi, op. cit., xviii e Kern, op. cit., p. 54. In questo periodo di tran-
sizione si incontrano frammiste formule vecchie e nuove; caratteri del
breve nella carta e viceversa (cfr. le belle osservazioni del Kern, op. cit.,
pp, .54 segg.). Già nel periodo anteriore, la forma oggettiva trovasi usata
eccezionalmente in alcuni luoghi per certi generi di atto, come livelli o
permute (cfr. Kern, op. cit., p. 54).
|7oJ CHARTA AUGUSTANA ^^28
rXl e il Xll secolo, dalla carta all' imbreviatura e all' in-
strumentum, in Aosta si arriva, verso la metà del XII
secolo, alla carta augustana del maggiore svolgimento,
colla redazione sul recto in forma oggettiva.
DÌA'erso fu lo svolgimento nel territorio franco-germa-
nico, dove colla caduta della monarchia franca scomparve
la carta, cui sottentrò la notitia. Decadde il documento
quale perfezione di atto e si passò dalla carta alla notitia,
cioè al documento testimoniale di semplice prova (1). Ven-
nero poi in uso il chirografo e segnatamente il sigillo, che
contribuirono a ridare vita e valore al documento privato.
In Italia i chirografi sono piuttosto rari, e non si usò il si-
gillo per l'atto privato. E non vi era bisogno in Italia di ri-
correre a questi mezzi per assicurare valore al documento,
poiché alla carta sottentrò l'instrumentum publicum,
che a ciò meglio provvedeva.
La carta ebbe sempre un certo grado di valore dimostra-
tivo, come possiamo vedere attraverso le leggi dei Longobardi
e dei Carolingi, e come risulta dall'esame dei documenti per-
venutici, nonché dall'uso che di questi si faceva. Si nota nella
carta, sebbene a sbalzi, a guisa di filo spezzato, una con-
tinuità di quella fede che aveva l'antico documento romano,
il documento insinuato nei Gesta municipalia; scomparsa
la Curia come istituzione, rimase lo scrittore, e in lui per-
durarono e si concentrarono, in certo qual modo, l'autorità e
la fede che solo quella poteva dare airatto. Dai tabelliones
allo scriba longobardo, allo scrittore dei giudizi, al notaio
missatico, al notaio imperiale vediamo quasi sempre compa-
rire uno scrittore che godeva speciale fiducia, il quale veniva
additato dalle leggi, sebbene queste non obbligassero a ri-
(*orrervi; sicché era possibile, a chi desiderasse, assicurare
maggiore fede all'atto scritto. L' istromento notarile colle sue
prerogative appare quindi come il naturale sviluppo, la ri-
(1) Cfr. Hkdmch, rehpr hdiri.schc Tradii ioìisbilcher nini TraOitio-
nen. pp. 1 segg., Bhesslau, rrf,éin(lenh('freis, pp. (>.5-()6: l'rhinKJniìehre.
I, W.ì segg.. Steixackkr, op. cit., pp. i24<) segg.
•!24 LUIGI SCHIAPARELLI [7(5j
sultante di questo fatto, the \enne favorito e in particolare
determinato dalla scuola dei glossatori e dai canonisti.
L' istromento notarile dall'Italia, dove sorse e si svi-
luppò, penetrò tardi in Germania e in Francia; quivi, in
sua vece, per dare fides publica all'atto scritto, si ricor-
reva generalmente al chirografo e in particolare al sigillo.
I caratteri del breve in Aosta rispondono appunto agli usi
giuridici del territorio franco, cui Aosta apparteneva. Aosta
ebbe colla sua carta un atto scritto pubblico, quale aveva
ritalia nell'istromento notarile.
La carta aostana colle due redazioni rispecchia i due
generi di atto scritto sopra ricordati, riflette e raccoglie in
se, per così dire, la notitia e la carta, 1" imbreviatura e
l'istromeiìto (1).
Firenze. Lumi Schiaparelli.
APPENDICE.
L
Documenti.
1. 1035 (?).
(Sulla faccia cerso della pergamena). Donacio quam facit Guii-
tardus in canoiiicis Saiicti lohaniii viiiea una in Auciano j prò re-
medium anime sue. Et si ulliis homo est qui istam terram voluis-
set I conmiitare aut tollere, revertat a prossimis Guntardi. Signum
Aiiselmus, I Pandiilfus, Leiitefredus, Vuibertus, Varneiicus. Fidem:
Anselmus et [ Pandulfus. Et est pena de aurum coctum libras e.
Escumburga laudavit, Gysburga lauda vit.
(I) Si sare;)l)e (|iiasi iiulotti ad aggumgere che, sotto un certo aspetto,